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Approccio nutraceutico nella terapia del diabete

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di laurea magistrale in scienze della Nutrizione Umana

Tesi di laurea

APPROCCIO NUTRACEUTICO NELLA TERAPIA DEL DIABETE

Relatore: Prof.ssa Maria Cristina Breschi

Candidata: Chiara Paolinelli

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A tutti coloro che hanno creduto in me, dandomi la forza di raggiungere questo traguardo così importante.

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Indice

1. Introduzione...pag. 6 1.1. Descrizione della patologia...pag. 6 1.2. Classificazione del diabete...pag. 6 1.3. Complicanze del diabete...pag. 7 1.4. Farmaci attualmente in uso...pag. 10 1.5. Incidenza...pag. 10 2. Definizione di cibo funzionale/nutraceutico...pag. 11 2.1. Preparazione e valutazione delle proprietà antidiabetiche delle

piante...pag. 11 3. Nutraceutici per la terapia del diabete mellito di tipo 2 (TD2)...pag. 12 3.1. Inibitori dell'alfa-amilasi alfa-glucosidasi...pag. 12 3.2. Inibitori di DPP-IV...pag. 15 3.3. Inibitori dell' aldoso reduttasi...pag. 18 3.4. Attivatori di PPAR-γ...pag. 20 3.5. Attivatori di AMP-K...pag. 21 3.6. Traslocazione di GLUT-4...pag. 22 3.7. Berberina e Curcumina...pag. 23 4. Ruolo della dieta mediterranea (DM)...pag. 24 5. Ruolo della vitamina D nella terapia del diabete di tipo 1...pag. 31 5.1. Fonti di vitamina D...pag. 32 5.2. Metabolismo della vitamina D...pag. 32 5.3. Vitamina D e immunità acquisita...pag. 34 5.4. Vitamina D e malattie autoimmuni...pag. 38 5.5. Vitamina D e diabete mellito di tipo 1...pag. 39 6. Importanza del microbiota...pag. 40 6.1. Funzioni immunitarie protettive...pag. 42

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6.2. Microbioma e patologie autoimmuni...pag. 43 6.3. Ruolo del microbiota nel diabete di tipo II e sindrome metabolica..pag. 44 7. Conclusioni...pag. 45 8. Bibliografia...pag. 46 9. Ringraziamenti...pag. 57

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1- Introduzione

1.1. Descrizione della patologia

Il diabete mellito, comunemente chiamato “Diabete” è stato definito come disordine non-trasmissibile, caratterizzato da iperglicemia (glicemia > 200 mg/dl dopo due ore da carico di glucosio, oppure glicemia a digiuno > 7 mmol/l corrispondenti a 126 mg/dl riscontrata in almeno due differenti misurazioni con digiuno di almeno 8 ore o emoglobina glicata>6,5%).

Nel diabete l'alterato metabolismo dei carboidrati, dei grassi e delle proteine può essere il risultato della carenza o del mancato rilascio dell' insulina da parte del pancreas.

L'insulina è un ormone molto importante prodotto dalla parte endocrina del pancreas, in particolare dalle cellule β delle isole di Langherans e trasporta il glucosio dal sangue alle cellule, con effetto ipoglicemizzante. Nel momento in cui si ha carenza/ assenza di insulina i livelli di glucosio nel sangue aumentano portando ad un numero elevato di complicanze.

1.2. Classificazione del diabete

Esistono due tipi fondamentali di diabete:

1) diabete di tipo 1 (insulino-dipendente), chiamato anche “diabete giovanile” caratterizzato dal fallimento della secrezione di insulina.

Sembra che ad un certo punto il corpo inizi a produrre “auto-anticorpi”, ossia anticorpi diretti contro strutture proprie e non contro sostanze esogene.

La produzione di questi anticorpi porta alla distruzione delle cellule β del pancreas.

2) diabete di tipo 2 (non insulino-dipendente) associato a secrezione o azione insulinica difettosa.

Possono verificarsi due situazioni differenti:

a) i recettori presenti a livello delle cellule β non risentono dell'aumento di glucosio in circolo, quindi si ha una più bassa produzione di insulina.

b) l' insulina viene prodotta nelle giuste quantità ma non riesce ad interagire con i propri recettori in modo corretto e quindi la risposta viene a mancare.

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pancreas esogeno, causate da farmaci o altri agenti chimici.

Esiste inoltre il diabete gestazionale: il primo riscontro lo si ha durante la gravidanza, senza che la donna ne sia mai stata affetta prima.

A livello della placenta si ha una produzione di ormoni che vanno ad aumentare gli zuccheri nel sangue. In particolare sembra che il ruolo chiave sia svolto dal cortisolo (ormone prodotto dall' ipofisi, la cui azione principale è quella di indurre un aumento della glicemia) e dal progesterone. Se il pancreas della madre non riesce a far fronte all' iperglicemia, producendo quantitativi di insulina sufficienti, compare il diabete.

1.3. Complicanze del diabete

Le complicanze possono essere sia acute che croniche. Tra quelle acute vi sono:

- ipoglicemia: abbassamento della concentrazione di glucosio nel sangue. Quando questo si abbassa troppo, le cellule, i tessuti e gli organi non riescono a svolgere le loro funzioni.

- chetoacidosi diabetica: quando il glucosio non riesce ad entrare all'interno delle cellule, queste si adattano ad utilizzare prevalentemente gli acidi grassi, il cui metabolismo – in assenza di adeguate quantità cellulari di glucosio – volge verso la sintesi di sostanze chiamate chetoni o corpi chetonici.

- sindrome iperglicemica-iperosmolare (o coma iperosmolare non chetosico): questa complicanza è tipica dei pazienti anziani diabetici i quali, percependo meno il senso della sete a causa dell'età, tendono ad assumere meno acqua di quella che serve e a sviluppare una severa iperglicemia.

Dal derivante stato di disidratazione cellulare consegue una grave sintomatologia neurologica (convulsioni, deficit motori, tremori, allucinazioni). Il diabete è responsabile però anche di complicanze croniche che possono essere sia a livello micro che macrovascolare (Figura 1, 2,3).

Tra quelle microvascolari ricordiamo retinopatie, neuropatie e nefropatie; delle macrovascolari fanno parte invece ictus, infarti e malattie vascolari periferiche.

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Figura 2- Complicanze micro e macro-vascolari del diabete (2a)

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1.4. Farmaci attualmente in uso

Ad oggi i farmaci utilizzati per il diabete sono i meglitinidi, le sulfoniluree, i tiazolidindioni, le biguanidi, gli agonisti dei glp-1, gli inibitori della dpp-4, gli agonisti dei recettori D2 della dopamina, gli analoghi dell'amilina e l'insulina. L'utilizzo di farmaci porta ad un numero non indifferente di effetti collaterali, quali aumento del peso (ad eccezione della metformina), ritenzione di liquidi, ipoglicemia, disturbi gastrointestinali.

Da non sottovalutare poi il problema relativo ai costi di questi farmaci. 1.5. Incidenza

Figura 4- Epidemiologia diabete nel mondo (4a)

Nel 2015 sono stati riportati oltre 415 milioni di individui con diabete dalla IDF (International Diabetes Federation) (Figura 4).

