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I LIVELLI SIERICI DI ONCOSTATINA M AL BASELINE PREDICONO LA GUARIGIONE ENDOSCOPICA AD UN ANNO DI TRATTAMENTO CON INFLIXIMAB NEI PAZIENTI AFFETTI DA MALATTIA DI CROHN

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Scuola di Medicina

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea Magistrale

I LIVELLI SIERICI DI ONCOSTATINA M AL BASELINE

PREDICONO LA GUARIGIONE ENDOSCOPICA

AD UN ANNO DI TRATTAMENTO CON INFLIXIMAB

NEI PAZIENTI AFFETTI DA MALATTIA DI CROHN

Relatore:

Prof. Marchi Santino

Correlatori:

Dott. Bertani Lorenzo

Dott. Fornili Marco

Candidato:

Veli Arli

Anno Accademico 2018-2019

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“Un sogno, fu un sogno ma non durò poco per questo giurai che avrei fatto il dottore e non per un dio ma nemmeno per gioco: perché i ciliegi tornassero in fiore, perché i ciliegi tornassero in fiore.”

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3 RIASSUNTO ANALITICO ... 5 1 | LA MALATTIA DI CROHN ... 6 1.1 Definizione ... 6 1.2 Epidemiologia ... 6 1.3 Fattori di rischio ... 7 1.4 Eziopatogenesi ... 9 1.4.1 Suscettibilità genetica ... 9

1.4.2 Microbiota e Barriera Intestinale ... 10

1.4.3 Immunità innata e adattativa ... 12

1.5 Classificazione di Montreal ... 15

1.6 Anatomia patologica ... 17

1.6.1 Macroscopica ... 17

1.6.2 Microscopica ... 17

1.7 Manifestazioni cliniche e complicanze ... 19

1.7.1 Manifestazioni addominali e generali ... 19

1.7.2 Manifestazioni intestinali ... 20 1.7.3 Manifestazioni extraintestinali ... 21 1.7.4 Complicanze ... 22 1.8 Diagnosi ... 23 1.8.1 Clinica ... 23 1.8.2 Indagini di laboratorio ... 23 1.8.3 Endoscopia ... 25 1.8.4 Indagini strumentali ... 26 1.9 Terapia ... 28 1.9.1 Glucocorticoidi ... 29 1.9.2 Amminosalicilati ... 29 1.9.3 Antimetaboliti immunosoppressori ... 30 1.9.4 Antibiotici ... 31 1.9.5 Farmaci anti-TNF ... 32

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1.9.7 Terapia nutrizionale ... 36

1.9.8 Terapia chirurgica ... 37

2 | MONITORAGGIO ... 38

2.1 Monitoraggio clinico ... 38

2.1.1 Attività clinica di malattia ... 38

2.1.2 Remissione clinica di malattia ... 40

2.2 Monitoraggio endoscopico ... 41

2.2.1 Attività endoscopica di malattia ... 41

2.2.2 Endpoint di malattia: mucosal healing ... 42

3 | L’ONCOSTATINA M ... 43

3.1 Meccanismo d’azione ... 43

3.2 Ruolo nelle patologie sistemiche ... 44

3.2.1 Cellule e tessuti ... 44 3.2.2 Cute ... 44 3.2.3 Sistema nervoso ... 45 3.2.4 Cuore ... 45 3.2.5 Ambito reumatologico ... 45 3.2.6 Ambito oncologico ... 46 3.2.7 Metabolismo ... 47 3.2.8 Intestino ... 47 4 | LO STUDIO CLINICO ... 50 4.1 Obiettivo ... 50 4.2 Materiali e metodi ... 50

4.2.1 Popolazione dello studio e sua illustrazione ... 50

4.2.2 Analisi statistica ... 51

4.3 Risultati... 52

4.4 Discussione ... 58

4.5 Conclusione ... 60

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Introduzione - In molti pazienti con malattia di Crohn (MC) si osserva perdita di risposta al trattamento con infliximab (IFX). Recentemente sono state sviluppate altre opzioni terapeutiche, e l'identificazione di un biomarcatore in grado di prevedere già alla settimana 0 (baseline) l'esito del trattamento è una delle sfide più importanti per i gastroenterologi. L’oncostatina M (OSM) è una citochina con un effetto pro-infiammatorio in MC, e ci sono evidenze preliminari di un suo aumento nel siero in pazienti con MC. La calprotectina fecale (CF) è il biomarcatore più utilizzato nella gestione dei pazienti con MC.

Lo scopo di questo studio retrospettivo è stato valutare se i livelli sierici di OSM possano essere utilizzati come marcatore predittivo della risposta al trattamento con IFX.

Metodi - Abbiamo incluso nello studio tutti i pazienti con MC trattati con IFX in monoterapia durante il 2017 e il 2018. Tutti i pazienti hanno eseguito una colonscopia alla settimana 54, quando la risposta al trattamento è valutata in termini di guarigione endoscopica (mucosal healing, o MH, definita come la scomparsa di ulcere). Al baseline e dopo 14 settimane di trattamento l'OSM è stato valutato tramite test ELISA, su campioni di siero raccolti prima dell'infusione del farmaco e conservati a -20°C. Abbiamo raccolto anche i dati della CF al baseline e alla settimana 14. Il test di Mann-Whitney è stato utilizzato per valutare l’associazione tra OSM e CF al baseline e alla settimana 14 con il MH alla settimana 54. La performance di OSM al baseline e di CF a 14 settimane nella predizione della MH a 54 settimane è stata valutata tramite modelli di regressione logistica.I modelli sono stati confrontati mediante l'Akaike information criterion (AIC) e l'area under the curve (AUC).

Risultati - Abbiamo incluso 45 pazienti (21 femmine, 24 maschi), 27 dei quali hanno raggiunto il MH. Al baseline i livelli di OSM, ma non di CF, sono stati significativamente più bassi nei pazienti che rispondevano al trattamento rispetto a quelli che non rispondevano (p<0,001 e p=0,94 rispettivamente). Alla settimana 14i livelli sia di CF che di OSM sono inferiori nei responder rispetto ai non-responder (p<0.001). L'accuratezza diagnostica di OSM al baseline nella predizione di MH (AIC = 26.,0, AUC = 0,93) è maggiore di quello della CF alla settimana 14 (AIC= 34,7, AUC = 0,89).

Conclusione - OSM e CF sono biomarcatori in grado di prevedere l'esito del trattamento con IFX. È interessante notare che OSM sembra essere affidabile prima di iniziare il trattamento. Se questi dati dovessero essere confermati, la valutazione dell’OSM potrebbe evitare la somministrazione di IFX in alcuni pazienti, suggerendo l'uso di altri farmaci.

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1.1 Definizione

La malattia di Crohn (MC) è una malattia infiammatoria cronica intestinale (MICI) di natura granulomatosa che può coinvolgere qualsiasi tratto del canale digerente dal cavo orale all’ano, ma solitamente le aree più colpite sono l’ileo terminale e il colon. L’eziopatogenesi è multifattoriale immunomediata, dove è presente un’interazione tra fattori genetici e fattori ambientali.1

La MC è una patologia segmentaria che tende a svilupparsi in profondità, fino all’interessamento transmurale, con lesioni che possono ascessualizzare e creare fistole con i tessuti contigui. Il decorso è cronico, vi si alternano periodi variabili di remissione spontanea o indotta farmacologicamente o chirurgicamente, e periodi di riacutizzazione di durata variabile che possono complicarsi e richiedere anche diversi interventi chirurgici. Questo continuo processo flogistico porta a un rimodellamento fibrotico della parete intestinale, causando sintomi persistenti e invalidanti. Ad oggi la terapia medica riesce a controllare la malattia nella maggior parte dei pazienti, portando a remissione e prevenendo le acuzie, ma essendo una malattia cronica e non conoscendone la vera causa, non è ancora presente una vera e propria cura.1

1.2 Epidemiologia

Le MICI sono una patologia presente più comunemente negli individui caucasici. Nella popolazione adulta dei Paesi sviluppati, negli ultimi decenni, l’incidenza sia della retto-colite ulcerosa (RCU) che della MC ha registrato un significativo aumento, sino ad arrivare oggi ad un plateau; mentre nei Paesi in via di sviluppo l’incidenza è sempre in crescita, facendoci pensare che fattori ambientali presenti nelle fasi iniziali dell’industrializzazione abbiano un ruolo importante nella patogenesi.2 Nella popolazione pediatrica invece il

trend dell’incidenza è sempre in aumento.3

A livello globale l’incidenza della MC varia in base alla regione geografica, quindi all’etnia di appartenenza e al livello di industrializzazione. I Paesi occidentali sono i maggiormente colpiti, con un’incidenza annuale negli abitanti compresa tra 10 e 30/106.La popolazione più colpita è nel Nord America

con 3.1-20.2/106 abitanti/anno, mentre l’Europa si attesta sui 0.5-10.6/106 abitanti/anno.5 In Italia i tassi di

