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Trapianto renale

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Academic year: 2021

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Trapianto renale

Il trapianto di rene è la terapia sostitutiva di scelta per i pazienti con insufficienza renale terminale (IRT) le cui cause più frequenti sono rappresentate dalla nefropatia diabetica, dalle nefropatie vascolari , dalle glomerulonefriti, dalla malattia policistica e dalla nefrite interstiziale (1).

A parità di età e di copatologie la sopravvivenza del paziente in dialisi per IRT risulta essere inferiore a quella del paziente trapiantato. In Italia la percentuale di trapianti renali non soddisfa il fabbisogno e complessivamente è inferiore a quelle degli USA e del nord-Europa.

Valutazione del ricevente

Il ricevente prima del trapianto viene valutato per la presenza di comorbidità alle quali viene attribuito un punteggio che complessivamente indica il rischio globale (vedi allegato I). Il paziente "idoneo" al trapianto non deve avere neoplasie ed infezioni acute in atto e non deve essere affetto da coagulopatie incorreggibili o patologia coronarica evidenziabile con le indagini diagnostiche di primo livello(2). La lesione stenosante coronarica trattata con angioplastica o rivascolarizzazione coronarica non rappresenta una controindicazione.

Inoltre la presenza di neoplasie pre-trapianto presuppone il trattamento del tumore stesso ed a seconda del tipo, un periodo libero da malattia da 2 a 5 anni (3,4).

Il trapianto di rene da donatore positivo per gli anticorpi anti-HCV e ricevente negativo per gli anticorpi anti-HCV non viene effettuato, mentre il paziente HBV e/o HCV positivo può ricevere il trapianto previo ciclo di terapia con lamivudina. L’intervento di trapianto renale è controindicato anche per quei pazienti con epatiti in atto , a causa del rischio di sviluppare una sepsi o di facilitare un’ evoluzione rapida della malattia (2,5-10 volte maggiore). Infine nei pazienti con cirrosi scompensata HCV+ e/o HBV+ è indicato il trapianto combinato di rene e fegato. Il paziente HIV positivo può essere sottoposto a trapianto renale quando la malattia è ben controllata e comunque nel quadro di un protocollo ministeriale.

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Per quanto riguarda le condizioni urologiche nel paziente affetto da IRT causata da malformazioni congenite ( come spina bifida, valvola uretrale posteriore, reflusso vescico-ureterale da alterazioni ,eutrofia vescicale, anomalia renali) o da alterazioni acquisite (Tbc, reflusso vescico-ureterale) ed ancora da disturbi funzionali delle basse vie urinarie, nelle valutazione pre-trapianto tali anomalie devono essere corrette (5,6). Nel caso di residuo menzionale e di ridotta compliance vescicale con sviluppo di alta pressione al suo interno, è necessario trattare il ricevente con terapia farmacologia o con cateterizzazione intermittente, ed eventualmente, se falliscono tali strategie, con il confezionamento di una diversione urinaria sopravescicale. Inoltre anche la mancanza di vescica e l’orefizio ureterale impervio a pausa di una parete vescicale ispessita e fibrotica, necessitano della diversione urinaria. Il fine di tali diversioni è ridurre l’alto rischio di perdita del graft , associato alle condizioni urologiche trattate. Queste diversioni sono dei condotti continenti o cateterizzabili con stomia ombelicale che alcuni AA preferiscono eseguire 10-12 settimane prima dell’intrevento (5,6) e

comunque possono complicare il graft se sviluppano stenosi o insufficienza.

L’ampliamento della vescica può essere praticabile anche dopo trapianto, tuttavia i pazienti con vescica dilatata o con anomalie funzionali, presentano un evidente rischio di sviluppare infezioni e quindi perdita secondaria del graft, per tale motivo, viene praticata una terapia profilattica a base di antibiotici nel periodo post-trapianto. Invece le infezioni croniche vescicale o renali devono essere trattate e bonificate prima del trapianto.

