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Erkenntnis und Interesse Lo sviluppo sistematico della connessione di conoscenza e interesse.

La prolusione francofortese del 1965, come afferma lo stesso Habermas, costituisce la prima elaborazione dei punti di vista sistematici dell’analisi gnoseologica sugli interessi, che a qualche anno di distanza l’autore rielabora in maniera più completa nell’omonimo testo Erkenntnis und Interesse1. Questo volume, che come ricorda Cunico è forse uno dei più celebri nella produzione habermasiana, riprende e prosegue il progetto ambizioso del 1965, “non più soltanto di una critica immanente allo scientismo […], bensì […] addirittura di una fondazione riflessivo-trascendentale della «teoria critica della società» come forma «radicale» di «critica della conoscenza»”2. L’intento programmatico di Habermas emerge fin dalle prime righe della Premessa al testo, dove egli presenta il compito che si propone di realizzare:

tenterò in una prospettiva storica una ricostruzione della preistoria del positivismo moderno, con il proposito sistematico di un’analisi della connessione di conoscenza e interesse. Chi segue il processo di dissoluzione della teoria della conoscenza con il quale essa ha ceduto il posto alla teoria della scienza, risale gradi abbandonati della riflessione. […] Rinnegare la riflessione: ecco il positivismo3.

Il testo di Habermas ricostruisce storicamente, a partire dall’età moderna, tanto la genesi della definizione “teoria della conoscenza”, quanto il suo graduale deterioramento, vale a dire l’estromissione radicale della filosofia dal confronto con la scienza, messa in atto dallo stesso procedimento filosofico. Come rilevato da Wiggerhaus, Conoscenza e

interesse espone “il percorso storico-problematico che conduce a un’epistemologia

critica, la quale, a differenza della epistemologia scientista, si preoccupava di elaborare

1 HABERMAS, Erkenntnis und Interesse, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1968; (tr. it. di Gian Enrico

Rusconi, Conoscenza e interesse, Laterza, Bari 1970. Terza edizione con l’aggiunta del Poscritto 1973, trad. di Emilio Agazzi, 1983). Da qui EI.

2 CUNICO, Critica e ragione utopica, cit., p. 70. 3 EI, p. 9 (p. 3).

una teoria complessiva delle forme di conoscenza estremamente differenziate delle società industriali presenti nell’intera gamma delle scienze”4.

A partire dal XIX secolo, la teoria della conoscenza sembra coincidere perfettamente con la definizione stessa di filosofia, nella forma di un’aderenza reciproca tale da fondere insieme i due aspetti. Dimostrazione di ciò sono, per Habermas, tanto il razionalismo quanto l’empirismo, entrambi indirizzati alla “delimitazione metafisica dell’ambito oggettuale e alla giustificazione logico-psicologica di una scienza naturale connotata da linguaggio formalizzato e sperimentazione”5. Non si verifica ancora, in tale contesto, la coincidenza tra la scienza – nel senso della fisica sperimentale ad esempio – e la conoscenza in generale, dal momento che, come afferma Habermas a proposito, lo statuto della filosofia mantiene ancora solo uno “spazio legittimo alla scienza” e le teorie della conoscenza conservano ancora un’ampia estensione – non limitata, cioè, alla conoscenza scientifica sperimentale e senza l’equazione che la associava alla teoria della scienza –. Anche con la filosofia di Kant – “con la cui problematica logico-trascendentale la teoria della conoscenza giunge per la prima volta alla coscienza di se stessa ed entra nella sua dimensione specifica” – la conoscenza teoretica detiene una condizione di maggior rilevanza rispetto alla scienza: la critica gnoseologica si rivolge solo al sistema delle facoltà conoscitive, comprese nella ragion pratica e nel giudizio riflettente. È con la critica hegeliana alla questione logico-trascendentale derivata da Kant, con la “metacritica” che sottopone ad una ferrea autoriflessione la conoscenza stessa, che si verifica il mutamento della relazione tra filosofia e scienza, e quindi il loro definitivo distacco. Habermas, infatti, intende sostenere la tesi che

dopo Kant la scienza non è più stata seriamente concepita da un punto di vista filosofico. Da un punto di vista di teoria della conoscenza, e cioè come una categoria di possibile conoscenza, la scienza è infatti concepibile solo sintanto che non è identificata enfaticamente con il sapere assoluto di una grande filosofia, o ciecamente equiparata all’autocomprensione scientistica dell’esercizio di ricerca di fatto6.