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A differenza dell’incidenza, la prevalenza della MC è in continuo aumento, dovuto soprattutto al fatto che è una patologia ad esordio giovanile e con una mortalità esigua, portando così ad un accumulo di affetti. In Europa la prevalenza è dello 0,3%.5

Finora non ci sono studi che dimostrano la variabilità di incidenza tra i due sessi, il rapporto M:F è di 0.34-1.65.7 E’ stato invece dimostrato un andamento bimodale che attesta un picco iniziale tra i 20 e i 40 anni,

con un secondo picco nella sesta e settima decade.8

1.3 Fattori di rischio

Un fattore di rischio molto rilevante è la familiarità, maggiore nella MC rispetto alla RCU. Il rischio di MICI nei figli di genitori affetti entrambi da MC è del 33%, mentre c’è una concordanza nei gemelli omozigoti del 20-50%, a differenza degli eterozigoti dove si stima attorno al 10%. Nei soggetti con parentela di primo grado con pazienti affetti da MC il RR è pari a 5.9

Un fattore di rischio ambientale altrettanto importante è rappresentato dal fumo. Ha un comportamento particolare nelle MICI: nei caucasici fumatori l’OR di sviluppare il MC è di 1.76 (95% CI 1.40-2.22), rappresentando quindi un fattore di rischio significativo, mentre è di 0.58 (95% CI 0.45-0.75) per la RCU dove quindi il fumo risulta essere un fattore protettivo.10

Il fumo oltre ad incrementare direttamente il rischio di MC, aumenta anche il rischio di riacutizzazioni di MC, di interventi chirurgici, di recidive agli interventi, e pone problematiche nella gestione della malattia: la risposta all’infliximab (IFX) è ridotta sia in efficacia che in durata, portando ad utilizzare maggiormente i corticosteroidi. Si è notato anche che nel fumatore c’è un maggior impegno perianale e l’infiammazione tende a causare stenosi e ad avere un andamento penetrante nella parete. Il meccanismo non si conosce ancora bene, ma alla base abbiamo un’alterazione del microbiota intestinale, in associazione all’effetto immunosoppressivo della nicotina che porta ad una riduzione del rapporto interleuchina (IL)-10/IL-22.11 Il tutto sfocia in un

aumento dello stress ossidativo a carico della parete, con riduzione della vasodilatazione della parete intestinale data dall’infiammazione cronica con conseguente ischemia, deficit riparativi e fibrosi.

Un altro fattore di rischio ambientale sono i farmaci: farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), antibiotici e contraccettivi orali sono i più correlati.1 I FANS inibiscono la COX-1, si ha quindi una riduzione

di un fattore protettivo molto importante per l’epitelio intestinale e un aumentato rischio di infiammazione della parete.1 Gli antibiotici trovano una correlazione con la MC in una metanalisi, dove l’OR è di 1.74 (95%

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I più correlati risultano essere il metronidaziolo e i fluorochinoloni. Una metanalisi ha dimostrato correlazione anche con i contraccettivi orali, dove l’OR risultava 1.46 (95% CI 1.26-1.70).13

Altro fattore da tenere in considerazione è la dieta: una dieta ad alto contenuto di lipidi e proteine animali porta ad un maggior rischio di sviluppo di MC,14 invece è risultata protettiva una dieta ad alto consumo

di frutta (quindi fibre solubili)15. Deficit di vitamina D sono correlati con un aumento del rischio di MICI:

fisiologicamente l’ormone ha anche un’attività immunomodulatrice e inibisce la produzione di linfociti Th17, cosa che invece non avviene o comunque è molto ridotta in quest’occasione.16 Per di più si è visto che terapie

orali di vitamina D portavano ad una riduzione del Crohn disease activity index (CDAI) e ad un miglioramento del quality adjusted life years (QALY) nei pazienti con MC.17

Anche lo stress aumenta il rischio di MC: lo stress ha alla base aumentati livelli di prolattina e cortisolo in circolo, questi agiscono sull’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e ne alterano la normale regolazione. Il tutto si ripercuote a livello del sistema immunitario che subisce una down-regolation, causando soprattutto riacutizzazioni rispetto a insorgenza della MC.1 Per di più si è notata anche una correlazione psichiatrica, dove

il MC si presentava in persone con sintomi depressivi preesistenti.18

Altro fattore ambientale è basato sulla teoria dell’igiene: si è visto che sono fattori protettivi infezioni respiratorie e gastointestinali (H. pylori, infezioni parassitarie), la presenza di animali domestici nell’infanzia dei bambini e il sovraffollamento, mentre sono a maggior rischio di sviluppo di MICI persone sedentarie, con uno status socioeconomico elevato, che vivono in aree urbane rispetto ad aree rurali.19

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1.4 Eziopatogenesi

Sono state poste diverse ipotesi sull’eziopatogenesi della MC, ma risulta essere ancora sconosciuta. Secondo la più accreditata ci sarebbe nel paziente una predisposizione genetica di base che causa un’alterata risposta verso i microbi intestinali.20 Quindi un alterato riconoscimento microbico in associazione a un deficit di

funzionalità della barriera epiteliale intestinale.

1.4.1 Suscettibilità genetica

La MC generalmente è una patologia ereditaria di carattere poligenico. Uno studio su Nature21 ha proposto i

geni principali coinvolti, che regolano diverse funzionalità:

- l’integrità della barriera mucosa intestinale (CDH1, GNA12, PTPN2, HNF4A, NKX2-3, STAT3); - la clearance microbica intestinale e la risposta immunitaria, specialmente i signaling dei linfociti T helper (Th)-17 e linfociti T regolatori (T-reg) (IL-10, IL-23R, JAK2, STAT3, IL-12B detta anche p40, IL-27, e molti altri);

- la risposta allo stress ossidativo (NOD2, CARD 9, LRRK2); - lo stress del RE (XBP1, ORMDL3);

- l’autofagia (ATG16L1, NOD2, IRGM, PTPN2, LRRK2).

Sta maturando sempre più l’idea del coinvolgimento di loci genici riguardanti la chemiotassi e l’homing linfocitario.22 Vi è anche una quota importante di loci condivisi con altre malattie immunomediate

come psoriasi, artrite reumatoide, spondilite anchilosante, diabete mellito di tipo 1, lupus eritematoso sistemico, sclerosi multipla, asma, tireopatie autoimmuni, malattia celiaca e colangite sclerosante primitiva.23

Rilevante importanza ha assunto il complesso NOD2/CARD15. Il gene NOD2 (dominio per l’oligomerizzazione nucleotidica 2), posto sul cromosoma 16 nel locus IBD1, codifica per un PRR (recettore di riconoscimento del pattern) che viene espresso nel citosol di cellule epiteliali intestinali (CEI), cellule dendritiche (CD), cellule di Paneth, macrofagi, cellule endoteliali. NOD2 riconosce un frammento di peptidoglicano della parete batterica (muramil-dipeptide, MDP), viene trasdotto il segnale di NF-kB con produzione di IL-1 e Tumor Necrosis Factor (TNF), attivazione dell’autofagia nella cellula e presentazione dell’antigene alle CD.24,25 Specifici single nucleotide polymorphisms (SNP) ripetuti nel dominio di NOD2

causano in persone caucasiche un aumentato rischio di MC di 20-40 volte negli omozigoti, e di 2-4 negli eterozigoti.26 Alla base c’è il fatto che queste varianti alleliche portino a un minor riconoscimento e siano meno

efficaci nel contrastare i microbi intestinali, con una riduzione della produzione delle defensine che agevola la penetrazione batterica nella mucosa intestinale.27

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1.4.2 Microbiota e Barriera Intestinale

Il microbiota è un insieme di migliaia di specie batteriche, prevalentemente anaerobie, ospitata dal canale gastrointestinale. Essa è caratterizzata da un gradiente prossimale-distale crescente a partire dallo stomaco. A livello del retto si raggiunge una concentrazione pari a 10¹² microbi/ml,28 portando a dire che il

numero di cellule batteriche simbiotiche superi di gran lunga il numero delle cellule umane dell’organismo. Ogni individuo presenta il suo unico microbiota, poiché la sua composizione viene influenzata da fattori genetici ed immunologici, fattori dietetici e farmacologici. La sua funzionalità è fondamentale: sviluppa e regola il sistema immunitario, sintetizza acidi grassi a catena corta e alcune vitamine, deconiuga i sali biliari. Già dai primi anni di vita la sua formazione influenza l’ipotetico sviluppo di MICI, infatti l’allattamento al seno è un fattore protettivo29 mentre l’utilizzo di terapie antibiotiche ne aumenta il rischio.30

Si è visto che nella MC c’è una disbiosi intestinale, caratterizzata da una riduzione sia delle specie batteriche commensali che anche nello specifico di Faecalibacterium prausnitzii e di Bifidobacteria.31 Per di più un altro

articolo descrive un aumento dei batteri anaerobi facoltativi facenti parte delle Enterobacteriaceae, con maggior prevalenza nell’ileo di pazienti affetti da MC di ceppi di E. coli aderente-invasivo (AIEC) rispetto ai controlli.32 Non è ancora chiaro se la disbiosi sia causa o conseguenza dell’infiammazione cronica intestinale.