Valutazione del donatore

Donatore cadavere

Molto spesso, il tempo che intercorre tra il ricovero in Rianimazione e la morte del potenziale donatore è estremamente breve , rendendo problematico lo studio dei potenziali fattori di rischio per il ricevente. Oggi il miglioramento delle metodiche, utilizzate per quantificare la presenza di marcatori virali nel donatore , integrate da

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del trapianto, seppure esista la teorica possibilità che il donatore abbia contratto l’infezione da pochissimo tempo, e sia ancora nella "fase finestra". Allo stesso modo, non si può escludere con certezza la possibilità di trasmissione di cellule neoplastiche, in caso di presenza, nel donatore, di una neoplasia in fase iniziale e non ancora clinicamente sintomatica e diagnosticabile .

Nel Marzo 2005 sono state pubblicate le Linee Guida Nazionali per la sicurezza del donatore che indicano oltre ai criteri di definizione del rischio per l’utilizzo degli organi anche le modalità operative di valutazione del rischio.

Così per quanto riguarda la definizione di idoneità vengono riconosciute 5 classi distinte.

La condizione di esclusione assoluta è rappresentata dalla sieropositività HIV

1, 2 , dalla coinfezone HbsAg–HDV , da malattie dovute a prione , dalla presenza di infezioni sistemiche, sostenute da microrganismi per i quali non esistono opzioni terapeutiche praticabili e dalla presenza di neoplasia maligna in atto ad alto potenziale metastatico (melanoma, carcinoma mammario, leucemia, linfomi e tumori cerebrali maligni).

La condizione di rischio aumentato, ma accettabile è rappresentata da tutti i

casi in cui il non trapianto sarebbe più rischioso del trapianto, sebbene il donatore sia positivo per patologie trasmissibili.

Il rischio calcolato comprende i casi in cui il donatore ed il ricevente presentano lo stesso specifico agente patogeno o stato sierologico.

Il rischio non valutabile è il caso in cui la valutazione del donatore non può

essere completa ed in questa situazione , l’utilizzo non può essere precluso a priori.

Il rischio standard invece è la condizione ottimale, in cui non emergono fattori di rischio per malattie trasmissibili, comprendendo in questa classe anche la presenza di neoplasie in situ , in T1a e di carcinomi confinati.

Per quanto riguarda le modalità operative per valutare lo stato del donatore devono essere integrate l’anamnesi, l’esame obiettivo, gli esami strumentali, di laboratorio ed

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istopopatologici.(4)

Quando c’è la possibilità di una donazione, il Rianimatore, il Nefrologo, il Chirurgo ed il Patologo valutano la qualità del rene e lo dichiarano idoneo o meno al trapianto. Analogo processo di valutazione viene condotto da un’altra Equipe ,che effettuerà il trapianto. I pazienti generalmente vengono convocati prima che siano disponibili tutti i risultati degli esami eseguiti sul donatore, di conseguenza, può accadere che un paziente venga convocato dal Centro per ricevere un trapianto, a cui invece non sarà sottoposto, se nel frattempo saranno emersi criteri di non idoneità immuologica e clinica.

Al contrario del trapianto cardiaco ed epatico, che sono classificati come salvavita, l’obiettivo del trapianto renale è quello di migliorare ed allungare la vita . Pertanto, l’organo deve essere assegnato al paziente nel quale ci sono più chance di successo. Quanto detto viene garantito dai criteri di allogazione del rene che governano la scelta del candidato ricevente, e che comprendono la compatibilità del gruppo sanguigno e la determinazione del livello di mismatch nella tipizzazione HLA tra donatore e ricevente.(2).

Sia i donatori che i riceventi sono ordinati in cinque livelli in base al mismatch ed al grado di immunizzazione:

• il primo livello comprende i pazienti immunizzati con anticorpi anti linfociti reattivi, che reagiscono con più del 30% della popolazione del pannello (PRA) o con un precedente trapianto e con 0-1 mismatch.

• Il secondo livello riconosce i pazienti immunizzati con 2-4 mismatch e con anzianità in lista superiore ai tre anni.

