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Michel Foucault e il neoliberalismo americano

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

 

Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere Corso di laurea in Filosofia e Forme del Sapere

MICHEL FOUCAULT E IL NEOLIBERALISMO AMERICANO

Candidata: Relatore:

Alice Mazzali Dott. Antonio Masala

Correlatore:

Prof. Raimondo Cubeddu

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Indice

Introduzione____________________________________________3

1 Michel Foucault e il neoliberalismo

1.1 - Nascita della biopolitica________________________________7 1.2 - L’ordoliberalismo____________________________________17 1.2 - Il neoliberalismo americano e Gary Becker________________27

2 Il neoliberalismo di Gary Becker

2.1 - Il pensiero___________________________________________41 2.2 - Il capitale umano _____________________________________45 2.3 - La famiglia__________________________________________52 2.4 - La criminalità________________________________________59

3 Foucault e Becker

3.1 - Foucault e il rapporto con il neoliberalismo: il contesto e le

interpretazioni critiche_____________________________________72 3.2 - La biopolitica, il potere, la libertà ________________________87 3.3 - Michel Foucault su Gary Becker e Gary Becker su

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Michel Foucault__________________________________________92 3.4 - Le idee di Foucault e il dibattito economico: un’occasione

mancata_________________________________________________101

Conclusione_____________________________________________107

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Introduzione

Questo lavoro ha come primo obiettivo quello di analizzare il ciclo di lezioni sulla biopolitica tenute da Michel Foucault al Collège de France, nell’anno accademico 1978/1979. Il corso di Foucault è in realtà integralmente dedicato al liberalismo e al neoliberalismo, ed è soprattutto a quest’ultimo che dedicheremo la nostra attenzione. Dopo aver ricostruito alcuni dei passaggi più rilevanti del pensiero di Foucault, cercheremo di capire quanto la sua interpretazione del neoliberalismo americano, e in particolare della figura di Gary Becker, sia corretta e renda conto delle reali intenzioni dell’economista americano. Per farlo viene prima proposta una ricostruzione delle tesi di Becker nei libri presumibilmente letti da Foucault, e poi vengono confrontate le tesi dei due autori, tenendo presente la letteratura più recente sull’argomento e alcune considerazioni fatte da Becker sulle lezioni del filosofo francese.

Foucault, prima della pubblicazione di tali lezioni, viene ricordato soprattutto per i suoi lavori sulla follia, la sessualità, la criminalità, oltre che per la teoria del potere come insieme di rapporti di forza. Egli era un autore, già allora, certamente complesso e non sempre politicamente identificabile, per quanto nota e palese la sua vicinanza alla sinistra francese. Nelle lezioni del ’79 egli espone però delle tesi che sembrano fortemente innovare il suo percorso di ricerca, occupandosi in maniera differente di questioni come la sicurezza e la governamentalità. Queste sue riflessioni hanno generato, dopo la loro pubblicazione avvenuta nel 2004,

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accese discussioni e interpretazioni critiche discordanti riguardo la natura del suo interesse per tali temi e la sua visione sulle questioni politiche ed economiche, tanto che una parte della letteratura ha addirittura ipotizzato un avvicinamento di Foucault alle posizioni del neoliberalismo. A tal proposito, all’interno della vastissima letteratura sulla biopolitica, si è scelto di analizzare le elaborazioni di quegli autori che maggiormente argomentano la tesi che questo avvicinamento ci sia effettivamente stato, cercando però anche di collocare le riflessioni di Foucault nel particolare momento storico nel quale vengono sviluppate.

Il percorso qui brevemente delineato verrà sviluppato nell’arco di tre capitoli. Nel primo capitolo si ripercorrerà, dunque, il contenuto delle lezioni di Michel Foucault sulla biopolitica, con un’analisi del tentativo di Foucault di ricostruire la storia della governamentalità liberale e l’interpretazione delle teorie proprie dell’ordoliberalismo tedesco e del neoliberalismo americano. Foucault apre il corso di quell’anno affermando di voler parlare della biopolitica, ma di poterlo fare solo riflettendo prima sul liberalismo, che per lui è un presupposto logico necessario alla comprensione del concetto di biopolitica. Nel corso delle lezioni poi, non abbandona mai l’analisi del liberalismo, soffermandosi in modo particolare sulla sua trasformazione con i modelli americano e tedesco del dopoguerra, che vengono ampiamente analizzati. Parlando del neoliberalismo americano, che a parere di Foucault è per gli americani prima di tutto “una vera e propria maniera di essere e di pensare” si sofferma su Becker, considerato da lui il

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più radicale dei neoliberali americani. Si analizzeranno, dunque, le riflessioni di Foucault sul neoliberalismo e sulle principali teorie di Becker.

Nel secondo capitolo, verranno prese in esame le tesi dello stesso Gary Becker, con particolare attenzione ai lavori che Foucault aveva effettivamente avuto la possibilità di leggere. Becker, economista e studioso di scienze sociali, vincitore del premio Nobel per l’economia nel 1992, ha costruito una teoria economica fondata sulla convinzione che ogni comportamento umano può essere inteso come insieme di scelte economiche. Ogni azione umana, perciò, è in questo senso intrinsecamente razionale e finalizzata a ricavare una certa utilità dalle più svariate situazioni. Tale approccio, definito “approccio economico al comportamento umano”1 può essere dunque applicato ad ogni ambito umano, anche a quelli che

erano sempre stati riconosciuti come estranei alla logica economica, ad esempio la famiglia, l’istruzione, la criminalità e le tossicodipendenze. Nello specifico verranno studiate le tesi di Becker alle quali Foucault si è interessato, che sono, tra l’altro, le più rappresentative dell’economista, ovvero la questione del capitale umano, della famiglia come impresa e della criminalità.

Nel terzo capitolo, infine, si cercherà di esaminare il dibattito successivo alla pubblicazione delle lezioni, con l’obiettivo innanzitutto di indagare quale fosse la natura dell’interesse di Foucault per il neoliberalismo. Si affronterà dunque la delicata questione di quella che è stata definita la “fascinazione” che Foucault, filosofo dal noto passato politico vicino alla sinistra francese, sembra provare per

     

1Gary Becker, The economic approach to human behavior, University of Chicago Press, Chicago,

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alcune delle tesi neoliberali che espone al Collège de France. Per comprendere la posizione di Foucault si tenterà di definire anche ciò che egli davvero intende quando usa alcuni concetti chiave quali biopolitica, libertà, potere. Oltre a questo, si cercherà di capire se e quanto sia corretta l’interpretazione che Foucault dà di Becker, e lo si farà analizzando alcune delle dichiarazioni dello stesso Becker riguardo ciò che Foucault aveva detto su di lui e sulle sue idee, ma anche guardando a una parte del corposo dibattito scientifico sviluppatosi a seguito della pubblicazione delle lezioni di Foucault. Quelle lezioni, infatti, hanno avuto molta risonanza tra gli studiosi di filosofia e teoria politica, che ne hanno dato interpretazioni critiche spesso discordanti. Il capitolo si concluderà cercando di rispondere ad una ulteriore domanda. Le riflessioni di Foucault trattano temi quali la natura e la funzione dello stato, il suo rapporto con l’economia, il ruolo della società civile, il capitale umano e altro ancora, tutti argomenti di grande attualità nel dibattito economico (oltre che in quello filosofico e politico). La domanda a cui si cercherà di rispondere è se e quanto le riflessioni su Foucault abbiano generato interesse anche tra gli economisti che si sono confrontati con le idee di Becker, e lo si farà cercando riferimenti a Foucault in alcune delle principali riviste di studi economici pubblicate negli Stati Uniti.

