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Gli illeciti bancari e la collaborazione tra Banca d'Italia e Autorità giudiziaria

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Academic year: 2021

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GLI ILLECITI BANCARI E LA COLLABORAZIONE TRA BANCA D’ITALIA E AUTORITA’ GIUDIZIARIA

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I INDICE SOMMARIO

INTRODUZIONE ... IV

CAPITOLO I

ILLECITO AMMINISTRATIVO

1. Genesi dell’illecito amministrativo ... 1

2. Autonomia dell’illecito amministrativo ... 7

3. La disciplina sostanziale dell’illecito amministrativo ... 12

3.1 Gli elementi strutturali ... 13

3.1.1 Materialità ... 14

3.1.2 Colpevolezza ... 21

3.1.3 Antigiuridicità ... 29

3.2 Gli altri principi regolatori ... 34

3.2.1 Il concorso di persone ... 34

3.2.2 Intrasmissibilità degli effetti della sanzione .... 37

3.2.3 Concorso formale delle norme punitive e principio di specialità ... 40

(4)

II 3.2.5 Limiti massimi e minimi delle sanzioni pecuniarie

e i criteri per la determinazione delle

sanzioni ... 46

CAPITOLO II REATI E ILLECITI AMMINISTRATIVI NEL T.U.B. 1. Il diritto punitivo bancario ... 52

2. Classificazione degli illeciti e reati bancari ... 62

3. Ostacolo o elusione delle funzioni di vigilanza ... 64

4. Reati degli esponenti bancari ... 70

5. Reati dei clienti della banca o dei soggetti ad essa estranei ... 76

CAPITOLO III PROCEDIMENTO E PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI SANZIONATORI 1. Principi generali ... 82

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III 2. Dalla cultura del segreto bancario alla cultura

dell’informazione ... 89

3. Il reperimento delle notitiae criminis ... 96

4. Il procedimento sanzionatorio della Banca d’Italia ... 100

5. I provvedimenti adottabili ... 119

5.1 Sanzioni pecuniarie ... 122

5.2 Sanzioni accessorie ... 124

6. Il sindacato giurisdizionale ... 128

7. Collaborazione tra Banca d’Italia e Autorità giudiziaria ... 134

CONCLUSIONI ... 144

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IV INTRODUZIONE

Questo lavoro si pone come obiettivo lo studio delle principali irregolarità poste in essere dai soggetti operanti nel settore bancario, definendo anche i meccanismi approntati dal legislatore per porvi rimedio, con particolare attenzione alla funzione sanzionatoria svolta dalla Banca d’Italia.

Nella prima parte, si affronterà dunque una prima analisi dell’illecito amministrativo, esaminandone l’origine e la successiva evoluzione, con il raggiungimento della definitiva e piena autonomia concettuale e normativa con la L. n. 689/1981. Rispetto a tale istituto, ampio risalto verrà dato soprattutto ai principi che ne disciplinano gli aspetti principali, e che continuano ad essere regolati dalla Sezione I del Capo I della L. n. 689/1981. Questa, peraltro, nonostante siano già trascorsi numerosi anni dalla promulgazione, è giunta ai nostri giorni sostanzialmente “intatta”.

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V Un’analisi preliminare che appare, dunque, come quanto mai necessaria anche in considerazione della più recente tendenza assunta dal legislatore a ricorrere in modo massiccio alla de-criminalizzazione e, di conseguenza, all’illecito amministrativo: un processo questo che ha riguardato soprattutto i reati economici e quindi direttamente proprio il settore creditizio.

Nella seconda parte del lavoro, si passerà ad esaminare l’evoluzione del diritto punitivo bancario, ossia quell’insieme di norme – penali e amministrative – che si occupano di sanzionare e/o correggere, ove possibile, i comportamenti devianti degli operatori del settore bancario; a tal proposito, si analizzeranno i primi e più risalenti interventi sistematici in materia (r.d.l. 7 settembre 1926 e r.d.l. 6 novembre 1926) fino a toccare la legislazione contemporanea che, come si vedrà, è caratterizzata da evidente disorganicità in ragione proprio delle pressanti esigenze poste dalla crisi economica globale dell’ultimo decennio.

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VI In secondo luogo, si vedrà il modello scelto dal legislatore, per la classificazione e distinzione dei reati e degli illeciti amministrativi, con l’approvazione del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia: modello che attribuisce rilievo preminente al tipo di condotta preso in considerazione dal legislatore.

Infine, con la terza ed ultima parte del presente lavoro si analizzerà il potere sanzionatorio della Banca d’Italia, e precisamente le forme e i procedimenti che devono necessariamente essere rispettati affinché questi sia esercitato legittimamente. Un esame da svolgere alla luce anche della recente giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (si pensi a quanto emerso a seguito della sentenza 4 marzo 2014, ricorso n. 18640/2010, Grande Stevens e altri c/o Italia) la quale attribuisce un’evidente coloritura penalistica alle sanzioni amministrative. Una forte linea evolutiva della materia in esame che ha avuto come conseguenza primaria l’incremento delle garanzie procedimentali, volte ad

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VII assicurare che le sanzioni siano adottate all’esito di un giusto procedimento.

Infine, si darà contezza dell’imprescindibilità dei rapporti di collaborazione tra Banca d’Italia e Autorità giudiziaria in un settore, come quello bancario, in cui informazioni e denaro circolano, al giorno d’oggi, con una spaventosa velocità e imprevedibilità.

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1 CAPITOLO I

ILLECITO AMMINISTRATIVO

1. Genesi dell’illecito amministrativo

Partendo da una nozione generale di illecito, si può dire che tale è la violazione di un qualsiasi comando o di un divieto, ovvero qualsiasi fatto che costituisca la trasgressione di una regola, e sia così oggetto di una adeguata reazione dell’ordinamento1.

Questa nozione generale di illecito non può essere che vera se riferita ad un’epoca anteriore alla maturazione degli ordinamenti, conseguita solo dopo la ripartizione dei poteri nello Stato moderno. Infatti, solo dopo che gli ordinamenti si sono evoluti al punto da consentire una ripartizione di funzioni interna tra i poteri dello Stato, è diventato possibile parlare di illecito in senso più specifico, collocandolo nella sua peculiare area di interesse.

1

G. Napolitano, Manuale dell’illecito amministrativo, Rimini, Maggioli Editore, 2013, p. 15.

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2 Il nostro ordinamento giuridico trova nell’art. 28 Cost. una fonte di rango primario che mette in luce una nozione di illecito differenziata, disponendo che agli atti compiuti in violazione dei diritti corrisponda una responsabilità secondo le leggi penali, civili ed amministrative. Questa specificazione vale a chiarire che la nozione di illecito, pur conservando un nucleo minimo ed unitario, tende a scomporsi in alcune categorie fondamentali che hanno ormai raggiunto (illecito penale e illecito civile) o stanno raggiungendo (illecito amministrativo) una loro piena autonomia2.

Il processo di differenziazione dell’illecito segue il verificarsi di due avvenimenti: la maturazione degli ordinamenti e le codificazioni del Novecento.

Sul versante dell’illecito civile, la codificazione degli anni Quaranta del secolo scorso, in controtendenza a quella ottocentesca, scelse la via dell’atipicità del fatto illecito.

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3 Sul versante dell’illecito pubblico, la vicenda è stata un po’ più complessa in quanto, fin dall’Ottocento si potevano intravedere due distinti rivoli: uno penale e uno amministrativo.

