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Il riconoscimento giuridico del transessualismo tra tutela della persona e certezza dei rapporti giuridici

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DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di laurea

:

Riconoscimento giuridico del transessualismo

tra tutela della persona e certezza dei rapporti giuridici

Il Candidato Il Relatore

Francesca Zocco Chiar.mo Prof. Roberto Romboli

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Indice

Introduzione………..6 Premessa……….9

CAPITOLO I

L’INFLUENZA DELL’EVOLUZIONE STORICO-CULTURALE SULLO SVILUPO DELL’IDENTITA’ PERSONALE.

Aspetti precedenti alla L. 164 del 1982

 Premessa………20

1. I c.d. “atti contro natura”: tra violenza e repressione. Dall’antichità

al Secolo scorso………21

2. Negazione come forma repressiva. L’ignoranza del “vizio” nel

Codice Zanardelli e nel Codice Rocco………..25

2.1. Art. 85 e art. 180 del Testo unico di Pubblica Sicurezza come

nuovi strumenti di repressione……….29

3. L’identità sessuale a lungo oggetto di dibattiti tra dottrina e

giurisprudenza……….31

4. L’intervento chirurgico tra illiceità e funzione

terapeutica……….42

4.1. L’incidenza delle modificazioni volontarie del proprio corpo

sull’integrità fisica. Riferimenti all’art. 5 del Codice

Civile……….42

4.2. Segue: il riferimento alla “procurata impotenza alla

procreazione”……….44

5. Il Tribunale di Lucca 17 aprile 1972: la svolta verso un graduale

riconoscimento del “criterio di prevalenza” reale ex

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~ 2 ~

CAPITOLO II

IL DIRITTO ALL’IDENTITA’ SESSUALE: APPROVAZIONE DELLA LEGGE 14 APRILE 1982, N. 164

 Premessa………50

1. Assenza di chiare e specifiche indicazioni……….53 1.1. L’operazione di adeguamento dei caratteri sessuali come

conditio sine qua non della rettificazione degli atti dello stato civile……….55

1.2. La sterilizzazione come requisito per chiedere ed ottenere la

rettificazione. Il “no” della Suprema Corte………59

1.2.1. Affaire Y.Y. c. Turquie. La decisione della Corte Europea

dei diritti dell’uomo……….62

1.3. Interpretazione estensiva della locuzione “intervenute

modificazioni dei caratteri sessuali”………..64

1.3.1. Rifiuto del consolidato orientamento e conseguente

accoglimento della domanda anche in difetto di

intervento chirurgico……….66

1.4. Necessità di maggiore chiarezza. Il Tribunale di Trento solleva

la questione di costituzionalità dell’art. 1, L. 164……….68

1.4.1. 164. – 1.4.1 La rilevanza della questione di

costituzionalità e la non manifesta infondatezza………..71

1.4.2. La parola alla Consulta. Sentenza n 221 del

2015………72

1.4.3. Un necessario equilibrio tra il diritto all’identità

personale e la certezza delle relazioni giuridiche.

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~ 3 ~

2. Analisi del procedimento per la rettificazione di attribuzione di

sesso………77

2.1. Il complesso e necessario iter per ottenere la sentenza di

rettificazione………..79

2.2. Le difficoltà che il transessuale incontra nel pieno esercizio dei

propri diritti fondamentali………82

2.2.1. Segue: il silenzio della Legge 164 in materia di

modificazione del nome e relative proposte di

legge………..83

2.3. Differenti soluzioni concernenti l’autorizzazione del

Tribunale………93

2.3.1. Primo orientamento: il trattamento medico- chirurgico

attiene alla sfera di autodeterminazione

dell’individuo………94

2.3.2. Secondo orientamento: l’autorizzazione giudiziale

preventiva inderogabilmente necessaria………97

2.3.3. Ambiguità sottese all’art. 7 della L. 164: responsabilità

del chirurgo non autorizzato………..100

3. Conclusioni………..101

CAPITOLO III

IL MATRIMONIO PREESISTENTE ALLA RETTIFICAZIONE. DALLA GIURISPRUDENZA ALL’INTERVENTO DEL LEGISLATORE: Divorzio imposto – Matrimonio a tempo – Unione civile

 Premessa……….105

1. Matrimonio successivo alla rettificazione di sesso: la riservatezza

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2. Gli effetti del cambiamento di sesso sul matrimonio

preesistente……….108

2.1. Premessa: un accenno sugli istituti del matrimonio del

divorzio……….108

2.2. Introduzione di una nuova ipotesi di scioglimento del

matrimonio: art. 4 L. 164……….111

2.3. L’ampio potere in capo all’ufficiale di stato civile circa

l’autorizzazione di scioglimento del matrimonio. La decisione del Tribunale di Modena……….115

2.3.1. La decisione di primo grado totalmente riformata

d’Appello di Bologna: “si” allo scioglimento automatico del matrimonio………117

2.3.2. Questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, L.

164, sollevata dalla Corte di Cassazione………118

2.3.3. La parola alla Consulta: sentenza n. 170 del

2014……….119

2.3.4. La successiva decisione del giudice a quo. Sentenza

26 gennaio – 21 aprile 2015, n. 8097: il c.d. matrimonio “a tempo”………….………..125

3. A distanza di anni interviene il legislatore: un breve accenno alla

Legge 76 del 2016, c.d. “Legge Cirinnà”……….129

CAPITOLO IV

LE DIFFICOLTA’ DEL TRANSESSUALE NELL’INSERIMENTO SOCIALE

 Premessa……….132

1. Orientamento sessuale e identità di genere due fonti di

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2. L’importanza di informazione e dati quantitativi sul

fenomeno……….136

3. La “Teoria dell’identità sociale” alla base di atteggiamenti fobici………138

3.1. Discriminazione per identità di genere……….139

4. Proposte volte a contrastare la violenza di genere……….140

4.1. Disegno di legge n. 245 del 15 marzo 2013. Il c.d. ddl Scalfarotto……….141

4.2. Testo unificato 245,280,1071 – A: “Disposizioni in materia di contrasto dell’omofobia e transfobia”………..142

5. La discriminazione nel quotidiano………145

5.1. La famiglia: luogo di comprensione e protezione ovvero di rifiuto?...146

5.2. Segue: le difficoltà in ambito lavorativo………147

5.2.1. La normativa sul lavoro: la Direttiva 2006/54/CE, recepita con d.lgs 25 gennaio 2010, n. 5………149

5.2.2. Segue: d.lgs 9 luglio 2003, 216, in attuazione della Direttiva 2000/78/CE………..151

5.2.3. Ulteriori interventi legislativi contro ogni forma di discriminazione………152

6. Tutela dell’identità di genere come possibile fonte di discriminazione: interventi regionali………154

6.1. Segue: Regione Toscana………..154

6.1.1. Gli interventi della Giunta regionale………157

6.2. Segue: Regione Liguria……….160

6.3. Segue: Regione Marche……….….160

Conclusioni………..…….162

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INTRODUZIONE

Affrontare un tema così delicato come, appunto, quello del tran-sessualismo non è per nulla facile.

