• Non ci sono risultati.

La donna nella tradizione giuridica islamica: dal Regno di Arabia Saudita alla Tunisia

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "La donna nella tradizione giuridica islamica: dal Regno di Arabia Saudita alla Tunisia"

Copied!
136
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

LA DONNA NELLA TRADIZIONE GIURIDICA

ISLAMICA: DAL REGNO DI ARABIA SAUDITA

ALLA TUNISIA

Relatore:

Chiar.mo Prof. Paolo Passaglia

Candidato:

Francesco Perrotti

(2)
(3)

3

INDICE

INTRODUZIONE...5

CAPITOLO I IL DIRITTO ISLAMICO. DALLA RIVELAZIONE AL FIQH...7

1. Diritto e Islām...7

2.1 L'Islām...8

2.2 Le origini dell'Islām...9

2.3 Muḥammad, il «Messaggero di Dio»...10

2.4 La Hiğra e gli anni a Medina...13

2.5 La battaglia di Badr e il ritorno a La Mecca...14

2.6 La Umma e gli ultimi anni del Profeta...15

2.7 L'espansione dell'Islām...17

3.1 La Sharī‘a, legge sacra dell'Islām...18

3.2 Il fiqh...20

4.1 Le fonti del diritto islamico (usûl al-fiqh). Il Corano...21

4.2 La Sunna e gli Hadīth...22

4.3 Il consenso della comunità musulmana: l'Iğmā...23

4.4 Il procedimento analogico: il Qiyās...24

4.5 Oltre gli usûl al-fiqh: ’urf e iğtihād...24

5. La sharī‘a nel XXI secolo...26

CAPITOLO II LA DONNA NEL DIRITTO ISLAMICO...27

1. La condizione della donna nell'era pre-islamica e l'avvento dell'Islām...27

2.1 La donna nel Corano...28

2.2 An-Nisâ', la sūra delle donne...29

2.3 La superiorità dell'uomo nella sūra al-Baqara...32

3.1 Il matrimonio...34

3.2 Il nikāḥ...36

3.3 Il walī e il consenso della donna...38

3.4.1 I requisiti necessari per il nikāḥ e il fenomeno dei matrimoni minorili...41

3.4.2 Gli impedimenti temporanei al matrimonio...44

3.4.3 Gli impedimenti permanenti al matrimonio...48

3.5.1 Il mahr...50

3.5.2 La disciplina del mahr...52

3.6 Il matrimonio temporaneo: il nikāḥ al-mut‘a...54

3.7.1 Lo scioglimento del matrimonio...56

(4)

4

3.8 La poliginia...65

4. Il diritto della donna musulmana all'eredità...68

5. L'abbigliamento della donna musulmana e il velo islamico...71

6. La Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (CEDAW)...74

CAPITOLO III LA CONDIZIONE FEMMINILE IN TUNISIA...77

1. Introduzione...77

2. Tahar Haddad e la condizione della donna tunisina all'inizio del XX secolo...78

3.1 Habib Bourguiba e la nascita della nuova Repubblica tunisina...81

3.2 Il Code du Statut Personnel tunisino...84

4. La nascita delle associazioni femministe tunisine...93

5. Le riforme del 1993...94

6. La Rivoluzione dei Gelsomini e la caduta del regime di Ben Ali...95

7. La Costituzione tunisina del 2014...97

CAPITOLO IV LO STATUS DELLE DONNE NEL REGNO DI ARABIA SAUDITA...100

1.La penisola arabica nel XVIII secolo e l'ideologia wahabita...100

2. La nascita del Regno di Arabia Saudita...103

3. La Legge Fondamentale dell'Arabia Saudita...104

4.1 La «donna islamica ideale» e la segregazione femminile...109

4.2 La libertà di movimento delle donne saudite...112

4.3 Il diritto di famiglia e il fenomeno dei matrimoni misyar...113

4.4 Il velo islamico nel Regno di Arabia Saudita...115

CONCLUSIONI...117

BIBLIOGRAFIA...119

(5)

5

INTRODUZIONE

Il presente lavoro ha come oggetto l'analisi dello status delle donne nel diritto musulmano e della condizione femminile in Tunisia e nel Regno di Arabia Saudita. In particolare, vengono messe in luce le peculiarità della tradizione giuridica islamica e del diritto di famiglia, ove è particolarmente evidente la disuguaglianza di genere.

L'obiettivo di questo elaborato è, in prima istanza, quello di fornire un quadro chiaro ed esauriente dei principi fondamentali del diritto islamico e, in generale, della sharī‘a, al fine di esaminarne i

contenuti relativi alla condizione giuridica delle donne musulmane. Inoltre, il lavoro svolto mira ad analizzare, attraverso un'indagine comparatistica, le differenze, in tema di diritti delle donne, tra l'esperienza tunisina, per certi versi molto vicina agli ordinamenti occidentali, e quella saudita, la «culla dell'Islām». Attraverso la comparazione tra queste due realtà è possibile notare come la sharī‘a venga applicata in maniera decisamente eterogenea nei vari

ordinamenti contemporanei: la Legge Sacra dell'Islām, di fatto, non è una realtà statica e definitiva, bensì duttile e flessibile.

Lo studio è stato condotto ricorrendo all'analisi di alcuni versetti del Corano, il quale rappresenta il vertice della gerarchia delle fonti del diritto islamico, e della dottrina islamica; inoltre, sono stati esaminati gli ordinamenti giuridici della Tunisia e del Regno di Arabia Saudita, evidenziando le novità legislative inerenti allo status delle donne. La tesi è articolata in quattro capitoli: il primo capitolo offre un panorama generale dell'Islām e del diritto islamico. Il secondo capitolo fornisce un'analisi rivolta specificamente alla condizione femminile nella tradizione giuridica islamica e, in particolare, nel diritto di famiglia e nel diritto successorio, affrontando, poi, il tema del velo islamico e del ruolo svolto dalla CEDAW. Il terzo capitolo si concentra sulla condizione femminile in Tunisia, esaminando i

(6)

6

contenuti del Codice dello Statuto Personale del 1957. Nel quarto ed ultimo capitolo, infine, viene analizzato lo status delle donne saudite, mettendo in luce lo stretto legame tra il Regno di Arabia Saudita e la

(7)

7

CAPITOLO I

IL DIRITTO ISLAMICO. DALLA RIVELAZIONE AL FIQH

1. Diritto e Islām

Affinché si possano affrontare le dinamiche interne e i singoli aspetti del diritto musulmano sono necessarie alcune premesse.

Sarebbe errato, infatti, svolgere questa tipologia di studio utilizzando un approccio meramente tecnico-giuridico, tentando (invano) di isolarne i singoli argomenti e istituti. Per questo motivo è sicuramente più opportuno, prima di iniziare qualsiasi tipo di trattazione più approfondita, esaminare gli elementi che

rappresentano il background del diritto islamico, evidenziando le peculiarità che tanto lo rendono diverso dalle altre esperienze

giuridiche. Diritto e Islām, di fatto, sono concetti che spesso tendono ad intersecarsi, a tratti addirittura a sovrapporsi, altre volte ad

allontanarsi, ma mai eliminando completamente il legame che unisce l'uno all'altro.

L'Islām è considerato dai musulmani come un unicum dogmatico, giuridico, rituale e morale in cui non ha alcun senso una ripartizione secondo criteri tipicamente laico-occidentali, suddividendolo in sistema religioso, giuridico e politico, poiché la loro fonte è la medesima: la sharī‘a1. Quest'ultima racchiude in sé sia le norme giuridiche in senso stretto, sia le leggi politiche, sia le norme aventi ad oggetto il culto e i riti. Più in generale, la Legge sacra dell'Islām, quindi, può essere considerata come un corpus omnicomprensivo di doveri di carattere religioso, nonché di tutti i comandamenti di Dio (Allāh), i quali disciplinano ogni singolo aspetto della vita del musulmano. Il diritto islamico, dunque, altro non è che manifestazione ed espressione del pensiero islamico e nucleo

1

F. Castro, Il Modello Islamico, a cura di G. M. Piccinelli, Giappichelli, Torino, 2007, p. 4.

(8)

8

centrale dell'Islām stesso2, il quale, in un senso più ampio, individua il sistema legale che regola non solo la condotta di coloro che professano l'Islām (muslimūn) all'interno della comunità religiosa e politica (umma), ma anche il culto di Allāh3.

2.1 L'Islām

Il nostro termine «religione» risulta quantomeno impreciso e insufficiente per definire cosa è propriamente l'Islām. In arabo, il vocabolo più adatto, probabilmente, è din: in almeno due punti del Corano si afferma che l'Islām è «il» din (es. Corano, V, 3). Questo ha un triplice significato: fede (ʾīmān), retto comportamento (iḥsān), sottomissione (islām). Ma la religione (din) è strettamente legata al «mondo» (dunya, inteso come mondo temporale): non vi è

distinzione, dunque, fra atti sociali del comportamento e atti del culto4.

La parola Islām indica, da un punto di vista verticale, il rapporto individuale che lega l'essere umano a Dio e, da un punto di vista orizzontale, la comunità di tutti coloro che si sottomettono alla Sua legge, i quali si uniscono nella pratica comune e nella fede. Ad oggi

Islām è il termine più diffuso per riferirsi alla religione di coloro che

sono seguaci del profeta Muḥammad (Maometto)5 e che può contare su oltre un miliardo e ottocentomila fedeli6.