Quello amministrativo era appena accennato e ciò dipendeva essenzialmente da una immaturità della teoria generale del diritto amministrativo, dallo stato fluido delle funzioni esercitate dall’amministrazione, nonché dalla estesa varietà di prassi che si erano generate negli Stati pre-unitari. La tutela contro le sanzioni amministrativamente inflitte variava così dal controllo effettuato dalle Giunte Provinciali Amministrative alla tutela giurisdizionale sancita dalla normativa del 18653. In ogni caso la differenziazione dei poteri esercitati

3

L. 1865 n. 2248, Allegato E, art. 2: “sono devolute alla

giurisdizione ordinaria tutte le cause per contravvenzioni e tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione, e ancorché siano emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell’Autorità amministrativa”.

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4 dall’amministrazione era incerta, così come era incerto il confine tra il diritto amministrativo e il diritto penale4.

Sul versante dell’illecito penale, la fine dell’Ancien

Régime e la conseguente affermazione dello Stato di

diritto, comportò il passaggio dal campo amministrativo a quello penale di larga parte della potestà sanzionatoria di diritto pubblico, considerato il mezzo più idoneo a garantire il cittadino contro gli arbìtri. Ulteriore incremento degli illeciti sanzionati penalmente si ebbe poi con la rivoluzione industriale, e conobbe il proprio culmine nella codificazione degli anni trenta del secolo scorso che ha strutturato e radicato nel nostro ordinamento un sistema giuridico retto da principi autonomi rispetto ad altre branche del diritto, connotato da completezza e caratterizzato da una intensa azione di tipizzazione della delle fattispecie capaci di generare illeciti5.

4

G. Napolitano, Manuale dell’illecito amministrativo, op. cit., pp. 17-18.

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5 Il ricorso massiccio alla figura dell’illecito penale ha però avuto quale conseguenza negativa quella di una progressiva perdita di efficienza del sistema processuale, dovuta, principalmente, ad un eccessivo carico degli uffici giudiziari penali: uffici che venivano a trovarsi paralizzati da un’eccessiva mole di lavoro dovuta, principalmente, alla ricorrenza di violazioni minori6. Questo fenomeno ha così generato un’inversione di tendenza consistente nella restituzione, all’alveo del diritto amministrativo, della trattazione di alcune figure di illecito originariamente configurate come meritevoli di reazione penale. Così, alla gestione punitiva amministrativa, venivano consegnate fattispecie estremamente tipizzate, per la gestione delle quali si rendevano necessarie sia pur elementari regole di sistema. A questo scopo, per effetto della depenalizzazione, nasceva una elaborazione dottrinale più accurata che si premurava di ritrarre una specifica funzione amministrativa, generata da regole autonome e

6 C. Pepe, Illecito e sanzione amministrativa, Padova, CEDAM, 1990,

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6 retta per fini meramente punitivo-afflittivi. Ora, senza ricadere nell’errore di ritenere che sia stata la Legge 24 novembre 1981, n. 689 a fondare l’illecito amministrativo, non si può essere in disaccordo sul fatto che per effetto della Legge 1981/689 furono dettate le prime regole uniformi di gestione dello stesso. Il Legislatore della depenalizzazione, infatti, utilizzò la capacità naturale dell’amministrazione di adottare sanzioni a carico dei consociati, contribuendo solo ad arricchire il novero delle regole applicative, proprio perché si rendeva opportuno ridimensionare la discrezionalità amministrativa nel momento in cui, nel solco delle sanzioni già spiccabili per derivazione storica, venivano ad inserirsi figure nuove, connotate da un’accentuata tipizzazione e precedentemente assistite dalle garanzie del diritto penale7.

7

G. Napolitano, Manuale dell’illecito amministrativo, op. cit., pp. 19-20.

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7 Si può pertanto affermare che l’illecito amministrativo, già da tempo presente, si consolidò e diventò autonomo, però, proprio per il tramite della manovra di depenalizzazione varata nel 1981.

2. Autonomia dell’illecito amministrativo

Affinché possa affermarsi l’autonomia dell’illecito amministrativo, è necessario tracciare correttamente le linee di demarcazione sotto due versanti: il confine esterno tra illecito amministrativo ed illecito penale; il confine interno tra sanzioni amministrative in senso stretto e comuni infrazioni.

Per quanto riguarda il primo profilo, è evidente che l’elaborazione concettuale dell’illecito amministrativo è stata condizionata dalla depenalizzazione, e la circostanza che moltissime fattispecie siano entrate nel suo solco per il tramite della depenalizzazione ha reso necessario, per la dottrina più recente, definire quale sia il confine teorico esistente tra illecito amministrativo e illecito penale. Così,

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8 la prevalente dottrina formatasi dopo l’entrata in vigore della Legge n. 689/1981, ha preferito negare la sussistenza di una differenza ontologica tra sanzioni amministrative e sanzioni penali, sulla base del fatto che, non esiste alcuna differenza nella parte precettiva oggetto di depenalizzazione, mutando solo la risposta sanzionatoria. Secondo tale filone interpretativo, infatti, la differenza tra la sanzione penale e quella amministrativa non si rinviene tanto nella natura dell’illecito sanzionato ma, al contrario, nel contenuto degli effetti del tipo di sanzione. In base a tale orientamento, il legislatore avrebbe un’ampia discrezionalità nello scegliere il tipo di sanzione da ricollegare ad un determinato illecito, discrezionalità che può essere limitata solo qualora sia in contrasto manifesto con la ragionevolezza8.

Ora, se questa teoria può essere suffragata dalla depenalizzazione, che praticando un intervento di mera

8 P. Chirulli, L'irretroattività delle sanzioni amministrative: profili costituzionali alla luce della giurisprudenza, in Osservatorio costituzionale, 2014, II, pp. 11.

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9 sostituzione della punizione, ha lasciato piede libero al pensiero che il tutto si risolva nella sensibilità del legislatore, non pare tuttavia del tutto soddisfacente. Se, infatti, il legislatore è libero di decidere il passaggio dal regime penalistico a quello amministrativo e viceversa, non è meno vero che la depenalizzazione e la criminalizzazione mutano l’inquadramento delle fattispecie che ne emergono. Infatti, la qualificazione come sanzione amministrativa o sanzione penale, sul piano sistematico trasforma la funzione della sanzione: la sanzione penale risponde alla ratio della tutela dell’ordine pubblico o alla punizione della persona del reo in chiave di futura prevenzione; la sanzione amministrativa, invece, è funzionale e strumentale all’azione amministrativa, alla sua efficacia e alla sua effettività. Dunque, una differenza tra le due esiste ed è una differenza teleologica che risiede nello scopo cui la sanzione è orientata9.

Per quanto riguarda il confine interno, invece, la linea di demarcazione deve essere tratteggiata tra illecito

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10 amministrativo in senso stretto e comuni infrazioni che, in dipendenza dalla equivoca formulazione dell’art. 12 L. 1981/68910, sembrano essere sospinte fuori dal sistema punitivo amministrativo11.