Nello stesso anno questa patologia ha causato 5 milioni di morti. Il 12% della spesa sanitaria globale viene spesa per il diabete.

Il diabete di tipo 2 causa il 70% delle morti nei paesi in via di sviluppo. In India erano presenti 69.1 milioni di diabetici nel 2015, e almeno 30 milioni con

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prediabete: nel 2030 il maggior numero di diabetici sarà in India. 2- Definizione di cibo funzionale/nutraceutico

Il termine “ cibo funzionale ” è stato coniato per indicare quegli alimenti naturalmente ricchi di molecole con proprietà benefiche e protettive per l' organismo. Questi alimenti risultano molto utili in quanto se vengono inseriti in un regime alimentare equilibrato svolgono un'azione di prevenzione nei confronti di alcune patologie, andando a migliorare lo stato di salute.

Il termine “ nutraceutico ” è un termine che è stato coniato solo alla fine degli anni '80, si riferisce ai composti attivi che sono stati ritrovati nei cibi funzionali. Queste sostanze vengono estratte, purificate e testate.

Secondo la World Health Organization (WHO) solo il 10% di piante sono utilizzate dall'umanità: 21.000 piante sono utilizzate a scopo terapeutico e di queste 2500 sono state trovate in India.

2.1. Preparazione e valutazione delle proprietà antidiabetiche delle piante In un primo momento vengono selezionate le tradizionali piante medicinali (step 1).

I principi attivi vengono utilizzati per effettuare degli studi molecolari (step 2). Le proprietà antidiabetiche vengono a questo punto saggiate in vitro (step 3) e in vivo (step 4).

In vitro vengono eseguiti studi sulle linee cellulari, per valutare gli effetti delle piante o dei singoli principi attivi a livello dei targets diabetici, quali: secrezione di insulina, espressione dei trasportatori del glucosio GLUT 4 e GLUT 2, entrata del glucosio all'interno delle cellule, attivazione di PPAR-Ύ, attivazione DPP-4, α-amilasi e α-glucosidasi.

In vivo vengono invece eseguiti studi su animali per valutare i medesimi targets diabetici elencati sopra; mentre per quanto riguarda gli studi clinici con pazienti diabetici, lo scopo è quello di andare a studiare la biodisponibilità, i saggi biochimici, i livelli plasmatici di insulina e i livelli di glucosio nel sangue e nelle urine (Figura 5).

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Figura 5- Diagramma che dimostra la metodologia per preparare e valutare le proprietà antidiabetiche di una pianta o dei suoi principi attivi (5a)

3- Nutraceutici per la terapia del diabete mellito di tipo 2 (TD2)

Un numero elevato di sperimentazioni cliniche hanno dimostrato che il diabete e le complicanze annesse possono essere prevenute o comunque possono essere tenute sotto controllo con la regolare assunzione di cibi che sono ritenuti funzionali.

La World Health Organization (WHO) ha approvato l'utilizzo di derivati delle piante per la cura del diabete.

3.1. Inibitori dell' alfa-amilasi e alfa-glucosidasi

Si tratta di due enzimi molto importanti per la digestione dei carboidrati complessi.

Le amilasi sono enzimi appartenenti alla famiglia delle idrolasi.

Sono secrete sia dalle ghiandole salivari (amilasi salivare o ptialina) che dal pancreas esocrino (amilasi pancreatica).

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molecole di maltosio e glucosio.

Le alfa glucosidasi (maltasi) appartengono anch'esse alla famiglia delle idrolasi. Provvedono alla formazione del glucosio, a partire dal maltosio, in modo da permettergli di entrare in circolo.

Il processo di demolizione avviene nella prima parte dell'intestino tenue, detta duodeno.

L' inibizione di questi due enzimi porta una non digestione dei carboidrati e quindi il risultato è una riduzione del livello di glucosio in seguito ad un pasto. Recentemente in uno studio (1) sono stati trovati nove limonoidi provenienti da A. indica, i quali sono in grado di inibire le alfa-amilasi in silico e in vitro.

Un altro studio (2) mostra come la Miricetina, estratta dalle foglie di Guajava (Guava) sia in grado di andare ad inibire le maltasi e le alfa-amilasi.

Figura 6- Miricetina (6a)

Rutina, quercetina e miricetina sono inibitori delle alfa-glucosidasi (il loro effetto è paragonabile a quello dell'acarbosio) (3).

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Anche la betulina, estratta da Ruellia tuberose ha un' attività di tipo inibitoria nei confronti della alfa-amilasi (4).

Figura 8 – Betulina (8a)

Il geraldone, l'isocanina e la luteolina sono tre flavonoidi che hanno mostrato la capacità di inibire la alfa-amilasi e le alfa-glucosidasi in vitro (5).

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Figura 9- Geraldone, isocanina e luteolina (9a)

3.2. Inibitori DPP-IV

L' enzima dipeptil-peptidasi IV è responsabile dell' inattivazione delle incretine (GIP, glucose-dependent insulinotropic peptide e GLP-1, glucagon-like peptide) le quali aumentano la secrezione di insulina, inibiscono la produzione di glucagone, provocando così una riduzione della glicemia e rallentano lo svuotamento gastrico, evitando il picco glicemico e diminuendo l'appetito.

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Sembra inoltre che le cellule beta coltivate in vitro in presenza di GLP-1 perdurino integre più a lungo suggerendo un intervento protettivo dell'ormone. L'inibizione di questo enzima provoca quindi un aumento della produzione di insulina da parte del pancreas e quindi una diminuizione della glicemia.

Alcuni studi hanno dimostrato che i FOS sono in grado di inibire il DPP-IV tanto quanto gli agonisti del PPAR-Ƴ (6).

I FOS sono frutto-oligosaccaridi, strutturalmente sono considerati oligo- e polisaccaridi del fruttosio, vengono uniti mediante legami β-glicosidici (1-2) alla cui estremità è presente un'unità di α-D-Glucosio.

Si considerano frutto-oligosaccaridi le molecole aventi un grado di polimerizzazione compreso tra 3 e 10 e fruttani quelle con gradi di polimerizzazione maggiori di 10. Sono catene polisaccaridiche a basso numero di unità che si ottengono mediante idrolisi dall'inulina, la quale è un polisaccaride di origine vegetale.

Figura 10- Struttura fruttoligosaccaridi (10a)

L'olio essenziale ottenuto da Cymbopogon citratus contiene principalmente geraniale, nerale, mircene e geraniolo. Questi composti sono in grado di

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migliorare la glicemia, l' insulinemia e il livello dei lipidi, oltre ad aumentare i livelli di GLP-1 (6).

Figura 11- Nerale e geraniale (11a)

Figura 12- Mircene (12a)

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Figura 13- Geraniolo (13a)

La cisteina contenuta nella Rhizophora mucronata sembra essere un valido inibitore del DPP-4 (7).

3.3. Inibitori dell' aldoso reduttasi

L'aldoso reduttasi è un enzima responsabile della trasformazione del glucosio in sorbitolo; il sorbitolo viene poi trasformato in fruttosio dall'enzima sorbitolo deidrogenasi (Via dei polioli).