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Capitolo 1

Michel Foucault e il Neoliberalismo

1.1  Nascita della biopolitica

Michel Foucault nasce nel 1926 a Poitiers. Studia filosofia presso la École Normale Supérieure, dove segue i corsi, tra gli altri, di Maurice Merleau-Ponty e Louis Althusser. Dopo il dottorato concluso del 1961 con una tesi su l’antropologia pragmatica di Kant, dal 1963 è titolare di una cattedra di psicologia presso la facoltà di scienze umane di Clermon-Ferrand. Nell’ottobre del 1966 ottiene la sua prima cattedra di Filosofia presso l’Università di Tunisi, dove insegna fino all’autunno del 1968. A causa del suo soggiorno a Tunisi, non vive direttamente i movimenti studenteschi del 1968, ma li segue da lontano. Proprio a seguito di quei movimenti, comunque, viene creato nel 1968 un centro di studi sperimentale a Vincennes, alla cui fondazione contribuisce anche Foucault, schierandosi al fianco degli studenti. Nel 1970 viene chiamato a sostituire Jean Hyppolite al Collège de France e in questo modo diventa titolare della cattedra di “Storia dei sistemi di pensiero”. Gli anni dei primi corsi al Collège de France sono anche quelli dell’intensificazione dell’impegno militante, che per Foucault si traduce nella fondazione del G.I.P. (Groupe d’information sur les Prisons), a casa sua. Le attività del G.I.P. lo mettono in contatto, tra gli altri, con Jean-Paul Sartre, con il quale

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Foucault collabora durante un’iniziativa a sostegno degli immigrati arabi nel 1972. Foucault dedica gli ultimi anni della sua vita soprattutto alla ricerca e si fa notare per il suo “silenzio politico”, nella convinzione che l’intellettuale non possa ergersi a “direttore di coscienza” elettorale.2

Tra i suoi testi più importanti di quegli anni, che gli danno subito una notevole notorietà, si possono ricordare Nascita della clinica, del 1963, saggio in cui traccia l’evoluzione della medicina nel corso dei secoli, Le parole e le cose, del 1966, nel quale riformula il concetto di episteme; L’archeologia del sapere, del 1969, testo di epistemologia in cui tenta di chiarire alcuni aspetti del suo metodo.

Dal 1970, quando diventa titolare della cattedra di “Storia dei sistemi di pensiero” al prestigioso Collège de France, fino alla morte, nel 1984, terrà il suo corso, sempre affollatissimo. Foucault infatti in quegli anni è già molto rinomato e apprezzato, oltretutto l’insegnamento al Collège de France obbedisce a particolari regole: i professori, infatti, possono impartire un solo insegnamento da ventisei ore all’anno, e ogni anno devono presentare una ricerca originale. I corsi, poi, non sono rivolti esclusivamente a studenti o ricercatori, ma sono aperti a tutti gli interessati. Tutti questi motivi concorrono, probabilmente, a determinare la grande affluenza registrata durante i suoi seminari.3 Nei suoi corsi, come in tutte

le sue ricerche scientifiche, Foucault si confronta costantemente con temi di

     

2S. Catucci, Introduzione a Foucault, Laterza & Figli, Bari, 2019.

3 M. Foucault, Naissance de la biopolitique. Cours au Collège de France 1978/1979, Seuil /

Gallimard, 2004, trad. it. Nascita della Biopolitica. Corso al Collège de France (1978/1979), Feltrinelli, Milano, 2017, p. 5.

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attualità politica e sociale, e forse anche per questo motivo le sue lezioni sono molto seguite. Di questo, peraltro, sembra Foucault si rammarichi spesso, poiché le classi sovraffollate creano una distanza tra lui e chi ascolta4.

Nel corso del 1978-19795, Foucault decide di affrontare un tema complesso e,

ancor più che nei corsi precedenti, di stretta attualità politica. Il neoliberalismo è, infatti, in quel periodo, un tema molto dibattuto e di importanza sia scientifica che politica. I neoliberali, infatti, negli anni ’70 avevano ottenuto un sempre maggiore riscontro, fino al conferimento dei premi Nobel per l’economia a Friedrich von Hayek nel 1974 e a Milton Friedman nel 1976. Negli stessi anni, tra l’altro, si affermano le proposte politiche di Margaret Thatcher, la quale diventa primo ministro del Regno Unito nel 1979, e di Ronald Reagan, presidente degli Stati Uniti d’America dal 1981. Nonostante sia evidente l’attualità politica delle considerazioni di Foucault, è comunque difficile, come notato da Wendy Brown, riscontrare una corrispondenza e un’associazione teorica tra le letture del ’79 e le precedenti riflessioni politiche e filosofiche di Foucault:

The 1978–79 Collège de France lectures are notoriously difficult to place in Foucault’s thought. Testimony to his admirable willingness to go where his reading and thinking led him, rather than follow rigid research plans and hypotheses, they nonetheless stand out in several respects for their divergence from the rest of his work and its trajectory.6

     

4«19.45: Foucault si ferma: Gli studenti si precipitano verso la sua cattedra. Ma non per parlargli,

bensì per spegnere i loro registratori. Nessuna domanda. Nella calca, Foucault è solo». G. Petitjean, “Les Grands prêtres de l’Université française”, in Le Nouvel Observateur, 7 aprile 1975.

5M. Foucault, Nascita della Biopolitica, cit. p. 6-7.

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Foucault, nel corso delle lezioni, non spiega il suo avvicinamento a tale argomento, né l’interesse per la storia politica moderna. L’argomento che dichiara di voler sviluppare è quello della biopolitica, della quale però egli raramente parla, poiché il vero protagonista delle sue analisi è il liberalismo, del quale dà una originale interpretazione. La sua tesi è infatti che è necessario partire dal liberalismo per chiarire cosa sia la biopolitica. Con il termine biopolitica, comunque, Foucault si riferisce al «modo in cui si è tentato, a partire dal XVIII secolo, di razionalizzare i problemi posti dalla popolazione alla pratica governamentale.»7 Per biopolitica, perciò, si intende una forma di controllo della

popolazione totalizzante, perché fa da supporto ai processi biologici come la nascita, la mortalità, la salute; e allo stesso tempo individualizzante, perché comprende la disciplina dei singoli corpi, ovvero ciò che ogni individuo può e non può fare. Nel caso della biopolitica della popolazione ciò che si cerca di regolare sono i fenomeni collettivi, in modo particolare si cerca di rendere prevedibile e dominabile ciò che per costituzione non lo è. La biopolitica, comunque, non presuppone particolari forme di repressione, ma agisce semplicemente sulla riorganizzazione dello spazio entro cui la popolazione si muove e del tempo che scandisce le attività, al fine di avere sotto controllo tutti gli aspetti della società. Tale riorganizzazione, ad opera dello stato, costituisce una forma di potere volta a “normalizzare” i comportamenti consoni e ad omologare le caratteristiche degli individui, così da eliminare più facilmente eventuali resistenze. Foucault ritiene

     

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che tale forma di potere si è sviluppata a partire dalla governamentalità pastorale di stampo cristiano, propria dell’età medievale, fino a raggiungere la sua massima espressione e intensità nel XX secolo, con una crescita progressiva nel corso dei secoli.

Roberto Nigro, nel suo saggio From reason of state to Liberalism: the coup

d’etat as form of government8, assume che secondo Foucault il liberalismo è il

contesto entro cui si sviluppa la biopolitica e vede un collegamento tra il suo corso e quello dell’anno precedente, Sicurezza, territorio e popolazione. In effetti, è proprio in quel caso che Foucault collega la biopolitica al liberalismo e, soprattutto, descrive quest’ultimo come arte di governare e non come ideologia. Il liberalismo inteso come arte di governare, infatti, è il sistema che maggiormente e nel modo migliore permette alla biopolitica di attecchire sulla società, in quanto, dal momento che la libertà individuale e l’autolimitazione della pratica governamentale sono i suoi principali obiettivi, proprio un controllo della libertà stessa (controllo che la biopolitica favorisce) è, paradossalmente, necessario.

Va tenuto presente, comunque, che nel corso delle sue lezioni Foucault, pur essendo ben informato riguardo le teorie e gli autori di cui parla, commette alcuni errori filologici. Non per questo, però, la sua trattazione e le sue intuizioni sono meno interessanti.