• Il terzo livello comprende i pazienti con mismatch di 0-1 non immunizzati o

con un titolo anticorpale inferiore al 30%

• Nel quarto livello sono compresi i riceventi con 2-4 mismatch, non

immunizzati o con titolo anticorpale inferiore al 30%.

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Il cross-match è la prova di compatibilità, con la quale si misura l'eventuale presenza nel siero, di anticorpi reattivi contro le cellule del donatore. La presenza di questi anticorpi (cross-match positivo) è indice di sicuro rigetto, indipendentemente dalla somministrazione della terapia immunosoppressiva .

Donatore vivente

Il potenziale donatore, generalmente il coniuge, può essere anche un consanguineo. Anche per il donatore vivente deve essere accertata la compatibilità del gruppo sanguigno ABO e la compatibilità HLA. Inoltre è necessaria una normale funzione renale , la negatività per infezioni in atto e per marcatori virali trasmissibili come , HBV, HCV, HIV, ed infine la non presenza di patologie sistemiche o di neoplasie. (7)

Il rischio per il donatore vivente di sviluppare un giorno una grave insufficienza renale, si aggira intorno allo 0,04% e allo 0,3%, che confrontato con la popolazione generale , 0,03%, è sempre basso (8). È stimato che dopo circa 25 anni , i donatori viventi di rene possano presentare una funzione renale residua in declino( 9 ).

Caso particolare: donatore vivente con PSA aumentato

Nel paziente donatore ultracinquantenne è raccomandata la determinazione del PSA totale e del rapporto PSA free/ PSA totale (2):

-sia per valori di PSA < 4ng/ml,

-che per valori di PSA totale < 10ng/ml associati ad un rapporto > di 25% è consentito il prelievo d’organo a scopo di trapianto,

-nel caso di valori > 10ng/ml è necessaria invece ,un’attenta visita urologia, comprendente l’ecografia transrettale ed eventualmente la biopsia prostatica estemporanea e quindi solo in condizioni di negatività,è possibile procedere all’espianto.

-Il donatore è considerato a rischio standard se è presenta un adenocarcinoma confinato ai lobi prostatici con un Gleason score <4 oppure quando , nell’

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impossibilità di poter eseguire dei controlli istologici, la PSA density risulta essere < 0,01 ng/ml/g.

-Rientrano nel rischio aumentato sia i tumori prostatici con Gleason score >4 in presenza o meno di segni e sintomi che un valore di PSA density > 0,01ng/ml/g. -Infine è considerata inaccettabile la condizione clinica metastatica .

Altri tipi di donatori

I dati del SIT aggiornati al 5 settembre 2006 mostrano la sproporzione esistente tra la disponibilità e la richiesta di trapianto in Italia, con un numero di trapianti renali effettuati , di 600 ed un numero di pazienti adulti in lista di attesa di 6504, di cui 77 bambini. La percentuale reale di organi renali prelevati e trapiantati dai donatori teoricamente utilizzati è del 42,5% (10). Per ovviare alla grave carenza di donatori ed aumentare la disponibilità di organi, sono stati allargati i criteri sulla loro selezione (11) e così

gli organi utilizzati nell’ambito dei nuovi protocolli, prevede:

- donatori anziani. La logica di questo approccio sta nel fatto che se da un lato i reni dei donatori anziani possono offrire delle prestazioni inferiori, con durata minore rispetto a quelli di donatori più giovani, dall’altro lato, i riceventi più anziani hanno anche esigenze di depurazione inferiori e una aspettativa di una vita più breve (11);

- donatori ipertesi, diabetici, con lieve proteinuria;

- donatori affetti da meningite batterica ed altre infezioni sistemiche; - donatori HBc Ab-IgG nel trapianto di cuore, polmone e rene; - donatori anti HCV+ in pazienti riceventi antiHCV+.

Ripresa funzionale

La ripresa della diuresi generalmente compare nelle prime ore dopo il trapianto, però ci sono alcune situazioni, in cui si sviluppa una necrosi tubulare acuta e questa determina un ritardo di ripresa. Le condizioni imputabili dipendono, dal

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tempo di durata , dell’ischemia fredda, dalle condizioni del donatore e del ricevente dopo l’intervento (12,13).