In condizioni fisiologiche la via dei polioli funziona solo in minima parte, poiché il glucosio viene preferenzialmente indirizzato alla via glicolitica.

In condizioni patologiche di iperglicemia la via glicolitica è saturata dal glucosio, che può entrare in parte anche nella via dei polioli.

Questa situazione causa sbilanci metabolici, che si traducono in danni tissutali in vari distretti.

L' accumulo del sorbitolo, la sua scarsa penetrazione all'interno delle cellule e l'azione molto lenta dell'enzima sorbitolo deidrogenasi è la prima causa di retinopatie, neuropatie e nefropatie.

In uno studio è stata analizzata la modalità di associazione e il meccanismo di inibizione di sei composti fenolici nei confronti dell'aldoso reduttasi umana (hALR2).

Tutti gli inibitori hanno mostrato l'effetto inibitorio formando legami stabili a idrogeno con la tasca attiva di hALR2 formata dai residui TYR48, HIS110 e

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TRP111.

I vari estratti, quello acquoso, etanolico, metanolico ed etereo delle radici di G. lutea sono stati sottoposti a saggio biologico in vitro (8). Tra questi, l' estratto etereo e quello metanolico sono risultati eccellenti inibitori nei confronti sia della aldoso reduttasi del ratto e dell'uomo.

Il glicoside secoiridoide e l'amarogentina sono i più comuni costituenti presenti nelle radici di G. lutea: studi hanno riferito che gli estratti presentano attività inibitoria suggerendo che Gentiana o i suoi componenti potrebbero essere adatti a trattare complicanze diabetiche.

Figura 14- Amarogentina (14a)

Uno studio ci mostra come il composto chimico ( (4Z-12Z)Ciclopentadeca-4, 12-dienone) isolato da Grewia Hirsuta sia un buon inibitore dell'aldoso reduttasi (9).

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Sono state anche studiate le modalità di legame e proprietà farmacocinetiche dei composti polifenolici, provenienti dal genere Scrophularia nei confronti dell' aldoso reduttasi umana (ALR2).

Tra i composti, l'acacetina, un metossi flavonoide ha mostrato un legame stabile con ALR2.

Studi di interazione molecolare hanno dimostrato che l'acacetina limita la donazione del protone formando legame a H con Tyr48, necessario per l'attività catalitica di ALR2 (10).

3.4. Attivatori di PPAR- γ

I PPAR (recettori attivati da proliferatori perossisomiali) sono dei recettori che appartengono alla superfamiglia dei recettori nucleari.

In particolare il PPAR-γ regola geni coinvolti nello sviluppo delle cellule adipose e nell' omeostasi del glucosio in quanto regolano la sensibilita all' insulina e il metabolismo del glucosio.

La sua attivazione aumenta l'espressione e la traslocazione dei trasportatori del glucosio (GLUT-1 E GLUT-4) sulla superficie cellulare, in questo modo si ha l' uptake del glucosio all' interno delle cellule del fegato e del muscolo e si ha la riduzione delle concentrazioni plasmatiche.

Inoltre attivando questo recettore si ha una riduzione del TNF-α e un aumento dell'adiponectina, la quale ha tra le varie funzioni quella di ridurre il glucosio prodotto a livello epatico.

La catechina è un polifenolo che si trova nel tè verde ed è stato visto che è un potente attivatore dei recettori PPAR- γ (11).

In uno studio sono stati analizzati composti attivi ottenuti dai prodotti marini naturali in grado di migliorare l'attività trascrizionale di PPARα/γ. L'acido Sargahydroquinoic (SHQA) e l'acido Sargaquinoic (SQA) di Sargassum yezoense sono stati identificati come nuovi agonisti PPARα / γ.

L'affinità di legame di SQA con PPAR-γ si è dimostrata superiore a quella di una droga sintetica, come il troglitazone.

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Essendo SQA e SHQA potenti agonisti PPARα / γ , portano a benefici per l'insulino-resistenza attraverso la regolazione dell'adipogenesi (12).

Honokiol (Figura 16) è un polifenolo estratto dalla Magnolia. Questo è un agonista dei recettori PPAR-γ (13).

Figura 16- (A) Strutture chimiche di pioglitazone e honokiol. (B) Legame tra honokiol e PPAR-Ƴ

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3.5. Attivatori di AMP-K ( proteina chinasi attivata da AMP)

Questo enzima viene attivato nel momento in cui la cellula è carente di livelli di energia.

La sua attivazione mediante sostanze esogene provoca un aumento dell'uptake di glucosio da parte della cellula e una riduzione del glucosio prodotto a livello epatico, in modo da avere un calo della glicemia.

E' stato studiato l' effetto antidiabetico della berberina su due linee cellulari: una linea resistente all' insulina e una reattiva (14).

La berberina ha ridotto il peso corporeo e il contenuto di trigliceridi nel plasma. Ha inoltre ridotto l'attivazione dei geni responsabili della lipogenesi, sovraregolando quei geni coinvolti nella spesa energetica rispettivamente nel tessuto adiposo e muscolare in ratti che avevano un'alimentazione ad alto contenuto di grassi.

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Il trattamento con la berberina ha aumentato la traslocazione di GLUT4 sulle cellule L6, mentre ha ridotto l'accumulo di lipidi negli adipociti 3T3-L1 migliorando l'attività di AMPK.

Studi in vivo riportano che la berberina sia un attivatore dell' AMP-K (15). Anche l'epigallocatechina gallato (EGCG) aumenta l'attività dell' AMPK-α e aumenta la fosforilazione dell'enzima acetil coenzima A carbossilasi (la sua foforilazione provoca un arresto nella sintesi degli acidi grassi) (16).

Figura 17- Epigallocatechina-gallato (17a)

3.6. Traslocazione di GLUT-4

Il trasportatore del glucosio 4 (GLUT-4) è una proteina che si trova prevalentemente a livello delle cellule adipose e quelle del tessuto muscolare scheletrico e cardiaco.

L'insulina favorisce il trasporto del glucosio all'interno delle cellule andando ad indurre la traslocazione del GLUT-4 sulla superficie cellulare.

E' stata studiata l' azione di Cinnamomum tamala e Aloe vera per i loro effetti anti-diabetici e insulinomimetici sulle linee cellulari di ratto e NIH / 3T3. Queste piante, sia prese individualmente sia in combinazione, hanno ripristinato un valore normale di glicemia, HbA1C (emoglobina glicosilata), livello di glicogeno epatico e hanno ripristinato i cambiamenti che erano avvenuti a livello del fegato e del rene in seguito all'induzione del diabete nel ratto (17).

E' stata studiata la proprietà antidiabetica di un costituente attivo delle foglie dell'olivello spinoso (sea buckthorn leaves, SBL) e un prodotto di idrolisi dello

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stesso negli adipociti 3T3-L1. Sono stati esaminati tre composti di cui uno era acido gallico (GA). Il prodotto di idrolisi di SBL (SBL-H +) a 5 μg / ml di concentrazione aumenta i livelli di traslocazione GLUT4 del 65% e il trasporto del glucosio del 58% rispetto alle cellule di controllo.