E’ stata sviluppata la teoria dell’ossigeno secondo la quale la disbiosi è una conseguenza: infatti ci dice che nella flogosi cronica intestinale c’è un aumento dei livelli di O2, aumentando l’O2 avremo un’alterazione tra i

batteri anaerobi obbligati e quelli facoltativi.33 Però il fatto che gli antibiotici, come il metronidazolo e i

fluorochinoloni, siano un fattore di rischio per lo sviluppo di MC, o come anche le alterazioni della dieta nel primo anno di vita, ci suggeriscono che il dismicrobismo intestinale sia più una causa che una conseguenza. Si è alla continua ricerca di un’infezione che possa essere la causa dell’alterazione del microbiota e che porti alla MC, ma per ora i risultati sono ancora scarsi o nulli.34

La barriera intestinale è rappresentata prevalentemente dalle CEI che svolgono molteplici funzioni: assorbono i nutrienti, sono una difesa meccanica contro i patogeni, ma da sottolineare è anche il fatto che partecipano all’immunità innata. Sono il primo muro difensivo contro i patogeni luminali, li analizzano e comunicano con le cellule immunitarie site nella membrana basale. Per di più grazie alla produzione di TGFβ e fosfatasi alcalina, hanno un’azione antinfiammatoria e inducono una tolleranza immunologica.1

Nella MC è facilitato l’accesso di antigeni presenti nel lume alle antigen presenting cells (APC) situate nella lamina proprio per il fatto che c’è un’aumentata permeabilità tra le cellule dell’epitelio intestinale. Probabilmente è correlato a lassità delle tight junctions, o a deficit delle giunzioni aderenti, dovuto a polimorfismo genico di CDH1 che codifica quindi per forme non troncate di E-caderina.35

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L’aumentata permeabilità di queste giunzioni è causata dal rilascio di TNF e interferone (INF)γ, citochine rilevanti nella MC, che inoltre portano ad apoptosi le CEI, aumentando ulteriormente la permeabilità dell’epitelio e agevolando l’arrivo degli antigeni luminali alla lamina basale.36 In questo ambito, come esposto

in precedenza, sono importanti anche le mutazioni di NOD2 che portano a una riduzione della produzione delle defensine che agevola la penetrazione batterica nella mucosa intestinale.27

La mucosa intestinale è ricoperta da un biofilm che ha la funzionalità di barriera. Esso è caratterizzato dalla presenza di molteplici proteine, tra cui le mucine. Nella MC le cellule mucipare presentano una ridotta funzionalità, con riduzione della produzione di muco e quindi di queste mucine (specialmente di MUC1).37 Il

biofilm risulterà quindi ridotto in toto qualitativamente.

Le cellule di Paneth, poste alla base delle cripte, rilasciano peptidi antibatterici aumentando le difese e prevenendo l’invasione microbica. Un esempio di peptidi secreti sono le α-defensine, capaci di inserirsi nella parete batterica, provocare la formazione di pori e portare a lisi batterica. Nella MC anche le cellule di Paneth hanno attività ridotta.

Intercalate alle CEI ci sono le cellule linfoidi innate, la loro caratteristica è la produzione di IFNγ e IL-17, e si pensa che possano avere un ruolo nel cross-talk Th1-Th17. Nella MC queste cellule sono molto aumentate di numero, e per le loro caratteristiche possono risultare come un futuro target per lo sviluppo di nuove terapie.38

Nella flogosi intestinale della MC sono implicati processi di stress del RE (retiocolo endoplasmatico, organulo altamente attivo in questo ambito) e di clearance microbica intestinale. L’autofagia delle cellule intestinali svolge un ruolo nel ridurre entrambi questi processi. L’autofagia causa la degradazione e il riciclo di componenti citosolici non più utili, compresi eventuali microbi entrati nella cellula. Si produce un autofagosoma che li ingloba e successivamente va a fondersi con i lisosmi. Uno studio pubblicato su Nature ha riscontrato nella MC un’alterazione genetica (Thr300Ala di ATG16L1) che porta a una diminuzione di efficienza del meccanismo dell’autofagia nelle CEI e nelle CD.39 Per di più nelle CD mucosali dei soggetti con

MC c’è un’alterata presentazione antigenica e una diminuita risposta alla via di trasduzione di NOD240, a sua

volta induttore del processo di autofagia. Ciò ci sottolineando ulteriormente l’importante ruolo dell’alterazione di NOD2 nella MC.

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1.4.3 Immunità innata e adattativa

L’immunità innata è una risposta aspecifica contro i patogeni, è la prima linea difensiva. Le cellule immunitarie presentano sulla membrana i pattern recognition receptors (PRR), tramite i quali riconoscono i

pathogen associated molecular patterns (PAMP) situati sulla parete microbica, che possono essere acidi

lipoteicoici, muramil-peptidi, il LPS, ss-RNA, ds-RNA.41 Queste cellule, tra cui le CD, sono situate a livello

della lamina propria, ma presentano delle escrescenze che aggettano nel lume intestinale, facilitando quindi l’incontro tra PRR e PAMP. Il legame, a seconda dell’occasione, induce o tolleranza verso l’antigene, oppure una risposta infiammatoria mediata dalle citochine lì presenti.42

Le CD sono APC fondamentali, esprimono specialmente PRR: Toll-like receptors (TLR), recettori transmembrana, e NOD-like receptors (NLR), recettori citosolici. Sono la via di comunicazione tra l’immunità innata e quella adattativa. Il legame PRR con i PAMP attivano la via di trasduzione AP1 e NF-kB all’interno delle CD, il risultato è la produzione di citochine pro-infiammatorie e anche un’attivazione della cellula stessa. Questa acquisisce capacità di movimento e si va a localizzare nelle aree T dei tessuti linfoidi secondari dove presenta l’antigene ai linfociti T naïve, attivandoli.43 Di base a livello intestinale le CD selezionate dalle CEI

sono immature e portano a differenziazione dei linfociti T naïve in linfociti T-reg, in modo tale da sviluppare una tolleranza verso i batteri del microbiota.44⁠ ⁠

Se fisiologicamente abbiamo questa ingente presenza di CD immature e lo sviluppo di tolleranza verso i batteri commensali, uno studio di Hart pubblicato su Gastroenterology ha descritto che nella MC c’è un aumento delle CD mature ed anche un aumentata espressione dei marcatori di attivazione IL-6, IL-12, TLR2, TLR4, CD40.45 Questo fatto porta però a una ridotta capacità difensiva, risultando deficitari anche l’attività battericida

macrofagica e il reclutamento dei neutrofili, meccanismi dell’immunità innata.

Si pensa quindi che alla base della MC non ci sia un’aumentata risposta immunitaria, ma ci sia un deficit funzionale correlato all’immunità innata. Se questa risulta difettosa, abbiamo una ridotta clearance microbica e un’aumentata permeabilità dell’epitelio intestinale, il tutto porta a un’aberrante risposta da parte delle cellule adibite all’immunità adattativa, le quali si trovano esposte ad un ingente carico antigenico.45

L’immunità adattativa agisce in seguito a quella innata. È basata su una risposta cellulo-mediata, dove i principali attori sono le cellule immunitarie effettrici - i linfociti B e T - e su una umorale, incentrata sulle molecole solubili - gli anticorpi.1 Le APC attivate producono IL-12, una proteina dimerica che induce la

differenziazione dei linfociti T in Th-1. La loro azione, oltre che essere antimicrobica, porta a produzione di IFNγ in modo tale da richiamare maggiormente polimorfonucleati nella zona. I macrofagi agiscono sia combattendo i microbi, sia sintetizzando IL-1, IL-6 e TNF, mediatori pro-infiammatori. Ci possiamo già rendere conto che nella MC ci sia un’aumentata produzione di IL-1246, quindi numeri maggiori di linfociti T

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Rivestono un importante ruolo anche i linfociti Th-17. I loro principali mediatori sono l’IL-17 e IL-21, citochine che nella MC inducono danno tissutale poiché incrementano l’attivazione Th-1, con conseguente iperproduzione di TNF, IL-6 e altri mediatori pro-infiammatori.48 Nella MC, sempre riguardanti i linfociti