Trattando, infatti, argomenti che si presentano “nuovi” rispetto al-la tradizione e in cui entra in gioco non solo al-la ragione, ma anche l’etica e la morale, è facile cadere in errore, ma soprattutto ci si scon-tra con stereotipi di vario tipo.

A livello giuridico le difficoltà derivano dalla necessità di fornire delle risposte agli interrogativi sollevati da un tale fenomeno, propo-nendo soluzioni adeguate, allo scopo primario di preservare la libertà e la dignità della persona umana.

Infatti, il fatto che si tratti di un fenomeno che riguarda una cerchia limitata di persone, non giustificherebbe l’indifferenza e le limitazioni che hanno contrassegnato il periodo precedente all’entrata in vigore della Legge 164 del 1982.

Non dimentichiamo che, prima di tale data, quando si parlava di transessualismo, questo veniva relegato a fenomeno “contro natura” da cui dover prendere le distanze. Ma come ben sappiamo, la società, la cultura, le idee cambiano e a questi cambiamenti deve far fronte anche il legislatore, il quale ha il dovere di intervenire al fine di garan-tire “il pieno sviluppo della persona umana” senza alcuna influenza esterna, come può essere la religione1.

L’esigenza che, nel mio lavoro, si vuole mettere in evidenza è quel-la di equiparare quel-la situazione transessuale a quelquel-la eterosessuale, con

1 Le difficoltà nella trattazione di temi così delicati, come può essere il

transessualismo, l’eutanasia, l’aborto, si riscontrano maggiormente in quei Paesi in cui la religione ha una forte influenza non solo nelle scelte dei singoli, ma anche in quelle del legislatore.

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l’intento di eliminare qualsiasi pregiudizio e difficoltà che ogni giorno un trans è costretto ad affrontare.

Spesso, però, a prevalere non è stato, e non lo è tuttora, l’interesse della persona, ma quello dello Stato alla certezza dei rapporti giuridici. Quasi fosse la persona a dover adeguare i propri interessi e le proprie necessità alle scelte statali e non viceversa.

Questa convinzione è stata posta alla base di molte lacune, limita-zioni e rifiuti subiti fino e, aggiungerei, anche oltre, il 14 aprile 1982, data in cui per la prima volta si è giunti alla regolamentazione del cambiamento di sesso con la Legge 164, la cui necessità di approva-zione è stata più volte ribadita in occasione dell’ultima discussione in Aula.

In detta sede non mancarono le perplessità circa l’esaustività della disciplina, ma allo stesso tempo emerse la necessità di intervenire con la massima urgenza, per evitare che prolungando l’iter del provvedi-mento si potessero creare situazioni di ingiustizia2.

In realtà tali situazioni si sono verificate ugualmente soprattutto a causa della scarsa chiarezza della suddetta disciplina.

Non manca, poi, una riflessione sulla giurisprudenza di merito e di legittimità ante e post Legge 164, tramite accenni ad alcune proposte di legge derivanti dalla necessità di nuovi interventi in merito.

Eppure, da quel lontano 14 aprile, qualcosa è cambiato; i transes-suali non sono più, o quasi, definiti “malati”, trovano inoltre un rico-noscimento, anche se non totale, dalla società e dalla giurisprudenza costituzionale; quest’ultima, infatti, ha mostrato maggiore apertura sul tema e ha cercato di recepire gli inviti a livello europeo.

2

In questi termini si è espressa la deputata M.P. Garavaglia nella seduta del 1° aprile 1982, IV Commissione Giustizia, discutendo della proposta di legge De Cataldo ed altri così come modificata dal Senato.

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Tuttavia, come avremo modo di notare, è ancora necessario un in-tervento del legislatore non solo per garantire una maggiore tutela della persona trans, ma anche per indurre la società ad andare oltre gli stereotipi ormai impressi nella nostra cultura.

Necessità dovuta alla molteplicità di interpretazioni che scaturisco-no dalla lettura della legge, a partire dal significato da attribuire alla locazione “a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali”, fino a giungere alla questione del c.d. “divorzio imposto”. Ma, ancora più urgente sembra essere l’intervento in materia di di-scriminazione; da più sponde, infatti, giungono pressioni al fine di spingere il legislatore a introdurre una legge contro omofobia e tran-sfobia3.

3

Proprio in questo periodo è in corso anche la raccolta consensi all’iniziativa “OMOFOBIASTOP” promossa da WEQUAL. Si tratta di un disegno di legge contro l’omofobia e si basa su un’osservazione semplicissima: ciascuno è libero e degno di poter vivere la sua sessualità e, conseguentemente, di amare nel modo più rispondente alla sua più intima percezione di sé.

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PREMESSA

Nel comune parlare il transessualismo non viene spesso preso in considerazione dal punto di vista giuridico, si pensa infatti che si tratti di aspetti più che altro psicologici. È un errore che nasce dalla convinzione che si tratti di un fenomeno molto ristretto di cui debbano occuparsene medici e psicologi, ma ciò che effettivamente rileva è la condizione giuridica e sociale con cui i transessuali si trovano a confrontarsi. Ancora oggi essere transessuali vuol dire essere fonte di discriminazione ed umiliazioni.

Come tutti ben sappiamo la società non è mai uguale a sé stessa; cambia con il passare del tempo, grazie soprattutto alle innovazioni e alle invenzioni, che permettono di migliorare la vita della persona.

Nonostante ci siano molte aperture rispetto a quello che è il passato, ci sono comunque aspetti che possiamo definire “tradizionali”, aspetti cioè che vengono ancora oggi ritenuti immutabili e sui quali si basano molte scelte, non solo del singolo ma anche del legislatore. Uno di questi riguarda proprio il sesso.

Quando si parla di sesso non bisogna pensare, come spesso accade, alle differenze che normalmente si riconducono alle categorie “maschio-femmina” dal punto di visto biologico, ma bisogna anche considerare quelle che sono le conseguenze che questa netta categorizzazione comporta. Si tratta di un aspetto che è sempre stato oggetto di stereotipi, a partire dalla supremazia dell’uomo sulla donna, fino a giungere ad una negazione assoluta dell’esistenza di un diritto all’identità sessuale.

A questo punto bisogna capire come mai questo argomento, il transessualismo appunto, abbia rilevanze anche giuridiche e non solo mediche. Non bisogna però dimenticare che è grazie allo sviluppo

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della medicina e chirurgia che si è potuto parlare di transessualismo anche dal punto di vista giuridico. Quando lo sviluppo della chirurgia ha reso possibile l’intervento chirurgico al fine di adattare il corpo alla psiche, si impose la ricerca di nuove vie di tutela e così, a livello teorico, venne proposta la valorizzazione del diritto della personalità.