     

8 R.Nigro, “From reason of state to Liberalism: the coup d’etat as form of government”, in The

Government of life, Foucault, Bioipolitics and Neoliberalism, a cura di Vanessa Lemm e Miguel

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Per Foucault, comunque, il liberalismo è un concetto chiave, essenziale per comprendere la biopolitica, originario tema del suo corso. Afferma, infatti, che:

mi sembra che l’analisi della biopolitica si possa fare solo dopo aver compreso il regime generale di questa ragione di governo di cui vi sto parlando, quel regime generale che possiamo chiamare la questione di verità e, in primo luogo, della verità economica all’interno della ragione di governo. Di conseguenza, solo se si comprende che cos’è in gioco all’interno di quel regime che è il liberalismo e che si contrappone alla ragion di stato – o piuttosto [la] modifica fondamentalmente, ma forse senza rimetterne in questione i fondamenti -, solo dopo che avremo saputo in cosa consiste propriamente il regime di governo chiamato liberalismo, potremo allora comprendere cos’è la biopolitica.9

Liberalismo, in questo caso, come presupposto logico necessario alla comprensione del concetto di biopolitica, poiché è il quadro generale entro cui questa deve essere letta. Il liberalismo è quindi la condizione di intellegibilità della biopolitica.10

Il problema della biopolitica, quindi della “politica della vita”, nasce con il liberalismo che, perciò, per Foucault va necessariamente studiato, sia nella sua formulazione originaria che nei modelli contemporanei, vale a dire quelli tedesco e americano. Il liberalismo tedesco del dopoguerra lo appassiona particolarmente: è ad esso e soprattutto al concetto di “economia sociale di mercato” che dedica

     

9 M. Foucault, Nascita della Biopolitica, cit. p. 33.

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molte delle sue lezioni. Lo fa, però, solo dopo aver fissato delle regole metodologiche che chiariscono ancora meglio i suoi intenti.

Durante la prima lezione, infatti, Foucault palesa la sua posizione anti-storicistica, marcando la distanza dalle tesi secondo le quali gli universali, ovvero concetti quali “sovranità”, “stato”, “società civile”, “popolo” sono il punto di partenza di ogni riflessione storica. Questi concetti sono generalmente considerati, nel corso delle indagini storicistiche, come già dati e da essi prende le mosse ogni sorta di riflessione storico-politica. Foucault, al contrario, dichiara subito di voler partire dalle pratiche concrete. Vuole, quindi, “far passare gli universali attraverso la griglia di queste pratiche”11. Arriva ad ammettere come punto di partenza

l’inesistenza degli universali, per poi analizzare i singoli fatti e capire se la storia ci rimanda, induttivamente, a qualcosa come i macro-concetti di cui prima. La domanda di Foucault è dunque: quale storia è possibile? Il suo sforzo è teso ad individuare una nuova interpretazione della storia, ribaltando lo schema metodologico classico che prende le mosse dall’inesistenza di macro-concetti universali, e ripartendo dall’analisi dei singoli fatti storici, scevri da ogni condizionamento speculativo.

Data tale base metodologica, che ci dà già un indizio di quale sarà l’impianto critico della trattazione, Foucault passa ad illustrare i temi che desidera approfondire. Illustra manifestamente, perciò, gli sviluppi della storia dell’arte di

     

11 M. Foucault, Nascita della Biopolitica,.cit p. 16.

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governare e in particolare la storia della ragion di stato, prendendo le mosse dai temi del corso dell’anno precedente.

Lo stato […] non è un mostro freddo, ma è il correlato di un certo modo di governare. Il problema diventa allora sapere in che modo si sviluppa questo modo di governare, qual è la sua storia, come si espande e si restringe, come si estende a un determinato ambito, in che modo inventa nuove pratiche, come le forma e le sviluppa. È questo il problema da affrontare, anziché fare [dello stato], come in una scena del teatro dei burattini, una specie di gendarme che neutralizza e mette fuori gioco i vari personaggi della storia12.

L’obiettivo primario consiste nel comprendere in che modo si sviluppa storicamente la governamentalità, così da avere una solida base di partenza, indispensabile per ogni successiva speculazione. Per comprendere la governamentalità, dunque, è necessario partire dallo studio dei singoli eventi che l’hanno caratterizzata. Foucault lo fa con un excursus storico nel quale prova a disegnare la trama della ragion di stato. Con il concetto di ragion di stato egli intende definire la razionalità intrinseca allo stato stesso, che chiarisce i rapporti di potere e ciò che è possibile conoscere.

Per comprendere l’evoluzione dell’arte di governare, bisogna avviare un’indagine proprio sulla ragion di stato, su come essa è cambiata nei secoli. Foucault dà inizio alla sua trattazione partendo dall’analisi degli eventi del XVI secolo, vale a dire dal periodo della formazione dello stato come realtà specifica e autonoma. È nell’arco di quel secolo che vengono meno i due grandi poteri

     

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universali, la chiesa e l’impero, e di conseguenza la ragion di stato si caratterizza come riguardante prima di tutto il problema della popolazione e dell’intervento su di essa. Partendo da questi presupposti, l’autore continua definendo i processi che hanno caratterizzato i governi durante i secoli, soffermandosi particolarmente sull’avvento dell’economia politica, che descrive come dispositivo che è interno alla ragion di stato, ma allo stesso tempo capace di limitarla. L’economia politica, inoltre, ha avuto il merito di far emergere meccanismi intellegibili e regolarità finalmente comprensibili. Ripercorrendo la storia dei dispositivi dell’arte di governare tracciata da Foucault, si può facilmente notare come la loro natura venga caratterizzata in modo sempre più netto e preciso, nei secoli, fino all’emergere dell’idea di “politica della vita”, tesa al controllo degli individui.

Il liberalismo, come si è detto, è una particolare arte di governare che ha come scopo garantire il più alto grado di libertà alla popolazione.

La libertà è al centro di questa pratica, che non si limita a rispettare alcune libertà date, ma più profondamente “consuma libertà”, dal momento che ha bisogno, per funzionare, che vi siano delle libertà: di mercato, di acquisto e vendita, di discussione e espressione, dell’esercizio del diritto di proprietà. In quanto consumatore di libertà, il liberalismo deve produrla e, allo stesso tempo, gestirla attraverso misure di controllo: esso oscilla continuamente tra la produzione, la limitazione e la distruzione della libertà.13

Il controllo è, nel caso del liberalismo, la condizione della libertà, ed è per questo motivo che Foucault lo lega strettamente alla biopolitica nel corso delle sue

     

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lezioni del 1979. «Liberalism is this new type of rationality in the art of government consisting in “the self-limitation of governmental reason”. Liberalism is both the radical critique of the excess of government and what allows politics to take charge of life»14.

Giandomenica Becchio e Giovanni Leghissa, nel loro recente libro15 sul

neoliberalismo, sostengono che lo scopo di Foucault è quello di contestare l’idea secondo cui lo stato è una struttura di potere rigida e compatta che interviene sull’esistenza dei cittadini secondo specifiche misure di controllo. Ciò a cui si oppone è dunque l’immagine di uno stato che agisce esercitando i suoi poteri dall’alto verso il basso, sulla struttura sociale nella sua interezza. Non è possibile, infatti, nel caso di uno stato moderno, delimitare esattamente la sfera pubblica e quella privata. Secondo i due autori Foucault sembra suggerire che lo stato, a partire dall’età moderna, deve essere visto come una rete che comprende svariati organismi finalizzati al controllo della vita degli individui; la moderna struttura politica è quindi peculiare per la modalità con cui impone la propria autorità e per il modo in cui indirizza i bisogni individuali. Il potere dello stato, dunque, consiste in una catena di poteri locali interconnessi, capaci di gestire e supervisionare ogni aspetto della vita dei cittadini. Lo stesso termine governamentalità rimanda ad un modo di governare più flessibile, destrutturato.

     

14 R.Nigro, “From reason of state to Liberalism: the coup d’etat as form of government”, in The

Government of life, Foucault, Bioipolitics and Neoliberalism, a cura di Vanessa Lemm e Miguel

Vatter, Fordham University Press, New York, 2014, pag. 131.