Th-17 e l’IL-23, sono state scovate anche delle alterazioni specifiche in ambito genetico, tra cui CCR6 – chemochina tipica dei Th-17 – e JAK2, STAT3 e p40 – trasduttori del segnale di IL-23.49

Altre cellule rilevanti per l’immunità secondaria sono i linfociti T regolatori (T-reg). Sono cellule appunto di regolazione che svolgono funzione principalmente inibitoria nei confronti della proliferazione dei Th-0 e riducono la funzione effettrice dei linfociti T e dei macrofagi. Così facendo sopprimono la risposta verso gli antigeni esogeni, alimentari e batterici (microbiota), inducendo tolleranza verso un contenuto fisiologico. Per di più rilasciano TGFβ e IL-10, citochine antinfiammatorie, cosa che invece risulta deficitaria nelle MICI.50

Nei pazienti con MC i T-reg risultano in rapporto ai linfociti T effettori quantitativamente ridotti, cosicché questi ultimi sono meno soggetti alla regolazione e più propensi al loro ruolo da effettori. Questo dato si evince dalle analisi su sangue periferico dei pazienti dove i T-reg risultano ridotti, così come a livello mucosale intestinale dove sono lievemente aumentati ma molto meno rispetto ai T effettori.51 Oltre all’ambito numerico,

è presente anche una resistenza da parte dei linfociti T effettori, mediata dall’iper-espressione di SMAD7, che riduce la sensibilità al TGFβ rilasciato dai T-reg.52 Una nuova terapia in fase di sperimentazione è infatti basata

sull’inibizione di SMAD7 tramite oligonucleotidi antisenso.53

Quindi l’immunità adattativa nella MC presenta un alterato rapporto tra linfociti T effettori e T regolatori, dove c’è un’inadeguata prevalenza dei primi, specialmente Th-1 e Th-17. Fino ad ora la MC è sempre stata considerata una patologia Th1-mediata, mentre la RCU Th2-mediata;54 questa suddivisione è caduta con

recenti studi, dove si pongono al centro dell’attenzione i Th-17 e i T-reg.55

Per finire, il danno tissutale e le problematiche sistemiche delle MICI sono causati dal pool citochinico rilasciato dai macrofagi attivati: IL-1, IL-6 e TNF. L’IL-1 ha diversi ruoli in ambito di induzione della flogosi, ma non nella flogosi in sé: aumenta la sintesi di IL-6 da parte dei macrofagi, richiama i neutrofili, previene l’apoptosi dei linfociti T effettori, induce l’oncogenesi nel colon.47 L’IL-6, oltre ad avere le stesse funzioni

dell’IL-1, specialmente di attivazione per i T effettori e per i macrofagi, è la più potente causa di aumento delle proteine di fase acuta, ovvero fibrinogeno e PCR;47 ed infatti risulta aumentata nei pazienti con MC.

Il TNF è una citochina pro-infiammatoria che si può trovare o come proteina transmembrana su diversi tipi cellulari – macrofagi, linfociti T e CD – o in circolo sottoforma di molecola solubile. Quando in circolo si ritrova ad alte dosi, porta a stati febbrili, aumento delle proteine di fase acuta, fino ad arrivare in alcuni casi allo shock settico. È il mediatore infiammatorio centrale nelle MICI, ed infatti è il target principale nella terapia delle forme avanzate. Il TNF presenta due recettori che mediano la trasduzione del segnale di AP1 e NF-kB, il TNFR-I e TNFR-II. Il secondo è il più coinvolto nelle MICI e si attiva unicamente dal legame con il TNF transmembranario;56 infatti uno studio pubblicato su Gastroenterology dimostra che farmaci come l’IFX e

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l’adalimumab (ADL) risultano efficaci per il fatto che legano entrambe le forme di TNF, cosa che invece non avviene per l’etanercept, proteina di fusione, che lega solamente la forma solubile di TNF e quindi non mostra effetti terapeutici.57 La sua azione, come abbiamo detto pro-infiammatoria, a livello locale ha diverse funzioni:

aumenta la sopravvivenza dei linfociti T tramite la via NF-kB inibendo l’apoptosi,47 induce i macrofagi ad

aumentare il rilascio di TNF (si forma un circolo vizioso) e di IL-6, danneggia la mucosa intestinale inducendo necrosi nelle CEI e nelle cellule di Paneth,36 stimola la produzione di collagene sul danno tissutale ostacolando

la restitutio ad integrum, induce le cellule endoteliali della mucosa a esprimere molecole d’adesione ICAM-1, VCAM-1 e MadCAM-1 in modo da facilitare la diapedesi dei leucociti.58 In questo ambito rivestono

importanza l’integrina α4β7, ligando di MadCAM1, e il recettore chemochinico CCR9, che sono i mediatori dell’homing dei linfociti T effettori a livello della mucosa intestinale. Le cellule T vengono prodotte a livello linfonodale e nelle placche di Peyer, e grazie a questo legame riescono ad arrivare nel punto preciso dell’infiammazione.59 Per questo motivo l’integrina α4β7, essendo specifica per la mucosa intestinale, è un

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1.5 Classificazione di Montreal

Il Montreal World Congress of Gastroenterology del 2005 ha stilato la classificazione fenotipica della MC che è oggi in uso, sostituendo quella precedente di Vienna del 1998. Essa qualifica la MC sulla base di tre parametri: l’età alla diagnosi (age at diagnosis, A), la localizzazione (location, L) e il comportamento (behaviour, B) di malattia (Tab. 1.1).60

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Valutando il parametro A, possiamo dire che l’età alla diagnosi influenza l’espressione clinica della MC: più precocemente esordisce la patologia (A1) e più si associa a un decorso clinico severo - interessamento più esteso, sedi di patologia multiple (soprattutto del tenue), maggior probabilità di localizzazione prossimale e maggior rischio di complicanze (stenosi e fistole).62 Invece più tardivamente esordisce (A3) e più

frequentemente c’è un interessamento colico.63

Il parametro B descrive la tipologia di lesione che prevale nel comportamento della MC. Può essere unicamente infiammatorio, senza presentare né stenosi né fistole (B1); può essere stenosante (B2), con aree fibrostenotiche singole o multiple e variabili in estensione, in associazione alle quali possiamo trovare delle dilatazioni a monte della stenosi; può infine essere penetrante o perforante (B3), caratterizzate da ascessi e fistole.

Sappiamo bene che la MC può interessare indistintamente qualsiasi segmento del canale digerente, dal cavo orale all’ano. Mentre il coinvolgimento unicamente prossimale è molto raro, le localizzazioni più prevalenti sono l’ileo terminale (L1), il colon (L2) o entrambi (L3). Queste tre si riscontrano all’incirca un terzo ciascuna, quindi con una simile frequenza.8 L4 è anche un modificatore che si può aggiungere quando

c’è contemporaneo coinvolgimento prossimale della malattia. Il coinvolgimento perianale sottolineato tramite l’aggiunta del modificatore patologico p, presenta un’incidenza cumulativa che varia dal 23% al 38% a seconda degli studi.64

La classificazione di Montreal presenta come limite il fatto che non considera la patologia come un possibile coesistere di diversi comportamenti (B), o che questi diversi comportamenti possono evolvere e peggiorare. Infatti, l’80% dei pazienti all’esordio viene diagnosticato con un comportamento B1, quindi puramente infiammatoria, senza presenza di stenosi o fistole, ma circa la metà dopo 20 anni dalla diagnosi sviluppa complicanze di tipo stenotico e/o fistoloso.65 Per ovviare questi limiti si sta sviluppando un nuovo

tipo di classificazione longitudinale, dove viene misurato il danno tissutale accumulato nel tempo. Questo è il

Lémann Damage Score, uno score dinamico che tiene conto del fatto che la MC è di natura evolutiva e che

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1.6 Anatomia patologica

1.6.1 Macroscopica

La caratteristica fondamentale della MC è la segmentarietà delle lesioni, ovvero la presenza di skip

lesions (lesioni a salto): sono aree di infiammazione della mucosa intestinale che risaltano rispetto alla normale

mucosa circostante sia perché sono infiammate e sia perché sono ben delimitate. Questa discontinuità ci permette di differenziarle dalle lesioni della RCU, dove invece risulta un’unica grande lesione continua. Altro fattore di differenziazione è che nella MC queste lesioni segmentarie vanno a coinvolgere a tutto spessore l’intestino, dall’epitelio alla sierosa, cosa che invece non avviene nella RCU.1