Per escludere la trombosi venosa e la stenosi arteriosa, in caso di mancata ripresa funzionale o di rialzo della creatinina nel primo mese, deve essere eseguito un eco-doppler dei vasi renali e se indicata, una biopsia renale. Un ritardo nella ripresa funzionale può indurre, comunque, a continuare temporaneamente il trattamento sostitutivo dialitico.

Se viene diagnosticata una neoplasia, la terapia immunosoppressiva deve essere ridotta o totalmente sospesa, attualmente però non esistono precisi protocolli in merito.

Trapianto simultaneo di doppio rene

In alcuni studi preliminari è stato dimostrato che reni con modesti danni, visibili esclusivamente al microscopio, possono garantire una buona funzionalità, se trapiantati entrambi nello stesso ricevente, alla stregua di un unico rene ideale (10). Il trapianto di doppio rene sta ottenendo migliori risultati rispetto al trapianto di singolo rene proveniente da donatori anziano, perchè i reni prelevati da quest’ultimi, usati singolarmente, garantiscono la sospensione della dialisi con prestazioni funzionali ridotte rispetto ai reni prelevati dai donatori più giovani.

Secondo i dati riportati dall’UNOS, l’emivita di un trapianto renale da donatore sopra i 60 anni è di 5,3 anni, contro un’emivita di 7,4 anni per donatore tra 45 e 60 anni (Fig 2). I dati riportati dal NTp, mostrano una sopravvivenza a 5 anni dal trapianto da donatore cadavere sopra i 60 anni del 69%, ed una sopravvivenza da donatore tra 45 e 60 anni del 76% (Fig.3).

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Fig2 emivita del graft renale

7,4 aa 5,3 aa

45-60aa >60aa

Fig.3 sopravvivenza a 5 aa dopo trapianto renale 76% 69%

45-60aa >60aa

Complessivamente sono stati eseguiti solo 300 doppi trapianti da donatore anziano, ma questo, ha comunque permesso di confrontare le percentuali di sopravvivenza e di complicazioni intra e post operatorie , rispetto al trapianto di singolo rene da donatore anziano (2).

Nel doppio trapianto le complicazioni chirurgiche sono ovviamente più frequenti. Uno studio americano ha confrontato i risultati della tecnica del doppio trapianto, con quelli del trapianto di singolo rene da donatori con più di 54 anni di età. È emerso che a 3 anni dall’intervento, l’80% dei riceventi di un doppio trapianto ha ancora dei reni funzionanti, rispetto al 64% dei riceventi di un trapianto singolo (Fig.4). La percentuale dei reni , che dopo l’intervento, non riprende immediatamente la propria funzione, è più bassa nel doppio trapianto (27%) rispetto al singolo (43%) e complessivamente i riceventi del doppio trapianto hanno livelli di creatinina sierica a lungo termine significativamente più bassi (fig.5).

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Fig.4 funzionalità a 3 anni 80% 64%

doppio singolo rene

fig.5 ripresa funzionale immediata post intervento 73% 57%

doppio singolo rene

Sulla base di questo studio che ha compreso 84 riceventi di doppio rene e quasi 5.000 riceventi di singolo rene, gli Aa. americani hanno concluso, che i reni provenienti da donatori con più di 60 anni devono essere trapiantati in coppia, in quanto se trapiantati singolarmente, non offrono adeguate garanzie di successo a lungo termine. Questo studio aveva però due limiti: 1) includeva pazienti trapiantati e analizzati retrospettivamente, in Centri diversi; 2) non riportava dati in merito a complicanze degli interventi chirurgici.