La radice slm in arabo significa «essere integro, essere incolume,

2 J. Scacht, Introduzione al diritto musulmano, Fondazione Giovanni Agnelli,

Torino, 1995, p. 1.

3

G. Endress, Introduzione alla storia del mondo musulmano, a cura di G. Vercellin, Marsilio, Venezia, 2001, p. 37.

4

M. Campanini, Il Corano e la sua interpretazione, in Economica Laterza, Laterza, Roma-Bari, 2013, pp. 3-6.

5 M. Eliade, Islam, in Enciclopedia delle religioni, Jaca Book, Milano, 2004, pp.

233-234.

6

< https://www.pewresearch.org/fact-tank/2017/04/06/why-muslims-are-the-worlds-fastest-growing-religious-group > [consultato il 22/06/2019]

(9)

9

essere in pace»7 o, anche, «rimettere qualcosa al giudizio di qualcuno»8. Secondo una prima interpretazione, l'accezione semantica complessiva del termine Islām esprime una «concreta e attiva sottomissione alla volontà di Allāh», dove i termini «concreta e attiva» hanno un significato fondamentale. Infatti, qualsiasi atto del fedele è irrilevante agli occhi di Dio se non compiuto

intenzionalmente. A conferma di questo esiste un ḥadīth del profeta Muḥammad secondo il quale «le opere esistono solo con le loro intenzioni perché ogni uomo riceve solo per quello per cui ha avuto un'intenzione»9. Secondo un'altra interpretazione, invece,

complessivamente il termine Islām significa «sottomettersi alla legge di Dio così da essere integro» e va letto alla luce di altri due termini chiave, assai frequenti nel Corano, la cui radice è di significato affine: tawqā («salvare, proteggere») e īmān («essere salvo e in pace con sé stesso»). Queste definizioni permettono di evidenziare

l'attitudine religiosa alla base dell'Islām: mantenere il giusto ordine e l'integrità attraverso l'accettazione della legge di Allāh. Secondo il Corano, infatti, l'intero universo può essere considerato musulmano e l'ordine che lo caratterizza è garantito dall'obbedienza alla legge di Dio. Soltanto la natura, però, obbedisce "automaticamente". L'essere umano, invece, può obbedire soltanto in base ad una propria scelta10.

2.2 Le origini dell'Islām

L'Arabia del VI secolo d.C. era caratterizzata dalla presenza di una società beduina che rigettava l'idea di un sistema politico

accentratore, rimanendo, così, ancorata ad un'organizzazione

7

M. Eliade, Islam, in Enciclopedia delle religioni cit. p. 238.

8 G. Vercellin, Istituzioni del mondo musulmano in Piccola biblioteca Einaudi,

Einaudi, Epub, 2002.

9 Ibidem.

(10)

10

tribale11, i cui clan e tribù verranno poi in gran parte sostituiti dalla comunità di credenti, ovvero la umma12.

Sebbene gli arabi beduini fossero una popolazione per lo più laica, non mancavano tradizioni e culti (in particolare di idoli)13 e santuari (haram o hawta) che avevano una funzione di rifugio ove risolvere le varie questioni fra tribù, il più importante dei quali era la Kaʿba di Mecca, una costruzione cubica al cui interno era incastonato un meteorite nero, e alla quale erano associate alcune divinità pagane: il dio Hubal e tre dee, Al-Lāt, al-‘Uzzā (di solito identificate con Venere) e Manāt (dea del destino), alle quali fu, in seguito, dato l'appellativo di «figlie di Allāh»14. Questo santuario, inoltre, ricopre tutt'oggi un ruolo fondamentale nella vita del fedele, poiché è il luogo dove si compie il pellegrinaggio annuale (hağğ) che costituisce il quinto pilastro dell'Islām15.

2.3 Muḥammad, il «Messaggero di Dio»

È in questo contesto che nacque a La Mecca, intorno al 570 d.C., Muḥammad, colui che viene chiamato, dai musulmani, «Profeta» o «Messaggero di Dio». Le sue vicende furono messe per iscritto soltanto un secolo dopo la sua morte, ricomposte attraverso allusioni e cenni presenti nel Corano.

La tribù di Maometto, i Qurayš, era a quel tempo assai prestigiosa a La Mecca. I suoi membri erano dediti al commercio (principalmente di cuoio e uva passa), sfruttando la posizione ottimale della città, vicina alle rotte commerciali del Mediterraneo e dell'Oceano Indiano. Inoltre erano, da molte generazioni, i custodi del santuario della città, la Kaʿba, il cui pellegrinaggio, unito al reddito dei prodotti che

11

C. Hillenbrand, Islam, una nuova introduzione storica, Einaudi, Torino, Epub, 2016.

12 G. Endress, Introduzione alla storia del mondo musulmano cit. p. 42. 13 M. Eliade, Islam cit. p. 238.

14

C. Hillenbrand, Islam, una nuova introduzione storica.

15 B. Scarcia Amoretti, Il mondo musulmano, Quindici secoli di storia, Carocci,

(11)

11

commerciavano, garantiva alla tribù una certa prosperità.

Rimasto orfano intorno ai sei anni, Maometto fu dapprima cresciuto dal nonno 'Abd al-Muṭṭalib e in seguito dallo zio materno, Abū Tālib16

. In virtù delle usanze arabe di allora, Muḥammad non ereditò alcunché né dal padre, né dal nonno, poiché minorenne. Non avendo, quindi, capitali sufficienti per poter iniziare un'attività commerciale in proprio, decise di seguire lo zio Abū Tālib nei suoi viaggi d'affari in Siria. Fu proprio in Siria che Maometto fu ingaggiato, a

venticinque anni, da una ricca vedova, Khadīǧa, la quale, dopo aver riconosciuto le capacità di Maometto, gli propose il matrimonio, che egli accettò. Nonostante l'età (circa quarant'anni), diede a Maometto quattro figlie e due figli (morti nell'infanzia). Negli anni successivi, il Profeta proseguì nella sua attività commerciale, finché ricevette, nel 610 d.C. circa, la chiamata a divenire il «Messaggero di Dio» (rasul

Allāh) 17 .

In quegli anni Maometto era solito meditare, per lunghi periodi, in una grotta fuori dalla città di Mecca, Ḥīra sul Jabal al-Nūr

(Montagna di Luce), deluso profondamente dal contesto pagano della città e dall'avidità dei cittadini meccani. Questa prima solenne

rivelazione, ad opera dell'arcangelo Gabriele, viene narrata in una

sūra del Corano (LIII, 1-18) 18.

Maometto, dopo un primo momento di incertezze, si convinse ben presto che i messaggi «che trovava nel suo cuore» non erano una semplice suggestione, bensì rivelazioni divine che andavano

condivise con il popolo de La Mecca. Questi messaggi parlavano del potere di Allāh e della sua misericordia nei confronti dell'uomo, il quale era invitato non solo a sottomettersi e a riconoscere la sua dipendenza da Dio, ma anche ad essere generosi con i propri averi e ad esimersi dal compiere azioni malvagie, nell'attesa del «giorno del

16

M. Ruthven, Islam, Einaudi, Torino, 1999, pp. 31-33.

17

M. Eliade, Islam, cit. p. 465.

(12)

12

Giudizio». Appare quindi evidente, a questo punto, che tali

rivelazioni fossero, in realtà, legate al contesto meccano, ove l'avidità dei mercanti, veri padroni di Mecca, era in contrasto con la morale tradizionale dei nomadi. In un primo momento Muḥammad

comunicò questi messaggi solo a familiari e amici intimi, ma, intorno al 613 d.C., iniziò la predicazione pubblica: un numero sempre maggiore di meccani riconobbe come veri i messaggi ricevuti da Maometto19. Tra questi vi erano la prima moglie, Khadīǧa, a cui Maometto doveva l'agiatezza economica, Abū Bakr, suo futuro successore, e ʼAlī, cugino prediletto nonché padre della futura moglie di Muḥammad, Fatīma20.

Le tribù locali iniziarono immediatamente a prendere di mira e a perseguitare i musulmani, alcuni dei quali furono costretti a fuggire, nel 615 d.C., in Abissina (Etiopia), su consiglio di Maometto.

Quest'ultimo non intraprese il viaggio con loro, poiché poteva ancora contare sulla protezione dello zio materno Abū Tālib, allora capo del clan. Soltanto quattro anni dopo, però, morirono sia quest'ultimo, sia Khadīǧa e ad assumere il comando del clan fu un altro zio, Abū Lahab, che da subito si dimostrò ostile nei confronti di Maometto e della sua predicazione21.