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I due approfondimenti principali di Foucault a questo riguardo sono: il neoliberalismo tedesco (ed egli dedica attenzione sia alle vicende storico-politiche degli anni 1948-1962, sia alla teoria di quello che viene comunemente chiamato ordoliberalismo) e il neoliberalismo americano della scuola di Chicago.

1.2 L’ordoliberalismo

Foucault, in modo significativo, dà inizio al seminario riguardante l’ordoliberalismo con una discussione sull’idea di “fobia dello stato”, poiché, a suo parere tale “sentimento” rappresenta un importante segno della crisi della governamentalità. La critica al dispotismo del XVIII secolo è stata, a suo dire, rimpiazzata dalla fobia dello stato. Tale paura, per Foucault, è strettamente legata al processo di statalizzazione che ha visto protagoniste molte delle pratiche riguardanti gli individui, si guardino nello specifico i casi di totalitarismi novecenteschi o, secondo il filosofo, i tentativi dei governi, anche democratici, di pianificazione dell’economia. Da ciò consegue quasi naturalmente, da parte dell’individuo, l’esigenza di liberarsi da tale controllo.

Nella sua analisi Foucault dichiara di voler fare a meno di una teoria dello stato, il che vuol dire non cancellare gli effetti della presenza dello stato sulla società, ma al contrario metterli in luce. Vuol dire, dunque, analizzare la teoria dello stato in modo non deduttivo, ovvero evitando di prendere le mosse dalla sua natura, la struttura e i meccanismi che formalmente lo regolano. L’intento è, piuttosto, analizzare gli effetti che lo stato ha sulla società e vuol dire iniziare, induttivamente, a studiare la governamentalità cercando prima di capire in che modo essa si manifesta e come agisce sugli individui. L’angoscia di stato, in

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quanto caratteristica del ‘900, è utile a capire quali siano i meccanismi che regolano la sua epoca. Per questo Foucault decide di partire proprio da lì per analizzare lo stato, ovvero ragionando sulle pratiche della governamentalità16.

È proprio da questa analisi, quindi, che il filosofo prende le mosse:

Adesso, continuando l’analisi della governamentalità liberale, vorrei cercare di vedere, in questa prospettiva, come essa si presenta, come riflette su di sé, come si come si mette in atto e al contempo analizza se stessa; in breve, vorrei vedere in che modo, oggi, programma se stessa17.

Foucault, perciò, intende indagare come si articola e struttura la governamentalità liberale.

L’ordoliberalismo, che, come il filosofo ricorda, elabora le sue basi teoriche durante gli anni nei quali trionfava la politica keynesiana18, viene considerato un

buon modello perché è in grado di raggiungere due obiettivi fondamentali: da un lato la liberalizzazione dell’economia, che genera la stabilizzazione dei prezzi (un tema di grande importanza per la storia economica tedesca) e la crescita economica; dall’altro la stabilità politica, e quindi la legittimazione dello stato grazie ai successi economici.

Nella Germania del dopoguerra, stremata dai costi politici, civili ed economici del conflitto, regna una profonda sfiducia nell’apparato statale. È in questo

     

16 M. Foucault, Nascita della Biopolitica, cit. p. 75 17 Ivi, p. 76.

18 John Maynard Keynes (1883-1946), economista inglese, autore di The general theory of

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contesto che il governo tedesco, allora sotto la tutela delle forze alleate che avevano vinto la guerra, inizia nel 1948, attraverso Ludwig Erhard, responsabile del consiglio scientifico del settore anglo-americano, ad affermare la necessità della liberalizzazione dei prezzi con un parallelo allentamento del controllo statale. Allo stesso tempo riesce a farsi avanti l’idea che solo uno stato che rispetta la libertà - anche economica - dei cittadini può rappresentarli e parlare a nome di essi. Uno stato che non lo fa, che non dà loro voce e non onora i diritti degli individui, non può avere legittimità. Tra l’altro lo stato tedesco del 1948, oltre a non essere stato eletto, era sotto il pieno controllo degli Alleati e da essi era stato costituito, anche se stava già iniziando la sua ripresa e la conseguente legittimazione. Lo stato tedesco, perciò, aveva pochi poteri di fatto, soprattutto perché sotto il controllo alleato. Cominciava, comunque, a conquistare la sua legittimità attraverso riforme che, a poco a poco, stavano portando ad una crescita economica.

È a questo punto che avviene qualcosa che Foucault giudica estremamente interessante: l’economia diventa creatrice di diritto pubblico. Dice infatti:

L’idea di una fondazione destinata a legittimare lo stato sulla base dell’esercizio garantito di una libertà economica è, a mio avviso, qualcosa di molto importante. Bisogna riconsiderare questa idea e la sua formulazione nel contesto in cui la vediamo apparire, per riconoscere subito un’astuzia tattica e strategica. Si trattava, infatti, di trovare un palliativo giuridico per richiedere a un regime economico ciò che non poteva essere richiesto direttamente né al diritto costituzionale, né al diritto internazionale e nemmeno ai partner politici. […] si rassicurava l’Europa, garantendo che l’embrione istituzionale che si stava formando non presentava in alcun modo gli stessi rischi di stato forte o di

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stato totalitario conosciuti negli anni precedenti19.

Quello tedesco è uno “stato economico”, poiché trova nella crescita economica anche la sua fondazione giuridica e la sua legittimazione politica; sostanziale è dunque il consenso popolare e istituzionale che tale processo economico genera. Conferendo stabilità ad un assetto precedentemente vacillante, viene a crearsi un circolo virtuoso nel quale l’economia cresce anche grazie al rinnovato equilibrio politico e lo stato è stabile proprio grazie al fiorire dei mercati e alla riconquistata libertà economica degli individui.

Paul Patton nel suo articolo Foucault and Rawls: government and public reason afferma che il principio generale della politica sociale degli ordoliberali è quello di evitare, dove possibile, la socializzazione dei beni di consumo e i trasferimenti diretti di reddito. Il governo, invece, dovrebbe garantire che i singoli abbiano risorse sufficienti per assicurarsi contro i rischi. L’ordoliberalismo, per Foucault, è il mezzo che permette di superare non solo la crisi del capitalismo, ma anche i vincoli storici e istituzionali del capitalismo stesso.20

Ciò che caratterizza il pensiero ordoliberale, oltre alla sua rilevanza per le vicende storico politiche, è il passo avanti – teorico - rispetto alle teorie liberali classiche. Tutto ciò avviene tramite i suoi esponenti, i principali sono Wilhelm

     

19 M. Foucault, Nascita della Biopolitica, cit. p. 81

20 P. Patton, “Foucault and Rawls: government and public reason”, in V. Lemm, M. Vatter, The

Government of life, Foucault, Bioipolitics and Neoliberalism, Fordham University Press, New York,

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Röpke, Alexander Rüstow, Walter Eucken, Franz Böhm – ma è riscontrabile anche una influenza dell’austriaco Hayek, che pur non appartenendo all’ordoliberalismo (per quanto Foucault sembri talvolta, erroneamente, collocarlo all’interno di quella tradizione) ebbe stretti contatti con i suoi esponenti.

Se per i liberali classici la libertà del mercato si realizza solo con il non interventismo statale, il neoliberalismo tedesco ribalta questa prospettiva. Secondo Foucault infatti il problema del neoliberalismo tedesco diventa «sapere se effettivamente un’economia di mercato possa servire da principio, da forma e da modello per uno stato che, a causa delle sue inadeguatezze, oggi lascia tutti diffidenti, per una ragione o per l’altra, a destra come a sinistra21».

Gli ordoliberali non vogliono tornare alle antiche forme di governamentalità liberale, proprie del XIX secolo. Essi, consapevoli della necessità del libero mercato, considerano comunque la liberalizzazione dell’economia una questione che può essere messa in discussione e la cui correttezza deve essere indagata.

L’indagine degli ordoliberali sul libero mercato, dunque, cambia. Se per i liberali classici ciò che definiva il libero mercato era lo scambio, per i neoliberali tedeschi ciò che deve essere investigato è invece il processo di concorrenza. Affermano, quindi, che: “l’essenziale del mercato è costituito dalla concorrenza, dunque non dall’equivalenza, ma al contrario dall’ineguaglianza22”. La concorrenza, messa sotto esame, perde il suo carattere naturale, primitivo, innato

     

21M. Foucault, Nascita della Biopolitica, cit. p.. 109 22 Ivi, p. 110.