I risultati di un secondo studio coordinato dal centro di Bergamo in collaborazione con Genova, Boston, Toronto, Barcellona e Madrid ha confrontato 24 riceventi di doppio trapianto, con 48 riceventi di un singolo trapianto, paragonabili per caratteristiche cliniche e anagrafiche. I reni trapiantati in coppia, provenivano da donatori anziani, ipertesi o diabetici e quelli trapiantati in singolo, provenivano da donatori “ideali”. In questo studio è stato confrontato il rischio di complicanze ed è emerso, che questo è sovrapponibile nei due gruppi di pazienti. In particolare, in

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nessun caso si sono verificate condizioni tali da portare alla perdita del graft/grafts. L’unica complicanza, più frequente nei pazienti che hanno ricevuto due reni “non ideali”, è stata la fistola urinaria, presente in 4 casi su 24. D’altro canto, la ripresa della funzione renale ,ad un mese dal trapianto,è stata soddisfacente per entrambe le tipologie di intervento e tutti i pazienti si sono presentati liberi da dialisi. Al sesto mese dal trapianto però, i pazienti che hanno ricevuto due reni tendono ad avere una funzione renale migliore e con valori pressori inferiori, rispetto a coloro che hanno ricevuto un unico rene.

Sopravvivenza

La sopravvivenza ad 1 anno, dopo intervento di trapianto renale da donatore vivente, è del 95% mentre a 3 - 5anni del 90%. Per quanto riguarda il donatore cadavere, la sopravvivenza ad 1 anno è dell’80% ed a distanza di 3 anni del 70%, per passare al 76% a 5 anni. La sopravvivenza a 5 anni dopo intervento da donatore cadavere anziano è del 69%(7).

Il tasso di sopravvivenza sembra essere correlato sia all’età del donatore cadavere, che al mismatch, riducendosi all’aumentare dell’età e facendo variare di un 10% la sopravvivenza stessa, a seconda del mismatch (Fig.6,7).

Fig.6 sopravvivenza a 10 anni per grado di compatibilità nel trapianto renale 75% 65 % 55% 45% 40% 35% V C V C C C M is m at ch 0 M is m at ch 0 M is m at ch . 3 -4 M is m at ch 1 -2 M is m at .5 -6 M is m at ch 3

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Fig.7 emivita per grado di compatibilità nel trapianto renale 24aa 20aa 12aa 10,4aa 8,4 aa 7,7aa V C V C C C

Generalmente la sopravvivenza a 5 anni dopo il fallimento del primo trapianto risulta essere del 57-64% (130) mentre la necessità di eseguire un secondo trapianto del 33% come (131), M is m at ch 0 M is m at ch 0 M is m .3 -4 M is m at c h 1 -2 M is m .5 -6 M is m at ch 3

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Trapianto di pancreas

Il trapianto di pancreas, rappresenta un trattamento ottimale per il diabete mellito insulino dipendente, perché consente il ripristino di un sistema di secrezione insulinica autoregolante (14) ed una stabilizzazione delle complicanze, del diabete mellito stesso (15-16). La normale secrezione insulinica raggiunta dopo l’intervento, proteggendo gli organi dall’iperglicemia, giustifica l’ottimo controllo della neuropatia periferica (17) e autonomica, della macroangiopatia e della nefropatia diabetica. La retinopatia diabetica invece, non sembra modificarsi (18). Alcuni studi hanno dimostrato la regressione e la guarigione anatomica della nefropatia conclamata (19, 20). Il trapianto di pancreas e rene può essere effettuato in tre modi , il primo con trapianto simultaneo di rene e pancreas (SPK), in cui gli organi derivano da uno stesso donatore cadavere, il secondo con trapianto di pancreas dopo rene (PAK), in cui il pancreas proviene da donatore cadavere e il rene da donatore indifferente, il terzo con trapianto di solo pancreas (PTA).