Nei successivi capitoli noteremo come non da subito giurisprudenza e dottrina si trovarono d’accordo su tale aspetto.

In assenza di un espresso riferimento normativo relativo alla tutela del diritto all’identità personale, sia la giurisprudenza sia la dottrina hanno fatto ricorso all’art 5 c.c. e agli artt. 2,3 e 13 Cost., nonché all’art 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950.

Sono vari gli aspetti che entrano in gioco parlando di transessualismo; più precisamente sono vari i termini che molto spesso vengono utilizzati, erroneamente, come sinonimi.È opportuno, quindi, fare delle precisazioni concettuali.

La convinzione che sesso biologico e identità di genere coincidono affonda le sue radici nelle produzioni scientifiche di stampo medico che attestano l'esistenza in natura di una reale distinzione fra solo due sessi. Spiegando cosa si intende effettivamente per sesso biologico ed identità di genere, è facile capire che si trattI di due aspetti differenti se pur connessi.

Il primo è determinato dalla combinazione di cromosomi sulla base dei quali si produce la distinzione tra maschio (cromosomi XY) e femmina (cromosomi XX). Tuttavia, vi sono, se pur in percentuale molto bassa, casi di intersessualità in presenza dei quali il sesso d’appartenenza non può essere così rigidamente definito. Queste condizioni comprendono i casi di ambiguità genitale, ma non solo. Si pensi ad esempio ai casi in cui il sesso cromosomico non corrisponde a

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quello fenotipico, oppure in cui alcune caratteristiche sessuali secondarie non si accordano con il sesso genitale.

In questi casi si tende ad intervenire fin da subito attraverso un intervento chirurgico in modo da riportare le caratteristiche sessuali a quelle del sesso deciso per loro.

L’inserire il nascituro nell’una o nell’altra categoria di sesso inciderà sulla sua educazione e le sue scelte; vi sono infatti atteggiamenti, pensieri, interessi, emozioni riconducibili alla categoria maschile ed altri alla categoria femminile.

A differenza del sesso biologico, che può essere definito (nella maggior parte dei casi) sin dalla nascita, il genere si sviluppa e varia sulla base del contesto e dalla società di riferimento. Il termine genere indica quel complesso di ruoli e aspettative, costruiti intorno all’identità maschile e femminile, i quali a loro volta giocano un ruolo fondamentale nella definizione di se stessi, questo perché ciascuno può definirsi uomo o donna solo conoscendo cosa sia essere uomo o donna, ed è proprio la società a dare una veste differente ai due generi.

Di genere se ne è occupato anche il Consiglio d’ Europa che, nel 1998, lo ha definito come un processo socialmente costruito: “Genere: definizione socialmente costruita della donna e dell’uomo e della relazione tra i sessi. È una definizione di femminilità e mascolinità culturalmente specifica, che come tale varia nello spazio e nel tempo, e che tra l’altro tiene in considerazione i compiti, le funzioni, e i ruoli attribuiti a donne e uomini nella sfera pubblica e privata”4

Da quanto esposto comprendiamo bene, come le caratteristiche biologiche non siano le uniche ad indicare il genere di appartenenza;

4

Consiglio d’Europa, Gender mainstreaming: conceptual framework, methodology and

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si può dedurre, perciò, che così come non esiste un’alternativa secca tra i sessi biologici, non esiste un’alternativa secca tra i generi5

Un ulteriore aspetto da tenere in considerazione è l'identità

personale, il cui riconoscimento si è avuto con la pronuncia della Corte

di Cassazione n. 39 del 22 giugno 1985.

Volendo citare la Suprema Corte, “Il diritto all’identità personale mira a garantire la fedele e completa rappresentazione della personalità individuale del soggetto nell’ambito della comunità, generale e particolare, in cui tale personalità individuale è venuta svolgendosi, estrinsecandosi e solidificandosi. Si tratta di un interesse essenziale, fondamentale e qualificante della persona e la finalità dell’art 2 Cost. è proprio quella di tutelare la persona umana integralmente e in tutti i suoi modi di essere essenziali. Tale norma costituzionale non ha una funzione meramente riassuntiva dei diritti espressamente tutelati nel testo costituzionale od anche di quelli inerenti alla persona umana prevista nel codice civile; essa si colloca al centro dell’intero ordinamento costituzionale ed assume come punto di riferimento la persona umana nella complessità ed unitarietà dei suoi valori e bisogni, materiali e spirituali. Appunto perciò la norma non può avere un compito soltanto riepilogativo; essa costituisce una clausola aperta e generale di tutela del libero ed integrale svolgimento della persona umana ed è idonea di conseguenza ad abbracciare nel suo ambito nuovi interessi emergenti della persona umana purché essenziali della medesima.” (Cass, I sez., sentenza 22 giugno 1985 n. 3769)6

L’identità riguarda la concezione che un individuo ha di se stesso, proprio per questo si tratta di un concetto non immutabile, si

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E. Morin,2002

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trasforma con la crescita e i cambiamenti sociali. Determinanti sono i rapporti e le relazioni che si intendono instaurare, nonché i ruoli che ciascuno di noi è chiamato a rappresentare. Oltre ai fattori esterni, fondamentale importanza assume il meccanismo di auto-rappresentazione, l’immagine che la persona ha di sé.

Dal punto di vista giuridico si parla di diritto all’identità personale, volendo garantire la fedele e completa rappresentazione della personalità individuale. Per questo motivo si riconosce, in capo ai singoli, il diritto di vedere rispettato dai terzi il proprio modo di essere e di vedere garantita la libertà di svolgere integralmente la propria personalità individuale, non solo nelle singole comunità particolari, ma anche e soprattutto nella comunità generale. Il fondamento giuridico-positivo della tutela del diritto all’identità personale deve individuarsi nell’art 2 Cost7 la cui finalità è quella di tutelare la persona umana integralmente e in tutti i suoi modi di essere.8

Come abbiamo detto, importante è anche la rappresentazione che ognuno ha di sé stesso; a definire tale rappresentazione contribuiscono, tra gli altri aspetti, l’orientamento sessuale e l’identità di genere. È a partire da questi che entra in gioco la tutela della persona in quanto tale, in tutte le sue sfaccettature, contro gli ormai consolidati stereotipi che influenzano la vita di tutti i giorni.

In particolare, l’orientamento sessuale indica l’attrazione verso persone dello stesso sesso, del sesso opposto, o ancora, di entrambi i sessi.9 Per lo più si definisce tramite le relazioni interpersonali e si

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Art 2 Cost.: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come

singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”

8

Cass. Civ., sez I, 1985 n. 3769 9

L’orientamento sessuale è stato così definito anche dall’art. 1, l. d) della proposta di legge n. 245 rubricato “Definizioni relative all’identità sessuale”: d) «orientamento sessuale»:

l’attrazione emotiva o sessuale nei confronti di persone dello stesso sesso, di sesso opposto o di entrambi i sessi.