Parallelamente si inaspriva il conflitto con gli abitanti (politeisti) de La Mecca. In un primo momento il concetto di Allāh, professato da Maometto, non escludeva l'esistenza di altre divinità, ma

successivamente il Profeta criticò aspramente il culto delle divinità femminili (Al-Lāt, al-‘Uzzā e Manāt) venerate in città, enunciando il credo in un unico Dio22. La situazione, divenuta ormai insostenibile a La Mecca, costrinse Muḥammad e i suoi seguaci ad abbandonare la città per raggiungere Medina, un'oasi a quattrocento chilometri a

19 M. Eliade, Islam cit. pp. 465-466. 20

B. Scarcia Amoretti, Il mondo musulmano, cit. p. 41.

21

C. Hillenbrand, Islam, una nuova introduzione storica.

(13)

13

nord de La Mecca. L'evento, avvenuto il 16 luglio del 622 d.C, prese il nome di hiğra (egira, «Emigrazione del Profeta e dei credenti») e sancì l'inizio dell'era islamica23.

2.4 La Hiğra e gli anni a Medina

Inizialmente a Medina risiedevano una pluralità di gruppi tribali, tra i quali tre clan ebrei, che rifiutavano fermamente il pensiero del

Profeta, rappresentando un grave ostacolo e pericolo per l'evoluzione dell'Islām. Nonostante ciò, nei dieci anni successivi Maometto ebbe l'opportunità di proseguire nella sua predicazione pubblicamente, di pregare liberamente e, soprattutto, di creare una comunità teocratica islamica, la umma, nella quale l'integrazione fra musulmani meccani (Muhājirūn, «Emigranti») e medinesi (Anṣār, «Ausiliari») fu

raggiunta, in un primo momento, grazie al sistema della «fratellanza» istituito da Maometto24 e si consolidò con una sorta di trattato,

firmato dai medinesi, che prese il nome di «Costituzione di Medina», in cui vennero sanciti diritti e doveri dei musulmani e dei medinesi non convertiti. È interessante notare, inoltre, che questa ha costituito, fino ad epoche recenti, il prototipo al quale si sono ispirati i

musulmani nella redazione dei trattati tra vincitori e vinti e, più in generale, nelle relazioni diplomatiche. La carta, che Muḥammad ritenne non rispettata dalla controparte, rappresentò la motivazione per l'aggravarsi delle ostilità nei confronti dei gruppi tribali ebrei a Medina, tanto che da lì a poco questi ultimi furono perseguitati ed espulsi dalla città, con il conseguente incameramento dei loro beni, ritenuti necessari per dare consistenza economica alla umma e ai musulmani in generale. Nonostante la convinzione di Maometto di poter essere riconosciuto anche dagli ebrei come «Messaggero di Dio», relegando il giudaismo a mero «antefatto religioso» dell'Islām,

23

M. Eliade, Islam cit. p. 467.

(14)

14

il Profeta accettò l'insuccesso nei loro confronti e iniziò a rivolgersi agli arabi della penisola, ritenuti come l'entroterra naturale ove imporre il nuovo credo, anche attraverso l'alleanza (non conversione) con i capi delle numerose tribù locali. Fu, allora, indicata

definitivamente la città verso cui rivolgersi durante la preghiera (qibla): la Kaʿba di Mecca, non più Gerusalemme; l'arabo divenne la lingua per eccellenza (addirittura divina) e coloro che rispondevano al messaggio «arabo» avrebbero fatto parte della «miglior nazione creata» (Corano III, 1-10) 25. Il ruolo che Maometto ricoprì a Medina non fu soltanto quello di Profeta, ma anche di leader politico: grazie a lui, infatti, si raggiunse la pacificazione dell'oasi, fino a quel momento dilaniata da sanguinose faide26.

2.5 La battaglia di Badr e il ritorno a La Mecca

Oltre che nella costruzione della comunità islamica, Maometto dimostrò le proprie capacità anche dal punto di vista militare,

respingendo gli attacchi esterni dei meccani27. A segnare il passaggio da una fase prettamente difensiva ad una offensiva fu una rivelazione che invitava il Profeta a combattere i politeisti28 e che rispose alla necessità di risolvere il conflitto con la tribù di Maometto, i Qurayš de La Mecca. I musulmani iniziarono ad attaccare i meccani

attraverso il meccanismo (all'epoca diffuso nelle società beduine) delle razzie. La prima di queste si ebbe a Nakhla, nel 624 d.C., alla quale ne seguì una decisamente più impegnativa, a Badr, contro un convoglio di ritorno dalla Siria. Benché in quell'occasione i meccani fossero ben organizzati difensivamente, i musulmani di Medina, grazie soprattutto all'incitamento ricevuto da Muḥammad, che li

25 B. Scarcia Amoretti, Il mondo musulmano, cit. pp. 49-50. 26

G. Endress, Introduzione alla storia del mondo musulmano cit. p. 46.

27

C. Hillenbrand, Islam, una nuova introduzione storica.

(15)

15

rassicurò del supporto di Dio in battaglia, ottennero una schiacciante vittoria29. Da qui in poi i risultati ottenuti nella guerra contro La Mecca furono altalenanti: dapprima la sconfitta di Uḥud, in cui il Profeta rimase ferito, e poi la c.d. battaglia del Fossato, a Medina, nella quale i musulmani dovettero respingere l'avanzata dei meccani e dei loro alleati, e dalla quale Maometto uscì vittorioso.

Forte dei successi ottenuti in battaglia, il Profeta decise quindi di tentare di inglobare nella umma la popolazione della Mecca grazie anche alle sue eccezionali abilità nella negoziazione, che gli permisero, infine, di concordare ad al-Ḥudaybiyya (località ai margini dell'area sacra meccana) non soltanto una tregua di dieci anni, ma anche il suo rientro in città l'anno successivo. Nel 629, quindi, in base agli accordi presi ad al-Ḥudaybiyya, la popolazione meccana lasciò la città per tre giorni per permettere ai musulmani di compiere il pellegrinaggio minore, la ‘umra (da non confondere con l'hağğ, il pellegrinaggio maggiore). Nonostante la tregua, però, un gruppo di meccani oppositori di Muḥammad continuò a rifiutare una conciliazione con i musulmani. Il Profeta decise, allora, di avanzare verso La Mecca alla guida del suo esercito e, accordata un'amnistia con i meccani disposti a deporre le armi, fece il suo ingresso in città30. Qui, nel 630 d.C., distrusse tutti gli idoli pagani allora presenti nei pressi della Kaʿba, benché, sembra, abbia tentato di salvare, coprendole con le mani, le raffigurazioni di Maria e Gesù, che erano dipinte su una colonna31.

2.6 La Umma e gli ultimi anni del Profeta

Nei due anni successivi, Maometto si concentrò nel riunire le varie tribù arabe all'interno della umma musulmana32, la cui

29 B. Scarcia Amoretti, Il mondo musulmano, cit. pp. 50-51. 30 C. Hillenbrand, Islam, una nuova introduzione storica. 31

Al-Alzraqī, Akhbār Makkah, Beirut, s.d., p. 165.

32 A. J. Silverstein, Islamic history, A very short introduction, Oxford University

(16)

16

organizzazione giuridica iniziava a prendere forma. Il suo punto focale e cuore della comunità era la moschea (masjid), luogo ove riunirsi nella preghiera; la stabilità finanziaria era garantita dalle

zakāt (elemosina obbligatoria, imposta come tassa) e dalle sadaqa

(atto di pietà); la guerra contro gli infedeli (jihād) era necessaria per difendere ed espandere il dominio dell'Islām. Inoltre si gettarono le basi per un nuovo regime del diritto di famiglia e delle successioni: la donna doveva essere trattata come un individuo ed era garantita sicurezza sociale a lei e ai suoi figli. Infine la poligamia, il cui regime era, fino a quel momento, vago e incerto, fu regolamentata

definitivamente, prevedendo severe punizioni in caso di adulterio33. La comunità musulmana era ormai diventata la forza più grande di tutta la penisola arabica: un vero e proprio Stato fondato su vincoli ideologici.

Fu nel suo ultimo anno di vita, ovvero nel 632, che Muḥammad compì un hağğ che prese poi il nome di «Pellegrinaggio d'addio», per poi tornare a Medina ove si ammalò improvvisamente. Morì da lì a poco, nelle braccia della giovane moglie ʿĀʾisha34.

Dopo la morte del Profeta seguì una graduale e progressiva

espansione dell'Islām e della sua comunità, che vide succedere al suo comando i quattro califfi «Ben Guidati»: dapprima Abū Bakr, uno tra i più fidati compagni di Maometto, poi ʾUmar , ʾUthman e, infine, ʼAlī, cugino di Muḥammad 35

, già a capo della shî‘ah («partito» o «fazione» di ʼAlī ), dalla quale nacque la dottrina dello sciismo36.

33

G. Endress, Introduzione alla storia del mondo musulmano cit. pp. 48-49.

34 M. Ruthven, Islam, cit. pp. 40-41. 35

M. Ruthven, A. Nanji, Historical atlas of Islam, Harvard University Press, 2004, p. 34.

36 M. Campanini, Dizionario dell' Islam, Religione, legge, storia, pensiero, Rizzoli,

(17)

17

2.7 L'espansione dell'Islām

Nei secoli successivi, l'Islām si è diffuso non soltanto attraverso le numerose conquiste, come si è soliti pensare, ma grazie anche alla conversione al credo. Sotto questo punto di vista, il Corano è chiaro: «non vi è costrizione nella Religione» 37. Diverse sono le ragioni per cui molti popoli si convertirono all'Islām: per molti Cristiani, stanchi delle continue dispute teologiche circa la natura umana o divina di Cristo, l'Islām offrì accoglienza in una religione in cui si riconosceva il ruolo di Cristo, precursore di Muḥammad; per gli Ebrei, invece, apparve come una religione rinnovata, nella tradizione di Mosè ed Abramo. Inoltre le norme musulmane riguardanti il matrimonio ebbero uno ruolo cruciale nell'espansione della religione: la donna appartenente a una delle ahl al-dimma (comunità protette) che sposava un musulmano non era obbligata a convertirsi, ma i figli dovevano essere cresciuti come musulmani, assicurando così

l'islamizzazione delle generazioni successive. Questa pratica portò ad un forte aumento dei nuovi fedeli soprattutto nelle aree in cui era consuetudine, per i vincitori, sposare le donne dei gruppi tribali sconfitti38.

