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Per una fondazione teoretico-conoscitiva della «Kritische Theorie der Gesellschaft»: il rapporto conoscenza-interesse.

La parola teoria ha origini religiose: theoros si chiamava il rappresentante che le città greche inviavano ai giochi pubblici. Nella theoria, cioè contemplando, egli si realizzava nel corso dell’evento sacrale. Nel linguaggio filosofico il termine theoria viene trasferito alla contemplazione del kosmos. Come conoscenza contemplativa del kosmos la teoria […] riserva per il logos un essente depurato dall’instabile e incerto, abbandonando alla doxa il regno del caduco. […] La teoria penetra nella prassi della vita attraverso l’adeguamento dell’anima al movimento ordinato del kosmos: la teoria imprime la propria forma alla vita, si riflette nel contegno di chi si sottomette alla sua disciplina, nell’ethos1.

Come si è visto nel capitolo precedente, il tema della teoria costituisce una delle questioni salienti delle riflessioni habermasiane degli anni Sessanta. Si è osservato, infatti, che uno dei punti centrali della presa di posizione di Habermas contro il pensiero neopositivista e, in particolare, contro la sociologia analitica, verte proprio sulla questione del primato della teoria sulla prassi, sullo iato profondo, cioè, venutosi a creare tra la sfera della teoria e quella della prassi della vita sociale. Ed è proprio a partire dal resoconto sullo stato attuale della teoria che Habermas dà inizio alla sua analisi nella prolusione francofortese Erkenntnis und Interesse, testo nel quale il tema centrale del rapporto tra teoria e prassi – “nella forma specifica, propria delle società industrialmente sviluppate, nel rapporto tra scienza, tecnica e universo di vita sociale”2 – viene sviluppato assieme alla coppia categoriale conoscenza-interesse, con l’obiettivo di “identificare all’interno dei diversi tipi di scienze e all’interno degli approcci teorici concorrenti nelle

1 HABERMAS, Erkenntnis und Interesse, in «Merkur», (213) 1965, pp. 1139-1153; ora in Technik und

Wissenschaft als Ideologie, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1968; (tr. it. di C. Donolo, Conoscenza e Interesse, in Teoria e prassi nella società tecnologica, Laterza, Roma-Bari 1967, pp. 3-18). Da qui Erkenntnis und Interesse.

Si tratta della Antrittsvorlesung tenuta da Habermas il 28 giugno 1965 in occasione del suo insediamento a Francoforte, come successore alla cattedra di Horkheimer.

diverse scienze, specifici interessi guida della conoscenza”3. Sono questi interessi, infatti, che, secondo Habermas, rivelano il ruolo specifico della prassi all’interno della teoria, mostrando il modo in cui le due categorie si relazionano e il tipo di razionalità in esse contenuta. Essi, inoltre, come è stato significativamente rilevato da Axel Honneth, rappresentano “i modelli prescientifici d’orientamento che devono rappresentare le prospettive a partire dalle quali per l’essere umano la realtà si costituisce come un oggetto d’esperienza”4.

Nei saggi scritti all’inizio degli anni Sessanta – in particolare, in Epistemologia

analitica e dialettica e Contro il razionalismo dimezzato dei positivisti – Habermas

elabora per la prima volta quelle che sono le tesi centrali sia del rapporto che intercorre tra teoria e prassi, sia della relazione imprescindibile tra le scienze empirico-analitiche e l’interesse conoscitivo di tipo tecnico che le guida. Emerge, inoltre, quello che costituisce l’apporto più innovativo di Habermas al dibattito creatosi tra epistemologi analitici e dialettici: la sfera comunicativa, esplicitata per la prima volta nella forma di “precomprensione ermeneutica”. Il sapere che si genera dalle scienze empiriche ha validità “all’interno dell’orizzonte circoscritto dall’interesse al controllo tecnico su processi oggettivati”5; questo tipo di interesse appartiene strutturalmente al genere umano, dal momento che esso rende possibile la riproduzione stessa della vita dell’uomo attraverso il lavoro. Per Habermas, quindi, come riportato da Petrucciani, “è questo interesse «transculturale» al controllo dei processi naturali a spiegare come sia possibile raggiungere l’accordo circa la «validità intersoggettiva di affermazioni nelle scienze empiriche»”6.