4 WIGGERHAUS, La scuola di Francoforte, tr. it. cit., p. 652. 5 EI, p. 11 (p. 7).

Ciò che viene a mancare in tale frangente è la dimensione che permette la realizzazione di un modello gnoseologico di scienza, in grado di legittimare e di rendere comprensibile quest’ultima all’interno dell’ambito della conoscenza possibile. In tal modo si creano le condizioni per un confronto tra un “sapere assoluto” e la “conoscenza scientifica”, nel quale quest’ultima inevitabilmente appare come un qualcosa di limitato: “unico compito rimane la dissoluzione critica dei limiti del sapere positivo”.

Tuttavia, se non sussiste alcun concetto della conoscenza che vada oltre la scienza empirica vigente, allora di necessità si verifica la coincidenza di critica della conoscenza e teoria della scienza, entrambe, cioè, si costituiscono in tutto unitario, limitato alla “regolazione pseudonormativa” dell’organizzazione della ricerca. Secondo Habermas, quindi, si verifica gradualmente un’inversione radicale del rapporto che inizialmente poneva in relazione tra loro la filosofia e la scienza, un sovvertimento che conduce all’estromissione della filosofia dal ruolo in precedenza svolto. A partire da tale considerazione, lo stadio successivo, nella ricostruzione habermasiana, è quello che caratterizza la situazione attuale, dal momento che la teoria della conoscenza, ormai deprivata del proprio primato, viene sostituita dalla metodologia ormai abbandonata dalla speculazione filosofica. Habermas evince in tal modo un dato estremamente rilevante ai fini della determinazione del concetto di «scientismo; egli, infatti, scrive:

la teoria della scienza, infatti, che dalla metà del diciannovesimo secolo riceve l’eredità della teoria della conoscenza, è una metodologia esercitata nella autocomprensione scientistica delle scienze. ‘Scientismo’ significa la fede della scienza in se stessa, ovvero la convinzione che non possiamo più intendere la scienza come una forma possibile di conoscenza, ma dobbiamo identificare la conoscenza con la scienza. Il positivismo […] si serve degli elementi sia della tradizione empiristica che razionalistica per consolidare a posteriori la fede della scienza nella propria esclusiva validità, anziché per riflettervi e per spiegare sulla base di questa fede la struttura delle scienze. Il positivismo moderno ha assolto questo compito con notevole sottigliezza e indiscutibile successo7.

In questo passaggio fondamentale di Erkenntnis und Interesse si esplicita chiaramente il significato attribuito da Habermas al termine scientismo, e si rende più

manifesto tanto il motivo della presa di posizione contro il positivismo, quanto la centralità della tematizzazione del rapporto di conoscenza e interesse, emerso proprio entro i confini del Positivismusstreit. «Scientismo» è, in primo luogo, la fede della scienza nella propria validità, la fiducia in un accesso privilegiato alla verità, dal quale la filosofia sembra essere irrimediabilmente esclusa. Come si è visto in occasione dell’analisi inerente alla discussione con Popper e Albert, lo scientismo costituisce, secondo Habermas, un metodo d’indagine appartenente all’ambito empirico, che, per il tramite di elementi derivati dall’empirismo e dal razionalismo, pretende l’estensione del suo impiego ad una sfera molto più ampia di conoscenze, travalicando i limiti dell’ambito empirico-analitico. Per Habermas, quindi, si rende evidente il fatto che una situazione così definita conduca inevitabilmente ad un riferimento indispensabile alla “teoria analitica della scienza” ogniqualvolta si renda necessaria una discussione sulla possibilità stessa della conoscenza.

A partire da tali considerazioni, Habermas indica quella che per lui rappresenta l’unica via percorribile per ricreare le condizioni di possibilità d’accesso alla conoscenza, censurate in maniera irriflessa dal positivismo: non una regressione alle condizioni originarie, bensì “una analisi della connessione genetica della dottrina positivistica”, capace di creare un collegamento con le condizioni contingenti; in tal senso,

una futura ricerca sistematica delle basi di interesse della conoscenza scientifica non può astrattamente restaurare una teoria della conoscenza, ma solo ricondurre in una dimensione che è stata aperta in un primo tempo dalla radicale autocritica di Hegel alla gnoseologia, ma poi di nuovo sbarrata8.

Ed è, appunto, a partire dal filosofo di Stoccarda che Habermas dà inizio alla sua ricostruzione storica del processo di dissoluzione della teoria della conoscenza e della soppressione del rapporto tra conoscenza e interesse.