Attualmente l'Islām può contare su oltre un miliardo e ottocentomila fedeli nel mondo39 e da recenti studi sembra che il numero sia destinato a salire: è previsto, infatti, un aumento del trentacinque per cento nei prossimi venti anni, superando la soglia dei due miliardi nel 2030. Circa il quindici per cento dei musulmani vive in Europa, Africa Sub-Sahariana e America40, mentre la maggior parte risiede nei territori che si estendono dalla costa Atlantica del Nord Africa

37

Corano, II, 256.

38 M. Ruthven, A. Nanji, Historical atlas of Islam cit. pp. 31-32.

39 <

https://www.pewresearch.org/fact-tank/2017/04/06/why-muslims-are-the-worlds-fastest-growing-religious-group > [consultato il 22/06/2019]

40

< https://www.pewforum.org/2011/01/27/the-future-of-the-global-muslim-population > [consultato il 20/06/2019]

(18)

18

all'Indonesia41.

Ad oggi il concetto di umma, ovvero di comunità dei credenti, deve essere considerato in termini astratti: l'Islām è ormai

deterritorializzato e sempre meno appartenente ad una particolare area geografica, società o cultura, mentre il rapporto fra credenti e religione e fra società ed Islām continua ad evolversi42.

3.1 La Sharī‘a, legge sacra dell'Islām

A differenza della nostra tradizione, ove la legge è concepita come diretta emanazione di un potere umano costituito (es. il popolo, il monarca) e frutto dell'intelletto umano, la legge (hukm) della umma è emanazione e parola di Dio, il grande legislatore, che detta regole di condotta per ogni singolo credente e per la comunità in generale. Il credente musulmano, pubere e sano (quindi responsabile, mukallaf) è tenuto ad osservare le regole imposte da Allāh, pervenute alla

comunità attraverso la missione profetica di Muḥammad43. La sharī‘a rappresenta dunque la costituzione fondamentale dei musulmani: deve essere applicata fino a quando non sarà abrogata da un testo di forza eguale o superiore emanato dallo stesso legislatore (in questo caso Allāh) o da qualcuno investito di un potere superiore; tutto ciò che è conforme è valido, tutto ciò che è contrario è nullo e mai esistito, indipendentemente dall'evoluzione del pensiero sulla legislazione44. Il significato del termine sharī‘a («via verso un luogo dove si trova l'acqua»45, «sentiero da seguire»46) per ciò che attiene

41

M. Ruthven, A. Nanji, Historical atlas of Islam cit. p. 180.

42

L. Etheredge, Islamic history, in The islamic world, Encyclopaedia Britannica, 2010, pp. 212-213.

43

M. Papa, L. Ascanio, Shari'a, La legge sacra dell'Islam, Il Mulino, Bologna, Epub, 2014.

44 A. Pacini, Dibattito sull'applicazione della Shari'a, in Dossier Mondo Islamico,

vol. I, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 1995, p. 15.

45

M. Ruthven, Islam, cit. p. 73.

46 In questo senso, l'Islām rappresenta il sentiero fra due confini: ciò che è

(19)

19

all'aspetto giuridico, riguarda la totalità dei comandamenti di Dio che regolano numerosi aspetti della vita quotidiana nella comunità musulmana: politica, economia, contratti, famiglia, sessualità, questioni sociali47. Il concetto espresso dalla sharī‘a, però, è molto più ampio e non si limita a quello strettamente giuridico: include infatti usanze, costumi, particolari del rituale che di volta in volta integrano le leggi consuetudinarie locali48. È soltanto nella sua accezione più ristretta che coincide col significato di «legge

islamica» rivelata ai soli musulmani, assumendo il valore di «diritto islamico» (sharī‘a al-islāmiyya), che ha lo scopo di regolare le condotte umane che si manifestano attraverso gli atti del corpo (foro esterno), con esclusione delle «questioni del cuore» (foro interno)49, in quanto racchiuse nell'intimità del rapporto di fede (iman) tra Allāh e l'uomo, a cui è stata concessa la libertà di godere di quanto di buono Allāh gli ha donato. Ma per limitare eventuali abusi di tale libertà ed evitare la disgregazione della comunità, Dio pone dei limiti (hudud) da rispettare, che assumono il valore di legge, ambito

principale della sharī‘a50.

Questa «legge suprema» ci è stata data in due forme: attraverso il Corano (al-Qurʾān), al cui interno sono enunciati, parola per parola, i comandamenti di Dio, e attraverso la Sunna, che contiene gli

insegnamenti del Profeta e che spiega e chiarisce il Corano51. Corano e Sunna si integrano reciprocamente e hanno la medesima autorevolezza. Soltanto una piccola parte del loro contenuto legale, però, è ritenuta immutabile e non suscettibile al cambiamento, in quanto trasmessa in termini specifici, e coincide con gli obiettivi

47 A. Akgunduz, Introduction to islamic law, in Islamic law in theory and practice,

Islamitische Universiteit Rotterdam Press, Rotterdam, 2010, p. 19.

48

M. Ruthven, Islam, cit. p. 73.

49 A. D'Emilia, Scritti di diritto islamico, a cura di F. Castro, Istituto per l'Oriente,

Roma, 1976, p. 47.

50

M. Papa, L. Ascanio, Shari'a, La legge sacra dell'Islam.

51 S. A. A. Maududi, The islamic law and constitution, Islamic Publications Ltd.,

(20)

20

fondamentali della sharī‘a. Quando Corano e Sunna riconoscono come primari determinati obiettivi allora tutte le misure necessarie per la loro realizzazione, siano esse legislative, esecutive o

giudiziarie, sono ammissibili e tutelate dalla Legge Sacra. Esse sono flessibili nella misura in cui non sono espressamente specificate dalle fonti e, quindi, restano aperte a considerazioni di politica pubblica (siyāsa šariyya). Si può dire, dunque, che la sharī‘a stabilisce gli scopi da perseguire, ma è flessibile per ciò che riguarda i mezzi52.

3.2 Il fiqh

Il termine fiqh indicava, originariamente, la comprensione

nell'ambito delle scienze islamiche, ma col tempo ha acquistato un significato più specifico, ovvero quello di scienza del diritto (ilm

al-fiqh) che ha per oggetto lo studio della sharī‘a53.

Frequentemente fiqh e sharī‘a sono considerati sinonimi, ma i due termini possono coincidere soltanto entro il concetto di «diritto islamico», anche se con delle differenze. La Legge sacra, in un certo senso, rappresenta la via rivelata da Allāh, il fiqh invece consiste nell'attività giuridica condotta dall'uomo, il cui scopo è di rendere effettiva la sharī‘a 54 ricavandone regole e principi dalle sue fonti55.

Fiqh è, dunque, conoscenza della ripartizione sciaraitica delle azioni

umane56, suddivise in: atti obbligatori (fard, es. digiuno nel mese del Ramadan57), proibiti (ḥarām, es. divieto di contrarre matrimonio con parenti di sangue58), consigliati (mandùb), riprovevoli (makrùh, es. il ripudio, ṭalāq), leciti (halal, es. cibarsi dei cibi non espressamente

52 A. Pacini, Dibattito sull'applicazione della Shari'a, cit. pp. 129-130. 53

M. Campanini, Dizionario dell' Islam, Religione, legge, storia, pensiero.

54 M. Papa, L. Ascanio, Shari'a, La legge sacra dell'Islam. 55 A. Akgunduz, Introduction to islamic law, cit. p. 21. 56

F. Castro, Il Modello Islamico, cit. p. 10.

57

Corano, II, 182.

(21)

21

proibiti59)60.

I giuristi musulmani studiosi del fiqh (fuqahà, al singolare faqih) ritengono che si possa effettuare una ripartizione della scienza del diritto nelle fonti (o radici, usûl al-fiqh) e nei rami del diritto (furû’

al-fiqh). Questi ultimi rappresentano il corpus delle norme

sciaraitiche e sono a loro volta suddivisi in ‘ibādāt, ovvero le regole rituali aventi carattere extragiuridico e pratiche del culto in senso stretto, e mu‘āmalāt, cioè le categorie di azioni che definiremmo diritto processuale, diritto penale, diritto tributario, diritto di

famiglia, diritti reali. Le fonti del diritto islamico (usùl, al singolare

asl) comprendono il Corano, la Sunna, il consenso della Comunità

e/o dei Dottori (Iğmā) e l'analogia (Qiyās)61.