Invero, la funzione sanzionatoria si differenzia dalle altre manifestazioni del potere pubblico, oltre che per la mancanza di uno scopo che stia al di là della punizione, perché qui è più marcato il carattere di supremazia dell’amministrazione nei confronti del cittadino e il confronto tra i due è strutturato in forme procedurali vincolate. Vincoli che, invece, non esistono con la medesima stringenza quando le misure imposte dall’amministrazione abbiano una finalità ripristinatoria, ablatoria o risarcitoria, con la conseguenza che le

10

L. 689/1981, art.12: “le disposizioni di questo Capo si osservano,

in quanto applicabili e salvo che non sia diversamente stabilito, per tutte le violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, anche quando questa sanzione non è prevista in sostituzione di una sanzione penale. Non si applicano alle sanzioni disciplinari.”

11

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11 prestazioni consistenti nel pagamento di somme aggiuntive, sovraprezzi, sopratasse, in misure ripristinatorie o alternative, non possono − salvo diversa previsione di legge − intendersi come sanzioni in senso stretto, sfuggendo dunque alle regole procedurali dell’illecito amministrativo per essere disciplinate da quelle generali di diritto amministrativo. Altra caratteristica peculiare del potere sanzionatorio amministrativo è poi quella che questo ha sempre un carattere afflittivo che colpisce direttamente l’autore dell’illecito e produce nei suoi confronti effetti negativi e restrittivi, di modo che restano al di fuori delle sanzioni amministrative, non solo i provvedimenti favorevoli al destinatario, ma anche tutti quei provvedimenti che, pur avendo carattere negativo, hanno una funzione preventiva, essendo diretti ad evitare la realizzazione di un illecito12. Conseguentemente, per queste comuni infrazioni, la tutela giurisdizionale sarà diversa da quella

12 R. Leonardi, I caratteri del potere sanzionatorio, in Il diritto dell’economia, III, 2013, p. 22.

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12 riservata alle sanzioni amministrative in senso tecnico e seguiranno il normale percorso di tutela davanti al giudice amministrativo.

Ovviamente, distinguere sul piano pratico tra sanzioni amministrative e comuni infrazioni, non sarà operazione semplice e occorrerà valutare caso per caso quale sia la natura giuridica della prestazione imposta e decidere a quale tipologia imputare la misura che si va ad imporre, fatta eccezione per le ipotesi punitive amministrative che conseguono alla depenalizzazione, dove in questo caso è evidente la natura puramente afflittiva della sanzione.

3. La disciplina sostanziale dell’illecito amministrativo Sebbene molti dei principi generali dell’illecito amministrativo, siano stati mutuati dal diritto penale e, in misura minore, dal diritto civile, essi riguarderebbero comunque la funzione sanzionatoria amministrativa − anche al di là delle previsioni della L. n. 689/1981 − per il semplice motivo che gli stessi principi sono già

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13 disseminati all’interno della Costituzione a garanzia dei diritti universali della persona.

Premesso ciò, nella Sezione I del Capo I della L. n. 689/1981, intitolata “Principi generali” e composta da tredici articoli, sono rinvenibili almeno nove principi generali e fondamentali: i principi di legalità; di capacità di intendere e di volere; di responsabilità per colpa o dolo; di esclusione della responsabilità per l’esistenza di una causa di giustificazione; del concorso di persone nell’illecito amministrativo; di solidarietà; della personalità dell’obbligazione; della continuazione; e, infine, di specialità13.

3.1. Gli elementi strutturali

Gli elementi strutturali dell’illecito sono quelle condizioni comuni ad ogni tipo di illecito che rendono concretamente punibile una condotta umana che soddisfi le prescrizioni astrattamente previste dal legislatore.

13

A. Fioritto – C. Lenzetti, Le sanzioni amministrative e la nuova

(24)

14 Questi elementi sono: la materialità, la colpevolezza e l’antigiuridicità.

3.1.1. Materialità

Il primo elemento strutturale dell’illecito amministrativo è quello della materialità, che consiste nella individuazione della condotta che renda materialmente consumata la fattispecie illecita – che il legislatore ha astrattamente definito con adeguata precisione – e, pertanto, la rende punibile.

Ora, per la definizione dell’elemento della materialità dell’illecito amministrativo, è indispensabile il ricorso al principio di legalità con i suoi tre corollari − riserva di legge, irretroattività e tassativa −, espressamente richiamati dall’art. 1 L. n. 689/198114.

14

Art. 1 L. n. 689/1981:Nessuno può essere assoggettato a sanzioni

amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione. Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerate.

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15 Il principio di legalità trova il proprio riferimento principale nel comma 2 dell’art. 25 Cost. secondo cui nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Si tratta di una delle principali conquiste di civiltà giuridica che garantisce il cittadino dagli abusi governativi, sul campo della gestione della punizione pubblica15.

Volgendo ora lo sguardo ai tre precipitati del principio di legalità, iniziamo col connotato della riserva di legge. La riserva di legge può essere sia assoluta che relativa: è assoluta quando la materia deve essere integralmente regolata dalla legge; è relativa quando invece la Costituzione prevede che, in una determinata materia, solo le disposizioni di principio siano stabilite dalla legge, riducendo la discrezionalità dell’esecutivo, che potrà però prevedere la disciplina di dettaglio con propri regolamenti. Orbene, se è pacifico che in campo penalistico la riserva di legge è assoluta, meno pacifico è che la riserva di legge sia tale anche nell’ambito dell’illecito

15

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16 amministrativo. Infatti, la lettura sostanziale dell’ordinamento ci porta a ritenere che la riserva di legge, in ambito amministrativo, si trovi in una posizione molto prossima alla riserva relativa, in quanto prevede non poche eccezioni, accordando alle fonti di rango secondario ampi spazi nella definizione delle fattispecie punite con sanzioni amministrative. A tal proposito, la giurisprudenza civile più recente (Cass. civile, Sez. II, 1 giugno 2010, n. 13344) sostiene che, se in materia di illecito amministrativo la previsione di norme secondarie integrative del precetto contenuto nella norma primaria è compatibile con il principio di legalità, è ,invece, in ogni caso inibito alle norme primarie di demandare a fonti secondarie la determinazione della sanzione16.

Così, in primo luogo, bisogna individuare, nell’ambito dell’illecito amministrativo, cosa debba intendersi per legge; per legge va intesa la legge in senso formale, sia

16 G. Pagliari, Il principio di legalità, in A. Cagnazzo (diretto da), La sanzione amministrativa. Principi generali, Torino, Giappichelli,

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17 statale che regionale, nelle materie di rispettiva competenza. In secondo luogo, bisogna verificare il margine di inserimento di una fonte secondaria o di un provvedimento amministrativo nel processo di definizione del precetto di una fattispecie. Con riguardo alla possibilità di inserimento di una fonte secondaria, la giurisprudenza ritiene che, laddove i precetti siano sufficientemente individuati dalla legge, essi possano essere eterointegrati dalle fonti regolamentari, in ragione della tecnicità della dimensione in cui le fonti secondarie sono legittimate ad operare e sempre nel rispetto delle finalità individuate dalla legge. Con riguardo alla possibilità di inserimento di un provvedimento amministrativo, da una parte, la giurisprudenza (Cass. civ., sez. I, 22 gennaio 2004, n. 1081) ha escluso che provvedimenti come le circolari possano estendere i precetti definiti dalla legge; dall’altra il Legislatore - con il D.lgs. 2000 n. 267, all’art. 7-bis17 – rompeva gli argini

17 D.lgs. 2000 n. 267, art. 7-bis: “1. Salvo diversa disposizione di legge, per le violazioni delle disposizioni dei regolamenti comunali e

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18 della riserva assoluta, attribuendo ai regolamenti e alle ordinanze comunali la capacità di definire il precetto, restando riservata alla legge la sola determinazione della sanzione applicabile18.