§.1. Da Hegel a Marx e ritorno. Tentativi di soluzione e nuove oscurità.

Lo strumento teoretico che ha permesso a Hegel di elaborare la propria critica all’impianto gnoseologico della filosofia kantiana è costituito, secondo l’analisi habermasiana, dall’«autoriflessione fenomenologica della conoscenza», ossia da un’autoriflessione intesa come critica radicale esercitata sulla conoscenza. La ricognizione habermasiana sulle riflessioni di Hegel si scontra fin da principio con un nodo spinoso da risolvere, consistente nella chiarificazione preliminare della possibilità reale della facoltà conoscitiva di essere sondata criticamente prima del conoscere stesso, dal momento che questa stessa critica pretende per sé di essere conoscenza9.

Habermas sostiene che ogni teoria della conoscenza deve necessariamente confrontarsi con tale dato di fatto, il quale non può essere eluso facendo ricorso all’idea che i dati a disposizione sono provvisoriamente non problematici, poiché essi sono in realtà potenzialmente problematizzabili. Un siffatto «procedimento aproblematico» – così si esprime l’autore – accomuna questa posizione – postulata da Reinhold – all’atteggiamento odierno dei positivisti, i quali sostengono l’impossibilità di una problematizzazione contemporanea di tutte le affermazioni: i presupposti che determinano il sistema di riferimento di un’analisi devono essere assunti come aproblematici, se si pretende di portare a conclusione il procedimento intrapreso. Ciò determina, quindi, l’esclusione di qualsiasi dubbio radicale, poiché è sempre ammessa una forma di convenzionalismo che esclude ogni forma di fondazione dei propri principi. Ora, secondo Habermas, la teoria della conoscenza, coerentemente alle proprie esigenze filosofiche, ha come obiettivo il raggiungimento del tutto, ossia la “giustificazione critica delle condizioni di possibilità della conoscenza in generale”10 e, pertanto, non può fare a meno della radicalità del dubbio. Per tale motivo, prosegue l’analisi habermasiana, Hegel può, da un lato, condividere l’enfasi attribuita da Reinhold al circolo connesso alla teoria della conoscenza, dall’altro però, egli deve al contempo rinnegare il medesimo procedimento che è posto per risolvere l’empasse. Habermas indica la trattazione hegeliana come «risolutiva», in quanto diretta contro “l’intenzione

9 “Il postulato è dunque questo: bisogna conoscere la facoltà conoscitiva prima di conoscere; sarebbe

come voler nuotare prima di entrare in acqua. L’indagine intorno alla facoltà conoscitiva è essa stessa conoscente, non può arrivare a ciò cui vuole arrivare perché lo è essa stessa […]”, in G. W. F. HEGEL, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, vol. III, ed. H. Glockner; (tr. it. di E. Codignola e G. Sanna, Lezioni di storia della filosofia, vol. III, La Nuova Italia, Firenze 1964, p. 289).

della filosofia dell’originario”: il circolo che irretisce la teoria gnoseologica porta alla luce il fatto che essa non può nulla nei confronti della “spontaneità di un originario, ma in quanto riflessione rimane assegnata da un verso cui si orienta nel momento stesso in cui ne risulta”11. Dalla centralità assunta dal concetto di riflessione, secondo Habermas, è possibile evincere un dato significativo, ossia il primario incontro – in ordine di tempo – empirico della critica con forme di coscienza, senza che intervenga una scelta convenzionale a determinarlo. Conseguentemente, la certezza sensibile – “il termine per indicare la coscienza naturale di un mondo quotidiano in cui già ci troviamo con inevitabile contingenza” – si mostra nella sua obiettività, perché la riflessione altro non è che un qualcosa proveniente dall’esperienza, “di cui penetra la dogmatica”12. Secondo Habermas, quindi,

il circolo imputato da Hegel alla teoria della conoscenza come cattiva contraddizione, viene giustificato nell’esperienza fenomenologica come forma della riflessione stessa. […] solo un saputo in precedenza può essere ricordato come risultato ed essere penetrato nella sua genesi. Questo movimento è l’esperienza della riflessione e il suo fine è la conoscenza che il criticismo affermava immediatamente13.