4.1 Le fonti del diritto islamico (usûl al-fiqh). Il Corano

Il Corano rappresenta la fonte primaria del diritto musulmano, anche se soltanto il dieci per cento circa dei suoi seimila versetti contiene prescrizioni di carattere religioso o giuridico, per lo più risalenti al periodo medinese del Profeta62. Per il credente musulmano, il Corano non è opera dell'uomo ma è la Parola di Dio (kalām Allāh),

teoricamente immutata e immutabile63. Il Corano (in arabo Qur’ân) contiene la totalità delle rivelazioni che Muḥammad ha ricevuto testualmente da Dio per mano dell'arcangelo Gabriele. La redazione definitiva del testo fu ordinata dal terzo califfo Uthman ventidue anni dopo l'Egira del Profeta e rappresenta il primo libro scritto in lingua araba. I capitoli (sūra) sono centoquattordici e si suddividono a loro volta in versetti (āyāt, «segno di Dio»). Gli scrittori musulmani ritengono che soltanto cinquecento circa degli oltre seimila versetti

59 Ibidem, V, 5.

60 M. Papa, L. Ascanio, Shari'a, La legge sacra dell'Islam. 61

F. Castro, Il Modello Islamico, cit. pp. 10-11.

62

M. Ruthven, Islam, cit. p. 75.

(22)

22

esprimono norme giuridiche, suddivisibili in cinque gruppi: norme dogmatiche (credenza in Dio e nei suoi Libri), norme morali (qualità dell'uomo virtuoso), norme cultuali (zakāt, pellegrinaggio, digiuno, preghiera), norme sull'abbigliamento e regole alimentari, norme giuridiche in varie materie (status libertatis, matrimonio, successioni, pene e sanzioni, vendita, locazione e altre). La frammentarietà e incompiutezza del testo è di volta in volta integrata dalla Sunna, considerata un vero commento autentico del Corano64.

4.2 La Sunna e gli Hadīth

Ancora oggi la Sunna è considerata la seconda incontestabile fonte (o radice) del diritto islamico. Essa è composta dall'insieme delle

tradizioni (ḥadīth) di fatti, detti, comportamenti e silenzi attribuiti al Profeta Maometto non tanto in qualità di «Messaggero di Dio», ma nella sua condizione umana. Quest'ultimo infatti, divenuto infallibile ('isma) e ricevuta la grazia, attraverso la Rivelazione, di essere l'essere umano più vicino alla verità ultima, è «il migliore tra gli uomini»: la sua condotta quotidiana rappresenta l'esempio a cui i fedeli della comunità musulmana devono ispirarsi65. La Sunna però non deve essere considerata come un semplice catalogo di

comportamenti e condotte da emulare. Questa è in grado di fornire un gran numero di informazioni da esaminare, applicabili poi in determinati contesti. Sotto questo punto di vista, Muḥammad non è soltanto un modello a cui tentare di uniformarsi; non è soltanto una persona, «quanto un principio»66.

C'è da dire che molti esperti occidentali e musulmani modernisti hanno messo in dubbio l'autenticità di numerosi ḥadīth. Inoltre,

64 F. Castro, Il Modello Islamico, cit. pp. 13-15. 65

M. Papa, L.Ascanio, Shari'a, La legge sacra dell'Islam.

66 K. Reinhart, Islamic Law as Islamic Ethics, in Journal of Religious Ethics, nn.

(23)

23

alcuni di questi ne contraddicono altri e non è semplice per gli studiosi individuare quelli «buoni» (hasan) e quelli «deboli» (da' if). Ciononostante la Sunna è ancora considerata, dalla maggior parte dei musulmani, la seconda fonte del diritto islamico67.

Proprio dalla lettura di un ḥadīth gli studiosi delgli usûl al-fiqh hanno ritenuto necessario elaborare un'ulteriore fonte, l'Iğmā, al fine di rendere più coerente la regolamentazione del sistema giuridico islamico68.

4.3 Il consenso della comunità musulmana: l'Iğmā

L'ḥadīth in questione stabilisce che «ciò che ai Musulmani è parso buono, è buono anche al cospetto di Dio»; «la mia comunità non si troverà mai d'accordo su un errore». Allāh ha dunque concesso alla

umma la caratteristica dell'infallibilità, qualora dovesse manifestare il

proprio unanime accordo circa l'applicazione di una regola o precetto, poiché tale consenso è «frutto dell'ispirazione divina»69. Bisogna specificare però che, in questo caso, con «accordo della

umma» ci si riferisce, in realtà, al consenso dei Dottori,

rappresentanti della comunità musulmana, in un determinato contesto storico circa uno specifico argomento che rientri nell'ambito della

sharī‘a. Appare evidente quindi la rilevanza di questa terza fonte del

diritto, la cui funzione, sotto certi aspetti, può risultare addirittura superiore a quella del Corano e della Sunna: è proprio l'Iğmā che ne garantisce l'autenticità della loro interpretazione agli occhi dei fedeli. Proprio per questo motivo è assai frequente il richiamo dell'Iğmā all'interno dei trattati giuridici, quale giustificazione di norme e singoli istituti70.

67 M. Ruthven, Islam, cit. p. 76. 68

M. Papa, L. Ascanio, Shari'a, La legge sacra dell'Islam.

69

Ibidem.

(24)

24

4.4 Il procedimento analogico: il Qiyās

Quarta e ultima fonte del diritto musulmano è il Qiyās. Esso consiste, dal punto di vista tecnico giuridico, nella deduzione per analogia, cioè nell'applicazione, ad un caso o atto nuovo o fino a quel

momento non ancora esaminato, di una delle cinque classificazioni sciaraitiche, sulla base della comparazione con casi analoghi e già sicuramente definiti dal Corano, dalla Sunna o dall'Iğmā71.Nel periodo di formazione del diritto musulmano alcuni dottori della legge rifiutavano il Qiyās, il cui utilizzo era controverso poiché significava ritenere insufficiente il Corano. Un chiaro esempio di applicazione del Qiyās riguarda le bevande alcoliche. Alcuni studiosi del diritto ritengono che vadano proibite soltanto quelle bevande alcoliche che si ottengono attraverso la fermentazione della vite o della palma da dattero; altri invece, applicando il ragionamento analogico, estendono tale divieto a tutte le bevande alcoliche sulla base della vera ragione della proibizione: «Tutte le bevande inebrianti vanno considerate pari al vino. La vodka è una bevanda inebriante. Di conseguenza la vodka è proibita»72.

4.5 Oltre gli usûl al-fiqh: ’urf e iğtihād

La scienza della metodologia giuridica musulmana ha ammesso ulteriori fonti (secondarie) del diritto rispetto a quelle fin qui

esaminate. Tra queste vi è, in primo luogo, la consuetudine (in arabo

‘urf o âdah) che, nonostante non appartenga formalmente agli usûl al-fiqh, ricopre comunque un ruolo significativo nel diritto islamico,

il quale prevede anche istituti di origine consuetudinaria, elaborati dalla dottrina giuridica. Non mancano inoltre eccezioni a principi generali introdotte proprio attraverso la consuetudine, favorendo la diffusione di elementi stranieri all'interno dell'Islām. Normalmente i

71

Ibidem, p. 18.

(25)

25

fuqahà distinguono due tipologie di consuetudine: quella generale

(‘urf ‘àmm), la quale si fonda su un interesse di carattere generale e che è considerata fonte del diritto, in vigore finché dura la causa che l'ha originata, e quella particolare, che opera esclusivamente in un luogo determinato73. Capita comunque spesso che il fiqh abbia la necessità di essere integrato dalla consuetudine, come, ad esempio, nel caso in cui va definito il dovere di obbedienza in capo alla moglie. Ma non sempre il fiqh riesce ad assorbire al suo interno la consuetudine o a soppiantarla: in alcuni casi il diritto islamico riconosce la prevalenza dell'‘urf in determinati settori74.

Tra le fonti secondarie del diritto musulmano vi è poi l'iğtihād. Il termine condivide la stessa radice della parola ğihād («lotta»). Il

faqih deve utilizzare tutte le sue capacità intellettive per discernere i

particolari della volontà di Dio. L'iğtihād è dunque lo strumento attraverso il quale lo studioso della legge cerca di trarre delle conclusioni in merito alla sharī‘a75 al fine di ricavare una norma giuridica applicabile al caso concreto da risolvere76, non regolato espressamente dal Corano o dalla Sunna. Al contrario, ogniqualvolta il caso concreto è disciplinato dalle due fonti del diritto non vi è spazio per l'iğtihād. Quest'ultimo ricopre un ruolo fondamentale nell'adattabilità della sharī‘a poiché le assicura la continuativa applicazione nonostante la velocità del cambiamento nell'era della scienza e della tecnologia77. Per questo motivo l'iğtihād può essere definito come il «principio del movimento dell'Islām»78.