Il secondo precipitato del principio di legalità è l’irretroattività, in forza della quale possono essere sanzionati solo quei comportamenti posti in essere successivamente all’entrata in vigore della fattispecie soggetta a punizione. Anche questo connotato è stato mutuato dal diritto penale, ma con una sostanziale differenza: mentre, infatti, nel diritto penale opera il favor

rei, ovvero la circostanza che l’eventuale sopravvenienza

provinciali si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 25 euro a 500 euro. 1-bis. La sanzione amministrativa di cui al comma 1 si applica anche alle violazioni alle ordinanze adottate dal sindaco e dal presidente della Provincia sulla base di disposizione di legge, ovvero di specifiche norme regolamentari. 2. L’organo competente ad irrogare la sanzione amministrativa è individuato ai sensi dell’articolo 17 della legge n. 689/ 1981.”

18

G. Napolitano, Manuale dell’illecito amministrativo, op. cit., pp. 42-44.

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19 di una norma successiva più favorevole al trasgressore possa essere applicata in suo favore, nell’ambito dell’illecito amministrativo l’irretroattività è assoluta, nel senso che questa riguarda sia la norma successiva che applica un regime sanzionatorio di favore sia la norma che elimini la punibilità della condotta considerata illecita all’atto della commissione dell’azione. Questa conclusione è suffragata dalla Corte Costituzionale che − al fine di risolvere il dibattito dottrinale tra chi sosteneva l’irretroattività assoluta nel campo dell’illecito amministrativo e chi, enfatizzando la derivazione dello stesso da quello penale, sosteneva che il principio del

favor rei dovesse entrare anche nell’ambito dell’illecito

amministrativo −, con ordinanza n. 140/2002, sancì la natura autonoma del principio di irretroattività previsto nella L. n. 689/198119.

L’ultimo connotato del principio di legalità è costituito dalla tipicità, che si coglie dalle parole del comma 2

19 G. Pagliari, Il principio di legalità, in A. Cagnazzo (diretto da), La sanzione amministrativa. Principi generali, op. cit., p. 22.

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20 dell’art. 1 L. n. 689/1981: “le leggi che prevedono

sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati”. Il profilo della tipicità è,

da un lato, il punto in cui il diritto penale e l’illecito amministrativo si avvicinano di più, fino a coincidere parzialmente, mentre, dall’altro, è per converso il punto in cui si allontana di più dall’illecito ritratto dal diritto privato, dove viceversa vige il principio dell’atipicità del fatto illecito, per come definito dall’art. 2043 c.c. che contempla la sanzionabilità di chiunque cagioni ad altri un danno ingiusto.

Ora, mentre il divieto di applicazione analogica in ambito amministrativo è pacifico, per niente pacifico è se tale divieto riguardi tanto l’analogia in bonam partem quanto l’analogia in malam partem. Sul punto la dottrina è divisa, essendoci chi sostiene che le norme favorevoli all’autore delle violazioni siano applicabili analogicamente, mentre, in giurisprudenza non vi sono tracce di pronunzie che distinguano tra analogia in malam partem e analogia

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21 dovrebbe condividere l’interpretazione restrittiva, considerando soprattutto che in ambito amministrativo non opera il favor rei20.

La tassatività è, comunque, un principio garantistico perché concorre a fondare uno degli elementi centrali della punibilità, cioè il fatto21.

3.1.2. Colpevolezza

Il legislatore, una volta optato per la tassatività e la tipicità delle fattispecie punibili, si trova davanti all’alternativa circa il modello di responsabilità da adottare, dovendo scegliere tra quella di tipo risarcitorio/recuperatorio e di stampo civilistico o quella afflittiva di stampo penalistico, optando per quest’ultimo. In questo modo, affinché il soggetto che ha materialmente realizzato la condotta astrattamente

20 G. Pagliari, Il principio di legalità, in A. Cagnazzo (diretto da), La sanzione amministrativa. Principi generali, op. cit., p. 31.

21

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22 punibile, per essere concretamente punito, deve essere imputabile e altresì colpevole per aver posto in essere, consapevolmente e con dolo o colpa, la condotta tipizzata dal legislatore.

Ora, i due presupposti indefettibili del modello della responsabilità afflittiva sono: l’imputabilità e la colpevolezza.

Partendo dall’imputabilità, rileva in particolare l’art. 2 della L. n. 689/1981 a mente del cui primo comma: “non

può essere assoggettato a sanzione amministrativa chi, al momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i diciotto anni o non aveva, in base ai criteri indicati nel codice penale, la capacità di intendere e di volere, salvo che lo stato di incapacità non derivi da sua colpa o sia stato da lui preordinato”. Quindi, oltre alla

minore età, il Legislatore del 1981 fa espresso rinvio ai criteri del codice penale, criteri che riguardano: l’infermità

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23 di mente, il sordomutismo, l’ubriachezza e la soggezione a stupefacenti22.

22

L’infermità di mente, affinché possa escludere l’imputabilità, deve consistere in uno stato patologico o morboso che incida gravemente sulla capacità di ragionare, capire, avere memoria, ovvero avere capacità di discernimento e di valutazione. L’infermità predetta, per rilevare quale scriminante, deve esistere al momento in cui viene commesso il fatto e sulla commissione del fatto deve aver influito in un rapporto di causa-effetto. Infine, l’effetto dell’infermità di mente è in grado, a seconda della sua rilevanza totale o parziale, di escludere l’imputabilità o di ammetterla ma, in questo caso, riducendo la responsabilità ed i suoi effetti.

Il sordomutismo è un retaggio storico e in quest’epoca è fortemente ridimensionato grazie ai grandi progressi fatti dalla scienza nel consentire a chi è affetto da sordomutismo di sviluppare una normale vita di relazione.

L’ubriachezza e la soggezione a stupefacenti sono due cause di esclusione dell’imputabilità difficilissime da conseguire. Infatti, è in grado di escludere l’imputabilità o ridimensionare gli effetti della responsabilità unicamente l’ubriachezza o la soggezione a stupefacenti incolpevole, cioè quella verificatasi per caso fortuito o forza maggiore. Viceversa, costituisce un’aggravante l’ubriachezza o

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24 Per ultimo, la primaria e naturale esclusione di imputabilità risiede nell’età del trasgressore. La sanzione amministrativa avendo natura pecuniaria, infatti, necessita di un patrimonio con cui farvi fronte, patrimonio che non sempre è ufficialmente disponibile per un minore di anni diciotto. Allora, in questo caso, il legislatore si “accontenta” della soluzione pratica offerta dal comma 2 dell’art 2 L. n. 689/1981, secondo cui della violazione risponde chi era tenuto alla sorveglianza dell’incapace, salvo che non provi di non aver potuto impedire il fatto. A tal fine, il medesimo articolo postula, come condizione necessaria per l’irrogazione della sanzione ai soggetti responsabili della sorveglianza dell’infra diciottenne, la immediata redazione del verbale sui fatti accertati e la successiva contestazione della violazione nei confronti dei soggetti tenuti alla sorveglianza, dove va enunciato il rapporto intercorrente con il minore e la specifica

la soggezione a stupefacenti preordinata al fine di commettere un illecito o di prepararsi una scusa.

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25 attribuzione, ad essi, della responsabilità per l’illecito amministrativo23.