Da ciò deriva, secondo Habermas, una critica della conoscenza che non è in grado di ripristinare i presupposti iniziali della filosofia dell’originario; tuttavia, tale incapacità non richiede l’abbandono della critica stessa: per ovviare a questa difficoltà sarebbe sufficiente, secondo l’argomentazione habermasiana, la soppressione della falsa coscienza per mezzo di una metacritica rivolta contro se stessa. Hegel, però, procede diversamente, ritenendo che la propria esposizione costituisca un affondo tanto contro la falsa coscienza, quanto contro la stessa teoria della conoscenza14. L’identificazione, presentata da Hegel, della paura di sbagliare con l’errore medesimo determina il mutamento della critica immanente alla teoria della conoscenza come una forma di

11 Ivi, p. 16 (p. 11). 12 Ibidem.

13 Ibidem.

14 “Se da un lato il timore di incorrere in errore provoca la sfiducia nella scienza, che si mette all’opera e

senza esitazioni di questo genere conosce realmente, non si vede dall’altro come mai non debba viceversa crearsi ed essere sollecitata una sfiducia in questa sfiducia, che questa paura di sbagliare sia già l’errore stesso. Infatti essa presuppone qualcosa, anzi parecchio come verità, e appoggia i propri timori e le proprie conseguenze su ciò che deve essere innanzitutto provato se sia la verità”, in HEGEL, Phänomenologie des Geistes, ed. Hoffmeister; (tr. it. di E. de Negri, Fenomenologia dello spirito, 2 voll., La Nuova Italia, Firenze 1963, vol. I, pp. 66 sgg.).

negazione astratta; in tal modo il filosofo di Stoccarda reputa di poter oltrepassare la critica gnoseologica per mezzo di un procedimento che penetra la teoria della conoscenza, mascherando i presupposti irriflessi in essa contenuti e mettendo in evidenza la mediazione realizzata dalla riflessione per mezzo di un «precedente», che provoca la distruzione del “rinnovamento della filosofia dell’originario sulla base del trascendentalismo”15. Per Habermas, quindi,

la Fenomenologia dello spirito rimane in certo modo a metà. È vero che dall’esperienza fenomenologica deve risultare il punto di vista del sapere assoluto in modo immanente cogente, ma in quanto assoluto questo sapere non ha propriamente bisogno della giustificazione mediante l’autoriflessione fenomenologica – e a rigore non ne è neppure capace16.

Nell’analisi di Habermas si esplicita in questo frangente il limite della critica hegeliana a Kant, ossia l’ambiguità di una fenomenologia che priva la critica di quel vigore necessario per il successo della riflessione, internamente alla teoria della conoscenza. È possibile già in questo contesto intravedere l’emergere di un dato significativo nello studio habermasiano su conoscenza e interesse, vale a dire il delinearsi di un terzo interesse della conoscenza – oltre a quelli connessi alle scienze empirico- analitiche e storico-ermeneutiche –: l’interesse emancipativo della conoscenza, che, come si è precedentemente visto in merito alla prolusione francofortese, è ciò che permette l’effettiva fondazione di una rinnovata teoria critica della società. Come puntualizza a proposito Honneth, la possibilità di poter intraprendere questa terza via è data a Habermas proprio dall’autoriflessione, che rappresenta “oltre al nesso di funzioni finora presentato, anche un valore fondamentale per il processo di riproduzione del genere umano nel suo complesso”17.

Habermas individua tre momenti nodali nella critica hegeliana alla teoria della conoscenza elaborata da Kant, identificandoli proprio con i presupposti fondamentali sui

15 EI, p. 18 (p. 12). 16 Ibidem (p. 13).

17 “[…] solo quando l’intersoggettivo «movimento di riflessione» può affermarsi come una forma di

conoscenza da cui l’uomo, nel suo sviluppo, dipende a livello costitutivo tanto quanto dipende dalla conoscenza oggettivante della natura e dalla comprensione ermeneutica, allora esso può essere ricondotto a ragione ad un ulteriore interesse della conoscenza e, così, essere posto allo stesso livello antropologico- trascendentale come gli altri modi della conoscenza”, in HONNETH, Critica del potere, tr. it. cit., p. 309.

quali poggia il criticismo kantiano. La prima premessa della teoria della conoscenza è, secondo Habermas, un “concetto normativo di scienza: una determinata categoria di sapere, che trova già costituita, ha per essa il valore di conoscenza prototipica”18. Nella