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e non regolabile. Non è sufficiente, perciò, prendere atto della sua esistenza e agire di conseguenza, per ottenere un certo equilibrio economico.

I neoliberali, quindi, hanno il merito di aver capito che la concorrenza è ciò che determina la regolazione economica attraverso il meccanismo dei prezzi e che, soprattutto, è una proprietà formale che può essere controllata, studiata e gestita.

La concorrenza è una struttura dotata di proprietà formali, e sono queste proprietà formali della struttura della concorrenza ad assicurare, e a poter assicurare, la regolazione economica attraverso il meccanismo dei prezzi. Di conseguenza, se la concorrenza è questa struttura formale, al contempo rigorosa nel suo sistema interno, ma fragile nella sua esistenza storica e reale, il problema della politica liberale è proprio quello di regolare, di fatto, lo spazio concreto e reale in cui può entrare in funzione la struttura formale della concorrenza. Si avrà così un’economia di mercato senza laissez-faire, vale a dire una politica attiva senza dirigismo23.

Non si cercherà più, a questo punto, un’economia di mercato senza l’intervento dello stato. Si percepisce l’esigenza di vigilanza, controllo, sorveglianza dei processi economici; ciò non vuol dire, però, che un massiccio intervento statale è permesso. Quello che si propone è invece l’introduzione di un governo vigile, che interviene poco, ma in maniera importante, creando il quadro di norme che consentono al mercato competitivo di funzionare. A interessare Foucault è dunque soprattutto il fatto che per gli ordoliberali il governo deve avere un ruolo attivo: esso è infatti indispensabile non solo per preservare il corretto funzionamento degli

      23 Ivi, p. 115.

(24)

ingranaggi del mercato, ma per garantire le condizioni stesse di esistenza del mercato.

Bisogna, inoltre, intervenire sul quadro: con questo termine gli ordoliberali definiscono non solo le norme giuridiche necessarie al funzionamento del mercato, ma tutti quegli aspetti della società che, pur non riguardando direttamente i meccanismi del mercato, rappresentano i presupposti del buon funzionamento. Bisogna intervenire, allora, non direttamente sui prezzi, ma sulla popolazione, agendo sulla giurisdizione, l’educazione, l’urbanistica, il clima, la cultura, ovvero tutto ciò che può avere ripercussioni sul mercato.24

Non si deve dunque intervenire direttamente sui meccanismi del mercato, soprattutto non si deve intervenire sulla libera formazione dei prezzi. L’intervento del governo deve invece essere indirizzato alla società, per far sì che possa rispondere positivamente ai meccanismi concorrenziali cui verrà sottoposta. Questo tipo di intervento da Foucault viene chiamato “politica della società”, vale a dire una politica di intervento sulla società, finalizzato a renderla adatta al libero mercato. L’obiettivo è di lasciare sufficiente spazio economico ad ogni individuo, per dargli la possibilità di essere “imprenditore di se stesso” e di assicurarsi allo stesso tempo dai rischi esterni. La “politica della società” quindi non deve contrastare i processi spontanei del mercato. “Semmai è la crescita economica che, di per sé, dovrebbe consentire a tutti gli individui di raggiungere un livello di reddito che permetta loro le assicurazioni individuali, l’accesso alla proprietà

      24 Ivi, p. 122.

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privata, la capitalizzazione individuale o famigliare, grazie a cui assorbire i rischi”25.

Foucault coglie bene come per gli Ordoliberali l’unica vera politica sociale efficiente sia la crescita economica. Solo grazie ad essa, infatti, l’intera popolazione potrà beneficiare di condizioni di vita favorevoli, raggiungendo buoni livelli di reddito. «È questo ciò che Müller-Armack, il consigliere del cancelliere Erhard, ha chiamato, intorno al 1952-1953, “l’economia sociale di mercato”, che è anche il nome sotto cui si è posta la politica sociale tedesca»26. E subito Foucault

aggiunge che è proprio a partire dalla critica alla politica sociale che si è sviluppato l’anarco-capitalismo americano e in generale i governi. È necessario chiarire, comunque, che l’anarco-capitalismo è una corrente di pensiero specifica, riconducibile a Murray Rothbard, che non ha nulla a che fare con il liberalismo storico e della quale, probabilmente, Foucault non ha conoscenze approfondite.

L’idea di politica degli ordoliberali, comunque, non è mai solo quella che ha come unico obiettivo la crescita economica, la quale è in realtà solo un mezzo. Il vero obiettivo – e il motivo per cui la società può essere trasformata dai governi – è quello di realizzare quella che Röpke chiamava la Civitas Humana27, un modello di società non proletarizzata o massificata, costituita da piccoli produttori e caratterizzata dalla proprietà privata diffusa tra tutti i cittadini. Lo scopo non è allora modificare la società per renderla conforme al mercato, ma creare le basi per

      25Ivi, p. 127.

26 Ibidem.

27Wilhelm Röpke, Civitas Humana, Grundfragen der Gesellschafts- und Wirtschaftsreform, Zurich, 1944.  

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una economia che possa permettere alla società di esistere ed agire secondo alcuni valori morali. In questo senso appare evidente come il mercato sia solo uno strumento. Nonostante Foucault affermi, riportando le teorie degli Ordoliberali, che il mercato sia solo un mezzo, talvolta comunque lascia intendere che, a suo parere, il vero motivo per cui la società, per gli ordoliberali, va cambiata, è per permettere il corretto funzionamento del mercato. Tale, seppur plausibile, è però implicita e mai chiaramente elaborata o giustificata.

Durante la lezione del 14 marzo, introducendo il neoliberalismo americano, Foucault fa un confronto tra questo e i corrispondenti movimenti europei. I contesti di partenza sono simili. Entrambi gli orientamenti si affermano di contrasto alle idee di Keynes e alle sue ricette di politica economica.

Grande attenzione viene anche dedicata al Piano Beveridge28, il quale veniva

proposto come contropartita (quasi un nuovo patto sociale) in cambio dei grandi sacrifici che si chiedevano ai cittadini durante la guerra, promettendo appunto una serie di interventi sociali (in particolare quelli miranti alla piena occupazione, che era anche uno degli obiettivi prioritari di Keynes) a favore della popolazione, da realizzare a guerra finita. Foucault ricorda come il Piano Beveridge non fosse altro che il caso più noto di analoghe promesse fatte in molti altri paesi coinvolti nella guerra. Nell’America del dopoguerra, per esempio, si susseguirono in quegli anni

     

28Report of the Inter-Departmental Committee on Social Insurance and Allied Services, redatto nel 1942 da William Henry Beveridge, è un piano pubblicano durante la seconda guerra mondiale, base teorica e politica delle successiva riforme di welfare del dopoguerra.

(27)

programmi federali, che videro una costante presenza dell’intervento del governo nei processi economici: il riferimento è ai programmi sulla povertà, l’educazione, la segregazione, sviluppati dai governi Roosevelt, Truman e Johnson. Foucault coglie dunque delle somiglianze con la in Francia e in generale con l’Europa, dove trionfavano le politiche keynesiane e importanti misure di pianificazione economica.

Il neoliberalismo si svilupperà proprio come risposta a quelle politiche economiche, ma Foucault intuisce da subito come, nonostante le importanti similitudini del contesto nel quale operano, il neoliberalismo europeo e il corrispettivo americano abbiano profonde differenze.