Il titolo della prolusione francofortese, Conoscenza e interesse, riprende un tema della tradizione filosofica che, come ricorda Wiggerhaus, era già stato affrontato da altri pensatori in area tedesca, tra i quali Horkheimer7; Habermas, tuttavia, ha il merito di aver

3 Ivi, p. XI.

4 A. HONNETH, Kritik der Macht. Reflexionsstufen einer kritischen Gesellschaftstheorie, Suhrkamp,

Frankfurt a. M. 1986 (tr. it. di M. T. Sciacca, Critica del potere. La teoria della società in Adorno, Foucault e Habermas, Dedalo, Bari 2002, p. 283).

5 PETRUCCIANI, Introduzione a Habermas, cit., p. 45. 6 Ibidem.

7 “Erkenntnis und Interesse hieß der Titel – einen Topos aufgreifend, der ihm u. a. von Rothecker, Max

Scheler, Hans Freyer und eben Horkheimer her vertraut hat. Nach fast einem Menschenalter, so Habermas, sich selbstbewusst in die Tradition der kritischen Theorie Frankfurter Provenienz stellend, nehme er das Thema der Scheidung zwischen Traditionelle und kritischer Theorie wieder auf, dm Horkheimer eine seiner bedeutendsten Untersuchungen – den 1937 in der Zeitschrift für Sozialforschung

affrontato la questione nella prospettiva di una teoria critica calata all’interno dell’attività scientifica stessa, nell’ambito, cioè, di quella contrapposizione teoretico-scientifica emersa intorno alla metà degli anni Sessanta. Ciò che aveva motivato Habermas nella sua presa di posizione all’interno del Positivismusstreit, riemerge anche nel suo secondo periodo francofortese: la ricerca di una fondazione teoretico-conoscitiva della teoria critica della società8. C’è, pertanto, la consapevolezza da parte di Habermas di raccogliere l’eredità della Scuola di Francoforte, ossia di riprendere, ad una generazione di distanza, “quel tema del divorzio tra la teoria in senso tradizionale e la teoria in senso critico”, affrontato da Horkheimer in uno dei suoi scritti più significativi. Tuttavia, nelle riflessioni habermasiane si riscontra anche la consapevolezza di stare percorrendo una nuova strada, quella di una “«epistemologia critica» che mostrava la forte presa della epistemologia positivistica sulle diverse categorie scientifiche, e cercava non solo di bloccarla con una concatenazione di tesi, ma per così dire di assoggettarla alla propria amministrazione”9. Si tratta, in altre parole, dell’elaborazione di una teoria critica della società che si propone come obiettivo principale quello di “rendersi epistemologicamente consapevole del contesto pratico di emergenza delle rispettive teorie”10.

§. 1. A partire da Horkheimer. Lo iato tra teoria tradizionale e teoria critica.

L’idea classica di teoria, sia dal punto di vista religioso che filosofico, appare a Habermas come sostanzialmente definita da un’essenza mistica, ovvero come erschienenen Aufsatz «Traditionelle und kritische Theorie» - gewidmet habe”, in WIGGERHAUS, Jürgen Habermas, Rowohlt Verlag, Reinbek bei Hamburg 2004, p.72.

8 “Kritische Theorie, so sah es Habermas, musste sich unter solchen Bedingungen erst einmal innerhalb

des Wissenschaftsbetriebs behaupten. Das bedeutete Mitte der sechziger Jahre: auf dem Feld aktueller wissenschaftstheoretischer Auseinendersetzungen. Was Habermas bei seiner Beteiligung am Positivismusstreit motiviert hatte, setzte er in seiner zweiten Frankfurter Zeit fort: den Versuch einer erkenntnistheoretischen Begründung kritischer Gesellschaftstheorie”, ivi, p. 73.