Con acido gallico (GA) a 10 μM si ha l'induzione della traslocazione del GLUT4 sulla membrana e del trasporto del glucosio (18).

Figura 18- Acido gallico (18a)

L'epigallocatechina gallato (EGCG) promuove la traslocazione del GLUT-4 sulla superficie delle cellule del muscolo scheletrico nei ratti andando ad aumentare notevolmente l'uptake di glucosio.

In particolare è necessaria la somministrazione orale di 75 mg/kg (19). 3.7. Berberina e Curcumina

La berberina è un alcaloide vegetale presente nella corteccia, nella radice, nei fusti (compresi quelli sotterranei, rizomi) di piante appartenenti al genere Berberis, come Berberis vulgaris.

Questa è in grado di inibire una proteina, la PCSK9 responsabile della parziale degradazione dei recettori delle LDL (Low Density Lipoprotein) a livello epatico. Questo porta ad un effetto ipocolesterolemizzante.

La berberina aumenta inoltre l'espressione dei recettori per l'insulina, con aumentata sensibilità a questo ormone e riduzione dell'insulinoresistenza.

Si ha inoltre l'attivazione di AMPk e quindi viene migliorato l'ingresso del glucosio all'interno delle cellule e si ha un aumento del rapporto AMP/ATP, che

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promuove la glicolisi e inibisce la gluconeogenesi.

La curcumina è uno dei principi attivi della Curcuma longa, pianta che appartiene alla famiglia delle Zingiberaceae.

Le sue funzioni sono:

-antiossidante, protegge quindi le strutture cellulari dagli effetti lesivi dei radicali liberi dell'ossigeno

-antinfiammatoria, riduce l'espressione di enzimi coinvolti nell'infiammazione (ciclossigenasi 1 e ciclossigenasi 2)

-antitumorale, inibisce il processo di neoangiogenesi e promuove l'apoptosi. Questa sostanza è inoltre in grado di migliorare la resistenza all'insulina, attivando il recettore di questo ormone presente sulla superficie cellulare.

Figura 19- Berberina (19a)

Figura 20- Curcumina (20a)

4- Ruolo della dieta mediterranea (DM)

La dieta mediterranea (DM) è un modello nutrizionale ispirato ai modelli alimentari diffusi in alcuni paesi del bacino mediterraneo (come l'Italia, la Spagna, la Grecia e il Marocco) negli anni cinquanta del XX secolo, riconosciuta dall' UNESCO bene protetto nella lista dei patrimoni orali e

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immateriali dell'umanità nel 2010.

Si basa su alimenti tradizionalmente consumati in questi paesi in una proporzione che privilegia cereali, frutta, verdura, semi, olio di oliva (grasso insaturo), rispetto ad un più raro uso di carni rosse e grassi animali (grassi saturi), mentre presenta un consumo moderato di pesce, carne bianca (pollame), legumi, uova, latticini, vino rosso, dolci.

I componenti della dieta mediterranea come frutta, verdura, olio di pesce, olio di oliva e frutta a guscio, sono considerati cibi funzionali da introdurre nell'alimentazione grazie al loro naturale contenuto di nutraceutici tra cui polifenoli, terpenoidi, flavonoidi, alcaloidi steroli, pigmenti e acidi grassi insaturi. I polifenoli contenuti all' interno degli alimenti presenti nella dieta mediterranea e quelli contenuti per esempio in caffè, tè verde e tè nero hanno mostrato effetti benefici significativi sul metabolismo e a livello delle attività microvascolari, oltre che effetti positivi per quanto riguarda i livelli di colesterolo, abbassamento del glucosio a digiuno e hanno anche un' azione antinfiammatoria e antiossidante nei pazienti che hanno un elevato rischio di sviluppare il diabete di tipo 2.

Sperimentazioni cliniche dimostrano che il diabete di tipo 2 e le complicanze annesse possono essere prevenute o cancellate nei soggetti ad alto rischio attraverso l' assunzione regolare di alimenti caratteristici della DM, che sono considerati molto importanti per il controllo glicemico, per la regolazione della pressione arteriosa, per l'attivazione di enzimi antiossidanti e del microbiota. Inoltre questi alimenti sono in grado di andare ad inibire la produzione di citochine proinfiammatorie che vengono rilasciate nei pazienti affetti da diabete (20).

L'uso di alimenti funzionali come terapia complementare per la prevenzione e la gestione di malattie è costantemente aumentato negli ultimi decenni come mezzo per promuovere la salute e il benessere emotivo, ed è stato sempre più utilizzato in quei pazienti che cercano sollievo dagli effetti collaterali causati da farmaci.

Tradizionalmente la dieta mediterranea (o diete simili) è considerata una delle più sane ed ha quindi effetti positivi per quanto riguarda la durata e la qualità della vita.

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Alla base della dieta mediterranea c' è l'assunzione elevata di alimenti vegetali come frutta, verdura e legumi, consumo moderato di pesce e latticini e basso consumo di carne rossa e vino rosso. L' uso di erbe e spezie può anche essere incluso al posto del sale. Questi componenti vengono consumati nelle regioni al confine con la regione mediterranea, ma l'aderenza si sta attenuando con la diffusione delle diete occidentalizzate in tali regioni. Pertanto, le componenti della MD non sono esclusive per nessuna regione geografica e ci sono risultati promettenti sull'implementazione della MD in regioni non mediterranee .

Alimenti funzionali presenti nella MD contenenti polifenoli, terpenoidi, flavonoidi, alcaloidi, steroli, pigmenti, e gli acidi grassi insaturi svolgono un ruolo importante nel mantenimento del benessere e contribuiscono a prevenire il cancro, la depressione, il DMT2, l' obesità, l' asma e il declino cognitivo (21, 22).

Studi epidemiologici hanno da tempo dimostrato una relazione inversa tra consumo di MD e tasso di incidenza di diabete mellito di tipo 2 (23) e diabete gestazionale (24). Inoltre, alcune recenti analisi sistematiche e studi randomizzati controllati hanno dimostrato una migliore gestione del DMT2 e uno stato metabolico migliorato in soggetti ad alto rischio, tra cui glicemia a digiuno (IFG), intolleranza al glucosio (IGT) e sindrome metabolica, associati al consumo di MD (25, 26).

Ad esempio, la MD rispetto alle diete di controllo ha dimostrato di ridurre i livelli di emoglobina glicosilata A1c (HbA1c) dello 0,30-0,47% nei pazienti con DM2 (27).

L'analisi prospettica dello studio PERIMED (Prevenzione con la Dieta Mediterranea) ha anche mostrato (Figura 21) un tasso di incidenza di T2DM inversa associato al consumo di MD, confrontato con una dieta a basso contenuto di grassi (28, 29). Recenti meta-analisi hanno dimostrato che il consumo di componenti della MD, in particolare frutta, verdura e legumi riduce i tassi di incidenza indipendentemente dai cambiamenti dell'obesità (indicato dall'indice di massa corporea ; BMI) durante un follow-up di 9,5 anni, suggerendo che MD può attenuare gli effetti negativi dell'obesità sul rischio di DMT2 (30). Infatti, MD non è una dieta a basso contenuto calorico, dal

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momento che alcuni dei suoi elementi centrali sono ricchi di energia, in particolare di olio d'oliva e le noci (28,31,32).