La lesione precoce elementare macroscopica della MC è l’ulcera aftosa della mucosa, una depressione ricoperta da fibrina e ai margini presenta un alone iperemico e edematoso. Inizialmente sono piccole, superficiali e difficili da visualizzare, ma successivamente tendono ad ingrandirsi e a confluire dando il tipico quadro di aspetto ‘ad acciottolato’. Assumono una forma serpiginosa allungata e si dispongono lungo l’asse maggiore dell’intestino, dove si notano bene poiché rilevate rispetto alla normale mucosa. Queste ulcere hanno due destini: vanno incontro a guarigione con formazione di cicatrici, oppure si approfondano nella parete intestinale fino ad interessarla a tutto spessore, mantenendo una base stretta (simile ‘a coltellate’). In questo secondo caso possono addirittura creare aderenze con le strutture circostanti grazie all’infiammazione che si instaura anche nella sierosa, e portare ad ascessi e tratti fistolosi che possono evolvere in perforazione intestinale.1

L’aspetto macroscopico della parete a livello dei tratti colpiti è alterato: la parete ha uno spessore aumentato (fino a 2-3cm) a causa dell’edema transmurale e della fibrosi che interessa la sottomucosa e la muscolare, di conseguenza la consistenza parietale è aumentata e risulta gommosa; la sierosa a causa dell’infiammazione si fa opaca, grigiastra e granulare; il tessuto adiposo che circonda l’ansa colpita è ispessito, duro alla palpazione e perde il suo tipico colore giallo paglierino.1

1.6.2 Microscopica

Nelle fasi attive della MC a livello delle lesioni mucosali riscontriamo infiltrati granulocitari di eosinofili e neutrofili a livello epiteliale che si raccolgono nelle cripte di Lieberkühn, dove distruggono le cripte e portano alla formazione di pseudoascessi criptici. A livello del corion (strato tra mucosa e sottomucosa) è presente un abbondante infiltrato linfo-plasmacellulare che possono andare a riunirsi e formare a livello della lamina propria degli aggregati linfoidi, da distinguere tramite analisi immunoistochimica dal linfoma intestinale.1

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L’infiammazione, come detto anche prima, è transmurale, a tutto spessore: la fibrosi stimolata dall’infiammazione cronica porta a ispessimento della muscolaris mucosae, della sottomucosa e della tonaca muscolare. Abbiamo una variabile atrofia epiteliale, appiattimento totale dei villi intestinali e rarefazione delle cripte, iperplasia delle cellule nervose gangliari e aree di metaplasia pilorica a cellule di Paneth.1

Una caratteristica patognomonica della MC è la presenza di granulomi giganto-cellulari non caseificanti di tipo sarcoidosico, in cui ritroviamo una zona centrale di cellule istiocitarie e una zona periferica ricca di linfociti e APC. Queste diverse cellule possono unirsi e formare le cellule giganti, caratterizzate da ampio citoplasma e numerosi nuclei.1 La loro presenza conferma sicuramente la MC, quindi hanno elevata

specificità, ma la sensibilità è molto ridotta poiché la prevalenza di ritrovarli varia dal 70% nel pezzo operatorio al 9% nelle biopsie.67 Li possiamo ritrovare in tutti gli strati della parete intestinale, ma raramente anche a

livello linfonodale regionali, nel mesentere, nel peritoneo, nel fegato, nel pancreas e addirittura a livello cutaneo, nella cosiddetta MC metastatica.68

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1.7 Manifestazioni cliniche e complicanze

Le manifestazioni cliniche della MC sono molto varie, coinvolgono tutto l’organismo in diversa intensità e combinazione e possono evolvere nello stesso paziente nel corso del tempo. Comprendono segni e sintomi addominali (diarrea, dolore addominale, ematochezia, malattia perianale), generali (febbre-febbricola, astenia, iporessia, calo ponderale) e manifestazioni extraintestinali.1

1.7.1 Manifestazioni addominali e generali

I sintomi addominali e generali dipendono dalla localizzazione, dalla tipologia, dall’estensione e severità delle lesioni della MC, tenendo poi in conto anche lo sviluppo di complicanze o interventi chirurgici.

Il dolore addominale della MC è di tipo colico e crampiforme, alleviato parzialmente dall’evacuazione, più spesso localizzato al mesogastrio e in fossa iliaca destra. È un dolore in crescendo sia in intensità che in frequenza, anche se po’ presentarsi in seguito come un dolore continuo nelle forme infiammatorie complicate con ascessi e fistole. Solitamente è causato dal passaggio delle feci sulle ulcere mucosali, ma è anche dovuto alla cronica flogosi che va ad irritare il sistema nervoso enterico, inducendo di riflesso onde peristaltiche eccessive. I sintomi associati sono nausea, vomito, distensione addominale e chiusura dell’alvo alle feci o alle feci e ai gas.1

Il calo ponderale può essere il primo segno della MC, specialmente nelle forme dell’infanzia dove si presenta come un ritardo di crescita. Alla base c’è un ridotto apporto calorico a causa dei sintomi aspecifici come nausea, dolore e il timore di esacerbare la diarrea; la flogosi segmentaria della mucosa porta sia ad un aumentato consumo calorico per l’esteso stato infiammatorio e sia un malassorbimento generalizzato, che porta ad alterato assorbimento di nutrienti a seconda del tratto coinvolto.1

La diarrea è particolare: è di tipo infiammatorio, secondaria alle lesioni flogistiche che aumentano la secrezione elettrolitica delle CEI, e si accompagna a muco, sangue e a volte anche pus. Per di più nella MC si ha un malassorbimento generale, specialmente dei sali biliari che comporta delle feci più grasse e untuose (steatorrea). Si può presentare a volte anche una pseudodiarrea, soprattutto nelle forme stenosanti che coinvolgono il colon con dilatazioni a monte del tratto stenosante. In queste aree di stasi c’è un’ingente proliferazione batterica con colliquazione del materiale fecale che occasionalmente supera la stenosi e viene espulso con la defecazione.1

La febbricola si presenta episodicamente, specialmente nelle forme iniziali, sempre a causa della flogosi cronica della MC. Nelle forme più complicate con infezioni, ascessi o fistole, si evolve in febbre elevata.1

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1.7.2 Manifestazioni intestinali

Il principale determinante della presentazione clinica della MC è la localizzazione della malattia, che si può presentare con diverse sedi che si possono ritrovare contemporaneamente: malattia prossimale, digiuno-ileo, ileo terminale, ileo-colon, colon, anale e cute perianale.

La malattia prossimale coinvolge soprattutto lo stomaco e la seconda porzione duodenale. Una patologia frequente è la gastrite granulomatosa che si presenta con nausea, vomito, epigastralgia e dispepsia; sono sintomi aspecifici e si vanno a studiare sul paziente tramite l’esecuzione di una un’esofago-gastro-duodeno-scopia (EGDS) con biopsia, così da associarla alla MC.1

Il coinvolgimento digiuno-ileale compromette la capacità di assorbimento dell’intestino, con conseguente disidratazione, calo ponderale, diarrea osmotica, ma soprattutto importanti deficit nutrizionali, in particolare di Fe, Ca, Mg, folati, vitamina B12 e vitamine liposolubili (A, D, E, K). I deficit vitaminici portano a problematiche visive, coagulative e ossee: l’osteopenia e l’osteoporosi (OP) sono comuni nella MC di lunga durata, e possono portare a fratture da fragilità, soprattutto vertebrali o femorali. In questo ambito contribuiscono anche le terapie steroidee prolungate necessarie per il controllo della malattia.1

L’ileo terminale insieme al cieco è la sede più frequentemente coinvolta. Solitamente esordisce in modo insidioso, con episodi ricorrenti di dolore addominale crampiforme, più spesso nel quadrante inferiore destro. Nel 10% dei casi invece può esordire in modo brusco e improvviso, simulando un’appendicite acuta: dolore addominale intenso a livello della fossa iliaca destra, presenza di massa palpabile, febbre e leucocitosi.1

L’ileo terminale è la sede in cui avviene il riassorbimento dei sali biliari, perciò nel caso questo tratto presentasse una flogosi cronica, avremo un deficit di riassorbimento. I sali biliari servono a solubilizzare il colesterolo nelle vie biliari, ed una loro diminuzione può portare a sovrasaturazione del colesterolo con conseguente litogenesi biliare, spesso localizzata nella colecisti. I sali biliari inoltre vanno ad irritare l’epitelio del colon causando un ridotto riassorbimento di acqua e secrezione di cloro, che porta ad una diarrea

coleretica; per di più hanno anche un’azione oncogena, dovuta al fatto che la flora microbica trasforma i sali

biliari in eccesso in acido desossicolico, aumentando il rischio di cancro del colon-retto (CCR).1

L’ileo terminale è anche la sede di riassorbimento della vitamina B12, se esso risulta infiammato può portare ad anemia megaloblastica fino ad atassia e deficit sensitivi, specialmente se non trattata con supplemento di vitamina B12 e folati.1