9 WIGGERHAUS, La Scuola di Francoforte, tr. it. cit., p. 589.

A questo proposito è interessante quanto affermato da Donolo: “il progetto teorico di Habermas si situa nella tradizione di pensiero che da Hegel e Marx giunge ad Horkheimer, Adorno e Marcuse. Tuttavia, il contributo di Habermas fa fare finalmente un passo decisivo allo sviluppo di una teoria critica (in quanto contrapposta a quella «tradizionale»): mentre Adorno e Marcusa, per esempio, esauriscono il compito di una teoria critica nella critica ideologica di determinate tradizioni filosofiche o culturali o di particolari fenomeni della società capitalistica avanzata, Habermas si propone – e questa è l’innovazione decisiva – di condurre la critica e la discussione allo stesso livello raggiunto dalle scienze sociali borghesi e dalla loro filosofia della scienza. Con una critica immanente sistematica egli mostra le aporie e le contraddizioni delle teorie oggi affermate, e – a partire da questa critica, e quindi con una consapevolezza epistemologica maggiore – propone categorie e schemi interpretativi alternativi”, in DONOLO, Prefazione, in HABERMAS, Teoria e prassi nella società tecnologica, tr. it. cit., pp. VI-VII.

un’attitudine alla contemplazione del kosmos. Il filosofo, osservando questo ordine immortale11, si conforma ad esso nel tentativo di riprodurlo in sé. In tale atteggiamento si mostra il modo in cui, nella visione classica, la teoria penetra nella prassi: l’anima si accorda al movimento armonico del kosmos, la vita si modella secondo la forma della teoria, l’uomo subordina la sua vita all’ottemperanza delle norme generate dall’ethos.

Questo tipo di teoria corrisponde a quella che Horkheimer, in uno dei suoi saggi più significativi degli anni Trenta, Traditionelle und kritische Theorie, definisce “tradizionale” e contrappone alla teoria in senso “critico”. Habermas dichiara di richiamarsi direttamente all’analisi horkheimeriana sulla “separazione tra teoria nel senso classico e teoria nel senso di critica”12, sebbene nella Antrittvorlesung non vi siano altri riferimenti e rimandi alle pagine del francofortese. È tuttavia opportuno soffermarsi sul testo di Horkheimer, poiché, come è stato correttamente osservato, tra gli altri, da Petrucciani, “la proposta epistemologica che si delinea nel grande saggio del 1937 costituisce […] l’antecedente di quella che, con maggiori precisazioni sistematiche, Habermas avanzerà nel suo fortunato libro del 1968 su Conoscenza e interesse”13.

11 “Volendo infatti il dio che tutte le cose fossero buone, e nessuna, per quanto possibile, cattiva,

prendendo così quanto vi era di visibile e non stava in quiete, ma si muoveva sregolatamente e disordinatamente, dallo stato di disordine lo riportò all’ordine, avendo considerato che l’ordine fosse assolutamente migliore del disordine. Non era lecito e non è possibile all’essere ottimo fare altro se non ciò che è più bello: ragionando dunque trovò che dalle cose che sono naturalmente visibili non si sarebbe potuto trarre un tutto che non avesse intelligenza e che fosse più bello di un tutto provvisto di intelligenza, e che inoltre era impossibile che qualcosa avesse intelligenza ma fosse separato dall’anima. In virtù di questo ragionamento, ordinando insieme l’intelligenza nell’anima e l’anima nel corpo realizzò l’universo, in modo che l’opera da lui realizzata fosse la più bella e la migliore per natura. Così dunque, secondo un ragionamento verosimile dobbiamo dire che questo mondo è un essere vivente dotato di anima, di intelligenza e in verità generato grazie alla provvidenza del cielo”, PLATONE, Timeo, 30a.