73

F. Castro, Il Modello Islamico, cit. pp. 19-20.

74

M. Campanini, Dizionario dell' Islam, Religione, legge, storia, pensiero.

75 M. Ruthven, Islam, cit. p. 81.

76 M. Papa, L. Ascanio, Shari'a, La legge sacra dell'Islam. 77

A. Pacini, Dibattito sull'applicazione della Shari'a, cit. p. 132.

78 M. Iqbal, The Reconstruction of Religious Thought in islam, Dodo Press, Mosca,

(26)

26

5. La sharī‘a nel XXI secolo

Considerata l'attuale diffusione globale dell'Islām è arduo stabilire come e fino a che punto sia applicata la sharī‘a nelle varie società musulmane. Tendenzialmente, nei Paesi a maggioranza musulmana la Legge sacra ricopre ancora oggi un ruolo decisivo nel diritto di famiglia e in materia di eredità. Nelle aree in cui i musulmani rappresentano la minoranza, invece, si sta tentando di elaborare soluzioni per conservare gli elementi della legge islamica79. In generale, con la nascita degli Stati nazionali il campo d'applicazione della sharī‘a si è andato progressivamente restringendo lasciando spazio al diritto di produzione statale, rimanendo ancorata, in diversa misura, ai settori dell'ordinamento giuridico che più sono legati alla tradizione religiosa, come ad esempio il diritto di famiglia, stato e capacità delle persone, diritto successorio80. Va comunque detto che la legge islamica non è un'entità fissa e inamovibile, ma è viva e armonica, ed è la storia stessa a mostrare la sua evoluzione81.

Scriveva, negli Anni Sessanta, lo studioso pakistano Fazlur Rahman: «la legge si adatterà alle mutate situazioni sociali, ma i valori etici […] rimarranno costanti» 82

, ritenendo che la legge nelle società musulmane doveva essere sì elaborata partendo dagli insegnamenti contenuti nel Corano e nella Sunna, ma anche tenendo conto del contesto storico83.

79 C. Hillenbrand, Islam, una nuova introduzione storica. 80 M. Papa, L. Ascanio, Shari'a, La legge sacra dell'Islam. 81

C. Hillenbrand, Islam, una nuova introduzione storica.

82

F. Rahman, Islam, Weidenfeld & Nicolson, Londra, 1966, p. 256.

(27)

27

CAPITOLO II

LA DONNA NEL DIRITTO ISLAMICO

1. La condizione della donna nell'era pre-islamica e l'avvento dell'Islām

Il rapporto tra l'Islām e le donne rappresenta ancora oggi una tra le questioni più controverse. Da un punto di vista occidentale è

opinione diffusa che, in questo caso, la religione opprima e limiti la libertà delle donne, o addirittura le perseguiti. Sotto un altro punto di vista, invece, ci si appella al diritto delle donne di realizzarsi

seguendo, però, modelli decisamente più lontani da quelli che caratterizzano le società non musulmane. A rendere poi la questione ancora più complessa è l'interazione di aspetti religiosi, storici, culturali e politici84. Per quanto concerne l'aspetto storico e il peso che ha avuto l'avvento dell'Islām, c'è da dire che in numerose realtà tribali dell'Arabia pre-islamica (ǧāhiliyya) le donne erano private di diritti fondamentali, come, ad esempio, la possibilità di scegliere il proprio marito, di divorziare, o anche di ereditare dalla propria famiglia. In (pochi) altri casi la loro posizione era decisamente migliore: potevano essere proprietarie di beni, divorziare e sposarsi a loro piacimento85. Prima della missione profetica di Muḥammad predominava, di fatto, il principio del patriarcato a discendenza maschile, il quale attribuiva all'uomo il possesso esclusivo della donna. C'è da dire però che già all'epoca del Profeta in alcuni casi la donna ricopriva un ruolo tutt'altro che marginale. Si è visto, infatti, che la prima moglie di Maometto, Khadīǧa, era una donna attiva e decisamente agiata dal punto di vista economico; la moglie prediletta di Muḥammad, ʿĀʾisha, fu addirittura al comando di una delle

84

M. Ruthven, Islam, cit. p. 90.

85

A. Gunawan, Women and The Glorious Qur'an: An Analytical Study of

Women-Related Verses of Sura An-Nisa, Universitätsdrucke Göttingen, Gottinga, 2004, p.

(28)

28

battaglie combattute durante la guerra civile dei primi anni

dell'Islām86. In generale, ciò che definiva la condizione femminile nell'era pre-islamica erano le tradizioni e i costumi delle tribù; questo a causa dell'assenza di un governo centrale, come si è detto nel primo capitolo. È proprio sotto questo aspetto che l'affermarsi dell'Islām ha rappresentato un punto di svolta epocale, spostando l'attenzione dalla tribù all'individuo sulla base di concetti come la famiglia e la umma, dando vita ad un nuovo sistema nel quale tutti gli individui erano uguali, indipendentemente dal loro sesso, razza o età. Erano dunque i principi etici e religiosi a determinare i diritti delle donne, non più le tradizioni tribali87.

Secondo l'opinione dei tradizionalisti (per la maggior parte uomini), fu grazie alla missione profetica di Muḥammad che la condizione delle donne arabe di allora migliorò decisamente, garantendo loro diritti fondamentali fino ad allora negati, come il diritto di

successione; il marito, poi, fu obbligato a provvedere alla moglie e ai figli. Come si evince da alcuni versi del Corano, nell'epoca pre-islamica della ǧāhiliyya («ignoranza»), l'abbandono delle vedove e l'infanticidio femminile erano fenomeni assai frequenti88.

2.1 La donna nel Corano

Come si è detto nel primo capitolo, il Corano rappresenta la fonte principale del diritto islamico e dell'intera dottrina musulmana. È opportuno, quindi, iniziare la trattazione dell'argomento proprio dal Libro Sacro, al cui interno vi è un gran numero di sūre che hanno ad oggetto la donna. Il numero di āyāt (versetti) riguardanti la donna, probabilmente, non è inferiore a quello dei versetti riguardanti

86 G. Vercellin, Istituzioni del mondo musulmano. 87

A. Gunawan, Women and The Glorious Qur'an: An Analytical Study of

Women-Related Verses of Sura An-Nisa, cit. pp. 37-38. 88 M. Ruthven, Islam, cit. p. 92.

(29)

29

l'uomo, e questo perché in molti casi il Corano utilizza termini di genere neutro, non riferendosi espressamente all'uomo o alla donna, come nel caso della sūra Al-Baqara («la sūra della vacca»), ove sono stabilite le regole per il digiuno nel mese del Ramadān, nella quale il versetto numero 183 afferma 89: «O voi che credete! V'è prescritto il digiuno, come fu prescritto a coloro che furono prima di voi, nella speranza che voi possiate divenir timorati di Dio»90. I commentatori e gli studiosi del Corano ritengono che le istruzioni per il digiuno siano, di fatto, rivolte indistintamente sia agli uomini sia alle donne91. In generale, nel Corano la donna è considerata una parte

fondamentale dell'intero cosmo e per questo non sorprende il fatto che contenga una sūra a lei dedicata (la quarta), chiamata proprio

An-Nisâ' («le donne»). Il tema, però, non è affrontato soltanto in

quarta sūra, ma anche in altre, come nella sūra Al-Baqara (nel duecentoventunesimo versetto viene trattato l'argomento dei matrimoni fra musulmani e non musulmani), Mujadala,

Al-Mumtahana ecc. 92

2.2 An-Nisâ', la sūra delle donne

La quarta sūra coranica è per lo più dedicata alle donne credenti e al loro statuto giuridico. Il primo passo (probabilmente del periodo medinese) è incentrato sulla creazione e sull'origine comune dei generi maschile e femminile93, e recita: «Nel nome di Dio clemente e misericordioso! O uomini! Temete Iddio, il quale vi creò da un'anima

89

A. Gunawan, Women and The Glorious Qur'an: An Analytical Study of

Women-Related Verses of Sura An-Nisa, cit. p. 41.

90 A. Bausani, Il Corano, Rizzoli, Milano, 1996 (1ª ed. Sansoni - Accademia,

Firenze 1978), p. 21.

91

A. Gunawan, Women and The Glorious Qur'an: An Analytical Study of

Women-Related Verses of Sura An-Nisa, cit. p. 41. 92

M. Shaltut, Tafsir al-Qu'ran al-Karim, Diponegoro, 1990, p. 323.

93

I. Zilio Grandi, La creazione della donna nel Corano e il suo ruolo nella

tradizione islamica , in Le religioni e il mondo moderno, vol. IV, a cura di G.

(30)

30

sola. Ne creò la compagna e suscitò da quei due esseri uomini molti e donne; temete dunque quel Dio nel nome del quale vi chiedete favori l'un l'altro, e rispettate le viscere che vi hanno portato perché Dio è sopra di voi che v'osserva.» 94 (Corano, IV, 1). Non viene ripresa esplicitamente in questo passo, dunque, l'idea della prima donna plasmata con una costola dell'uomo: Allāh ha creato tutti gli esseri umani da un'unica anima, un' «anima sola» (nafs wāḥida), come risulta similmente anche in altri punti del Corano (Corano, XXXIX, 6) 95. Gran parte degli esegeti e dei musulmani ritiene che in questa

sūra coranica il concetto di «anima sola» coincida con Adamo,

sebbene il termine nafs (anima) sia considerato femminile96.