Critica della ragion pura Kant fa significativamente ricorso alla matematica e alla fisica

per avvalorare la tesi secondo la quale entrambe le discipline sono contraddistinte da un progresso conoscitivo che procede costantemente. Di contro la metafisica rivendica a torto la definizione di scienza, sebbene essa, dal momento che è caratterizzata da un sostanziale “brancolare nel buio”, sia manchevole di quelle certezze conoscitive che invece differenziano le scienze empiriche, poiché “il suo procedimento è senza risultati, se commisurato al carattere pragmatico del progresso della conoscenza”. Per Habermas, il compito che Kant si propone di realizzare per il tramite della critica della ragion pura è quello di introdurre

il vincolo normativo di una determinata categoria di sapere. Dietro il presupposto che le asserzioni della matematica e della fisica contemporanea valgono come conoscenza sicura, la critica della conoscenza può impossessarsi di principi che si sono convalidati in quei processi di ricerca, e partendo da essi risalire all’organizzazione della nostra facoltà conoscitiva19.

Riallacciandosi alla situazione contemporanea dello statuto delle scienze empiriche, Habermas asserisce che anche la moderna metodologia scientifica si basa su un potere «pseudonormativo», che considera come valido prototipo di scienza solamente una specifica categoria di sapere; la metodologia generalizza poi l’andamento di questo modello di scienza, in modo tale da permettere sia la ricostruzione di questa forma di sapere, sia la creazione di una definizione di scienza. La posizione di Hegel, nei confronti del primo presupposto kantiano, è antitetica, poiché per il filosofo di Stoccarda una forma di sapere che pretende per sé la definizione di scienza deve essere innanzitutto una forma di sapere fenomenico, ossia un sapere che non è supportato da una sola e certa garanzia, bensì solo da una conferma tra le molte possibili20. In tal modo l’esperienza

18 EI, p. 23 (p. 16). 19

Ibidem (p. 17).

20 “Lo scetticismo che si volge all’orizzonte intero della coscienza fenomenica rende lo spirito capace di

verificare ciò che è la verità, creando una sfiducia nei confronti delle cosiddette rappresentazioni, pensieri, opinioni naturali, che è indifferente chiamare proprie o altrui; di esse è ancora carica e

fenomenologica della vita quotidiana diventa la direttrice della critica alla conoscenza, permettendole, dunque, di non sfociare in una posizione dogmatica relativa al senso comune. La critica deve rivolgersi parimenti anche contro se stessa per poter, coerentemente al procedere dialettico della fenomenologia, vedere “come ad ogni grado i parametri del precedente grado si dissolvono e ne nascono di nuovi”21.

Il secondo presupposto del criticismo kantiano preso in esame da Hegel è quello che assume come premessa un concetto normativo dell’Io, vale a dire l’ammissione di un soggetto determinato e immutabile della conoscenza. Nella prospettiva kantiana, argomenta Habermas, è necessario che l’unità trascendentale della coscienza venga compresa nel procedere stesso dell’analisi della “prestazione dell’appercezione originaria”, sebbene l’identità dell’Io necessiti di una determinazione iniziale dipendente dall’“esperienza trascendentale dell’autoriflessione”. In antitesi a tale determinazione, Hegel considera la coscienza dell’esperienza fenomenologica come un’osservatrice, pienamente consapevole del fatto di essere un’entità collocata internamente all’esperienza stessa della riflessione. Coerentemente alla progressione del processo della riflessione, in un primo momento deve essere considerata la genesi, che conduce dalla coscienza naturale al punto di vista accettato dall’osservatore in modo provvisorio; solo successivamente, e solamente a questo punto, si verifica la coincidenza tra la critica della conoscenza e l’autocoscienza, ora consapevole del proprio processo di formazione ed epurata dalla contingenza. Come afferma Habermas, per Hegel “il soggetto dell’accertamento gnoseocritico non è disponibile a richiesta della coscienza che vuole direttamente prendere verifica; esso è dato solo con il risultato del suo autoaccertamento”22. In ultima analisi, nella prospettiva hegeliana è solo l’esperienza fenomenologica ad assumere su di sé le istanze della critica della conoscenza, attraverso il medium della coscienza che riflessivamente può comprendere come il passaggio dall’“oggetto essente in-sé” al sapere riflessivo dell’“essere-per-sé di questo in-sé” renda possibile l’esperienza della coscienza “con sé nel suo oggetto”23.

impregnata la coscienza che direttamente si accinge all’esame, ma per questo è di fatto incapace di ciò che vuole intraprendere”, in HEGEL, Fenomenologia dello spirito, tr. it. cit., pp. 70-71.