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manifesta in tutto e per tutto quando l’individuo ha piena consapevolezza di se stesso.

Comprendere il proprio orientamento sessuale per molti sembra semplice, semplicità data dal fatto che si ritiene “normale” essere attratti da persone del sesso opposto ed è su tale convinzione che si basano le proprie scelte. Ma per coloro che provano attrazione verso persone del proprio sesso o di entrambi i sessi, a causa dei pregiudizi, delle discriminazioni presenti nella società, è difficile comprendere a pieno il proprio orientamento. Per loro questa realtà binaria, che la nostra cultura tende a rappresentare, diviene una vera e propria gabbia all’interno della quale non possono sviluppare la loro personalità.

Sulla base dell’orientamento sessuale si distinguono generalmente tre categorie: l’eterosessualità, l’omosessualità e la bisessualità.

- Sono definiti eterosessuali coloro che provano attrazione per persone del sesso opposto. Questa costituisce l’orientamento sessuale prevalente e definisce la capacità riproduttiva della specie. È proprio sulla procreazione che da sempre è stato escluso il matrimonio omosessuale, mancato riconoscimento che ha delle ripercussioni anche sulla vita dei transessuali. Si pensi al c.d. “divorzio imposto” in caso di rettificazione del sesso di uno dei coniugi10; sulla procreazione si basava, fino all’entrata in vigore della L.164/82, anche l’illiceità dell’intervento chirurgico.

- La bisessualità è definita come attrazione verso persone di entrambi i sessi, senza giungere ad una scelta definitiva dell’uno o dell’altro. A differenza degli eterosessuali, i bisessuali non sono sempre stati accettati dalla società; la loro considerazione

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è cambiata a seconda del contesto e del periodo storico. In particolare si è passati dall’apprezzamento del mondo greco alla condanna da parte del cristianesimo, condanna basata principalmente sul rifiuto dei rapporti tra persone dello stesso sesso.

Ancora oggi, nonostante lo sviluppo sociale e culturale, molte persone tendono a nascondere il loro essere bisessuale. Infatti, a differenza degli omosessuali, i bisessuali non assumono atteggiamenti che si discostano da quelli tipici dell’uomo o della donna, di conseguenza nell’opinione pubblica la bisessualità quasi non esiste.

- Maggiori problemi si riscontrano con riferimento agli omosessuali. L’omosessualità è definita come attrazione verso persone dello stesso sesso. Prima dell’introduzione di tale termine, ne venivano utilizzati altri che avevano connotazioni moralmente negative come ad esempio “sodomia”, “inversione sessuale”. Anche l’omosessualità è stata nel tempo valutata diversamente, in alcuni momenti storici è stata considerata positivamente, in altri condannata tanto che alcune attività venivano viste come peccato e alcuni comportamenti erano proibiti e puniti dalla legge. In Italia, l’orientamento sessuale verso persona dello stesso sesso è stato depenalizzato con il Codice Zanardelli del 1887, decisione per lo più volta ad ignorare il “vizio” in modo da evitare la presa di coscienza del fenomeno da parte del popolo.

A partire dalla “patologizzazione” medica dell’omosessualità si è iniziato a parlare di “persone che possono essere guarite” avviando un processo di depenalizzazione del fenomeno. Si è passati dal reato alla malattia, ma con la risoluzione n. 756 il

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Parlamento del Consiglio Europeo, nel 1981, ha invitato l’Organizzazione Mondiale della Sanità a rimuovere l’omosessualità dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Solo quasi dieci anni dopo, il 17 maggio 1990, l’Organizzazione ha eliminato l’omosessualità dalla “classificazione internazionale delle malattie”. Con riferimento all’omosessualità e più in generale all’orientamento sessuale, importanza hanno assunto gli interventi europei tramite l’introduzione di discipline finalizzate alla non discriminazione e al riconoscimento delle coppie dello stesso sesso. In Italia non vi è una specifica normativa in tema di omofobia e transfobia, l’unico espresso divieto di discriminazione lo ritroviamo nel decreto legislativo 216/2003 in materia di occupazione e condizioni di lavoro.11

L’ultima e recentissima conquista è stata, invece, l’approvazione della Legge Cirinnà, con l’introduzione dell’unione civile tra omosessuali quale specifica formazione sociale.12

Parlando, invece, di transessualismo si va oltre l'orientamento sessuale e si inizia a parlare di identità di genere. Questa rappresenta il “sentimento di appartenenza” all’uno o all’altro genere indipendentemente da quello che è il sesso biologico.

Generalmente sesso biologico e identità di genere coincidono, per cui chi nasce (biologicamente) uomo sente di appartenere a tale genere, così come chi nasce donna (biologicamente) sente di

11

Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216: "Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la

parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro". pubblicato

nella Gazzetta Ufficiale n. 187 del 13 agosto 2003 12

LEGGE 20 maggio 2016, n. 76. “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso

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appartenere al genere femminile, ma non sempre questa corrispondenza è presente. È proprio da tale discordanza che si inizia a parlare di transgenderismo e transessualismo:

- Quando si parla di transgenderismo si fa riferimento a tutte quelle persone la cui identità non è conforme alle aspettative sociali associate al sesso biologico assegnato alla nascita; è proprio per questo che si usa parlare di termine “ombrello”. In questa categoria rientrano coloro che si sono sottoposti ad un trattamento medico-chirurgico (c.d. transessuali); coloro che non intendono affrontare un intervento chirurgico-demolitorio, per scelta o per motivi di salute; infine, rientrano anche le persone cross-dresser e i travestiti.

- A differenza del transgender, il transessuale desidera avere un corpo quanto più possibile corrispondente all’idea che ha di se stesso, di far coincidere il sesso e i documenti anagrafici all’identità di genere a cui sente di appartenere. “Transessuale, secondo la dottrina medico-legale, viene considerato il soggetto che, presentando caratteri genotipici e fenotipici di un determinato sesso (ma alcuni autori preferiscono parlare di “genere”) sente in modo profondo di appartenere all’altro sesso (o genere), del quale ha assunto l’aspetto esteriore ed adottato i comportamenti e nel quale, pertanto, vuole essere assunto a tutti gli effetti ed a prezzo di qualsiasi sacrificio.”13

Questa condizione riguarda indifferentemente uomini e donne, distinguendo tra MtF e FtM:

 MtF, Male to Female, sono le persone biologicamente appartenenti al sesso maschile, ma che sentono di appartenere al sesso femminile effettuando la transizione;

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 FtM, Female to Male, sono le persone biologicamente appartenenti al sesso femminile, che sentono di appartenere al sesso maschile effettuando la transizione.

Un primo tentativo di intervento chirurgico-demolitorio risale al 1930 in Germani da parte di Einar Wegener, divenuta Lily Elbe (anche se il suo decesso è avvenuto poco tempo dopo l’intervento). Il primo transessuale sopravvissuto dopo l’intervento fu invece l’americano George Jorgensen, che nel 1951 divenne Christine Jorgensen.