Figura 21- La figura mostra che la sopravvivenza senza il diabete è inferiore nel gruppo di controllo rispetto a entrambi i gruppi MedDiet.

L' incidenza del diabete era infatti 10.1 (5.1–15.1) nel gruppo di soggetti che aveva aumentato l'utilizzo di olio di oliva e 11.0 (5.9–16.1) nel gruppo di soggetti che aveva aumentato l'utilizzo di noci, mentre era 17.9 (11.4–24.4) nel gruppo di controllo (21a)

Pertanto, è importante notare che MD è più efficace nell'abbassare il rischio di DM2 indipendentemente dalla perdita di peso e che questo può avvenire senza escludere necessariamente l'assunzione di energia.

I benefici dei componenti MD nel DMT2 sono stati attribuiti a specifici nutraceutici all'interno dei componenti alimentari MD tra cui i grassi monoinsaturi acidi (MUFA) come acido oleico dell'olio d'oliva, acidi grassi polinsaturi omega-3 (ad es. acido alfa-linolenico) presenti nelle nocciole (29), acido eicosapentaenoico (EPA) e acido docosaesaenoico (DHA) presenti nei pesci grassi , elevate quantità di flavonoidi e antiossidanti trovati in frutta e

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verdura (33), e alte quantità di fibra trovata principalmente in cereali e alimenti integrali con un basso indice glicemico (GI) (34, 35).

Ad esempio, alcuni studi hanno sottolineato l'importanza degli acidi grassi dell'olio d'oliva - acido oleico, fitosteroli (Beta-sitosterolo), antiossidanti (alfa-tocoferolo) - e polifenoli delle piante che riducono l'infiammazione e l'ossidazione e determinano miglioramenti nella funzione micro e macro-vascolare endoteliale (36, 37). È noto che tali effetti hanno ruoli preventivi sia nel T2DM che nella malattia cardiovascolare (CVD). Altri hanno evidenziato l'importanza dell' assunzione di frutta e verdura per ridurre il rischio di DMT2 (33), e viceversa un basso apporto di tali nutrienti è collegato all'aumento del rischio di malattia e persino all'aumento della mortalità (38). Non è possibile attribuire benefici di riduzione del rischio del DMT2 a un singolo cibo funzionale o nutraceutico della dieta mediterranea, bensì questa deve essere considerata come un insieme di componenti importanti per il mantenimento dello stato di benessere.

Studi epidemiologici che tentano di collegare componenti MD specifici alla riduzione del DMT2 hanno trovato associazioni conflittuali (31). Ad esempio, gli acidi grassi omega-3, ottenuti da pesce e frutti di mare, sono stati associati solo a un ridotto rischio di DMT2 nelle popolazioni asiatiche, ma non nelle popolazioni europee o nordamericane (31,39).

Ciò che è importante sottolineare è che ogni componente della dieta mediterranea ha caratteristiche uniche e benefici protettivi, è quindi fondamentale raccomandare di seguire un approccio olistico per la prevenzione del diabete.

Potrebbero esserci alcuni componenti funzionali chiave come l'olio extra vergine di oliva e le noci: a questi sono stati associati effetti protettivi a livello metabolico quali la riduzione della proteina C-reattiva (CRP) e l'interleuchina-6 (IL-6) in uomini e donne ad alto rischio (40).

È plausibile attribuire i benefici protettivi del DM2 (miglioramento della resistenza all'insulina, controllo del glucosio e altri fattori di rischio cardiometabolico) al contenuto di polifenoli, in particolare quelli di flavan-3-oli, che sono presenti all'interno delle fonti alimentari MD (frutta, verdura, cereali

(29)

integrali e legumi), e anche all'interno di bevande (tè, caffè, vino rosso e cacao) (41).

Sono state riportate evidenze cliniche sull'efficacia degli alimenti ricchi di lignani (come i semi di lino) che riducono i livelli di insulina, glucosio e CRP (proteina C reattiva) e migliorano la resistenza all'insulina in gruppi di pazienti selezionati (41).

Molto importanti sono anche i prodotti delle olive, ricchi di polifenoli, come per esempio le foglie di olivo, il loro estratto grezzo e l'olio extra vergine di oliva per il loro parziale ruolo effettivo su aspetti della sindrome metabolica (42).

Mentre il composto polifenolico non flavonoide, l'idrossitirosolo, il principale polifenolo dell'olio d'oliva, è stato dimostrato migliorare il profilo lipidico, la glicemia e la sensibilità all'insulina e contrastare i processi perossidativi e infiammatori (40).

E' stato dimostrato che il resveratrolo (trovato in uva e prodotti a base di uva) aumenta il trasporto intracellulare di glucosio e riduce la secrezione di insulina, utilizzando vari animali e modelli tissutali (43).

Ogni componente MD può avere caratteristiche uniche e benefici protettivi. Attualmente, l'incidenza del diabete e le complicanze associate

stanno aumentando in tutto il mondo e si stima che

l'incidenza crescerà ulteriormente in futuro. Nonostante siano presenti molti farmaci per curare il diabete, le sue complicanze sono ancora in aumento. Al momento sono incoraggianti i tradizionali trattamenti a base di piante per il diabete grazie al loro profilo sicuro e grazie al numero ridotto di effetti collaterali rispetto ai farmaci sintetici.

(30)
(31)

5- Ruolo della vitamina D nel trattamento del diabete tipo 1

Figura 23- Vitamina D2 e vitamina D3 (23a)

Gli enzimi che metabolizzano la vitamina D e i suoi recettori sono presenti in molti tipi di cellule comprendenti varie cellule immunitarie, come cellule presentanti l'antigene (APC), cellule T, cellule B e monociti. Dati in vivo su animali e studi di supplementazione di vitamina D hanno mostrato effetti benefici sulla funzione immunitaria.

Le classiche azioni ormonali della vitamina D sono legate al metabolismo minerale e alla salute scheletrica.

Questa infatti aumenta l'assorbimento intestinale di calcio e fosfato, stimola la differenziazione degli osteoclasti

e stimola il riassorbimento di calcio dalle ossa, promuovendone la mineralizzazione.

La carenza di vitamina D (Figura 24) provoca rachitismo e osteomalacia, inoltre è associata allo sviluppo di malattie cardiovascolari, vari tipi di cancro e malattie autoimmuni, come il diabete mellito di tipo 1 (T1D), sclerosi multipla (SM) e malattia infiammatoria intestinale (44).

Nell'ultimo decennio, la prospettiva su come la vitamina D influenza la salute umana è cambiata drammaticamente, questo perchè è stato scoperto che il recettore della vitamina D (VDR) e l'enzima che la attiva (1- α-idrossilasi, CYP27B1) sono espressi in molti tipi di cellule come intestino, pancreas,

(32)

prostata e cellule del sistema immunitario.