Venendo al secondo presupposto della responsabilità afflittiva, la colpevolezza, viene in soccorso il testo del comma 1 dell’art. 3 L. n. 689/1981 a norma del quale nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa, ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa. Dunque, a tale norma viene affidato il compito di definire le condizioni minime in presenza delle quali può attribuirsi la condotta illecita alla volontà del soggetto: condotta che deve essere stata realizzata con coscienza e volontà, estrinsecandosi, cioè, nella capacità di comprendere la realtà e, in ragione di ciò, di autodeterminarsi in un senso o nell’altro.

L’interpretazione di tale disposizione ha comunque impegnato notevolmente la dottrina perché, l’affermazione che la condotta deve essere cosciente e

23

G. Napolitano, Manuale dell’illecito amministrativo, op. cit., pp. 52-54.

(36)

26 volontaria, può generare qualche problema su cosa il legislatore abbia realmente voluto intendere. Infatti, nel linguaggio comune, per condotta cosciente e volontaria si intende un comportamento che il soggetto agente ha volontariamente tenuto e voluto. Se fosse così, però, la condotta cosciente e volontaria finirebbe per coincidere con il dolo, e ciò non può essere. Allora, la dottrina maggioritaria ha ricostruito tale concetto in termini di

suitas, cioè nel senso di comportamento che è suscettibile

di essere dominato da un impulso della volontà: in questo modo diventano punibili anche comportamenti che non sono stati tenuti volontariamente dal soggetto, ma che egli avrebbe potuto evitare mantenendo una più alta soglia dell’attenzione24.

Questo primo stadio di partecipazione psichica, minimo ma essenziale, ci porta ad affermare le ipotesi di esclusione dell’attribuibilità soggettiva della condotta del

24 F. Dinelli, La colpevolezza nelle sanzioni delle Autorità amministrative indipendenti, in Il diritto dell’economia, III, 2013, p.

(37)

27 soggetto, rappresentate dalle ipotesi di: incoscienza indipendente dalla volontà; forza maggiore; costringimento fisico; malore improvviso25. Definiti i presupposti minimi della colpevolezza, passiamo ai differenti gradi che la stessa può assumere: il dolo e la colpa.

Ai fini della sussistenza del dolo è necessario concentrarsi su due aspetti: la previsione dell’evento come conseguenza della propria azione, con annessa consapevolezza del disvalore dell’evento stesso, e la volizione dell’evento, che riguarda l’espressione di quella volontà che ha accettato le conseguenze dell’azione prevista, sia dirette ed immediate che quelle indirette ed eventuali26.

L’essenza della colpa si coglie, invece, nella concorrenza di tre diverse condizioni: mancanza di volontarietà dell’evento; inosservanza di regole di

25 E. Ragni, L’elemento soggettivo dell’illecito amministrativo, in A.

Cagnazzo (diretto da), La sanzione amministrativa. Principi generali, op. cit., pp. 150-151.

26

(38)

28 condotta dirette ad impedire la causazione di fatti dannosi o pericolosi; attribuibilità del fatto all’agente che ha fatto un cattivo uso della volontà nello sviluppo della sua azione.

Infine, occorre considerare che il comma 2 dell’art. 3 L. n. 689/1981 − disponendo che “nel caso in cui la

violazione è commessa per errore sul fatto, l’agente non è responsabile quando l’errore non è determinato da sua colpa” − dà capacità scusante all’errore. Tuttavia, l’errore

che rileva nell’ambito amministrativo è il solo errore che si riverbera sulla formazione della volontà, non rilevando quello che cade nel momento in cui la volontà formata si traduca in atto. L’errore, poi, può essere di diritto o sul fatto. Ora, mentre il primo non opera in ambito amministrativo, in quanto manca una specifica previsione normativa27, l’errore sul fatto, viceversa, assume rilevanza scusante. Tale si intende quell’errore essenziale che cada o sull’entità naturale o fenomenica della condotta realizzata o di un suo elemento essenziale,

(39)

29 oppure sulla difettosa percezione dell’esatta portata del comportamento illecito a causa della errata interpretazione di una norma diversa da quella violata28. Per escludere la colpevolezza, allora tale errore deve, infine, essere incolpevole: ovvero i parametri dell’ordinaria diligenza, utilizzati dall’agente, si sono rivelati insufficienti ad evitarne il sorgere. In questi casi, tipico atteggiamento incolpevole assume la buona fede, istituto di origine civilistica.

3.1.3. Antigiuridicità

L’antigiuridicità consiste in un giudizio di riprovevolezza sociale, che si traduce nella necessità di punizione da parte dell’ordinamento. Tuttavia, succede spesso che condotte illecite non presentino nella pratica tale giudizio di riprovevolezza. In questi casi, operano le

28 E. Ragni, L’elemento soggettivo dell’illecito amministrativo, in A.

Cagnazzo (diretto da), La sanzione amministrativa. Principi generali, op. cit., p. 152.

(40)

30 cause di giustificazione, anche definite esimenti, o esclusivamente in campo penale, scriminanti.

Ora, le cause di giustificazione sono tassativamente contemplate dai primi due commi dell’art. 4 della L. n. 689/1981, che recitano: “non risponde delle violazioni

amministrative chi ha commesso il fatto

nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima ovvero in stato di necessità o di legittima difesa. Se la violazione è commessa per ordine dell’autorità, della stessa risponde il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine”. Quindi, secondo il suddetto articolo le

cause di giustificazione sono quattro: l’esercizio di una facoltà legittima, l’adempimento di un dovere, la legittima difesa e lo stato di necessità.

L’esercizio di una facoltà legittima ha efficacia giustificativa perché, se il legislatore ha attribuito ad una persona quella facoltà, significa che ha riconosciuto la prevalenza del suo interesse rispetto agli interessi contrari. Questo da solo però non basta: infatti, è necessario anche che la legge consenta di esercitare tale

(41)

31 facoltà attraverso una determinata azione che, regolarmente, costituisce un illecito. Infine, parlando di facoltà legittima e non di diritti, il legislatore ha inteso comprendere, in tale causa giustificativa, situazioni giuridiche soggettive più ampie del diritto, fino a sfociare nella categoria dell’interesse legittimo29.

Passando all’adempimento di un dovere, questo ha capacità giustificativa quando è imposto da norme giuridiche o deriva da un ordine della pubblica Autorità. Quest’ultima è autorizzata dalla legge che le attribuisce il potere di impartire quell’ordine: ordine, dunque, che costituisce pur sempre l’attuazione, mediata ed indiretta, di una disposizione di legge30.

Per quanto riguarda la sussistenza dell’esimente in relazione ad un dovere imposto da norme giuridiche, è stato trattato, dalla giurisprudenza e dalla dottrina, in

29 G. Napolitano, Manuale dell’illecito amministrativo, op. cit., p. 63. 30 M. T. P. C. Jambrenghi, Le cause di esclusione della responsabilità, in A. Cagnazzo (diretto da), La sanzione amministrativa. Principi generali, op. cit., p. 164.

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32 relazione a singoli casi specifici31. Per quanto riguarda il dovere derivante dall’ordine di un’autorità, invece, l’esimente opera solo se l’ordine è legittimo sia sotto il profilo formale che sotto quello sostanziale. Quando, viceversa, è illegittimo, la responsabilità − in base al comma 2 dell’art. 4 L. n. 689/1981 − ricade esclusivamente sul soggetto che lo impartisce, e ciò costituisce una grande differenza rispetto alla relativa scriminante penalistica che, invece, non esclude del tutto la responsabilità del subordinato32.