Ulteriori sintomi e complicanze possono presentarsi spesso con una sintomatologia sub-occlusiva causate da un edema infiammatorio con successiva fibrosi della valvola ileo-ciecale. Oppure possiamo notare una massa palpabile in fossa iliaca destra dovuta all’ispessimento parietale, alla flogosi del mesentere, ai linfonodi regionali e ai tessuti periviscerali, e produrre infine ascessi che possono occludere l’uretere destro portando a idroureteronefrosi e infezioni delle vie urinarie (IVU).1

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La colite si presenta con diarrea, ematochezia, febbricola, anemia ed un dolore addominale crampiforme, dovuto alle feci che transitano in segmenti di colon infiammati e ristretti. Quando va a coinvolgere il retto si associa anche a tenesmo.1 In un 5% di casi, quando è unicamente presente il

coinvolgimento colico della MC, è impossibile differenziarlo dalla RCU, configurando un quadro di colite indeterminata, che con il tempo poi si riuscirà a determinare.69

La proctite, o malattia perianale, nel contesto della MC si presenta nel 33% dei casi,70 molto raramente

isolata, mentre quasi sempre, fino al 92% dei casi, è associata a colite.71 La sintomatologia è varia e risulta

debilitante per il fatto che si ripercuote sulla qualità di vita, sulla sfera sessuale e psicologica dei pazienti. Comprende: dolore che aumenta durante la defecazione, dischezia, incontinenza fecale, dispareunia, secrezioni sieroso-purulente nel caso ci siano orifizi fistolosi. Si ritrovano diverse lesioni muco-cutanee come ascessi perianali, fistole, ulcere, emorroidi e stenosi del canale anale. Le più frequenti sono le fistole perianali, ovvero dei tragitti tubuliformi di tessuto di granulazione che presentano un orifizio nel canale anale e l’altro a livello cutaneo e li mettono in comunicazione.1

1.7.3 Manifestazioni extraintestinali

La manifestazione extraintestinale della MC più comune è l’anemia. Solitamente è paucisintomatica poiché si sviluppa in modo cronico, creando problemi sulla qualità della vita quotidiano dei pazienti. Principalmente è rappresentato dall’ambito sideropenico: abbiamo come causa principe un malassorbimento di ferro (Fe), associato poi a perdita ematica sottoforma di stillicidio cronico, e a dieta restrittiva causata dalla MC con un ridotto apporto marziale.1 A volte può contribuire anche un deficit di vitamina B12 e folati, grazie

ai quali si riscontra un deficit di iperomocisteinemia. Questo ultimo fattore, insieme alla flogosi cronica, specialmente nelle sue fasi attive, aumenta il rischio tromboembolico sia arterioso che soprattutto venoso.72

Le manifestazioni extraintestinali immunomediate della MC sono più frequentemente di tipo reumatologico, dermatologico ed oftalmologico e colpiscono fino al 35% dei pazienti, con un trend in aumento. I fattori di rischio sono rappresentati dall’abuso di fumo, dal coinvolgimento colico e perianale.1

In ambito reumatologico si possono presentare associate alle MICI le artriti enteropatiche. Queste si possono configurarsi come semplici artralgie o come vere e proprie sinoviti, presentando quindi i segni infiammatori classici tumor, rubor, calor e functio lesa associati a dolore.1 In ambito dermatologico le manifestazioni

possono essere causate da diversi meccanismi: diretta conseguenza di un processo flogistico analogo a quello intestinale (granulomatosi orale e MC metastatica); dovute a deficit nutrizionali di oligoelementi importanti per il turnover epiteliale cutaneo (come la cheilite angolare o l’acrodermatite enteropatica rispettivamente da deficit di Fe e Zn); lesioni iatrogene (sindrome simil-lupica ed eczema psoriasiforme da anti-TNF, acne ed atrofia cutanea da cortisonici); a patogenesi non direttamente correlabile alla MC (eritema nodoso, pioderma gangrenoso, stomatite aftosa e condizioni rare come la piostomatite vegetante e la sindrome di Sweet).73

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In ambito oftalmologico le manifestazioni più frequenti sono l’uveite – solitamente anteriore e bilaterale, caratterizzata da cefalea, fotofobia, dolore oculare, visione offuscata – e l’episclerite – aspetto iperemico delle sclere e sensazione di bruciore oculare.72 ⁠L’eritema nodoso, l’artrite periferica di tipo I, la stomatite aftosa,

l’episclerite si associano unicamente alle fasi attive della MC e fortunatamente sono ben controllate con la terapia farmacologica.74

Si possono manifestare anche problematiche epato-biliari: la non alcoholic fatty liver disease (NAFLD), causata da una combinazione di malnutrizione, tossicità da farmaci o nutrizione parenterale; la colelitiasi colesterinica che raggiunge una frequenza del 30% nella MC; e la colangite sclerosante primitiva (CSP), più tipica però della RCU.72

1.7.4 Complicanze

Le complicanze più frequenti sono episodi di occlusione intestinale, preceduti da periodi di sintomi sub-occlusivi causati da lesioni stenotiche. Le stenosi sono restringimenti persistenti della parete intestinale, che si associano a dilatazioni a monte del tratto intestinale colpito.75 Possono essere causate da

un’infiammazione in corso, quindi gestibili con la terapia, oppure essere evolute allo stadio fibrotico-cicatriziale, che invece richiedono a volte anche una resezione chirurgica.

La flogosi si estende per tutta la parete, a livello sieroso può produrre aderenze e addirittura portare alla formazione di fistole con i tessuti circostanti, che possono quindi essere entero-enteriche, entero-vescicali, entero-vaginali. Molto raramente può portare a perforazione libera, ma sono casi limite e secondari a occlusione intestinale o megacolon tossico. Le fistole si associano spesso alla formazione di ascessi intraddominali ed endopelvici, coadiuvato anche dalla terapia cortisonica sistemica che ne aumenta il rischio. La terapia degli ascessi è basata sulla resezione chirurgica del segmento intestinale da cui esso origina.1

La complicanza più temibile è il carcinoma colon-rettale (CCR), che risulta essere dipendente dal grado della MC, quindi dall’estensione, dalla severità e dalla durata della flogosi.1 L’aumento del rischio di

CCR è circa doppio rispetto alla popolazione generale,76 ciò giustifica la sorveglianza endoscopica della MC

raccomandata dall’European Crohn’s and Colitis Organisation (ECCO): si inizia lo screening dopo 8 anni dalla diagnosi di MC, o subito alla diagnosi se vi è correlata anche la CSP, e si ricontrolla con una cadenza che varia da annuale a quinquennale a seconda del rischio soggettivo.Ad ogni esame endoscopico si esegue un campionamento bioptico random estensivo e di qualsiasi lesione sospetta.77

Oltre al CCR, la MC incrementa il rischio anche di altre neoplasie, sia intestinali che extraintestinali. A livello delle lesioni della malattia perianale si possono sviluppare carcinomi squamocellulari o adenocarcinomi; il rischio di adenocarcinomi del tenue e di linfoma intestinale risulta aumentato; così anche quello di melanomi e tumori cutanei.78

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1.8 Diagnosi

Nell’ambito diagnosi della MC non c’è un unico esame da effettuare, ma è una batteria di dati clinici, laboratoristici, strumentali ed endoscopici da unire per arrivare in ultimo alla diagnosi. Se ci basiamo su un unico esame tra questi, nessuna tecnica diagnostica considerata singolarmente è abbastanza sensibile e specifica per poter dirimere una diagnosi affidabile.1 Per prima cosa cerchiamo di escludere malattie funzionali

dell’intestino – intolleranze alimentari e sindrome dell’intestino irritabile (IBS) – che sono più frequenti della MC. L’endoscopia poi è l’esame più rilevante che ci permette di stabilire la natura organica della malattia, e grazie all’analisi morfologia e alle biopsie, di escludere altre patologie – enterocoliti infettive, eosinofile, celiachia, RCU, e molte altre.79

1.8.1 Clinica

L’anamnesi si basa sulla presenza di storia familiare di MICI o malattie associate, sull’appendicectomia, sull’abitudine al fumo, sull’uso frequente di FANS e antibiotici. Si valuta poi soprattutto la sintomatologia riferita dal paziente, bisogna tener conto che i sintomi devono essere presenti da almeno 4 settimane, essendo una patologia cronica. In associazione a questi rileviamo i parametri vitali quali pressione arteriosa, frequenza cardiaca, temperatura cutanea, segni di disidratazione, di malnutrizione come BMI e trofismo muscolare. L’esame obiettivo addominale può farci notare dolorabilità, distensione addominale e a volte anche la presenza di masse palpabili. L’esplorazione digito-rettale e l’ispezione del perineo sono molto importanti per osservare se presente o meno la malattia perianale.1