Ciò suggerisce un impatto importante della vitamina D su un aspetto molto più ampio della salute umana, precedentemente sconosciuto. Soprattutto nel campo dell'immunologia umana, la sintesi extra-renale del calcitriolo-1,25 (OH) 2D- da cellule immunitarie e tessuti periferici è stato proposto di avere

proprietà immunomodulatorie simili a citochine attive localmente. 5.1. Fonti di vitamina D

La vitamina D può provenire da tre fonti potenziali: fonti nutrizionali, produzione endogena UVB-dipendente e integratori.

Nell'uomo, la vitamina D viene principalmente sintetizzata nella pelle dopo l'esposizione a raggi UVB mentre solo una minima parte deriva da fonti alimentari. Pochissimi alimenti come il pesce grasso (salmone, sgombro, sardine, olio di fegato di merluzzo) o alcuni tipi di funghi (Shiitake), specialmente se seccato, contengono quantità rilevanti di una delle due forme principali, colecalciferolo (vitamina D3) o ergocalciferolo (vitamina D2).

5.2. Metabolismo della vitamina D

Nella pelle umana il colecalciferolo viene sintetizzato dal 7-diidrocolesterolo quando esposto ai raggi UVB.

Il colecalciferolo è biologicamente inattivo e si lega immediatamente all' albumina. Entra quindi in circolo ed è idrossilato nel fegato, catalizzato dagli enzimi CYP2R1 e CYP27A1, che portano alla formazione della forma inattiva 25-idrossivitamina D-25 (OH) D- che rappresenta il principale metabolita circolante ed è il più affidabile parametro per definire lo stato di vitamina D umano.

Nel rene, 25 (OH) D è ulteriormente convertito in un composto biologicamente attivo, il calcitriolo (1,25 (OH) 2D), dall'enzima 1-α-idrossilasi (CYP27B1).

I livelli di calcitriolo sono strettamente regolati da un sistema a feedback negativo presente a livello renale.

Alti livelli di calcitriolo infatti provocano l'inattivazione dell ' enzima CYP27B1, la stimolazione dell'enzima CYP24A1 che trasforma il calcitriolo nella sua forma

(33)

inattiva, che viene poi escreta con la bile.

Oltre alle cellule renali sono presenti altre cellule, incluse

quelle immunitarie, in grado di esprimere CYP27B1 e convertire la forma inattiva ossidrilata esclusivamente nella posizione 25, in forma attiva.

Nei macrofagi e nelle cellule dendritiche, la mancanza di meccanismi di feedback (rispetto alle cellule renali) consente la produzione di alte concentrazioni locali di calcitriolo necessarie per l' immunomodulazione.

(34)

Figura 24- Cause e conseguenze della carenza di vitamina D (24a)

5.3. Vitamina D e immunità acquisita

L' espressione del VDR (recettore vitamina D) da parte delle cellule T e B è molto bassa in condizioni di riposo, ma in seguito all' attivazione e proliferazione, le cellule T e B attivano l'espressione di VDR in modo significativo, permettendo la regolazione di più di 500 geni responsivi alla vitamina D che influenzano la differenziazione e la proliferazione di queste cellule (45,46).

(35)

differenziazione, della proliferazione,

l'inizio dell'apoptosi e la diminuzione della produzione di immunoglobuline erano inizialmente considerati come

mediati esclusivamente indirettamente dalle cellule T helper (Th) (45).

Studi più recenti hanno confermato ulteriori effetti diretti del calcitriolo sull'omeostasi delle cellule B, compresa l'inibizione delle cellule della memoria e del plasma, nonché promozione dell'apoptosi delle cellule B che producono immunoglobuline (47,48,49).

Questo controllo dell'attivazione e della proliferazione delle cellule B può essere clinicamente importante nelle malattie autoimmuni.

Le cellule B che producono anticorpi reattivi contro strutture proprie svolgono un ruolo importante nella patofisiologia dell'autoimmunità.

Anche l'altro tipo principale di cellule immunitarie adattive, le cellule T, è considerato un obiettivo importante per gli effetti immunomodulatori di diverse forme di vitamina D.

In una recente revisione (50) sono stati proposti 4 potenziali meccanismi con cui la vitamina D può influenzare la funzione delle cellule T (Figura 25):

1. effetti endocrini diretti sulle cellule T mediate da calcitriolo sistemico. 2. conversione diretta, intracrina di 25 (OH) D a calcitriolo mediante cellule T. 3. effetti paracrini diretti del calcitriolo su cellule T in seguito alla conversione di 25 (OH) D a calcitriolo mediante monociti o cellule dendritiche.

4. effetti indiretti del calcitriolo sulla presentazione dell'antigene alle cellule T mediate dalla via dell' APC.

(36)

Figura 25- Meccanismi delle risposte immunitarie innate e adattative alla vitamina D (25a)

L'esposizione alla vitamina D porta a un passaggio da uno stato proinfiammatorio ad uno più tollerogenico.

Il calcitriolo sopprime le cellule T helper (Th), la proliferazione cellulare, differenziazione e modulazione della produzione di citochine (51).

In particolare, il trattamento di cellule T con calcitriolo o analoghi inibisce la secrezione da parte dei linfociti Th1 di sostanze proinfiammatorie (IL2, interferone-γ, TNF alfa), inibisce la secrezione di citochine da Th9 (IL9) e quelle prodotte da Th22 (IL22) (52,53), ma promuove la produzione di citochine anti-infiammatorie prodotte da Th2 (IL3, IL4, IL5, IL10) (54).

Anche le cellule Th17 che producono IL17 sono influenzate dalla vitamina D. L'inibizione dell'attività delle cellule Th17 sembra svolgere un ruolo importante nel trattamento di malattie autoimmuni come mostrato nei topi diabetici non obesi (NOD) (55).

(37)

produzione di IL17 a livello trascrizionale (56) ed è stato visto (Figura 26) che cellule T umane attivate esposte al calcitriolo hanno prodotto livelli significativamente diminuiti di IL17, interferone-γ e IL21 (57).

Figura 26- (A) Il calcitriolo inibisce la produzione di IL-17 e IFN-γ . (B) Viene inoltre inibita la produzione di IL-21 da parte delle cellule T .

(C) Indica chiaramente che 1,25(OH) 2 D3 è in grado di inibire la produzione di IL-17, IL-21 e IFN- γ attraverso un effetto diretto sulle cellule T.

(D) E' possibile notare che la somministrazione di calcitriolo porta ad un incremento di IL-10. L' azione inibitoria è selettiva per le citochine pro-infiammatorie (26a)

(38)

tollerogenico, inclusa una maggiore espressione di

geni tipici delle cellule T regolatorie (Tregs), aggiungendo una combinazione di calcitriolo e IL2 alle colture di cellule T umane.

Le Tregs agiscono per sopprimere le risposte proinfiammatorie di altre cellule immunitarie e mirano a prevenire risposte esagerate o autoimmuni (58).

Sono potenzialmente indotte da diverse forme di vitamina D (59).

La supplementazione di vitamina D potrebbe fornire un futuro sicuro e utile per la terapia nelle malattie autoimmuni o dopo il trapianto (60).