Inoltre, come si evince da questo primo āyāt, dalla prima anima Dio «ne creò la compagna». Il termine zawj (compagna) letteralmente significa «l'altro elemento di un paio o di una coppia», «l'uno dei due» e quindi senza alcuna determinazione nel genere, anche se non si può negare che l'utilizzo dominante del termine nel Corano sia femminile per senso. È interessante notare, a questo punto, come l'impiego del termine zawj esprima complementarietà e reciprocità nel rapporto fra uomo e donna 97, una sorta di fratellanza che è stata ricollegata dal lessicografo medievale Ibn Manẓūr anche al rapporto tra il termine nafs (anima) e akh (fratello) 98.

Sempre nella sūra delle donne si legge: «gli uomini sono preposti alle donne, perché Dio ha prescelto alcuni esseri sugli altri e perché essi donano dei loro beni per mantenerle» (Corano, IV, 34) 99. In questo caso la priorità maschile ha rilevanza soprattutto da un punto

94

A. Bausani, Il Corano, cit. p. 54.

95

I. Zilio Grandi, La creazione della donna nel Corano e il suo ruolo nella

tradizione islamica, cit. p. 342.

96 Abu Mansur Ahmed Tabarsi, Majma' Bayan fi tafsir Qu'ran, Dar

al-kutub al-'ilmiyya, Beirut, 1997, pp. 3-6; Fakhr al-Din al-Razi. Mafatih al-gahyb, Dar ihya' al-turath al-arabi, Beirut, 1995, pp. 476-477.

97 I. Zilio Grandi, La creazione della donna nel Corano e il suo ruolo nella tradizione islamica, cit. pp. 346-347.

98

Ibn Mukarram Ibn Manẓūr. Lisan al-'Arab, vol. VI, Dar Sadir, Beirut, 1990, pp. 233-236.

(31)

31

di vista strettamente giuridico e in particolare riguardo alla disciplina delle quote ereditarie. La motivazione di tale precetto è data con chiarezza ed è da ricondurre al fatto che «essi donano dei loro beni per mantenerle». Il versetto si conclude poi trattando l'argomento della disubbidienza al marito 100: «Quanto a quelle di cui temete atti di disubbidienza, ammonitele, poi lasciatele sole nei loro letti, poi battetele; ma se vi ubbidiranno, allora non cercate pretesti per maltrattarle; ché Iddio è grande e sublime»101. Scriveva al riguardo Mawdūdī, uno dei più grandi teologi musulmani del ventesimo secolo: «Ogni volta che il Profeta (che la pace sia con lui) ha concesso a un uomo di infliggere una punizione corporale a sua moglie, lo ha fatto con riluttanza, e ha sempre espresso la sua avversione in proposito. E anche nei casi in cui l'ha riconosciuto come necessario, il Profeta (che la pace sia con lui) ha ordinato agli uomini di non colpire sul volto, di non picchiare con troppa forza e di non usare nulla che possa lasciare segni sul corpo»102. Sono però opportune alcune precisazioni in merito al concetto di disubbidienza (nushūz). Secondo l'opinione dei commentatori la disubbidienza femminile in questione consiste, in particolare, nella renitenza alle relazioni sessuali, le quali sono prescritte all'uomo come lecite in qualsiasi modo all'interno di un'unione legittima, come si legge nella

sūra al-Baqara (Corano, II, 223) 103

. Lo studioso e storiografo dell'Islāmal-Dhahabī scrisse nel suo Libro dei peccati gravi (al-Kabāʾir) che la donna è tenuta a non rifiutare il marito quando egli la

desidera, anche se ritiene che questo non valga qualora la donna abbia qualche sorta di impedimento, dovuto alle mestruazioni, al

100

I. Zilio Grandi, La creazione della donna nel Corano e il suo ruolo nella

tradizione islamica, cit. p. 364. 101 A. Bausani, Il Corano, cit. p. 58. 102

S. A. A. Maududi, Tafhim al-Qu'ran, vol. II, Islamic Foundation, Leicester, 1989, p. 36.

103 I. Zilio Grandi, La creazione della donna nel Corano e il suo ruolo nella tradizione islamica, cit. p. 365.

(32)

32

parto o altro104. Il famoso teologo al-Ghazâlî (morto nel 1111) ritenne, poi, che la «malizia» della moglie vada corretta con «disciplina e severità» 105 e, nel caso della disobbedienza da parte della moglie, consiglia di farla tornare sulla strada dell'obbedienza con la forza. Se suo marito la punisce e, come ultima risorsa, la picchia, allora «dovrebbe picchiarla senza causarle ferite [...]», cioè dovrebbe «causarle dolore, ma non in modo che una delle sue ossa si rompa o che sanguini. Inoltre non gli è permesso di colpirla in volto, poiché ciò è proibito»106.

2.3 La superiorità dell'uomo nella sūra al-Baqara

Come si è detto, il tema della condizione delle donne nel Corano non è affrontato soltanto nella sūra An-Nisâ', ma in molte altre. In

particolare, è interessante analizzare il versetto duecentoventotto della seconda sūra coranica (al-Baqara, «la giovenca»), ove si legge: «esse agiscano coi mariti come i mariti agiscono con loro, con

gentilezza; tuttavia gli uomini sono un gradino più in alto, e Dio è potente e saggio» 107 (Corano, II, 228). Se l'interpretazione dei commentatori musulmani della prima parte del versetto è pacifica, lo stesso non si può dire, invece, per la seconda parte. Spesso, infatti, la reciprocità dei comportamenti tra uomo e donna a cui si riferisce la prima metà dell'āyāt in questione è intesa come un rendersi piacevoli a vicenda108. Per quanto invece concerne la presunta superiorità dell'uomo («gli uomini sono un gradino più in alto») le opinioni in dottrina sono discordanti. Da un certo punto di vista si può ritenere

104 Shams Din Muhammad Dhahabī. Al-kabā'ir, a cura di M. Jamil, Dar

al-Safa, Cairo, 2001, pp. 202-203.

105

H. Bauer, Von der Ehe. Das 12. Buch von al-Gazâlî’s Hauptwerk , Max Niemeyer Verlag, Halle, 1917, cit. p. 78.

106 Ibidem, p. 87. 107

A. Bausani, Il Corano, cit. p. 26.

108 Imad Din Isma'il Ibn Kathir. Tafsir Qu'ran 'azim, vol. I, Mu'assasat

(33)

33

che tale superiorità sia da ricercare in un ambito strettamente giuridico, in particolare nel contesto del talāq, ovvero del ripudio. L'uomo che abbia manifestato l'intenzione di divorziare attraverso il giuramento di astensione dai rapporti sessuali con la moglie non può separarsi immediatamente da lei, come invece era possibile

nell'epoca della ǧāhiliyya, ma deve attendere quattro mesi. Una volta ratificato il divorzio, la donna potrà risposarsi soltanto dopo tre periodi mestruali, al fine di evitare una confusio sanguinis. La superiorità maschile sembra così ricollegata al minor tempo richiesto all'uomo per un nuovo matrimonio. Secondo l'opinione di altri esegeti questa presunta superiorità riguardava l'eredità, o anche la

ğihād, intesa nel senso bellico, ove solo gli uomini possono

parteciparvi; altri, ancora, ritenevano che essa consisteva nella forza nell'obbedire ai precetti religiosi, oppure nella possibilità per gli uomini di non ubbidire alle donne, le quali, al contrario, sono tenute a farlo. Secondo l'autorevole opinione di Ibn 'Abbās la superiorità maschile si manifesta attraverso l'adempimento dell'uomo a tutti i suoi doveri nei confronti della moglie, la tolleranza ('ighdā) verso le omissioni di alcuni doveri che incombono su di lei e l'obbligo di rispettare i restanti diritti della donna. Sebbene da queste prime interpretazioni della seconda sūra coranica non sia facile individuare concretamente in che modo si manifesti l'inferiorità delle donne, la superiorità dell'uomo appare già più evidente ed è da ricercare nella maggiore capacità giuridica, nel maggior numero di diritti e nel conseguente maggior carico di obblighi legali, come anche nella superiore forza d'animo voluta da Allāh 109: la donna è quindi considerata inferiore all'uomo e ha minori diritti e doveri anche dal punto di vista religioso. Ad esempio, la sua quota ereditaria e la sua testimonianza valgono la metà di quella dell'uomo; la sua posizione nel matrimonio e nel divorzio è meno vantaggiosa rispetto a quella

109 I. Zilio Grandi, La creazione della donna nel Corano e il suo ruolo nella tradizione islamica, cit. p. 367.

(34)

34

del marito, il quale ha, inoltre, il diritto di correggerla in determinate circostanze. In altri casi, tuttavia, la sua posizione è equiparata o addirittura più favorevole rispetto a quella dell'uomo. Difatti per quanto riguarda le obbligazioni e la proprietà, la donna è pari all'uomo e il suo regime patrimoniale nel matrimonio è, sotto alcuni aspetti, più vantaggioso rispetto a quello del marito. Inoltre nel caso in cui commetta il reato di apostasia non ha luogo l'esecuzione capitale, ma è costretta a tornare all'Islām mediante le percosse e la carcerazione110. Oltre a ciò l'apostasia rende il contratto di

matrimonio nullo e la moglie perde automaticamente il diritto al mantenimento111.