1.8.2 Indagini di laboratorio

Gli esami ematochimici della MC evidenziano spesso: un’anemia, che in base al meccanismo predominante, sideropenico o deficit nutrizionale, può essere microcitica-ipocromica, macrocitica o anche normocitica-normocromica;80 trombocitosi; leucocitosi neutrofila, che durante le fasi di remissione può

risultare normale.1

Gli indici di flogosi, velocità di eritro-sedimentazione (VES), proteina C reattiva (PCR) e fibrinogeno, sono aspecifici e quindi possono variare in qualsiasi patologia, ma ci possono aiutare nella fase iniziale di diagnosi e nel follow-up. La PCR, proteina di fase acuta di produzione epatica, è il marker sierico più utilizzato nella MC perché è economico, sempre disponibile, e, anche se aspecifico, mostra la migliore correlazione con attività clinica, endoscopica e istologica di malattia;81 per di più sembra si è evinto da uno studio che è in grado

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Altro fattore da tenere in conto nella MC sono i deficit nutrizionali, infatti dagli esami ritroviamo deficit di vitamina B12, folati, vitamina D e sideremia, a cui si associano con il progredire della malattia ipoalbuminemia, ipocolesterolemia e ipotriglicderidemia. Infine, bisogna sempre andare ad osservare gli indici di funzionalità epatica e renale.1

Gli esami sierologici hanno permesso lo studio di molti anticorpi nel tentativo di facilitare la diagnosi, e principalmente sono risultati importanti due tipi: gli anticorpi anti-Saccharomyces cerevisiae (ASCA), riscontrabili nel 60-70% dei pazienti con MC, mentre gli anticorpi anti-citoplasma dei neutrofili perinucleari (pANCA) sono più tipici della RCU dove presentano una prevalenza del 60-70% a fronte di valori del 5-10% nella MC.83

L’esame delle feci è molto importante, esso va a ricercare livelli di proteine prodotte dai neutrofili in modo tale da dimostrare il tipico infiltrato neutrofilo della MC. Sono stati quindi studiati biomarcatori fecali di flogosi che presentano una maggior specificità rispetto agli indici di flogosi sierici. Gli unici due utilizzati sono la calprotectina (CF) e la lattoferrina, che però non possono ovviare l’endoscopia poiché possono aumentare anche in altre patologie neoplastiche dell’intestino. Di conseguenza negli adulti si tende a fare ugualmente la colonscopia per il rischio oncologico aumentato.84

La CF è il marcatore più impiegato, è una proteina legante il calcio che costituisce il 60% delle proteine citosoliche dei neutrofili, e presenta proprietà antimicrobiche. Essa è resistente alla degradazione batterica fecale e permane stabile nelle feci fino a una settimana a temperatura ambiente. Si misura tramite

l’enzyme-linked immunosorbent assay (ELISA), i valori soglia dipendono dal metodo di misurazione ma in genere viene

utilizzato il cut-off di 50μg/g di feci.85⁠ Secondo uno studio si è visto che i livelli di CF sono direttamente

proporzionali al grado di flogosi riscontrata all’endoscopia, all’istologia e all’attività clinica di malattia.86⁠ Per

questo motivo la CF è spesso utilizzata nei pazienti diagnosticati di MC come un determinante di guarigione endoscopica (mucosal healing, o MH), per predire le riacutizzazioni e la ricorrenza postchirurgica.87

La lattoferrina è anche questa una proteina legante il ferro con proprietà antimicrobiche, che si trova nei granuli dei neutrofili e viene secreta dalle CEI durante l’apoptosi. La valutazione dei suoi livelli fecali ci permette di distinguere disturbi infiammatori intestinali da disturbi funzionali e predice l’attività endoscopica, l’istologia e la clinica della MC, proprio come la CF. Però viene utilizzata in misura minore perché la sua accuratezza diagnostica, la stabilità e la disponibilità sono inferiori rispetto alla CF.88

Importante da tenere in conto è la diagnosi differenziale dei pazienti in fase di riacutizzazione della MC con pazienti che lamentano diarrea e assumono antibiotici, in quanto questi ultimi possono presentare un’infezione da Clostridium Difficile. In questo caso infatti andremo a ricercare le tossine A e B del C. Difficile, e se positive la gestiremo con un approccio terapeutico adatto, diverso da quello della MC.89

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1.8.3 Endoscopia

La pancoloscopia con ileoscopia retrograda e biopsie multiple è l’indagine imprescindibile per definire estensione, severità e diagnosi della MC, ed è impiegata anche nel follow-up per osservare periodicamente il grado di attività di malattia e il suo rischio di riacutizzazione, l’efficacia dei trattamenti e svolgere una sorveglianza oncologica.77⁠ La pancolonscopia ci permette di osservare tutte quelle lesioni tipiche della MC

evidenziate nel capitolo dell’anatomia patologica – ulcere aftoidi, stenosi, fistole, ecc. – e di fare diagnosi differenziale con la RCU. Questa può risultare difficile quando la MC si presenta solo come colite, ed in questo caso ci aiutiamo sia con l’analisi istologica che con gli esami di laboratorio. Infatti, una diagnosi precisa necessita di biopsie multiple random di tutte le zone osservate, compreso ileo terminale e retto, a cui si aggiungono biopsie delle regioni infiammate, delle ulcere, delle stenosi e di qualsiasi lesione sospetta per escludere l’ipotetica displasia.90

L’esofago-gastro-duodeno-scopia (EGDS) serve spesso in pazienti con già una diagnosi di MC che presentano sintomi digestivi alti per escludere localizzazioni L4 secondo la classificazione di Montreal. Raramente permette di fare diagnosi di MC ed infatti viene usata poco nell’adulto. Invece si è visto che assume un ruolo diagnostico-stadiativo importante nei bambini, poiché in questi sono più frequenti le lesioni prossimali del tratto gastroenterivco.91

L’endoscopia con videocapsula (VCE) si basa sull’utilizzo di una videocapsula ingerita dal paziente che è in grado di trasmettere tramite wireless le immagini ad un ricevitore esterno. In questo modo possiamo esplorare la mucosa intestinale in maniera non invasiva, con alta sensibilità. Viene usata in pazienti con MC con sospetto di malattie ileale, oppure in casi di emorragie digestive di cui non si comprende l’origine, escludendo preventivamente con esami radiologici la presenza di stenosi.92

L’enteroscopia del tenue permette di arrivare direttamente al tenue. Il suo impiego però è limitato ai casi in cui si necessita di una diagnosi istologica o un trattamento endoscopico, come la polipectomia, la rimozione di capsule (post VCE se rimaste in sede), la stricturoplastica (dilatazione tramite un pallone delle stenosi).93

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1.8.4 Indagini strumentali

Le tecniche di imaging vengono utilizzate per definire localizzazione e complicanze della MC nelle aree in cui l’endoscopia non è riuscita ad arrivare, come l’intestino tenue o zone post-stenotiche non superabili. Ci permettono di osservare la presenza di aderenze, ascessi, fistole e malattia perianale.94

1.8.4.1 Ecografia

L’ecografia transaddominale è il primo esame strumentale che si effettua per la diagnosi, e si usa anche nel follow-up, per il fatto che è molto comodo e ben tollerato dal paziente; non è invasivo, si effettua rapidamente e non espone a radiazioni ionizzanti.1 Presenta purtroppo dei limiti, primo la possibile presenza

di meteorismo che ne ostacola il corretto sviluppo, secondo il fatto che è operatore-dipendente, quindi varia a seconda dell’esperienza del medico, ma in mani esperte ha un’accuratezza diagnostica paragonabile alle entero-RM e entero-TC.95 E’ un esame ottimo per descrivere la diagnosi, l’attività della malattia e le sue

complicanze, ed i reperti più significativi sono: l’ispessimento parietale delle anse, la presenza di ascessi e fistole, la linfoadenomegalia a livello mesenterico, le stenosi associate a dilatazioni a monte della zona stenotica, la presenza di liquido libero in addome.96

L’ecografia transperineale può essere utilizzata come metodica per il primo screening nei pazienti con eccessivo dolore nella zona anale e con stenosi anale.1 L’ecografia transrettale invece è più avanzata e consente

lo studio delle fistole perianali.1

1.8.4.2 Radiologia tradizionale

L’esame radiologico diretto viene utilizzato solo in casi che si presentano con addome acuto, ma nell’ambito della MC risulta inutile per il fatto che l’ecografia porta alle stesse osservazioni senza esposizione a radiazioni ionizzanti.1