Prima che il Dottor Harry Benjamin14 si occupasse del fenomeno, non si sa esattamente quali esperienze vivessero le persone transessuali; si presume che la stragrande maggioranza di esse vivesse nascondendo la propria vera identità di genere.

A partire dai primi anni settanta il “Disturbo dell’identità di genere” (DIG) è stato inserito nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM) e definito come una “forte e persistente identificazione con il sesso opposto accompagnata dal persistente malessere riguardo al proprio sesso e al ruolo sessuale del proprio sesso”15. Con la medicalizzazione del fenomeno, anche il nostro ordinamento ha iniziato ad interessarsene, dapprima con riferimento alla certezza dei rapporti giuridici (in caso di cambiamento del sesso con intervento effettuato all’estero) e poi con riferimento alla tutela della salute. L’attenzione alla persona

14Grazie ad esso venne riconosciuta autonomia al transessualismo. Infatti, prima della pubblicazione del suo articolo “Tranvestitism and transsexualism” sulla Rivista

“International Journal of Sexology”, il transessualismo era considerato in continuità

con altre perversioni quali l’omosessualità e il travestitismo. 15

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transessuale in quanto tale, alla dignità della stessa, è successiva allo svilupparsi di movimenti tesi a difendere i diritti del transessuale non come soggetto da “curare”, ma come persona che, sulla base dell’art 2 Cost., deve poter essere nella situazione di sviluppare la propria personalità.

In Italia un importante traguardo è stato raggiunto con l’approvazione della Legge 164 del 1982 con la quale, per la prima volta nel nostro Paese, è stata riconosciuta la liceità dell’intervento chirurgico16. La legge non ha fin da subito risolto tutti i problemi legati al fenomeno, infatti ancora oggi le persone transessuali subiscono discriminazioni soprattutto nel periodo di transizione, quando ancora non è riconosciuto il cambiamento del sesso all’anagrafe, nonostante la persona assuma atteggiamenti e stili di vita propri del genere al quale sente di appartenere; problemi che trovano fondamento sulla mancanza di una interpretazione unanime circa i “caratteri sessuali” ai quali fa riferimento l’art 1 della suddetta Legge. Per molto tempo questi sono stati interpretati dalla giurisprudenza nel senso di caratteri sessuali primari (es. le gonadi), per tanto era necessario l’intervento chirurgico al fine di vedersi riconosciuta la rettificazione del sesso; recentemente parte della giurisprudenza e della dottrina li ha interpretati come caratteri sessuali secondari, riconoscendo il cambiamento anche in assenza dell’intervento chirurgico-demolitorio. Aspetti che verranno approfonditi meglio nei prossimi capitoli.

16

Prima di allora l’intervento di rettificazione del sesso era considerato illecito con riferimento all’art. 5 c.c.: “Atti di disposizione del proprio corpo”. Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume.

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Capitolo I

L’INFLUENZA DELL’EVOLUZIONE

STORICO-CULTURALE SULLO SVILUPPO

DELL’IDENTITA’ PERSONALE.

Aspetti precedenti alla L. 164 del 1982

SOMMARIO: Premessa. – 1. Ic.d. “atti contro natura”: tra violenza e repressione. Dall’antichità al Secolo scorso. – 2 Negazione come forma repressiva. L’ignoranza del “vizio” nel Codice Zanardelli e nel Codice Rocco.

– 2.1 Art. 85 e art. 180 del Testo unico di Pubblica Sicurezza come nuovi

strumenti di repressione. – 3. L’identità sessuale a lungo oggetto di dibattiti tra dottrina e giurisprudenza. – 4 L’intervento chirurgico tra illiceità e funzione terapeutica. – 4.1 L’incidenza delle modificazioni volontarie del proprio corpo sull’integrità fisica. Riferimenti all’art. 5 del Codice Civile. – 4.2 Segue: il riferimento alla “procurata impotenza alla procreazione”. – 5 Tribunale Lucca 17 aprile 1972: la svolta verso un graduale riconoscimento del “criterio di prevalenza” reale ex post.

Premessa.

Il termine transessualismo e tutto ciò che ad esso è riferito hanno origini piuttosto recenti, ma come vedremo il fenomeno sembra essere sempre esistito.

In passato si parlava di “atti contro natura” per indicare tutte quelle situazioni diverse dalla “normalità”, quelle che non erano

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destinate alla procreazione; ciò, soprattutto, a partire dalla nascita e sviluppo del Cristianesimo. Quando poi fu coniato, intorno al 1869, il termine “omosessualità” in tale categoria venne ricompreso anche il transessualismo.

Per questi motivi, in questo primo capitolo, troveremo spesso le espressioni “atti contro natura” ed “omosessualità”.

Con lo sviluppo della società, ciò che viene in rilievo è l’identità personale, un dato in continuo aggiornamento, che viene modificato a seconda dei momenti storici e dei mutamenti culturali. Questo, come vedremo, ha influenzato molto il legislatore, la giurisprudenza e la dottrina, combattuti tra due linee interpretative diverse circa il “principio personalista”: da un lato, inteso come tutela della persona definita a prescindere dal diretto interessato – da qui la pretesa di impedire la sterilizzazione volontaria e gli interventi modificativi dei tratti sessuali – e dall’altro, inteso come scelte che riguardano la persona concreta, concedendo maggiori spazi di manovra. 17

1. I c.d. “atti contro natura”: tra violenza e repressione.

Dall’antichità al Secolo scorso.

Nonostante il termine “transessualismo” sia stato coniato in tempi relativamente recenti, l’esistenza di racconti mitologici ci induce a credere che la “sindrome” cui esso si riferisce è da sempre esistita.

Già nel VI sec. a.C., Platone raccontava che «Nei tempi andati la nostra cultura non era quella che è oggi, ma molto differente. Allora c’erano tra gli uomini tre generi, non due, il maschio e la femmina,

17

Paolo Veronesi, Il corpo e la Costituzione. Concretezza dei “casi” e astrattezza della

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come adesso. Ne esisteva un terzo, che aveva entrambi i caratteri: era il genere androgino, che per aspetto e nome aveva caratteristiche sia maschili sia femminili. [..]»

La mitologia greca contiene numerose storie che parlano di divinità o anche di uomini, che oggi possiamo definire travestiti, intersessuali od anche transessuali.18

Con lo sviluppo poi del culto misterico di Cibele, apparve nel mondo greco una nuova tipologia di sacerdotesse: queste erano nate maschi, ma avevano scelto di sottoporsi ad una auto-castrazione e vivere in un’identità femminile.

È con l’affermarsi del Cristianesimo che si giunse ad una netta separazione tra sessualità e sfera sacra. La prima era elevata a male assoluto se praticata senza finalità procreative.