5.4. Vitamina D e malattie autoimmuni

Le malattie autoimmuni sono caratterizzate da una perdita di omeostasi immunitaria con conseguente distruzione del tessuto corporeo da parte di cellule immunitarie autoreattive.

Una combinazione di predisposizione genetica, fattori di rischio epidemiologici e ambientali contribuiscono allo sviluppo di malattie autoimmuni.

Un fattore importante potrebbe essere la presenza di insufficienti livelli di vitamina D (61,62) poiché vari studi epidemiologici suggeriscono associazioni tra carenza di vitamina D e una maggiore incidenza di malattie autoimmuni, come diabete mellito tipo 1 (T1D), MS (sclerosi multipla), lupus eritematoso sistemico (LES), artrite reumatoide (RA) e malattia infiammatoria intestinale (IBD).

In modelli animali per T1D, MS, SLE, IBD e uveite autoimmune, la somministrazione di calcitriolo ha prevenuto o migliorato l'autoimmunità.

Studi effettuati su animali che presentano una carenza di vitamina D o una carenza di VDR mostrano una maggiore infiammazione e suscettibilità al T1D e alla malattia di Crohn, cellule T anomale

e mancanza di protezione dell'ospite da infezioni batteriche (63).

Negli ultimi 40 anni, diversi studi clinici hanno affrontato la questione se i livelli di vitamina D negli esseri umani sono associati al rischio di sviluppare autoimmunità e se lo sviluppo e

la progressione delle malattie autoimmuni possono essere influenzate dall'integrazione di vitamina D.

(39)

Un recente revisione sistematica ha analizzato i risultati di 219 studi pubblicati e ha concluso che la vitamina D sembra

svolgere un ruolo benefico nella prevenzione dell'autoimmunità. 5.5. Vitamina D e Diabete mellito di tipo 1

La malattia autoimmune cronica T1D di solito deriva da una distruzione, mediata da cellule T, di cellule β pancreatiche (responsabili della produzione di insulina) con un tipico inizio nell'infanzia o nell' adolescenza.

Nel mondo il tasso di incidenza del T1D è in costante aumento e i dati raccolti mostrano che è correlato con una carenza di vitamina D (64,65). D'altra parte, ci sono prove che la supplementazione di vitamina D all'inizio della vita è un fattore protettivo contro lo sviluppo del T1D (66,67).

Ad esempio, un sottostudio di EURODIAB ha rivelato un rischio ridotto del 33% di sviluppare T1D per i bambini che hanno

ricevuto supplementazione di vitamina D durante il loro primo anno di vita (68). Una meta-analisi di quattro grandi studi ha anche supportato questi risultati e ha mostrato un rischio significativamente ridotto (odds ratio pari a 0,71) nei bambini di sviluppare T1D quando ricevono la supplementazione di vitamina D (67).

Inoltre, nel modello animale, come i topi NOD (diabetici non obesi), la somministrazione di analoghi di calcitriolo o vitamina D ha prevenuto o ritardato l'inizio del diabete (69,70).

Recentemente la perdita di cellule β è stata attenuata in uno studio clinico randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo utilizzando 2000 UI di colecalciferolo per 18 mesi in 38 pazienti T1D (71).

Negli ultimi decenni, la ricerca sulla vitamina D ha confermato importanti interazioni tra vitamina D e le cellule del sistema immunitario innato e adattativo. I dati hanno dimostrato che un ampio spettro di cellule, incluse le cellule immunitarie, esprimono gli enzimi che metabolizzano la vitamina D, fornendo

un meccanismo biologicamente plausibile per la conversione della vitamina D nella sua forma attiva. Questo processo sembra essere essenziale per la

(40)

normale funzione immunitaria e

pertanto livelli di vitamina D compromessi o insufficienti possono portare a una disregolazione delle risposte immunitarie.

Una recente revisione sistematica (72) è arrivata alla conclusione che diversi studi eseguiti nel corso degli ultimi 40 anni supportano il ruolo della vitamina D nella prevenzione delle malattie autoimmuni ma che esiste ancora la mancanza di studi clinici controllati randomizzati in questo campo.

Finora, non c'è consenso a livello mondiale sul livello sierico raccomandato e la modalità ottimale di integrazione di vitamina D.

In futuro, sono necessari ulteriori e più ampi studi clinici per determinare come la supplementazione di vitamina D influisce sulla fisiopatologia di diverse malattie in vivo e su come

può contribuire ad una migliore efficacia delle terapie convenzionali, mediante immunomodulazione.

In questi studi devono essere inoltre risolti problemi relativi alle modalità e dosaggi ottimali per la supplementazione.

Però, prendendo tutte le prove attuali, la vitamina D emerge come un nutriente promettente e relativamente sicuro per nuove strategie nella prevenzione e nel trattamento aggiuntivo delle malattie causate da problemi a carico del sistema immunitario.

6- Importanza del microbiota

Il nostro corpo è abitato da un enorme numero di batteri che per oltre il 70% vivono nell' intestino, raggiungendo nel colon la massima concentrazione e generando una biomassa di oltre 1,5 kg.

Si calcola che il microbiota sia composto da oltre 100 trilioni di batteri, suddivisi in 500-1000 specie, un numero di cellule superiore di 10 volte a quelle che compongono il nostro corpo.

Il microbiota costituisce un ecosistema stabile nella sua composizione e funzione malgrado le condizioni dinamiche imposte dalla dieta, dal possibile utilizzo di antibiotici e dalle reazioni del sistema immunitario, tanto da poter essere considerato un organo microbico umano.

(41)

I microbi intestinali sono in prevalenza anaerobi (Figura 27).

Se ne conoscono oltre 50 “phyla”, ma due sono dominanti coprendo il 90% della popolazione batterica: i gram-positivi Firmicutes e i gram-negativi Bacteroidetes.

Altri phyla sono rappresentati da Actinobatteri, Fusobatteri e Verrucomicrobia. Esiste una grande variabilità interindividuale dettata da fattori genetici e ambientali. Le differenze di composizione del microbiota di individui egualmente sani sono giustificate in buona misura da diverse abitudini alimentari.

La dieta ha infatti un ruolo fondamentale nella selezione di specie microbiche specifiche per i vari substrati alimentari.

Quel che è certo è che il microbiota dei soggetti sani si differenzia da quello che si ritrova nel corso di specifiche malattie.

Disbiosi specifiche sono state trovate nei soggetti affetti da malattie infiammatorie dell'intestino (morbo di Crohn), colon irritabile e carcinoma del colon, ma anche da obesità, diabete tipo 1 e dabete tipo 2.

Il microbiota intestinale è responsabile di un certo numero di funzioni metaboliche vitali, molte delle quali non sono realizzabili dal solo corpo umano. Queste includono la sintesi di tutte le vitamine del gruppo B (B1-B12) e vitamina K, digestione del cibo, digestione di polisaccaridi complessi indigeribili (amidi, cellulosa e gomme), e la produzione dei metaboliti degli acidi grassi a catena corta, come butirrato e acetato, che agiscono come fonte di energia per i batteri del colon e possono esercitare effetti anti-infiammatori.