L’esame radiologico dell’intestino tenue con mezzo di contrasto (mdc) baritato somministrato per via orale o per enteroclisi risulta più utile del precedente, ma comunque utilizzato poco, a favore delle tomografie che hanno una sensibilità maggiore, specie nelle complicanze ectraluminali.97 Questo esame in ogni modo

consente di osservare le varie lesioni della MC: ulcere mucose, fistole, stenosi e dilatazioni delle anse. L’esame radiologico con clisma opaco a doppio contrasto sfrutta l’insufflazione di aria per dilatare le pareti del colon e poterle coprire in ogni punto con solfato di bario. In questo modo a seconda delle alterazioni del profilo della parete valutiamo le diverse lesioni. È come i precedenti di ridotto utilizzo perché presenta un’alta incidenza di falsi negativi.98

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1.8.4.3 Tomografia computerizzata

La TC addomino-pelvica, meglio accompagnata con mdc endovena (EV), nella MC viene utilizzata solamente per le manifestazioni extraluminali, che comprendono: ascessi intraddominali o retroperitoneali, fistole e perforazioni, linfoadenopatie mesenteriche.99

L’enterografia-TC utilizza mdc per via orale o EV in modo tale da ottenere immagini delle anse intestinali grazie alla loro distensione. È la metodica TC di elezione perché consente di definire sia le complicanze, ma anche l’attività e la sede dalla MC. Ci permette di osservare dai semplici edemi e ispessimenti parietali, alle ulcerazioni e alle zone di ipervascolarizzazione.1

La colongrafia-TC, o più comunemente detta colonscopia virtuale, si può utilizzare specialmente in occasione di stenosi non valicabili tramite l’esame endoscopico.100

1.8.4.4 Risonanza magnetica

L’entero-RM è il l’esame gold standard per definire, stadiare e quantificare la MC localizzata al tenue. Viene svolto con mdc paramagnetico EV e un mdc bifasico per via orale99 e si usa anche nel monitoraggio

terapeutico per il fatto che non espone a radiazioni ionizzanti. Si possono evidenziare ispessimenti, iperintensità nelle sequenze T2-pesate causati da edemi, ulcere, linfoadenopatie locoregionali, ipervascolarizzazione, complicanze extraluminali.101 Gli svantaggi sono rappresentato dal fatto che non è

disponibile in ogni struttura e per di più il tempo per eseguirla è molto maggiore rispetto a una TC.

La RM pelvica invece è considerata il gold standard per la valutazione della malattia perianale. Riconosce e caratterizza con precisione sia microascessi che fistole, queste appaiono come tratti comunicanti con il canale ano-rettale iperintensi nelle sequenze T2-pesate.102

1.8.4.5 Medicina nucleare

La medicina nucleare in ambito di MC utilizza la scintigrafia con leucociti marcati con 99mTc-HMPAO e la 18F-FDG-PET. Queste tecniche hanno come pro il fatto di non essere invasive e di permettere di osservare sia nel tenue che nel colon la presenza di MC, la sua attività e la sede colpita; ma come contro l’esposizione alle radiazioni ionizzanti e la scarsa disponibilità sul territorio nazionale. 103

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1.9 Terapia

La terapia della MC si prefigge come primo obiettivo l’induzione della remissione clinica (RC) della malattia, in cui si ha un controllo della sintomatologia, e poi un successivo suo mantenimento, ovvero riduzione del rischio e prevenzione delle riacutizzazioni. I fattori che guidano la scelta della strategia terapeutica comprendono: localizzazione, comportamento, severità di malattia, presenza di EIM, caratteristiche e preferenze del paziente, effetti avversi dei farmaci. La durata del trattamento dipende da diversi fattori: le condizioni del paziente, il farmaco utilizzato, il rischio di riacutizzazione.1

Il tradizionale trattamento per la MC era l’approccio step-up, in cui si parte con il farmaco più conosciuto e sicuro ma meno efficace, e prosegue a mano a mano, dopo il fallimento dei precedenti, con farmaci sempre più aggressivi in numero, potenza e dosaggio, valutando il risultato in base ai sintomi del paziente. Questo approccio però si è visto che si associa ad un outcome peggiore, poiché sia la patologia prosegue nel creare il danno strutturale e sia l’azione di alcuni farmaci utilizzati più tardivamente, come gli anti-TNF, si riduce in efficacia, per il fatto che ormai si è già sviluppata fibrosi.1

Oggi l’approccio è cambiato, grazie all’ambia gamma di farmaci sviluppati, e si basa sulla tipologia

treat or target.104 Il paziente viene studiato con le diverse tecniche diagnostiche – PCR, CF, pancolonscopia,

entero-RM – e si stratifica il suo rischio, creando poi la terapia più efficace nel suo caso, fino a raggiungere l’obiettivo del MH. La fase di induzione si può ottenere con immunomodulatori ad azione rapida, come i cortisonici, oppure con farmaci biologici, come gli anti-TNF. La fase di mantenimento invece si può gestire con farmaci ad azione ritardata, come il methotrexate, le tiopurine o anche gli anti-TNF.1

Nei pazienti invece ad alto rischio di severità e con fattori prognostici negativi – esordio precoce, fumatori, precoci complicanze stenotiche e penetranti, interessamento prossimale o perianale – si agisce con una rapida introduzione di immunosoppressori e farmaci biologici, ovvero un approccio step-up accelerato.105

In ottica futura prossima si sta sviluppando un nuovo approccio, denominato top-down, in cui si utilizzano subito come prima terapia i farmaci più potenti in modo da ottenere subito una forte remissione della MC, con successiva de-escalation terapeutica.

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1.9.1 Glucocorticoidi

I corticosteroidi sistemici più usati, somministrati per EV, sono il metil-prednisolone e il prednisone, a dosaggi di induzione rispettivamente di 40mg e 0.5-1mg/kg/die, presentando un’efficacia tra il 60% e l’80%.106 Il loro

effetto è nella fase di induzione della remissione, dove vengono dati a dosi terapeutiche per poi essere gradualmente scalati. Questo avviene anche in lunghi periodi in modo tale da prevenire la dipendenza al farmaco che può portare a riacutizzazioni della malattia; in questo caso faremo una terapia con agenti

steroido-risparmiatori come l’azatioprina o gli anti-TNF. Invece non hanno effetto sul mantenere la remissione.107

La terapia steroidea ha importanti effetti immunosoppressivi nella MC con una inibizione della trascrizione delle citochine pro-infiammatorie, delle molecole di adesione, della fosfolipasi-A₂, dell’NF-kB ed altri mediatori infiammatori, ed in più porta ad apoptosi i linfociti attivati. Gli effetti avversi che si possono presentare con i corticosteroidi sono diversi, che si presentano soprattutto se utilizzate terapie a lunga durata: infezioni opportunistiche, sepsi post-operatoria, ascessi intraddominali, sindrome di Cushing con le sue peculiarità: osteoporosi, intolleranza glucidica, diabete mellito, disturbi psicotici e dell’umore, ipertensione.108

Si possono utilizzare, specialmente in sede rettale e perianale di MC, anche formulazioni topiche come supposte, clismi o schiume di beclometasone o idrocortisone. Nel caso di coinvolgimento ileo-colico di lieve-moderata attività si utilizza la budesonide in formulazione a rilascio controllato che rispetto a una terapia sistemica corticosteroidea presenta meno effetti avversi.109

1.9.2 Amminosalicilati

Sono farmaci antinfiammatori che modulano la risposta infiammatoria su diversi fronti, principalmente a livello topico, ed agiscono su molteplici vie: a livello del metabolismo dell’acido arachidonico inibiscono la ciclossigenasi e la lipossigenasi; inducono downregulation di NF-kB con riduzione della sintesi di citochine proinfiammatorie; agiscono come scavangers delle specie reattive dell’ossigeno; favoriscono il signaling dei PARPγ nelle CEI per mantenere integra la barriera epiteliale.1

L’acido 5-amminosalicilico (5-ASA) viene somministrato per os e viene assorbito quasi completamente a livello dell’intestino tenue prossimale, per questo fatto il farmaco non risultava efficace nelle MC che colpiscono i tratti intestinali più distali. Si è riusciti a ovviare questo problema grazie all’introduzione della sulfasalazina, farmaco in cui il 5-ASA è coniugato con un legame azolico alla sulfapiridina, che ne impedisce l’assorbimento a livello del tenue prossimale. A livello del colon le azo-reduttasi batteriche scindono il legame, portando al rilascio da una parte del 5-ASA, che può dunque esercitare i propri effetti antinfiammatori in loco, e dall’altra di sulfapiridina, che viene assorbita ed è la causa in gran parte dei pazienti di tossicità sistemica – cefalea, nausea, malessere generale, artralgie, mialgie, soppressione midollare, aggravamento colite. Ciò quindi ha portato a utilizzare altri azo-derivati globalmente conosciuti con il nome di mesalazina.110 Abbiamo due tipi di compresse: compresse a rilascio prolungato (Pentasa®), che si

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