In primo luogo, il neoliberalismo americano, nel momento stesso in cui si è formato storicamente, vale a dire già molto presto, a partire dal XVIII secolo, non si è presentato, a differenza della Francia, come un principio moderatore rispetto a una ragione di stato preesistente. Sono state, invece, rivendicazioni di tipo liberale, ed essenzialmente di carattere economico, a fornire il punto di partenza storico della formazione dell’indipendenza degli Stati Uniti. Vale a dire che negli Stati Uniti, durante il periodo della Guerra, d’indipendenza, il liberalismo ha svolto un po’ lo stesso ruolo, o comunque un ruolo relativamente analogo, a quello che il liberalismo ha avuto in Germania nel 1948.29

In terzo luogo, aggiunge il filosofo, il neoliberalismo americano ha tratto vantaggio anche dalle politiche di interventismo, di pianificazione o dal modello keynesiano, che venivano attaccate dalla destra, le quali le accusava di socialismo

      29 Ivi, p. 17

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e dalla sinistra, per le quali erano troppo moderate. Il liberalismo americano, insomma, a differenza dell’europeo, non viene imposto dai governi e non viene sentito come esterno, ma è in quei luoghi un vero e proprio modo di essere e di pensare.

1.3 Il neoliberalismo americano e Gary Becker

Il neoliberalismo americano è per Foucault prima di tutto un modo di vivere e di stare in società. Nonostante il contesto in cui si è formato – simile a quello europeo – negli Stati Uniti l’orientamento che stiamo prendendo in considerazione ha delle basi solidissime, in quanto si è formato insieme al popolo americano stesso, facendosi strada già dopo le guerre di indipendenza. Esso dunque, a differenza del neoliberalismo tedesco, non è semplicemente una forma di governo, ma è invece un modo di vivere, «una vera e propria maniera di essere e di pensare. Assai più che una tecnica messa in atto dai governanti nei confronti dei governati, è un tipo di rapporto tra governanti e governati»30. Il pensiero neoliberale, dunque, inteso

come sostrato concettuale della società e non come una vera e propria scelta. Mentre in Francia, e in Europa in genere, i contrasti della popolazione con i governi sono quasi sempre riferiti a questioni riguardanti la gestione della cosa pubblica, in America tutto ruota attorno al problema della libertà individuale, della quale i cittadini hanno già piena coscienza da molto tempo. Per questo motivo il

      30 Ivi, p. 179.

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neoliberalismo ha seguito su tutti i fronti politici e la sua natura non è eminentemente politico-economica, ma è multiforme e comprende molti ambiti.

Il neoliberalismo americano è caratterizzato dalla capacità di applicare all’analisi della società meccanismi propri dell’economia di mercato. Ma prima di spiegare esattamente cosa intende con questa sua affermazione, Foucault ritorna su alcuni aspetti dell’ordoliberalismo, perché è appunto dal confronto con esso che si potrà comprendere la peculiarità del neoliberalismo americano.31

Gli Ordoliberali tedeschi affermano di voler predisporre la società ad accogliere l’economia sociale di mercato, la quale porterà poi benessere per tutta la collettività - il fine è la costituzione della gesellschaftpolitik. L’intervento del governo, in questo caso è accettato, anzi auspicato, per la sua funzione regolatrice: dato che non si ha fiducia nella capacità dei mercati di autoregolarsi si rende necessaria una funzione regolatrice che non è insita ai processi economici. Gli scopi sono, infatti: dare spazio alle medie imprese, favorire l’artigianato e in generale evitare la massificazione. Deve essere favorito lo sviluppo di una rete di piccole imprese affinché l’individuo possa inserirsi in essa ed evitare che venga invece sottomesso ad una forma d’impresa unica, come quella statale o aziendale.

Il ritorno all’impresa rappresenta, quindi, una politica economica o una politica di estensione dell’economia all’intero campo sociale, ma al tempo stesso anche una politica che si presenta, o si vuole, come una vitalpolitik che avrà la funzione di compensare

      31 Ibidem.

(30)

quanto c’è di freddo, di impassibile, di calcolatore, di razionale, di meccanico, nel gioco della concorrenza propriamente economica32.

Giunto a questo punto Foucault indica quella che è la principale differenza tra ordoliberalismo e neoliberalismo americano. Gli americani, infatti, teorizzano una generalizzazione della forma di mercato che Foucault giudica ugualmente estrema, ma opposta e dai risultati totalmente diversi rispetto all’idea di mercato ordoliberale. Ciò a cui tendono i neoliberali americani è infatti la decifrazione del non-economico attraverso gli strumenti economici. L’obbiettivo è, dunque, la comprensione per mezzo delle griglie economiche di tutte le relazioni o i comportamenti umani che non sono economizzabili o monetizzabili. Il mercato, quindi, viene inteso come modello da applicare alle più svariate situazioni di ambito non economico. Questa applicazione, comunque, ha il merito di lasciar emergere dei dati prima non intellegibili e che in questo modo lo diventano. Sarà possibile capire, per esempio, le dinamiche della natalità, cosa spinge le famiglie ricche a fare meno figli o in cosa consiste il matrimonio. I neoliberali, secondo Foucault, vogliono arrivare a dire che alcune dinamiche non economiche sono comprensibili guardandole con il filtro dell’analisi costo-benefici. Temi che erano propri della psicologia, della sociologia o dell’antropologia, diventano appannaggio dell’economia. Si tratta quindi di analizzare il contesto domestico usando formule e analisi di natura aziendale per comprenderlo. Estremamente

      32 Ivi, p. 197.

(31)

significativo è l’esempio di Pierre Rivière33, che nelle sue memorie intuisce come

il rapporto tra i suoi genitori – contadini – sia analizzabile secondo le leggi dell’economia dei costi di transazione.

L’economia ha avuto un ruolo fondamentale per la governamentalità sin dall’età moderna, poiché definisce chiaramente cosa deve essere fatto o evitato da chi governa, così da rendere i cittadini capaci di raggiungere i loro obiettivi. L’economia, dunque, rappresenta un luogo di veridizione per il governo e per ogni tipo di attività umana. Il mercato, nella governamentalità neoliberale, è una forma generalizzata di razionalità, che comprende ogni ambito sociale. Wendy Brown, nel suo libro Undoing the demos afferma che la veridizione del mercato ha due dimensioni: il mercato è vero in se stesso e rappresenta la vera forma di tutte le attività. Il mercato, quindi, grazie alla sua razionalità, permette di leggere la realtà e di comprenderla. Gli attori economici che non concordano con questi principi non sono semplicemente irrazionali, ma rifiutano la realtà. Di conseguenza, secondo tali principi neoliberali, la teoria della scelta razionale esprime questa equazione e diventa un modello egemonico per la conoscenza delle scienze sociali.34 Il confine ovviamente deve essere regolato e sottomesso alla legge, ma pur nella legalità l’obiettivo rimane quello di permettere agli individui di creare il

     

33 Pierre Rivière, è un giovane contadino normanno che, nel 1835, uccide sua madre, sua sorella e

suo fratello, per liberare il padre dalle persecuzioni della moglie. Foucault e i suoi allievi, nel 1973, attraverso perizie mediche e legali e le memorie dello stesso Rivière, ricostruiscono la vicenda in un saggio. A cura di M. Foucault, Moi, Pierre Rivière, ayant égorgé ma mère, ma sœur et mon frère...

Un cas de parricide au XIXᵉ siècle, Gallimard, Paris, 1973 (tr. it. Io, Pierre Rivière, avendo sgozzato mia madre, mia sorella e moi fratello… Un caso di parricidio del XIX secolo,, Einaudi, Torino,

1976).  

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loro spazio individuale, nel quale agire in libertà al fine di perseguire i loro scopi economici.35

Il secondo originale modo di utilizzare l’economia consiste poi nell’usarla per valutare l’azione di governo. La griglia economicista, infatti, può essere utile a capire quanto e se un eventuale governo commette sprechi, abusi, inadempienze, errori. La critica nei confronti della governamentalità diventa a questo punto non più solo politica o giuridica, ma a tutti gli effetti economica. Anche in questo caso viene meno uno dei pilastri della teoria ordoliberale, lo “stato vigile”. Negli Stati Uniti questa idea ha avuto una effettiva realizzazione con l’istituzione dell’American Enterprise Institute che, per mezzo di analisi costi-benefici, deve valutare le attività pubbliche del governo e delle “agenzie federali”. C’è dunque, secondo Foucault, l’idea dell’economia come filtro col compito di vagliare la consistenza delle azioni del governo, anche dal punto di vista logico-linguistico, dal momento che, secondo il filosofo, gli studiosi americani sono dei grandi utilizzatori delle teorie positiviste della Scuola di Vienna.