12 Erkenntnis und Interesse, p. 147 (p. 4).

13 PETRUCCIANI, Max Horkheimer e l’idea di teoria critica, in M. HORKHEIMER, Filosofia e teoria

critica, tr. it. cit., p. XIV.

Cfr. anche M. Theunissen: “Den gegenwärtigen Stand der kritischen Gesellschaftstheorie zeigt die als „Prolegomenon“ zu einer solchen Theorie gedachte Untersuchung über „Erkenntnis und Interesse“ von Jürgen Habermas an. Die Untersuchung ist aus der Frankfurter Antrittsvorlesung ihres Verfassers hervorgegangen. Das erklärte Ziel dieser Vorlesung war es, an Max Horkheimers Aufsatz über „Traditionelle und kritische Theorie“ anzuknüpfen, der diese Theorie vor mehr als einem Menschenalter, im Jahre 1937, auf den Begriff gebracht hatte. Die folgende Reflexionen wollen die kritische Theorie der Gesellschaft im ganzen erfassen, indem sie sich im wesentlichen darauf beschränken, ihren relativen Anfang mit ihrem vorläufigen Ende zu verknüpfen, also die früher Essays Horkheimers mit den bislang vorliegenden Arbeiten von Habermas”, in M. THEUNISSEN, Kritische Theorie der Gesellschaft. Zwei Studien, Walter de Gruyter, Berlin – New York 1981, pp. 1-2.

Cfr. K. J. Huch: “Habermas’ Schriften sind für sie in besonderer Weise repräsentativ. Sie wissen sich einerseits in der Tradition der genuinen Kritischen Theorie Horkheimers (zu der dieser heute nur noch mit Vorbehalten steht), zum andern aber auch in der Tradition der antiken theoria, welche die Emanzipation des Individuums von Strebungen intendiert, die es noch ins dämonische Zeitalter verstricken. […] Die kritische Philosophie, die den ideologischen Charakter dieses Objektivismus durchschaut, macht, was die alte Metaphysik latent bestimmte, bewusst: den Zusammenhang von Erkenntnis und Interesse; sie ist,

L’obiettivo di Traditionelle und kritische Theorie è quello di definire lo statuto della teoria critica della società, a partire dalla situazione in cui versa il marxismo all’indomani della sconfitta del movimento operaio in Germania e dal celere e crescente consolidarsi del nazionalsocialismo. I temi che compaiono nel saggio, in particolare l’esplicitazione della rilevanza teoretica attribuita agli interessi conoscitivi posti alla base delle diverse forme di scienza, non sono del tutto nuovi nelle riflessioni del filosofo francofortese; essi erano già apparsi, sebbene in una forma embrionale e non ancora ben definita, in altri scritti sempre risalenti agli anni Trenta, in particolare in Materialismus und Moral14. Come ha rilevato Petrucciani, questa fase del pensiero di Horkheimer rientra ancora all’interno di quello che Habermas ha definito «materialismo interdisciplinare»15, e “il progetto horkheimeriano potrebbe essere caratterizzato come una sorta di trasformazione della filosofia in scienza sociale interdisciplinare che […] si avvale di contribuiti di sociologi, economisti, giuristi, psicologi, studiosi dell’arte e della cultura”16. È importante osservare come Horkheimer in questo saggio, da una prospettiva che precede quella della teoria critica – ma che in larga misura la anticipa solamente da un punto di vista teorico – sostenga che la scienza non può essere valutata come una sfera separata dalla vita sociale, come un settore, cioè, svincolato dagli interessi a questa connessi:

nel rispetto incondizionato della verità il materialismo vede una condizione necessaria, seppur non sufficiente, della scienza reale. Esso sa che gli interessi che hanno origine nella situazione sociale e personale, indipendentemente dal fatto che lo scienziato li conosca o meno, influiscono sulla ricerca. Non solo nella scelta degli oggetti, ma anche nella direzione dell’attenzione e dell’astrazione agiscono, in piccolo e in grande, dei fattori storici17.

indem sie ihr entsagt, der Tradition insofern treuer als die Neoontologie, welche sie ungebrochen fortzuführen meint”, in K. J. HUCH, Interesse an Emanzipation, in F. DALLMAYR (hrsg.), Materialen zu Habermas‘ Erkenntnis und Interesse, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1974, pp. 22-40.