L’ SPK, permettendo la sospensione della terapia insulinica e di quella dialitica, trova indicazione nei pazienti che oltre al DM1, abbiano sviluppato un’ IRT. Negli ultimi anni, la sopravvivenza di un paziente con DM1 è molto allungata e quest’ultimo sta rappresentando la causa principale di IRT . Nella popolazione generale, è da attendersi quindi , un aumento di IRT conseguente a DM1. Il PKA invece trova indicazione nei pazienti con DM 1, che hanno una funzione renale stabile, una buona riserva cardiaca e hanno la possibilità di ricevere il rene da donatore vivente oppure si sono già sottoposti a trapianto di rene e sono in attesa per il solo organo pancreatico . Il numero di trapianti di rene da donatore vivente sta aumentando perché garantisce, a breve e lungo termine, migliore sopravvivenza del graft e del paziente stesso (21). Complessivamente, il numero di PKA è aumentato dall’11% al 18%, mentre l’intervento di SPK è rimasto stabile, limitato dal numero di reni disponibili.

Invece il trapianto di solo pancreas viene proposto a pazienti con DM1 non controllato e con buona funzionalità renale, tale da determinare una clearance della

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creatinina maggiore almeno di 55 ml/min e un valore di creatininemia inferiore a 2 mg/dl dopo test con ciclosporina.

È necessario tenere conto della più bassa sopravvivenza del PTA rispetto all’SPK. Inoltre, molti studi hanno dimostrato che nel 2-8% dei pazienti sottoposti a PTA, entro il primo anno dall’ intervento , si rende indispensabile l’esecuzione di un trapianto renale, a causa dell’azione nefrotossica dei farmaci immunosoppressori (21). Appare chiaro, come sia utile eseguire un intervento di SPK in quei pazienti con funzione renale normale ma con alto rischio, teorico, di sviluppare un danno renale dopo intervento di PTA .

Il trapianto di isole pancreatiche è considerato, dall'American Diabetes Association, una procedura di tipo sperimentale e non terapeutico, da effettuarsi in determinate condizioni o in alternativa all’interno di trials clinici controllati.

Le sue principali indicazioni sono:

- i pazienti con scompenso glicemico persistente, anche dopo lunghi periodi di terapia insulinica intensiva e rischio cardiovascolare associato, tale da controindicare il trapianto dell’intero organo,

- i pazienti che hanno ricevuto un trapianto di rene e che sono già in terapia immunosoppressiva, che resta comunque necessaria,

- ed i pazienti che devono subire il trapianto multiorgano intra-addominale , per neoplasie non altrimenti trattabili,

- può essere eseguito anche contemporaneamente al trapianto renale, seppur con maggiore difficoltà, prelevando le isole , dal pancreas dello stesso donatore del rene ,

- e come autotrapianto nei pazienti che hanno subito un intervento di pancreasectomia totale o subtotale, per pancreatite cronica e si apprestino a ricevere le isole preparate dal loro stesso pancreas (22).

Un dato importante sembra essere la possibilità di poter eseguire 2-3 trapianti di isole fresche nello stesso ricevente, utilizzando il daclizumab, un anticorpo anti-recettore per l’interleuchina2. Infatti, il mantenimento in coltura o la criopreservazione delle

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isole, ottenute da diverse preparazioni, in mancanza della somministrazione del farmaco, può determinare una riduzione della funzionalità delle isole stesse e verosimilmente, anche delle cellule beta. I dati segnalati dall’International Islet Transplant Registry su 300 allotrapianti, mostrano ad 1 anno, una sopravvivenza globale del 96%, definita tale per valori di peptide-C basale >0,5 ng/ ml, una funzionalità d’organo del 35% ed una condizione di insulino indipendenza del 10%. Recentemente, il gruppo canadese di Edmonton, ha riportato degli ottimi risultati con questo tipo di trapianto, in una decina di pazienti affetti da DM1 senza insufficienza renale e che presentavano gravi episodi di ipoglicemia ed instabilità metabolica. I pazienti hanno ricevuto un trattamento immunosoppressivo, basato su sirolimus, tacrolimus e daclizumab e forse, l'assenza di cortisonici ha contribuito al conseguimento degli ottimi risultati del gruppo canadese. È da segnalare però che a distanza di 2 anni, solo 1/3 dei pazienti ha mantenuto una risposta glicemica normale all’ OGTT, mentre gli altri 2/3 hanno mostrato dei gradi variabili di intolleranza a carboidrati fino al diabete manifesto. In ogni caso, sulla base del protocollo Edmonton, è stato iniziato uno studio multicentrico, i cui risultati saranno disponibili nel prossimo futuro.(23)

Sopravvivenza

Uno primo studio americano del 2003 aveva stabilito, che la sopravvivenza dei pazienti trapiantati di solo pancreas o sottoposti a trapianto combinato era significativamente peggiore rispetto ai pazienti in lista di attesa (27).