In altre parole, nel liberalismo classico si chiedeva al governo di rispettare la forma del mercato e di lasciar fare. Nel neoliberalismo, invece, il laissez-faire viene rovesciato in un non lasciar fare il governo, in nome di una legge del mercato che dovrà permettere di misurare e di valutare ciascuna delle sue attività. Il laissez-faire, in questo modo, si capovolge, e il mercato smette di essere un principio di autolimitazione del governo, per diventare un principio che si ritorce contro di esso36.

     

35 G. Becchio, G.Leghissa, The origins of neoliberalism, cit., p. 32. 36 M. Foucault, Nascita della Biopolitica, cit. p.. 202.

(33)

Il mercato diventa a questo punto una sorta di tribunale economico che giudica la condotta del governo. Foucault, nel corso della lezione del 14 marzo, sceglie di analizzare il neoliberalismo americano considerando solo due degli aspetti principali, ovvero la teoria del capitale umano e la questione della criminalità e della delinquenza. La sua trattazione, dunque, prende immediatamente una direzione ben precisa, scegliendo di affrontare solo due degli argomenti possibili e di conseguenza dando un taglio preciso alla riflessione. Entrambi i temi considerati, sono, secondo il filosofo, riconducibili all’economista americano Gary Becker37, che Foucault definisce il più radicale dei neoliberali americani.

«Foucault observes that, where earlier economists argued that society ought to counteract the market’s negative effects, Becker claims that society itself operates according to market processes»38. Becker, che fino ad allora non era ancora

particolarmente conosciuto al di fuori dell’ambiente economico, diventa il grande protagonista dell’analisi di Foucault sul neoliberalismo americano.

Se, in generale, nella storia economica e politica: “il lavoro è rimasto in un certo senso una pagina bianca su cui gli economisti non hanno scritto nulla39”, uno dei

meriti dei neoliberali americani, secondo Foucault, è quello di aver superato la classica concezione di “produzione di beni” come dipendente da tre fattori, vale a

     

37 Gary Becker (1930-2014), economista americano, professore di economia e sociologia presso

l’università di Chicago, premio Nobel per l’economia nel 1992. Ricordato soprattutto per i suoi studi sull’idea di “capitale umano” e temi come il crimine, la famiglia e in generale l’economia applicata al comportamento umano.

38 David Newheiser, “Foucault, Gary Becker and the Critique of Neoliberalism”, in Theory, Culture

and society, vol. 33(5), 2016, p. 5.

(34)

dire: “terra, capitale e lavoro”. Il lavoro, come produzione di beni, non è mai stato studiato in sé né mai considerato come dotato di una natura propria e autonoma. Spesso è stato semplicemente ridotto alla quantità di lavoro e alla variabile temporale - ritiene Foucault - per esempio da Ricardo. Il problema dei liberali a questo punto diventa quello di reintrodurre una trattazione del tema del lavoro nell’analisi economica. Tra quelli che si sono avventurati in questo campo, Foucault inserisce Theodore Schultz, che con un articolo del 1958, “The High School in a New Era” – poi ripreso nel testo del 1971 “Investiment in human capital” dà il via alle successive ricerche sul “capitale umano”.40 Un altro

importante contributo è appunto quello di Gary Becker – citato per la prima volta da Foucault nella lezione del 14 - il quale nel 1962 scrive un importante articolo, dal titolo “Investiment in human capital: a theoretical analysis”41.

Anche Karl Marx si era occupato molto dell’importanza del fattore lavoro per l’analisi economica, ma i neoliberali generalmente non prendono in considerazione Marx e, aggiunge Foucault, se lo facessero gli obietterebbero senz’altro di aver parlato soprattutto di “forza lavoro”.

Si fa avanti, in America, l’esigenza di non continuare su questa critica, ma cercare di capire in che modo e perché le riflessioni sul lavoro sono diventate astratte e poco ancorate alla realtà. Ecco dunque la mutazione epistemologica essenziale dei neoliberali: essi cercano di modificare l’intero approccio, mutando

     

40 Theodor W. Schultz (1902-1998), Università di Chicago, premio Nobel per l’economia nel 1979.

The High School in a New Era, Chicago Press, Chicago, 1958.

41 Gary Becker, “Investiment in human capital: a theoretical analysis”, in Journal of Political

(35)

l’oggetto al quale faceva riferimento l’intera analisi economica precedente. L’analisi economica deve consistere non nello studio dei meccanismi di scambio e dei dati di consumo all’interno di una determinata struttura sociale, ma nello studio della natura e delle conseguenze delle “scelte sostituibili”42, le preferenze

individuali, vale a dire il modo in cui sono allocate le risorse scarse per fini che risultano concorrenti, alternativi. I neoliberali, secondo Foucault, accettano dunque la classica definizione di Lionel Robbins, il quale assegna all’economia il compito di analizzare un comportamento umano e la razionalità interna a tale comportamento43. Questo genere di analisi deve cercare di mettere in evidenza

quale sia stato il calcolo attraverso cui, date risorse scarse, un individuo ha deciso di destinarle a un fine piuttosto che a un altro. L’economia, quindi, diventa analisi della razionalità interna, della programmazione strategica degli individui.

Gary Becker – dice Foucault - si chiede perché le persone lavorano e sostiene che il motivo per cui lo fanno è avere un salario, un reddito, il quale è semplicemente il rendimento di un capitale, mentre il capitale è ciò che permetterà di avere redditi futuri.

Il capitale, nella definizione di Becker, allora non è altro che la somma delle caratteristiche fisiche, psicologiche, sociali e comportamentali che permettono ad un individuo di ottenere un salario. È ovvio, a questo punto, che il capitale è

     

42 M. Foucault, Nascita della Biopolitica, cit. p. 183.

43 «L’economia è la scienza del comportamento umano, inteso come una relazione tra fini e mezzi rari, i quali hanno utilizzazioni che si escludono reciprocamente.» Lionel Robbins, Essay on the nature and significance of economic science, Macmillan, London, 1962.

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indissociabile da colui che lo detiene, poiché corrisponde alle sue competenze. L’uomo, sempre secondo questa visione, è una macchina che produce flussi di reddito. L’intenzione allora è non più “lasciar fare il mercato”, ma “non lasciar fare il governo”, in nome di una legge di mercato che dovrà permettere di misurare e valutare ciascuna delle sua attività. Il mercato diventa una sorta di “tribunale permanente” di fronte al governo, che misura l’azione del governo in termini economici.

Ritroviamo questi due aspetti, questi due tratti - l’analisi dei comportamenti non economici attraverso una griglia di intellegibilità economicista, e la critica e la valutazione dell’azione della potenza pubblica in termini di mercato – anche nell’analisi che alcuni neoliberali hanno fatto della criminalità e del funzionamento della giustizia penale44.

La valutazione della potenza pubblica in termini di mercato, quindi, è facilmente riscontrabile nel funzionamento della giustizia penale, in modo particolare della criminalità.

Nella sua analisi Foucault si confronta con le teorie di Becker, Isaac Ehrlich e George Stigler, e afferma che la loro analisi della criminalità appare inizialmente come un ritorno alle teorie settecentesche di Beccaria e Bentham. In effetti già le loro proposte erano finalizzate ad un riassetto economico della politica e dell’esercizio del potere, partendo da calcoli sul costo della delinquenza. La questione consiste nel capire quanto costa ad un paese il fatto che i ladri possano

     

(37)

circolare liberamente. Ciò che si cerca, è la diminuzione del costo di transazione e in questo caso la legge risulta essere la soluzione più economica, dunque la legge è il veicolo che permette di trasferire la riflessione sulla criminalità sul piano economico. In questo senso, anche l’homo penalis, ovvero l’uomo sottoposto alla legge, è homo oeconomicus.