3.1 Il matrimonio

Il matrimonio e il diritto di famiglia in generale sono pregiudizievoli per le donne sotto diversi punti di vista, e non solo per il già citato diritto del marito di poter punire corporalmente la moglie in caso di disobbedienza, come si è detto analizzando i contenuti della quarta

sūra coranica: basti pensare al fatto che il Corano permette al marito

di divorziare semplicemente pronunciando la formula «ti ripudio», senza la necessità di dare alcuna motivazione né di rivolgersi al tribunale (anche se in alcuni paesi musulmani è richiesto un tentativo di conciliazione in tribunale); una donna può ottenere il divorzio soltanto in tribunale e solo dopo aver dimostrato una cattiva condotta del marito112. Ma come è possibile comprendere a pieno la centralità e l'importanza del matrimonio nella legge islamica? La risposta è da ricercare all'interno delle fonti primarie del diritto musulmano, ovvero nel Corano e negli ḥadīth. Nel Corano il matrimonio è

110

J. Scacht, Introduzione al diritto musulmano, cit. pp. 135-136.

111

Jamal J. Ahmad Nasir. The status of women under islamic law and modern

islamic legislation, in Brill’s Arab and Islamic Laws Series, vol. I, Brill,

Leiden-Boston, 2009, cit. p. 112.

112

C. Schirrmacher, Islam and society, Sharia law , jihad, women in islam, in The

WEA global issues series, vol. IV, Verlag für Kultur und Wissenschaft, Bonn,

(35)

35

presentato come fonte di gioia e benessere per entrambi i coniugi113. All'uomo viene detto che «V'è permesso, nelle notti del mese di digiuno, d'accostarvi alle vostre donne: esse sono una veste per voi e voi una veste per loro» 114(Corano, II, 187), e sia l'uomo sia la donna vengono informati che « [...] Egli v'ha create da voi stessi delle spose, acciocché riposiate con loro, e ha posto fra di voi compassione e amore» 115 (Corano, XXX, 21). Molti altri versetti, poi, affrontano temi inerenti al matrimonio, come l'idoneità del coniuge o i diritti e doveri coniugali. Il Corano, i cui versetti hanno fornito una guida fondamentale per l'elaborazione delle norme coniugali, si è

concentrato particolarmente sul matrimonio poiché ha rappresentato una parte fondamentale delle riforme sociali progressiste introdotte dall'Islām. La Sunna ha fornito, poi, ulteriore materiale, seppur a tratti controverso, da cui poter sviluppare nuove regole del

matrimonio musulmano. Gli ḥadīth hanno sottolineatoil messaggio coranico sul forte valore positivo del matrimonio, come risulta ad esempio da un famoso detto del Profeta: «O giovani uomini!

Chiunque tra di voi abbia l'abilità dovrebbe sposarsi, poiché limita gli occhi e protegge la castità». Non tutta la letteratura degli ḥadīth, però, fornisce una visione incoraggiante del matrimonio: quando gli è stato chiesto cosa ne pensasse dell'atto di prostrarsi dinanzi a qualcun'altro, il Profeta ha così risposto ai suoi seguaci: «Non è lecito per nessuno prostrarsi a nessuno. Ma se avessi ordinato a qualcuno di prostrarsi davanti un'altra persona, avrei comandato alle mogli di prostrarsi ai loro mariti a causa dell'enormità dei diritti dei mariti sulle loro mogli». C'è da dire, però, che a differenza dei versetti coranici, i quali rappresentano la parola di Dio, gli ḥadīth possono essere esaminati in maniera più critica116.

113 J. E. Tucker, Women, family and gender in islamic law, in Themes in islamic law, vol. III, Cambridge University Press, Cambridge, 2008, p. 38.

114

A. Bausani, Il Corano, cit. p. 21.

115

Ibidem, p. 296.

(36)

36

In generale, con l'Islām si è avuto un netto miglioramento della condizione della donna nel matrimonio, vietando ad esempio diverse pratiche matrimoniali frequenti nell'era pre-islamica. Una di queste era la zawaj al-aqat, la quale prevedeva che in caso di morte del marito, il primogenito avrebbe dovuto sposare la moglie del padre defunto117.

3.2 Il nikāḥ

Nel diritto islamico il matrimonio ha un duplice carattere: da un lato rappresenta l'adempimento di un obbligo morale necessario per condurre una buona vita musulmana; dall'altro consiste in un vero e proprio contratto vincolante per il quale sono richieste determinate condizioni di forma e contenuto.118 Mohanlal Dayalji Manek, nel suo

Manuale di Diritto Maomettano, ha descritto l'istituto riuscendo ad

evidenziarne i fini e le peculiarità che lo contraddistinguono: «il matrimonio nel diritto islamico è un contratto il cui scopo è quello di legalizzare i rapporti sessuali e la procreazione. Esso è un contratto puramente civile i cui termini dipendono, entro limiti molto ampi, dalla volontà delle parti consenzienti. Per la sua validità non è richiesta alcuna cerimonia religiosa»119. Il matrimonio (nikāḥ) nel diritto islamico è dunque un contratto riconosciuto dal diritto civile: lo sposo (zāwj) stipula il contratto col tutore legale (walī) della sposa (zawja) e si impegna a pagare il dono nuziale (mahr) alla sposa, e non al tutore, come invece si usava nell'epoca preislamica della

ǧāhiliyya120

. Il matrimonio musulmano non è dunque un

117

Jamal J. Ahmad Nasir. The status of women under islamic law and modern

islamic legislation, cit. p. 21.

118 J. E. Tucker, Women, family and gender in islamic law, cit. p. 41. 119

M. D. Manek, A Handbook of Mahomedan Law, N. M. Tripathi, Bombay, 1961, pp. 22-23.

(37)

37

sacramento121 ed è molto diverso, ad esempio, da quello cristiano. Oltre al mahr, il quale fornisce sicurezza finanziaria nel caso di un eventuale divorzio, esiste sempre un contratto di matrimonio nel quale sono stabiliti i reciproci diritti e doveri dei coniugi. Uno degli aspetti fondamentali del nikāḥ consiste nella responsabilità del marito di guadagnarsi da vivere e il già discusso dovere di

obbedienza della moglie sancito nel trentaquattresimo versetto della

sūra An-Nisâ', che ha portato, in tempi recenti, alcune donne a

inserire nel contratto vere e proprie clausole che permettono loro, ad esempio, di proseguire gli studi o la carriera dopo il matrimonio, poiché il marito in linea di principio ha il diritto di decidere sulla frequenza e sullo scopo per il quale la moglie può allontanarsi dalla casa122. Al riguardo vi è infatti un ḥadīth nel quale viene affermato che «a una donna musulmana non è permesso ammettere qualcuno in casa di suo marito se lui non lo gradisce. Non deve uscire di casa se lui non lo gradisce e non deve ubbidire a chi contraddice i suoi ordini. Non deve rifiutare di dividere il letto con suo marito e non deve picchiarlo (nel caso che sia più forte di lui)»123.

Nella sua dimensione sciaraitica, il nikāḥ si colloca tra le ‘ibādāt e le mu‘āmalāt: appartiene alle ‘ibādāt poiché rende leciti (halal) i

rapporti tra uomo e donna; alle mu‘āmalāt in quanto consiste in un contratto civile. Oltre a ciò, sotto il punto di vista della ripartizione della sharī‘a delle azioni umane nelle cinque categorie, il nikāḥ può essere considerato fard (obbligatorio) per l'uomo che dispone dei beni sufficienti per il mantenimento di una moglie, che ritiene di non nuocerle sposandola e che teme di cadere in tentazione nel caso in cui rimanga scapolo. Ma il matrimonio può anche essere valutato come makrūh (riprovevole), nel caso in cui egli dubiti o sia certo di

121 M. Ruthven, Islam, cit. p. 97. 122

C. Schirrmacher, Islam and society, cit. p. 92.

123 Y. Al-Qaradawi, Al-Halal Wal Haram Fil Islam, American Trust Publications,

Riferimenti

Documenti correlati

direct cytotoxicity towards leukemic cells isolated from CLL patients, and this effect was independent from the TP53 status. As far as we know, this is the first evidence of the

Compared to Oueslati, the Neb Jmel oil showed a lower free acidity (50%) and peroxide value (5.6-fold), and higher chlorophyll (1.6-fold), total phenolics (1.3-fold), flavonoid

Un ulteriore contributo allo studio del diritto islamico si deve a Joseph Schacht (1902-1969) che non si limitò allo studio della Sunna, ma la pose tra gli elementi

Volendo evidenziare il profilo che funge da minimo comun denominatore delle due fattispecie è possibile affermare quindi che tanto il contratto di mushàraka quanto il

Figura 3: Immagine in microscopia ottica in luce polarizzata del campione 10780.15 appartenente al gruppo petrografico delle ceramiche ricche in quarzo

Va rilevato che se accettassimo quella visio- ne monistica, propria al positivismo classico, per la quale il diritto si esaurirebbe nel diritto positivo (rectius, nelle

Oggi l’Arabia Saudita è una monarchia assoluta nella quale il sovrano è anche la massima autorità religiosa, fattore molto importante perché la legge coranica è legge di Stato..

1, CEDU delle disposizioni interne che disciplinano la misura della confisca a seguito di accertamento di responsabilità penale per il reato di lottizzazione