14 HORKHEIMER, Materialismus und Moral, in Kritische Theorie, Fischer, Frankfurt a. M. 1968; (tr. it.

A. Schmidt, a cura di G. Backhaus, Materialismo e morale, in Teoria critica, vol. I, Einaudi, Torino 1974).

15 “Tuttavia, solo Horkheimer collega con questo materialismo interdisciplinare un’autocomprensione,

trasformata in senso altamente originale, della filosofia. Suo intento era continuare la filosofia con altri strumenti, vale a dire con gli strumenti delle scienze sociali”, in HABERMAS, Texte und Kontexte, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1991; (tr. it. di E. Rocca, Testi filosofici e contesti storici, Laterza, Roma-Bari 1993, p. 96).

16 PETRUCCIANI, Max Horkheimer e l’idea di teoria critica, cit., p. VIII. 17 HORKHEIMER, Materialismo e morale, tr. it. cit., pp. 107-108.

In opposizione a quanto sostenuto da Max Weber circa l’oggettività del sapere delle scienze sociali, Horkheimer afferma l’esistenza, lungo l’intero processo scientifico, di valori e interessi, che non possono essere separati tra loro; egli sostiene, inoltre, l’idea che tanto i valori quanto gli interessi non derivino solamente dalle scelte soggettive dei partecipanti al processo scientifico, bensì che si costituiscano “dai rapporti sociali «oggettivi» che su queste scelte influiscono”18. Per Weber, infatti, gli uomini sono “esseri civilizzati, provvisti della capacità e della volontà di prendere coscientemente posizione rispetto al mondo e di dargli un senso”, di modo che diventa un dato indiscutibile il fatto che “le idee di valore”, che si creano nel rapporto con la realtà, sono soggettive19. Horkheimer constata come le considerazioni weberiane siano diventate ormai un dato acquisito tanto in filosofia, quanto in quelle che egli definisce “scienze idealistiche”, per le quali

ogni giudizio di valore è quindi ritenuto illecito, e negli ultimi decenni alle scienze dello spirito e della cultura è richiesto sempre più di non recepire e sviluppare il materiale in connessione con grandi obiettivi sociali, ma, al contrario, di constatare e di classificare dati di fatto «teoricamente neutri»20.

L’esigenza della neutralità, così vigorosamente postulata dalla scienza moderna, è ciò che la teoria sociale, così com’è intesa da Horkheimer, deve rigettare. Una filosofia critica non può accettare come valido questo assunto di indifferenza e neutralità, poiché essa, al contrario, deve prendere parte attivamente nell’inevitabile contrasto che si crea tra interessi e valori; essa deve schierarsi nei conflitti che dividono la società. In tal modo, come osservato da Petrucciani, la teoria, cosciente del nesso che la lega agli interessi, si pone su un livello riflessivo superiore rispetto a quelle scienze che si illudono di poter omettere tale connessione. L’attribuire importanza alla teoria contro la mera catalogazione di fatti è ciò che contraddistingue, in modo significativo, il materialismo

18 PETRUCCIANI, Max Horkheimer e l’idea di teoria critica, cit., p. X.

19 M. WEBER, Die «Objektivität» sozialwissenschaftlicher und sozialpolitischer Erkenntnis, in

Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehre, Tübingen 1922, pp. 180 e 183; (tr. it, L’“oggettività“ conoscitiva della scienza sociale e della politica sociale, in Il metodo delle scienze storico-sociali, a cura di P. Rossi, Einaudi, Torino 1958).

dal positivismo contemporaneo, sebbene la diversità non si espliciti “nella ricerca concreta che spesso perviene ai medesimi risultati”21.