La morale dettata dalla Chiesa di Roma costituì la base delle leggi adottate successivamente dagli imperatori cristiani come Costante, Teodosio e Giustiniano.

Infatti, la commistione tra religione e potere statale incrementò lo sviluppo di una condanna giuridica dei comportamenti sessuali c.d. “contro-natura”. Da quel momento si diede inizio ad una istituzionalizzazione della condanna giuridica dell’attrazione sessuale ed affettiva verso una persona dello stesso sesso. Nel 533 infatti, nelle

Institutiones Iustiniani sive Elementa, Giustiniano considerava

18

Il mito più popolare è quello di Ermafrodito. Figlio di Ermes e Afrodite, eredita alla nascita dai divini genitori un'eccezionale bellezza; un giorno, bagnandosi in un laghetto della Caria, l'oramai adolescente attira però l'attenzione di una ninfa di nome Salmace. Innamoratasi fulmineamente del meraviglioso fanciullo cerca di sedurlo ma, vedutasi rifiutare con sdegno, ella con l'inganno riesce ad abbracciarlo e così - mentre se lo tiene con la forza stretto a sé - prega con tutte le forze gli dei perché gli concedano di poter rimanere unita con lui per sempre. Gli Olimpi acconsentono: i due corpi si fondono dando origine così ad un nuovo essere, per metà con caratteri sessuali maschili e per l'altra metà con caratteri sessuali femminili; tra le storie vi è quella di Dioniso, il dio dell’ebrezza, del vino e della follia. Questi veniva abbigliato come una ragazza ed anche da adulto si era trovato ad assumere in più occasioni i ruoli femminili. Si pensi ancora al mito della principessa Cenis, dopo aver subito una violenza sessuale riuscì a trasformarsi in un ragazzo, diventando l’invincibile eroe Ceneus.

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l’omosessualità una “innominabile libidine” e, equiparata all’adulterio, ne sancì la pena capitale. Tra il XIII e il XV sec. l’intolleranza verso tali soggetti si manifestò in una vera e propria persecuzione, che culminava nella condanna a morte. Con il Risorgimento, si spensero i roghi e si attivarono i boia; seguirono poi l’impiccagione, la decapitazione ed altre forme di repressione.

In un primo periodo il transessualismo, così come ogni altro orientamento sessuale diverso dall’eterosessualità, era considerato, usando le parole di Bentham, come “reato senza vittima”. Oggetto della condanna infatti, era l’attitudine comportamentale del condannato e non la commissione di un’azione prevista come reato.

Nonostante tale situazione, non mancarono esempi di comportamenti “contro tendenza”.

Si pensi ad Enrico III di Francia, del quale si racconta che un giorno decise di comparire vestito da donna dinanzi ai deputati. O ancora, l’Abate de Choisy che sin dall’infanzia vestiva da donna, considerandosi tale. Interessante è il caso del “Cavaliere d’Eon”; Charles d’Eon de Beaumont era una spia francese celebre per la sua ambiguità sessuale. Nato il 5 ottobre 1728 a Tonnerre, in Francia, si distinse fin da ragazzino per il suo aspetto fisico. D’Eon aveva poca barba, fianchi rotondi e un accenno di seno; poteva facilmente essere scambiato per una donna. Di questa sua ambiguità sessuale se ne servì a favore del governo francese. In seguito alla pubblicazione di un’autobiografia, iniziarono a circolare voci secondo le quali il Cavaliere era una donna travestita da uomo. Lo stesso d’Eon arrivò a sentirsi donna decidendo di vivere, da quel momento in poi, nella sua identità femminile.

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Bisognerà attendere il 1810 per intraprendere la strada della depenalizzazione. Questo in seguito all’abolizione del reato di sodomia da parte di Napoleone.

Nell’Ottocento si fece strada una certa tolleranza verso il fenomeno, in Italia ad esempio, in particolare a Napoli, venne creata dal popolo una peculiare categoria di omosessuali: i c.d. “femminielli”. Con tale termine, inteso come vezzeggiativo, si indicavano i c.d. “ragazzi femmina” di Napoli considerati depositari della buona sorte.

Come possiamo ben notare, gli orientamenti sessuale differenti dall’eterosessualità hanno avuto un riconoscimento diverso in relazioni ai periodi storici. Il mutamento della società quindi influenza la categorizzazione di molti fenomeni e, con riferimento al transessualismo e più in generale all’identità sessuale, tale mutamento ha giocato un ruolo fondamentale.

Anche la scienza è stata di grande aiuto approntando un percorso chirurgico di transizione da un sesso all’altro. Il primo ad usufruire di questo trattamento fu un artista danese che, dopo essere stato visitato da vari specialisti, tra cui psichiatri, rifiutandosi di essere considerato un “malato di delirio psicotico”19 decise di recarsi in Germania nel 1930 e sottoporsi all’allora sperimentale intervento chirurgico di riassegnazione sessuale. È la storia di Einar Mogens Andreas Wegener, meglio conosciuta come Lili Elbe, la prima persona nella storia che può essere definita, alla stregua delle attuali definizioni, transessuale.20

19 Cfr. R. Paternoster, “Sessi, Generi e Sessualità”, win.storiain.net 20

Einar Wegener all’età di 22 anni sposò Gerda Gottlied, entrambi illustratori. I due viaggiarono in tutta Europa fino a stabilirsi, nel 1912, a Parigi. Li Einar ebbe modo di vivere apertamente come donna, infatti solo Gerda e e pochi amici fidati erano a conoscenza della sua transessualità. Nel 1930 Lili andò in Germania per sottoporsi all’intervento chirurgico di riassegnazione sessuale. La sua storia suscitò la curiosità della stampa e l’allora re di Danimarca invalidò il suo matrimonio con Gerda,

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A far scalpore non fu però il caso di Lili Elbe, ma quello di George Jorgensen, ex ufficiale dell’esercito statunitense, diventata Christine. Il dibattito sull’identità di genere si riaccese quando, il New York Daily News pubblicò la notizia, il 1° dicembre 1952, sotto il titolo “Ex-GI

becomes blond beauty” (“Ex soldato divenuta una bella bionda”). Fu il

primo caso di intervento riuscito con successo. Da quel momento Christine divenne portavoce di transessuali e transgender.

In quegli anni il fenomeno del travestitismo teatrale permise ad alcuni uomini di esprimere la loro effettiva identità. In questo senso, le c.d. Drag Queen, eranoben viste ed apprezzate, considerate come un fenomeno interessante e spettacolare. Dopo la pubblicazione della suddetta notizia, cominciò ad essere evidente la presenza di un fenomeno che andava ben oltre al travestitismo teatrale. Fu da quel momento che il travestitismo fu inserito nel mondo della “devianza”; infatti, ciò che in teatro destava curiosità, divertiva ed era permesso, fuori dal palcoscenico dava scandalo. Immerso nella vita di tutti i giorni il travestitismo comincia ad essere visto come un fenomeno che turbava il singolo individuo e che infastidiva una società fondata su regole sessuali improntate ad un certo rigido moralismo.21

2. Negazione come forma repressiva. L’ignoranza del “vizio”

nel Codice Zanardelli e nel Codice Rocco.