In particolare Foucault fa riferimento a Becker45 – e afferma che i neoliberali

non si preoccupano di problemi storici – perciò la loro analisi consiste nel:

riprendere il filtro di carattere utilitaristico, già utilizzato da Beccaria e da Bentham, cercando però di evitare, nella misura del possibile, la serie di slittamenti che aveva fatto sì che si fosse passati dall’homo oeconomicus all’homo legalis, all’homo penalis, e infine

all’homo criminalis. Bisognerà attenersi invece, per quanto possibile, e grazie a una

analisi puramente economica, all’homo oeconomicus, per vedere in che modo il crimine, e forse la criminalità, possono essere analizzati in base a queste condizioni46.

Ma come è possibile farlo? Prima di tutto, secondo Foucault, dando una definizione di “crimine”. A questo proposito, egli riporta quella che Becker dà nell’articolo “Crime and punishment”: «chiamo crimine ogni azione che fa correre il rischio a un individuo di essere condannato a una pena47.» Il crimine è dunque

semplicemente ciò che viene punito dalla legge. È questa una definizione non morale o qualitativa ma oggettiva e indubitabile e corrisponde a quella che ne dà il diritto penale. Ma se il crimine per un individuo è solo ciò per cui rischia di essere punito, allora si determina spostamento del punto di vista, che Foucault paragona alla differenza che intercorre tra capitale e lavoratore. Anche in questo

     

45 G. Becker, “Crime and punishment: an economic approach”, apparso sul Journal of Political

Economy, 2, 1968.

46 M. Foucault, Nascita della Biopolitica, cit. p.. 205 47 Ivi, p. 321.

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caso ci si pone dalla parte del soggetto, sì, ma solo dal momento in cui il soggetto è soggetto economico. Ciò non significa, per il filosofo, che l’individuo viene visto solo in quanto soggetto economico, vuol dire solo che si prende in considerazione esclusivamente quell’aspetto. Non c’è quindi una assimilazione di ogni suo comportamento all’aspetto economico, ma viene analizzato solo ciò che in effetti è economico. Da ciò consegue che anche la griglia di contatto tra l’individuo e la governamentalità è rappresentata dall’homo oeconomicus, il quale è per Foucault il collegamento esistente tra il governo e l’individuo.

The subject envisaged by the economic discourse is nothing but a maximizing subject, whereas the act of maximizing something – or, better, the process that allows for maximization – is considered as the only act to which rationality can be ascribed. Here the adjective ‘eco- nomic’ before the substantive ‘rationality’ would be out of place: maximizing is, in fact, the economic behaviour par excellence48.

Il rischio di una tale interpretazione è l’appiattimento delle differenze tra i vari tipi di criminalità. Un ladro e un assassino possono facilmente essere ridotti, essendo definiti nel medesimo modo, ad avere lo stesso peso ontologico. «In queste condizioni, allora, che cosa sarà la punizione? Rifacendomi ancora una volta alla definizione di Becker, dirò che la punizione è il mezzo utilizzato per limitare le esternalità negative di determinati atti49».

Resta, dunque, nell’analisi neoliberale, il principio d’utilità proprio della filosofia classica, riconducibile a Beccaria e Bentham. L’idea è quella di punire in modo tale che l’atto criminale possa essere limitato o annullato. La legge, che definisce

     

48 G. Becchio, G.Leghissa, The origins of neoliberalism, cit. p.. 39. 49 M. Foucault, Nascita della Biopolitica, cit. p. 208.

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la punizione, è una realtà istituzionale e in quanto tale ha una forza. Alla legge, però, deve essere anche conferita realtà sociale, politica, vale a dire una certa applicazione. Enforcement of law, è per Foucault proprio questo: gli strumenti, i metodi, che permettono di definire la punizione adatta ad ogni crimine e quindi l’applicabilità della legge alla realtà. In questo senso, l’enforcement of law risponde a quella che Foucault chiama “offerta di crimine” con una “domanda negativa”, tramite strumenti di azione volti a disincentivare tale offerta. È scontato, però, che nonostante l’obiettivo sia diminuire l’offerta della criminalità, i costi della “domanda negativa” non dovranno mai superare quelli della criminalità, perché in quel caso non converrebbe più mettere in atto tale processo. A questo punto risulta chiaro che le intenzioni di tale processo siano non morali né di giustizia in sé per sé, ma solo un’analisi costi-benefici uguale alle altre.

Per i neoliberali, una possibile soluzione al problema della criminalità può essere quella del principio di razionalità. Essi hanno infatti rinunciato all’utopico desiderio di soppressione della criminalità a favore di un intervento volto a limitarne l’offerta. Pertanto, non è necessario vivere in una società giusta. «Una società si trova bene con un certo tasso di illegalismo, mentre si troverebbe molto male se volesse ridurre indefinitamente questo tasso di illegalismo50

A questo punto Foucault si pone gli interrogativi di Becker in Crime and punishment: quanti delitti si devono permettere? E quanti delinquenti si devono lasciare impuniti? La questione diventa, a questo punto, secondo Foucault, di

     

(40)

convenienza economica e le possibili soluzioni sono svariate ma non definitive. Infatti questo approccio porta, per il filosofo, alla “cancellazione antropologica del criminale”, che a questo punto non è più visto come un mostro da studiare o temere, ma come un agente economico simile agli altri. Oltretutto, eliminate le differenza tra i vari tipi di criminale, solitamente classificati in base all’entità del reato, non resta che l’individuo, per quando problematico e non comune. Soprattutto, anche in questo caso è importante considerare non l’individuo nella sua interezza, ma l’individuo come homo oeconomicus, che in quanto tale è soggetto a desideri e propensioni proprio come tutti gli altri. Considerandolo homo oeconomicus, e questa potrebbe apparire come una possibile soluzione al problema della criminalità, si dovrà lavorare sul contesto in cui esso agisce, cercando di creare delle circostanze tali per cui gli interessi del criminale possano non riguardare l’eventuale crimine. Bisogna, perciò, disincentivare l’offerta di crimine creando condizioni sociali e ambientali per cui non valga più la pena – economicamente, infrangere la legge.

All’orizzonte di tutto ciò vediamo profilarsi, piuttosto, l’immagine, l’idea o il tema-programma di una società in cui dovrebbe verificarsi l’ottimizzazione dei sistemi di differenza, in cui dovrebbe essere lasciato campo libero ai processi di oscillazione, in cui ci dovrebbe essere una tolleranza accordata agli individui e alle pratiche minoritarie, in cui dovrebbe essere esercitata un’azione non sui giocatori coinvolti nel gioco ma sulle regole del gioco, e in cui, per finire, dovrebbe essere effettuato un intervento non nella

(41)

forma dell’assoggettamento interno degli individui, ma nella forma di un intervento di tipo ambientale51.

 

      51 Ivi, p. 214.

(42)

Capitolo 2

Il neoliberalismo di Gary Becker

2.1 Il pensiero.

Gary Becker (1930-2014), allievo di Milton Friedman, docente di economia e sociologia all’Università di Chicago, è considerato non solo uno dei più importanti economisti contemporanei, ma anche un grande studioso di scienze sociali nel senso più ampio del termine. Egli ha infatti avuto il merito di applicare le analisi economiche ad ambiti non economici, motivo, questo, per cui gli è stato conferito il premio Nobel per l’economia nel 1992, con questa motivazione: «per aver esteso il dominio dell'analisi microeconomica a un ampio raggio di comportamenti e interazioni umane, incluso il comportamento non legato al mercato»52.

La ricerca di Becker si fonda sull’idea che il comportamento umano sia intrinsecamente razionale e finalizzato a ricavare una certa utilità dalle più svariate situazioni. Becker suppone che ogni individuo agisca massimizzando i propri profitti e facendo calcoli di utilità, più o meno in ogni ambito della vita. Tale approccio, definito “approccio economico al comportamento umano”53 può essere

dunque applicato ad ogni area dell’agire umano, anche a quelle che erano sempre

     

52www.nobelprize.org/prizes/economic-sciences/1992, data ultima consultazione: 22/07/2019 53Gary Becker, The economic approach to human behavior, University of Chicago Press, Chicago,

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