Sopravvivenza ad 1 anno a 4 anni 1)pancreas solo

2)pancreas dopo rene lista di attesa per 1) lista di attesa per 2)

96,5% 95.3% 97.6% 97.1% 85.2% 84.5% 92.2% 88.1%

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Invece il recente studio condotto dal gruppo pisano ha indicato che nei diabetici con insufficienza renale, il trapianto combinato pancreas-rene è considerato salvavita e la sopravvivenza è migliore nei trapiantati, rispetto ai pazienti in lista d'attesa (22). Analoghi risultati sono stati ottenuti anche da altri due studi, riportati sull’American Journal of Transplant 2004, che hanno inoltre evidenziato una migliore sopravvivenza per SPK rispetto a PTA, e rischi di ospedalizzazione post-trapianto inferiori per i pazienti sottoposti a PTA.

sopravvivenza graft failure rigetto acuto

3642 23% 15%

2374 11% 9%

La percentuale di secondo trapianto per SPK si aggira intorno all’ 1%.

È stata documentata una più alta morbilità associata a SKA rispetto al trapianto isolato di rene (24,25). Sebbene il trapianto di solo rene sia la migliore scelta terapeutica per i pazienti affetti da IRT, anche secondaria a DM, nel DM1 tale procedura viene superata dal SPK, che oltre a migliorare la funzione renale garantisce anche quella pancreatica. Teoricamente, il doppio trapianto di rene, potrebbe previene la recidiva di nefropatia diabetica, frequente nel trapianto di rene isolato (28). S P K P T A P T A S P K P T A S P K

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Il Registro mondiale dei trapianti del 2006, ha riportato queste percentuali: sopravvivenza

95% 98 % 90% 89% 94%

1 aa 3 aa condizioni del graft

85% 78% 80% 63%

1aa 3aa

Pazienti con SPK e fattori di rischio cardiaci (pregresso infarto del miocardio, bypass e angioplastica coronarica) preesistenti il trapianto stesso, hanno una mortalità più alta, indipendentemente dall’età, mentre in assenza di patologie cardiache , un’età maggiore di 45 anni ha un’incidenza negativa sulla mortalità dei pazienti, sottoposti ad intervento di SPK. Al contrario , la presenza di sola ipertensione e di vasculopatia periferica, non influenza negativamente l’aspettativa di vita e l’esito del trapianto stesso(26).

I dati del SIT aggiornati al 5 settembre 2006 in Italia , mostrano un numero di trapianti di pancreas effettuati , di 58 ed un numero di pazienti adulti in lista di attesa di 170. La percentuale reale di organi prelevati e trapiantati dai donatori teoricamente utilizzati è solo dell’ 8,4% (10).

S P K P A K P T A S P K P K A P T A S P K P K A P T A S P K P K A P T A

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Trapianto di fegato

Il trapianto di fegato, OLT (Orthotopic Liver Transplantation), trova la sua principale indicazione nella cirrosi HCV correlata (29). Ottimi risultati sono stati ottenuti anche nelle cirrosi colestatiche e nella correzione di errori congeniti del metabolismo. Altre indicazioni sono rappresentate dalle malattie epatiche croniche, con evoluzione verso l’insufficienza epatica, dalle neoplasie epatiche, dall’insufficienza epatica post-trapianto e dalle urgenze epatiche , tra cui le epatiti fulminanti, il re-intervento e la rottura epatica traumatica (30,31,39).