I comportamenti omosessuali furono per secoli considerati come fatti moralmente riprovevoli, da un lato, e come crimini, dall’altro.

riconoscendole legalmente il suo nuovo sesso e il cambio di nome. Dovette sottoporsi a ben cinque operazioni, ma nel 1931, tre mesi dopo la sua quinta operazione morì a caura di una complicazione.

La storia di Lili ha ispirato il romanzo “The Danish Girl” di David Ebershoff, da cui venne anche tratto un film con il medesimo titolo.

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Solo con l’illuminismo questa concezione entrò in crisi, tanto che nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e dei cittadini, all’art.5, leggiamo “La legge ha il diritto di vietare solo le azioni nocive alla società. Tutto ciò che non è vietato dalla Legge non può essere impedito, e nessuno può essere costretto a fare ciò che essa non ordina”.

Soffermandosi sulla prima parte della disposizione, diversi autori ritenevano di non poter punire i comportamenti diversi dall’eterosessualità in quanto non sono causa di dolore. Tali comportamenti infatti, mancano del requisito essenziale della “dannosità sociale”, necessario per poter classificare un fatto come reato.

In Italia, si giunse alla depenalizzazione di tali comportamenti con il Codice Zanardelli; secondo il legislatore del 1889, i comportamenti omosessuali dovevano essere abbandonati “come peccati alla sanzione della religione e della privata coscienza”22

Facciamo però un passo indietro.

Nella legislazione preunitaria, il codice penale del Regno di Sardegna, dedicava il Titolo VI, Libro II, ai reati contro il buon costume (artt. 420 e 425), tra i quali erano puniti tutti gli atti sessuali che non portavano alla procreazione. Previsioni, queste, che furono estese all’intero territorio italiano nel 1861, ma con alcune eccezione. Per via di un presunto “carattere particolare delle popolazioni meridionali” questi articoli di legge non vennero estesi all’ex Regno delle Due Sicilie. La conseguenza fu che, fra gli adulti consenzienti, la pratica omosessuale poteva costituire un reato ad esempio a Torino, Milano,

22

E. Dolcini, Omosessualità, omofobia, diritto penale. Riflessione a margine del

volume M.Winkler e G. Strazio, L’abominevole diritto. Gay e lesbiche, giudici e legislatori 2011.

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Cagliari, ma non a Napoli, Bari o Palermo. Si andò così a creare una situazione, possiamo dire, anomala.

Tale situazione si “normalizzò” con il Codice Zanardelli del 1887, il quale abolì ogni differenza di trattamento.

Zanardelli scelse di non codificare i comportamenti ritenuti devianti, fondando questa sua scelta nella separazione tra il campo della morale (affidato alla Chiesa) e lo Stato. La volontà era quella di delegare ad altre Istituzioni il controllo e la repressione di tali comportamenti. Così si legge nei lavori preparatori: il Progetto tace intorno alle libidini contro natura; avvegnachè rispetto ad esse, come ben dice il Carmignani, “riesce più utile l’ignoranza del vizio che non sia per giovare al pubblico esempio la cognizione delle pene che lo reprimono.”23

In quel periodo quindi, la classe politica, seguendo il Codice Napoleonico, decise di ignorare quegli atti definiti “devianti” in modo tale che, non parlandone, tra la gente non nascesse una certa curiosità, interesse e presa di coscienza del fenomeno stesso.

Nonostante non ci fosse una esplicita previsione di essi come reati, tali atti erano comunque repressi e ciò è ben chiaro da un commento del 1889 dove si legge:

“Nella celebre controversi sulla punibilità degli atti di libidine contro natura e dell’incesto il nuovo codice obbedì alla scienza da un

canto, e alla pubblica coscienza dall’altro.

Li reprime sempre come delitti sotto il nome di violenza carnale quando commessi con la violenza vera o presunta, perché trapassano in lesioni dei diritti della dignità e della libertà della persona, che dallo

Stato devono essere gelosamente tutelati.

23

Cfr. E. Dolcini, Omosessualità, omofobia, diritto penale. Riflessione a margine del volume M.Winkler e G. Strazio, L’abominevole diritto. Gay e lesbiche, giudici e legislatori 2011.

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Li reprime come delitti anche se commessi senza violenta, o sotto il nome d’incesto, o sotto quello di oltraggio al pudore quando offendano i sacri diritti della pubblica moralità; e li abbandona altrimenti come peccati alla sanzione della religione e della privata

coscienza.”24

Questo atteggiamento di negazione venne poi mantenuto nel periodo fascista con il Codice Rocco del 1930.

In realtà il legislatore fascista, nel Progetto del 1927, aveva inserito un articolo, il 528, destinato a reprimere gli atti omosessuali. L’articolo, rubricato “relazioni omosessuali” prevedeva la reclusione dai sei mesi ai tre anni per chiunque compisse “atti di libidine su persona dello stesso sesso” , ma solo in caso di “pubblico scandalo”, e fino a cinque anni qualora fossero coinvolte persone minori degli anni ventuno. Tale soluzione era stata poi abbandonata e lo stesso Rocco, presentando il nuovo codice penale, ne spiegò il perché della soppressione della disposizione in oggetto. Nella discussione di approvazione definitiva, venne opposto che il “turpe vizio”, che si voleva incriminare, non era abbastanza diffuso in Italia da richiedere l’intervento del legislatore.

Si trattò di una scelta che incontrò anche delle contestazioni, in particolare da parte di Vincenzo Manzini, il quale parlò di una “eccessiva e dannosa indulgenza verso il massimo e più degradante vizio sessuale”. Egli condannava quei comportamenti in quanto li riteneva dannosi per la “stirpe” perché nuocevano alla procreazione.25

24

G. Tolomei, Dei delitti contro il buon costume e contro l'ordine delle famiglie, "Rivista penale", XXX 1889, p. 319. Cit G. Dall’Orto. La “tolleranza repressiva”

dell’omosessualità. Quando un atteggiamento legale diviene tradizione.

25

E. Dolcini, Omosessualità, omofobia, diritto penale. Riflessioni a margine del

volume di M. Winkler e G. Strazio, L’abominevole diritto. Gay e lesbiche, giudici e legislatori, 2011.

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Altri autori parlarono invece di “tolleranza repressiva”; rinunciando a Codificare comportamenti ritenuti devianti, si instaurò una certa “strategia repressiva elegante” che non permise per molti anni lo sviluppo di una coscienza identitaria di gruppo; per cui l’assenza di una norma penale non significava libertà ma repressione.26

Da ciò si può ben comprendere quello che era il clima culturale di quei tempi; tanto che, nell’Italia fascista, pur in assenza di norme incriminatrici, non mancarono atteggiamenti discriminatori e violenti.