Terza causa di giustificazione è la legittima difesa, che implica, da un lato, l’aggressione e, dall’altro, la reazione. L’aggressione deve concretizzare un pericolo attuale ed ingiusto all’integrità di un diritto, mentre la reazione deve essere necessaria per salvare il diritto

31 E’ il caso dell’art. 177 del codice della strada che legittima i

conducenti dei veicoli in servizio di polizia stradale a non osservare gli obblighi, i divieti, le prescrizioni della segnaletica stradale in genere, nell’ espletamento di servizi urgenti di istituto

32 G. Napolitano, Manuale dell’illecito amministrativo, op. cit., pp.

(43)

33 minacciato e deve essere necessariamente proporzionale all’offesa.

Infine, ultima causa di giustificazione è lo stato di necessità, per la definizione del quale è necessario rinviare all’art. 54 del codice penale, a norma del quale “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato

costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”. Dunque, in

relazione alla situazione di pericolo, occorre l’attualità del pericolo, la gravità del danno che deve essere proiettato sulla persona, che la situazione del pericolo non sia causata volontariamente dall’agente e che il soggetto non abbia un particolare dovere di esporsi al pericolo. Tutti questi sono requisiti espressamente previsti dalla norma, in assenza dei quali non si può ritenere applicabile l’esimente. Invece, in relazione all’azione lesiva, occorre l’assoluta necessità del fatto finalizzata all’esigenza di

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34 salvare sé od altri e la stessa azione lesiva deve essere strettamente proporzionale al pericolo.

3.2. Gli altri principi regolatori 3.2.1. Il concorso di persone

Il concorso di persone, nell’ambito dell’illecito amministrativo, risente sicuramente della disciplina dello stesso dettata in ambito penalistico. Tuttavia, il legislatore del 1981 ha scelto per quello dell’ambito amministrativo una disciplina molto più scarna rispetto al concorso di persone nell’illecito penale.

Del concorso di persone si occupa l’art. 5 della L. n. 689/1981, a mente del quale “quando più persone

concorrono in una violazione amministrativa, ciascuna di essa soggiace alla sanzione per questa disposta, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge”.

Alla luce di una così scarna previsione, ci si potrebbe chiedere se sia possibile integrarla con la disciplina penalistica non espressamente richiamata o se si debba propendere per la sua piena autonomia. Questa seconda

(45)

35 soluzione è da preferire, in quanto il legislatore del 1981 ha fatto una scelta di rigore rendendo equivalente la responsabilità di tutti i concorrenti, quale che fosse il loro contributo causale.

Tale istituto, comunque, trova scarsa applicazione nella pratica, e ciò dipende da diverse ragioni. In primo luogo, il fatto che gran parte degli illeciti amministrativi siano puniti a titolo di colpa; infatti, dalla difficoltà di accertare il contributo causale offerto dalla cooperazione nell’illecito colposo, si preferisce punire il materiale autore senza andare a cercare altri cooperatori. Un’altra ragione è dovuta al fatto che l’art. 6 L. n. 689/1981 fornisce un catalogo di soggetti cui poter ricondurre la responsabilità, con molta più facilità rispetto al concorso di persone, senza dover ricercare il loro contributo causale alla realizzazione dell’illecito. L’ultimo motivo, infine, riguarda la circostanza che avendo il legislatore talvolta previsto espressamente le ipotesi di responsabilità a titolo di concorso, è maturata nella prassi la convinzione errata

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36 che i concorrenti si debbano cercare solo nelle ipotesi espressamente previste dal legislatore33.

Venendo, infine, ai criteri di identificazione del concorso di persone nell’illecito, l’interprete dovrà sempre riferirsi al concetto di contributo causale nella realizzazione dell’illecito. Se, infatti, non crea particolari problemi l’ipotesi in cui più persone compiono più violazioni commissive, più problematico è il caso in cui più soggetti concorrano nell’esecuzione di un’unica violazione commissiva. In quest’ultimo caso, difatti, è molto difficile stabilire se la persona che non ha materialmente commesso il fatto debba essere chiamata a risponderne a titolo di responsabilità solidale o a titolo di responsabilità diretta.

In ogni caso, l’elemento decisivo, affinché si possa parlare di concorso di persone nell’illecito, resta sempre quello della verifica della partecipazione causale alla determinazione dell’illecito. Partecipazione che assume

33 G. Napolitano, Manuale dell’illecito amministrativo, op. cit., pp.

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37 rilevanza non solo quando si ponga come condizione indefettibile della violazione (c.d. teoria della condicio sine

qua non), ma anche quando assuma la forma di un

contributo agevolatore, cioè quando l’illecito sarebbe stato commesso anche senza la condotta agevolatrice, ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà (c.d. teoria della causalità agevolatrice o di rinforzo)34.

3.2.2. Intrasmissibilità degli effetti della sanzione Degli effetti della morte nell’illecito amministrativo si occupa l’art. 7 L. n. 689/1981, secondo cui “l’obbligazione

di pagare la somma dovuta, a titolo di sanzione amministrativa, non si trasmette agli eredi”. Si tratta di

un principio generale, di chiara ispirazione penalistica, applicabile a tutte le sanzioni amministrative che hanno ad oggetto il pagamento di una somma di denaro che, avendo carattere afflittivo, devono incidere sfavorevolmente solo sul soggetto trasgressore, e ciò

34 G. A. Dato, Il concorso di persone, in A. Cagnazzo (diretto da), La sanzione amministrativa. Principi generali, op. cit., p. 181.

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38 costituisce una notevole differenza rispetto alla generalità delle obbligazioni civilistiche che sono ordinariamente trasferibili agli eredi35.

Ora, considerando la laconicità della suddetta previsione, se da un lato è chiaro che la morte del trasgressore comporta l’estinzione dell’obbligazione nei confronti dell’erede, dall’altro, non è molto chiaro perché, secondo giurisprudenza consolidata, di tali effetti estintivi ne benefici anche l’obbligato in solido. Per giustificare tale conclusione, la giurisprudenza afferma una lettura coordinata degli art. 6 e 7 della L. n. 689/1981: l’art. 6, infatti, dispone per l’obbligato in solido che abbia pagato “il diritto di regresso per l’intero nei confronti dell’autore

della violazione”, ma la morte dell’autore della violazione

toglie all’obbligato in solido qualsiasi possibilità di regresso, considerando che ex art. 7 l’obbligazione sanzionatoria non si trasmette agli eredi. Da qui, allora, sorge la necessità della previsione dell’estinzione

35 P. Cerbo, Il principio di solidarietà, in A. Cagnazzo (diretto da), La sanzione amministrativa. Principi generali, op. cit., p. 208.

(49)

39 dell’obbligazione solidale, al fine di non negare il diritto di regresso dell’obbligato solidale che abbia pagato36.

Altro problema che lascia aperto l’art. 7 L. n. 689/1981, è quello relativo alle sanzioni accessorie. Infatti, ragionando logicamente, si potrebbe arrivare alla conclusione, che trattandosi di sanzioni dipendenti da quelle principali, anche a queste si dovrebbe applicare la medesima disciplina dell’intrasmissibilità. Tuttavia, la loro mancata menzione nel suddetto articolo ne ha favorito l’esclusione, da parte di risalente giurisprudenza37, dal campo di applicazione della norma, statuendo, in materia di confisca amministrativa, che il provvedimento che la dispone non sia travolto dalla morte del proprietario della cosa.