Fig.1 indicazioni al trapianto European liver transplantion registry 2006

I criteri che il paziente deve soddisfare per poter accedere alle liste di attesa per OLT sono raggruppati nello score Child Pugh Turcotte, che in base a 5 parametri, da una stima indicativa del rischio di mortalità per il paziente stesso. Per l’epatocarcinoma rispettando i criteri di Milano (noduli neoplastici inferiori a 3 con diametro inferiore ai 5 cm oppure, presenza di 3 noduli inferiori ai 3 cm, in assenza di qualsiasi evidenza o sospetto di invasione vascolare o localizzazione extra-epatica di metastasi) è possibile inquadrare i pazienti che a 5 anni dal trapianto hanno la stessa sopravvivenza dei pazienti candidati senza neoplasia, del 70% e con un rischio di recidiva inferiore al 25%. I dati del SIT aggiornati al 5 settembre 2006 mostrano un numero di trapianti epatici effettuati di 485 ed un numero di pazienti in lista di attesa di 1639 per gli adulti e di 24 per i bambini di. La percentuale reale di organi

6% 9% 59% 11% 4% 11% metabol. 6% FHF 9% cirrosi 59% colest. 11% altre 4% tumori 11%

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prelevati e trapiantati dai donatori teoricamente utilizzati è del 68,7% (10). Per soddisfare alle tante richieste di trapianto sono stati allargati i criteri di selezione d’organo e sono state proposte tecniche chirurgiche innovative, come l’intervento di split liver, in cui il fegato viene diviso in due unità funzionalmente autonome che possono essere trapiantate in due riceventi.(32). Inoltre è nata la figura del donatore marginale, rappresentato da pazienti con più di 50 anni o con positività per anti-HCV /HBc e HbsAg o con macrosteatosi che interessi più del 15-25% degli epatociti o con ipersodiemia maggiore di 155 mmol/l. . Gli organi di questi donatori hanno un alto rischio di disfunzione e di morbilità post-trapianto, per cui la selezione del ricevente deve soddisfare dei criteri specifici. A questo proposito lo score MELD (Mayo End stage Liver Disease), che si basa sulla determinazione dei valori di bilirubina, di INR e di creatinina, riesce a predire quei pazienti che dopo l’impianto hanno un alto rischio di mortalità a breve termine. Indubbiamente, sia lo split liver che il trapianto di fegato da vivente (33-34), rappresentano delle soluzioni tecniche d’avanguardia , che sono riuscite ad aumentare le possibilità di cura per i pazienti.

Il fabbisogno nazionale però non è stato ancora soddisfatto perché a fronte di un continuo ampliamento dell’indicazione al trapianto di fegato , l’auspicabile piena utilizzazione di tutti i donatori cadaveri, e i nuovi criteri di scelta del donatore non permettono di assicurare tale terapia a tutti i pazienti che ne hanno bisogno.

Sopravvivenza

Nell’Unità di Trapiantologia Epatica pisana l’età media per i riceventi è di 52 anni , con una sopravvivenza a 1 e 5 anni dell’ 81,1% e del 70,2% rispettivamente (35). In Italia, l’8.9% dei pazienti trapiantati tra 1983 e 1999 è stato sottoposto a retrapianto e nei 2/3 dei casi, questo è stato effettuato più di 6 mesi dopo il primo trapianto (retrapianto tardivo), questo comunque non può essere proposto ne ai pazienti con alto indice di MELD ne a quelli con ricorrenza di cirrosi HCV correlata.

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Fig.6 sopravvivenza nei pazienti trapiantati di fegato

81.1% 84.1% 81% 70,2%

5aa 1aa 1aa 1aa

La patologia epatica in Italia rappresenta un importante problema di salute pubblica, infatti la cirrosi epatica e l’ epatocarcinoma detengono un’alta mortalità. I risultati delle esperienze più recenti hanno chiaramente dimostrato che questi pazienti ottengono con il trapianto sopravvivenze paragonabili alla popolazione normale sana.(36) .

Pisa Pisa

Italia

Figura

Fig2 emivita del graft renale

Riferimenti

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