Da tempo è stato anche riconosciuto un ruolo benefico ai batteri produttori di acido lattico come Bifidobacterium e Lactobacillus che abbassano il pH, producono sostanze antimicrobiche con effetto di soppressione sui patogeni, stimolano il sistema immunitario e hanno effetti antiallergici.

Alcuni alimenti parzialmente digeribili possono a loro volta arricchire specifiche popolazioni microbiche benefiche, sebbene debba ancora essere stabilito un beneficio diretto per la salute. Spesso noti come prebiotici, questi alimenti includono cereali, asparagi, porri, carciofi, legumi e cavolo.

Il microbiota intestinale può anche comunicare con il sistema nervoso centrale attraverso varie vie, compresa per esempio quella del nervo vago, quella dell'

(42)

asse ipotalamo-ipofisi-surrene, produzione di neurotrasmettitori o loro precursori, compresi la serotonina, il triptofano, l'acido gamma-aminobutirrico, dopamina, l-dopa e noradrenalina, e attraverso ormoni, come cortisolo, grelina, leptina e glp-1 (73).

Figura 27- Composizione del microbiota (27a)

6.1. Funzioni immunitarie protettive

Il normale microbiota intestinale è la nostra prima linea di difesa interna contro agenti patogeni e tossine, protegge quindi il corpo dalle malattie.

Una delle funzioni chiave di un microbiota sano è quello di prevenire la colonizzazione dei patogeni attraverso un effetto barriera. Questo avviene attraverso la produzione di composti antimicrobici come la batteriocina.

I batteri intestinali sono anche parte integrante dello sviluppo del sistema immunitario innato della mucosa, attraverso interazioni dirette con cellule epiteliali intestinali.

L' esposizione precoce ad un' ampia varietà di batteri fornisce un tipo di allenamento per il sistema immunitario, in questo modo si verificano le normali risposte protettive e appropriate risposte infiammatorie.

(43)

Al contrario, una ridotta diversità microbica e un'esposizione precoce nella vita possono portare a un sistema immunitario che reagisce in modo eccessivo agli antigeni, predisponendo a malattie autoimmuni e allergiche (74).

6.2. Microbiota e patologie autoimmuni

In passato si riteneva che l'intestino in utero fosse un ambiente sterile; tuttavia, prove emergenti suggeriscono che il contatto microbico inizia prima della nascita, grazie al microbiota materno.

E' infatti stato dimostrato che sono presenti batteri nel liquido amniotico, nella placenta e nel cordone ombelicale (75).

La maggior parte della colonizzazione avviene alla nascita e durante il parto dai microbi vaginali protettivi, come il Lactobacillus. I bambini nati attraverso il parto cesareo e quelli non esclusivamente allattati al seno, tuttavia, possono essere colonizzati da batteri della pelle e acquisiti in ospedale, come lo stafilococco e Acinetobacter, che porta a un microbiota che inizialmente è meno diversificato e meno sano (75, 76).

Questi bambini sembrano più suscettibili allo sviluppo dell'asma, di rinite allergica, diabete e malattia celiaca, come mostrato nella figura 28 (77).

Figura 28- Associazione tra parto cesareo e patologie come asma, riniti allergiche e malattia celiaca (28a)

(44)

Il microbiota intestinale in via di sviluppo nel primo anno è simile a quello della madre, ma è presto influenzato da una varietà di fattori, tra cui la dieta, le abitudini alimentari e l'ambiente circostante (78).

Il microbiota intestinale maturo viene raggiunto all'età età di uno e tre anni e successivamente è relativamente stabile. A questo punto, è principalmente composto da batteri anaerobici.

La maggior parte dei microbi appartengono a da due ceppi batterici: Bacteroidetes e Firmicutes (79).

Il microbiota intestinale è una parte complessa ed essenziale del nostro corpo che fornisce un supporto vitale per la normale funzione metabolica e protezione contro eventuali patologie. La disbiosi è associata a numerosi stati patologici ed è un obiettivo per la terapia e la ricerca futura.

6.3. Ruolo del microbiota nel diabete di tipo II e nella sindrome metabolica La sindrome metabolica è un insieme di fattori di rischio per malattie cardiache, ictus e diabete il quale è collegato all'aumento delle adiposità e a uno stile di vita sedentario. Il diabete di tipo II (T2D) è una condizione infiammatoria in cui l'adiposità e i difetti metabolici aumentano cronicamente la produzione di citochine infiammatorie come TNF-α e IL-1 (80).

Queste citochine infiammatorie inibiscono il segnale dell'insulina portando a insulino resistenza e aumento della glicemia (81).

Il microbiota è stato proposto a svolgere un ruolo primario in questo processo. Infatti, il microbiota di individui obesi è significativamente modificato: il numero di firmicutes è nettamente aumentato rispetto a quello dei bacteroides. È importante sottolineare che questi cambiamenti sono trasferibili: infatti il microbiota di topi obesi porta ad un aumento di adiposità tra i topi sani della gabbia (82).

Cambiamenti significativi del microbiota commensale sono stati osservati anche in pazienti affetti da T2D e in modo interessante sono associati a una riduzione

(45)

dei ceppi di Clostridia (che producono SCFA, ossia acidi grassi a catena corta) e ad un aumento di E. coli (83).

Sono stati anche notati aumentati livelli di LPS (lipopolisaccaride) nel siero come conseguenza di T2D,

L' LPS è una molecola chiave coinvolta nella genesi dell'infiammazione e delle malattie metaboliche. E' infatti una potente molecola pro-infiammatoria presente nella parete dei batteri gram-negativi.

Le malattie autoimmuni sono associate a risposte immunitarie sregolate e sono aumentate drammaticamente negli ultimi decenni.

Negli ultimi anni, la ricerca immunologica si è evoluta da una visione tessutocentrica nei confronti del solo tessuto linfoide verso una comprensione dei microambienti dei tessuti come determinante fondamentale delle risposte immunitarie. Questo ha portato a vedere il microbiota come regolatore intrinseco di tutte le risposte immunitarie.

7- Conclusioni

Il diabete è una priorità medica in tutto il mondo, che richiede migliori strategie preventive e terapeutiche. Oltre ai farmaci tradizionali usati nei pazienti , l’utilizzo di nutraceutici nel trattamento di soggetti con valori borderline può essere realmente utile per evitare la progressione della malattia così come per limitare gli effetti collaterali delle medicine.

Nonostante ci siano molti studi su singoli nutraceutici, spesso sono di breve durata o di scarsa qualità nel metodo. Di conseguenza, sono necessari ulteriori trials clinici randomizzati ben progettati su un ampio ed eterogeneo gruppo di soggetti a rischio, al fine di valutare quali tra essi siano i migliori nutraceutici disponibili e per meglio comprendere il meccanismo d’azione di questi principi attivi da soli o in associazione (ed eventualmente possibili effetti additive e/o sinergici). È inoltre necessario tenere in considerazione il rapporto costo-efficacia e valutarne gli effetti e la sicurezza nel medio-lungo termine.

(46)

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