Questo approccio, suscettibile di compromettere la legittimità costituzionale della norma ha, tuttavia, subito un’inversione di tendenza ad opera del Nuovo codice della

36 R. Leonardi, I caratteri del potere sanzionatorio, in Il diritto dell’economia, cit., p. 28.

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40 strada (D.lgs. 285/1992), che ha espressamente statuito l’intrasmissibilità degli effetti della confisca amministrativa38.

3.2.3. Concorso formale delle norme punitive e il principio di specialità

Il concorso formale di norme si ha quando una medesima condotta viene disciplinata, più volte e diversamente, dal legislatore per proteggere determinati beni giuridici.

Prima di procedere con la disciplina del concorso formale di norme, è necessario porre una distinzione tra il concorso reale di norme e quello apparente. Quest’ultimo si verifica quando due o più disposizioni coesistenti sembrano applicabili allo stesso fatto, benché, in realtà la norma applicabile sia una soltanto. In questi casi, la scelta della norma correttamente applicabile viene fatta attraverso il criterio di specialità, il quale presuppone che tra le due norme apparentemente applicabili, esista un

(51)

41 rapporto di genus ad speciem di modo che la norma speciale prevalga su quella generale, avendo rispetto ad essa una maggiore estensione attraverso specifici elementi specializzanti che la caratterizzano39.

Ora, se il principio di specialità funziona senza intoppi nei casi di specialità unilaterale, qualche problema solleva, viceversa, in quelli di specialità reciproca, dove le due norme in conflitto hanno entrambe, oltre al nucleo comune, degli elementi specializzanti. In questi casi, per risolvere il conflitto, la dottrina ha fatto riferimento, talvolta al criterio del bene giuridico oggetto di tutela, talaltra a quello di sussidiarietà; mentre la giurisprudenza aderisce al criterio dell’equità, cercando di evitare, nei limiti del possibile, il bis in idem40.

Entrando, adesso, nell’area specifica dell’illecito amministrativo, del concorso apparente di norme si occupa l’art. 9 L. n. 689/1981, comma 1 a mente del

39 M. Colucci, Il principio di specialità, in A. Cagnazzo (diretto da), La sanzione amministrativa. Principi generali, op. cit., p. 353 e ss.

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42 quale “quando uno stesso fatto è punito da una

disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale”.

Da ciò si ricava che la soluzione del legislatore è quella di applicare sempre la legge speciale, indipendentemente dalla natura penale o amministrativa della sanzione, confortando quell’indirizzo dottrinale che sostiene l’unitarietà del sistema punitivo e l’identità tra le due misure sanzionatorie − penale e amministrativa −, almeno da un punto di vista sostanziale41. Questa soluzione presenta, tuttavia, due eccezioni nei successivi commi 242 e 343 del medesimo art. 9, i quali prevedono:

41 S. Vernile, Le sanzioni amministrative delle Autorità indipendenti tra diritto amministrativo e diritto penale, in Il diritto dell’economia,

III, 2013, p. 76.

42 Art. 9 L. n. 689/1981, comma 2: “Tuttavia quando uno stesso

fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano che preveda una sanzione amministrativa, si applica in ogni caso la

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43 che nel caso di conflitto tra una disposizione penale e una legge regionale si applichi sempre la disposizione penale, al fine di garantire la riserva statale in materia penale (comma 2); e, che in materia di tutela dell’igiene di alimenti e bevande, si applichi la disciplina sanzionatoria penalistica (comma 3).

Passando, infine, al concorso formale reale di norme, a norma dell’art. 8 comma 1 L. n. 689/1981 si realizza in due diverse situazioni, ma entrambe sottoposte allo stesso regime sanzionatorio: quando con un’unica azione od omissione si violi più volte la stessa disposizione di legge (concorso omogeneo); in secondo luogo, quando

disposizione penale, salvo che quest'ultima sia applicabile solo in mancanza di altre disposizioni penali”.

43 Art 9 L. n. 689/1981, comma 3: “Ai fatti puniti dagli articoli 5, 6 e 12 della legge 30 aprile 1962, n. 283, e successive modificazioni ed integrazioni, si applicano soltanto le disposizioni penali, anche quando i fatti stessi sono puniti con sanzioni amministrative previste da disposizioni speciali in materia di produzione, commercio e igiene degli alimenti e delle bevande”.

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44 con un’unica azione od omissione si violino più disposizioni di diverse leggi (concorso eterogeneo)44.

Del concorso formale, come prima accennato, si occupa il comma 1 dell’art. 8 L. n. 689/1981, secondo cui “salvo che sia diversamente stabilito dalla legge, chi con

un’azione od omissione viola diverse disposizioni che prevedono sanzioni amministrative o commette più violazioni della stessa disposizione, soggiace alla sanzione prevista per la violazione più grave, aumentata sino al triplo”. Dunque, alla presenza del concorso formale reale

di norme, l’autorità amministrativa, per la commisurazione della sanzione, deve applicare il meccanismo del cumulo giuridico, che si usa definire come la differenza di effetto che ricade sulla punizione come conseguenza di un criterio di calcolo non materiale della somma matematica di tutte le punizioni; tenendo, altresì, in considerazione che secondo la dottrina

44

D. Dima, Il concorso formale e materiale nelle sanzioni

amministrative, in A. Cagnazzo (diretto da), La sanzione amministrativa. Principi generali, op. cit., p. 214.

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45 maggioritaria, la punizione irrogata attraverso il cumulo giuridico non può essere superiore alla sanzione irrogabile attraverso la somma matematica di tutte le punizioni45.

3.2.4. Il concorso materiale di condotte

Per concorso materiale di condotte si intende il verificarsi di più azioni od omissioni che violino più disposizioni di legge o più volte la stessa disposizione di legge, e a cui corrisponde, dal punto della disciplina sanzionatoria, il cumulo materiale, cioè la somma delle sanzioni previste per ogni singola violazione commessa.

Va detto che nella L. n. 689/1981 manca una disposizione espressa che regoli il concorso materiale di illeciti, e il fatto che al concorso materiale corrisponda il cumulo materiale delle punizioni si ricava implicitamente dalla circostanza che, nel contesto dell’illecito amministrativo, l’istituto dell’illecito continuato non è applicabile in via generale, ma solo in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria, come

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46 espressamente stabilito dal comma 246 dell’art. 8 della L. n. 689/198147. Un elemento che costituisce dunque una delle più significative differenze tra illecito amministrativo ed illecito penale.

3.2.5. I limiti massimi e minimi delle sanzioni pecuniarie e i criteri per la determinazione della sanzione

La sanzione amministrativa pecuniaria costituisce il prototipo tra le diverse sanzioni amministrative. Dei limiti minimi e massimi, entro cui possono muoversi gli importi delle sanzioni amministrative, se ne occupa infine l’art. 10

46 Art. 8 L. n. 689/1981, comma 2: “Alla stessa sanzione prevista

dal precedente comma soggiace anche chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno posto in essere in violazione di norme che stabiliscono sanzioni amministrative, commette, anche in tempi diversi, più violazioni della stessa o di diverse norme di legge in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie”.

47 D. Dima, Il concorso formale e materiale nelle sanzioni amministrative, in A. Cagnazzo (diretto da), La sanzione amministrativa. Principi generali, op. cit., p. 220 e ss.