Per Horkheimer la teoria è una “concatenazione di conoscenze”, l’insieme, cioè, del sapere accumulato attraverso una prassi, mirante al raggiungimento di determinati obiettivi. Per il tramite della totalità – che come si è visto costituisce uno dei presupposti fondamentali della teoria critica – la realtà si rivela come un tutto unitario che si modifica secondo quell’andamento temporale al quale gli uomini, agenti e conoscenti, sono soggetti. La pretesa di avalutatività è quindi errata, dal momento che, secondo Horkheimer, nei dati oggettivi sono da sempre in atto momenti soggettivi. Riprendendo la centralità concettuale della totalità, il saggio horkheimeriano si conclude ponendo un’ulteriore questione circa la possibilità di definire quali siano “le aspirazioni più giuste o più vere”, ossia quelle effettivamente capaci di esprimere l’idea di universalità22. Come argomenta il francofortese, infatti,

[…] la descrizione deve essere veritiera. La struttura conoscitiva globale a partire dalla quale ogni descrizione assume il suo significato e alla quale essa deve a sua volta servire, la teoria, rientra anch’essa tra le aspirazioni degli uomini che la creano. Queste possono risultare da capricci privati, dagli interessi di potenze volte al passato oppure dai bisogni dell’umanità in divenire23.

L’interrogativo lasciato insoluto nel testo Materialismus und Moral è stato successivamente ripreso da Horkheimer, nel tentativo, talvolta assai complesso, di formulare una risposta adeguata e al contempo indicativa dello status della teoria critica. La formulazione più significativa della soluzione al problema della giustificazione razionale dei fini e valori appartenenti alla teoria critica è rinvenibile in Traditionelle und

kritische Theorie, dove è compiutamente esplicitato il tema degli interessi che guidano la

conoscenza.

Il saggio horkheimeriano del 1937 si apre con un’affermazione che rivela fin dal principio la grande forza critica che pervade il testo, poiché l’autore assume come punto

21Ivi, p. 98.

22 PETRUCCIANI, Max Horkheimer e l’idea di teoria critica, cit., p. X-XI. 23 HORKHEIMER, Materialismo e morale, tr. it. cit., p. 109.

di partenza per la sua analisi l’opinione corrente delle scienze circa l’essenza della teoria, muovendosi così proprio da una prospettiva interna alle scienze sperimentali stesse:

il problema di cos’è la teoria, all’attuale livello della scienza non sembra presentare grandi difficoltà. Nella ricerca corrente per teoria si intende un insieme di proposizioni relative a un ambito della realtà, collegate le une alle altre in modo tale che da alcune di esse si possono dedurre le rimanenti24.

Conseguentemente, osserva Horkheimer, la validità di una teoria così determinata si commisura al grado di accordo che si genera tra proposizioni derivate ed eventi effettivi; in mancanza di accordo si procede alla riformulazione di entrambe. Il fine precipuo di una teoria così definita consiste nel “sistema universale della scienza. Esso non si limita più a un ambito particolare, ma comprende invece tutti gli oggetti possibili”25. Si tratta, quindi, di una teoria onnicomprensiva, dal momento che elimina ogni precedente suddivisione tra le diverse scienze e applica lo stesso apparato di regole tanto alla sfera degli oggetti inanimati quanto a quella degli esseri viventi; essa articola gli apparati concettuali al fine di regolare i dati dell’esperienza e di operare produttivamente sui processi empirici. La teoria tradizionale è, pertanto, una “costruzione conoscitiva” che deve soddisfare un interesse “condiviso da tutti gli uomini, quello di controllare e dominare i processi naturali in vista di uno scopo”26.