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47 L. n. 689/198148, secondo cui: “La sanzione amministrativa pecuniaria consiste nel pagamento di una somma non inferiore a euro 10 e non superiore a euro 15.000. Le sanzioni proporzionali non hanno limite massimo. Fuori dei casi espressamente stabiliti dalla legge, il limite massimo della sanzione amministrativa pecuniaria non può, per ciascuna violazione, superare il decuplo del minimo”.

La norma in questione, articolando la sanzione amministrativa pecuniaria tra un minimo ed un massimo, risponde ai criteri di razionalità e garanzia cui deve essere diretta la discrezionalità dell’organo chiamato ad irrogare le sanzioni49, ma non solo, infatti, ha anche una importante valenza strategica in quanto fissa i margini esterni generali per la definizione dell’importo delle sanzioni. Questi margini si dirigono, da un lato,

48 Modificato da ultimo con L. 15 luglio 2009 n. 94.

49 S. Monzani, La sanzione amministrativa pecuniaria, in A.

Cagnazzo (diretto da), La sanzione amministrativa. Principi generali, op. cit., p. 387 e ss.

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48

all’indirizzo del legislatore futuro, anche se a questo giungono senza vincoli trattandosi di legge ordinaria facilmente modificabile dal legislatore; dall’altro, vanno a colmare le lacune della legislazione pregressa che si limitava ad indicare, spesso, solo il limite massimo delle sanzioni50.

Infine, l’art. 11 della L. n. 689/1981 prevede i criteri decisionali cui deve ricorrere l’autorità amministrativa decidente, raccordandoli al principio di proporzionalità. Il suddetto art. 11 dispone infatti che: “Nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell'applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all'opera svolta dall'agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche”.

50 G. Napolitano, Manuale dell’illecito amministrativo, op. cit., p.

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49

Dunque l’art 11 individua espressamente quattro parametri cui l’Autorità amministrativa deve attenersi nel determinare il quantum della sanzione pecuniaria, e cioè: la gravità della violazione, l’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, la personalità dell’agente e le condizioni economiche di quest’ultimo. È proprio attraverso questi criteri che si riesce così a limitare la discrezionalità dell’organo decidente51. Infatti sul punto, la

giurisprudenza, è concorde nel ritenere che l’attività determinativa del quantum della sanzione irrogata a seguito dell’accertamento di un comportamento illecito, costituisca esplicazione di una lata discrezionalità, con la conseguenza che l’operazione valutativa posta in essere non può essere oggetto di sindacato in sede di legittimità, qualora risulti congruamente motivata e scevra di vizi logici. L’art 11, in definitiva, esprime un principio generale di proporzionalità, che va costruito, nell’ambito

51 M. Colapinto, I criteri di determinazione delle sanzioni, in Il diritto dell’economia, III, 2013, p. 64.

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50

sanzionatorio, quale principio di giusta retribuzione, da osservare nella reintegrazione dell’ordine giuridico violato52.

52 G. Napolitano, Manuale dell’illecito amministrativo, op. cit., pp.

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52 CAPITOLO II

REATI E ILLECITI AMMINISTRATIVI NEL T.U.B.

1. Il diritto punitivo bancario

Per diritto punitivo bancario si intende quell’insieme di norme che prevedono delle sanzioni penali e/o amministrative in presenza di condotte illecite riguardanti l’attività bancaria, attuando la generale funzione di garanzia del corretto esercizio del credito, e ispirandosi ai principi di trasparenza, efficienza e professionalità1.

Ora, benché forme di intervento statale in materia creditizia fossero già previste in passato, si può affermare che questo intervento diviene fisiologico solo dopo il r.d.l. 7 settembre 19262 (Provvedimenti per la tutela del risparmio) e il r.d.l. 6 novembre 19263 (Norme regolamentari per la tutela del risparmio), i quali

1 V. Patalano, Reati e illeciti bancari: Profili sistematici della tutela del credito, Torino, Giappichelli, 2003, p. 27.

2 Convertito in legge 23 giugno 1927, n. 1007 3 Convertito in legge 23 giugno 1927, n. 1008

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53 provocarono l’abbandono dell’orientamento secondo cui l’attività bancaria aveva natura esclusivamente privata.

Più precisamente, l’art. 19 del r.d.l. 6 novembre 1926 prevedeva due tipi di sanzioni: pecuniarie e la revoca dell’autorizzazione. La pena pecuniaria, da lire cinquanta a lire duemila, era prevista per le ipotesi: di mancata presentazione al Ministero delle finanze della dichiarazione imposta alle aziende già in esercizio per la loro iscrizione all’albo (art. 11); di omessa presentazione dei bilanci e delle situazioni bimensili (artt. 12-14); e, infine, di omessa esibizione dei documenti richiesti dall’Istituto di emissione (art. 17). Pene pecuniarie proporzionali erano poi previste in caso di inosservanza del rapporto fra il patrimonio e l’importo dei depositi stabilito dall’art. 15, e di inosservanza del rapporto tra i fidi e il capitale versato più le riserve stabilito dall’art. 16. Infine, la revoca dell’autorizzazione poteva essere disposta per ogni violazione delle norme dei rr.dd. 7 settembre e 6 novembre 1926 che rivestisse, a giudizio insindacabile del Ministero per le finanze, carattere di

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54 eccezionale gravità. Come si vede, questo primitivo sistema sanzionatorio si presentava eccessivamente mite per le sanzioni più gravi e, allo stesso tempo, era caratterizzato da una forte discrezionalità riconosciuta al Ministro delle finanze che, nell’applicazione delle sanzioni, non doveva consultare altri ministri, né la Banca d’Italia4. Per un sistema sanzionatorio più articolato occorre attendere la legge bancaria del 1936-38, nata sotto l’ideologia del corporativismo fascista, dove il diritto punitivo bancario trovava sempre la sua ragion d’essere nelle esigenze di tutela degli interessi economici dei risparmiatori. Ma collocati proprio nella prospettiva corporativistica, tali interessi perdevano la connotazione individualistica, per assumere una valenza pubblica, nazionale. In questo contesto dunque, l’intervento punitivo dello Stato serviva a garantire il risparmio nazionale, agendo principalmente in funzione dello sviluppo economico del Paese.

4 V. Patalano, Reati e illeciti bancari: Profili sistematici della tutela del credito, op. cit., pp. 93-94.

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55 Fu quindi con gli artt. 92-98 della legge 7 marzo 1938, n. 141, e successive modificazioni, che venne inserito un diritto penale bancario, distinto dalle disposizioni penali applicabili alle società commerciali, all’interno dell’ordinamento giuridico italiano.

L’art. 92 doveva trasfondere nell’ordinamento bancario la disciplina penale societaria, estendendo la normativa prevista dagli artt. 2621 e ss. c.c., agli istituti di credito di diritto pubblico. L’art. 93 in materia di obbligazioni degli esponenti bancari, determinava così la pena per relationem attraverso il rinvio all’art. 2624 c.c. L’art. 94 estendeva ai commissari straordinari ed ai commissari liquidatori l’applicabilità del delitto di divulgazione di notizie sociali riservate, previsto dall’art. 2622 c.c. Inoltre, l’art. 95 puniva il mendacio bancario, che tuttavia ha trovato scarsa applicazione, mentre l’art. 96 incriminava l’abusivismo bancario e l’abusiva denominazione bancaria, e obbligava i funzionari del Ministero delle finanze e della Banca d’Italia a farne denuncia a quest’ultima. Infine, l’art. 97 consentiva alla

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