2.1. Art. 85 e art. 180 del Testo unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza come nuovi strumenti di repressione.

Con l’approvazione del Testo unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza27 la polizia ebbe a disposizione nuovi strumenti con i quali reprimere i comportamenti devianti. Tra questi le ammonizioni, i pestaggi e il ricovero coatto in manicomio, ma il più frequente era il confino (artt. 180ss TULPS). L’idea era quella di reprimere i comportamenti ritenuti di per sé scandalosi.

È importante sottolineare che alcuni di questi metodi repressivi sono stati ereditati dalla Repubblica, tra questi in particolare il confino che, fino a pochi anni fa, fu comminato soprattutto ai transessuali.

Quest’ultimi iniziarono ad essere accusati anche di travestitismo e così condannati ex art. 85 TULPS; questo prevede due ipotesi di illecito: al primo comma, punisce il “comparire mascherato in luogo

26

M. Winkler, G. Strazio, L’abominevole diritto. Gay e lesbiche, giudici e legislatori. Prefazione di Stefano Rodotà. Il Saggiatore, Milano 2011. Pag. 75

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pubblico” e, al terzo, “l’uso della maschera nei teatri e negli altri luoghi aperti al pubblico, tranne nelle epoche e con l’osservanza delle condizioni che possono essere stabilite dall’autorità locale di pubblica sicurezza con apposito manifesto”. Ovviamente, il transessualismo era ricondotto nella prima categoria di illeciti.

Analizzando la giurisprudenza di legittimità possiamo notare come si aveva configurazione di reato nei casi in cui: l’omosessuale, per esercitare la prostituzione, si presentava in luogo pubblico accuratamente travestito da donna (Cass 423/1969); indossando abiti femminili, in modo da apparire di sesso diverso, si andava a dissimulare il proprio sesso (Cass. 4904/1973).

Un ulteriore pericolo era costituito dall’art. 220 del sopracitato Testo unico, che prevedeva l’arresto in fragranza in caso di violazione, tra gli altri, dell’art. 85 dello stesso Testo unico. Nel 1970 però la Corte Costituzionale si pronunciò sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dal pretore di Torino con ordinanza del 24 ottobre 1968.

In quell’occasione la Corte, dichiarò l’illegittimità dell’art. 220 TULBS nella parte in cui, richiamando l’art. 85 dello stesso Testo unico, impone l’arresto in fragranza di chi contravvenga al divieto di comparire mascherato in luogo pubblico o aperto al pubblico. Ritenne che la custodia preventiva di chi compaia mascherato in luogo pubblico non si giustificava né con la gravità del reato, che, anzi, la legge considera di così scarsa entità da comportare la sanzione contravvenzionale dell’ammenda, né con ragionevoli motivi di prevenzione, ché la mascheratura è lungi dal denotare una qualsiasi pericolosità del soggetto attivo.28

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Corte Costituzionale sentenza 11-20 marzo 1970, n.39. Punto 3 del Considerato in

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La Cassazione in una successiva pronuncia concluse dicendo che “l’uso di abbigliamento unisex non escludeva la configurabilità del reato”. Il corpo veniva considerato molto più espressivo del volto, per cui anche chi indossasse degli abiti che non permettevano di identificare con certezza le forme maschili o femminili erano perseguibili ex all’art 85 TULPS.

La situazione iniziò a mutare con l’approvazione della Legge 164 del 1982, Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso, con la quale, anche a livello normativo, il transessualismo ottenne un riconoscimento. Nonostante ciò, nell’ottobre del 2007, a Montesilvano, due transessuali furono multati “perché vestiti da donna”, in base all’art 85 del Testo unico di pubblica sicurezza del 1931. Notizia che destò indignazione tra i deputati di Rifondazione Comunista, in particolare dell’allora deputata Vladimir Luxuria che si pronunciò in questo senso: “L'essere transgender è una identità rivelata e non un mascheramento. Reprimere la propria vera natura, questo sì sarebbe un vero mascheramento». Secondo Luxuria «i carabinieri hanno abusato del regio decreto»; intervenne anche il deputato Maurizio Acerbo il quale sostenne che nel caso di specie l’art. 85 del Testo unico fu applicato con l’intento di sanzionare persone sulla base dell’orientamento sessuale e della propria identità.

3. L’identità sessuale a lungo oggetto di dibattito tra

dottrina e giurisprudenza.

In tempi precedenti all’entrata in vigore della Legge N. 164 del 1982, la carenza legislativa esponeva a disparità di giudizi per casi

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analoghi; si osservavano infatti casi in cui – attraverso un’interpretazione estensiva delle norme costituzionali, nonché degli artt. 165 e 167 dell’Ordinamento dello Stato Civile – veniva accolta la richiesta di rettificazione dell’atto di nascita non solo per errore materiale, ma anche in seguito ad un mutamento artificiale del sesso; ed altri casi in cui, invece, tale possibilità era negata, affermando che la rettifica degli atti dello stato civile fosse tassativamente limitata alle ipotesi espressamente previste, con la finalità di rimediare ad errori od omissioni materiali.

Sulla base del primo orientamento, la giurisprudenza si muoveva su due linee interpretative: da un lato, ampliando il procedimento previsto dal r.d.l. 9 luglio 1939, n. 1238 e, dall’altro, ritenendo in tutte le ipotesi, comprese le modificazioni artificiali del sesso, configurabile un “errore materiale o di fatto”. Si era detto che, l’ambito di applicazione del procedimento non si restringeva alla correzione di errori materiali, omissioni ed involontarie irregolarità verificatesi nella redazione degli atti dello stato civile (v. Cass, 16 gennaio 1964, n 105)29

Allargando la sfera di applicazione, si giunse ad affermare che motivo della rettificazione era la non corrispondenza di ciò che risultava nell’atto di stato civile con quella che era la realtà.

Nulla questio in soggetti in cui vi era concordanza di tutte le

diverse componenti del sesso; il problema sorgeva quando non fosse evidente una tale concordanza. A tal proposito, vengono in

considerazione i c.d. casi di intersessualità, di ermafroditismo, cioè quei casi in cui vi è la presenza contemporanea di caratteri sessuali (primari e/o secondari) maschili e femminili, da sempre presi in considerazione dal nostro ordinamento giuridico, trovando quindi

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riconoscimento e tutela; non a caso i giudici, di fronte ad una richiesta di rettifica, disponevano consulenza tecnica, affidata ad un collegio di periti, per verificare se si trattasse effettivamente di una delle

suddette ipotesi, e quindi accogliere la domanda, oppure se si trattasse di modifica volontaria del sesso, e quindi, nella maggior parte dei casi, rigettare la richiesta.

Successivamente la scienza biologica ha individuato varie forme di intersessualità che presentano differenti aspetti, venendo così in questione la personalità psichica del soggetto.30

Una certa importanza ha assunto la sentenza della Corte di Appello di Roma del 1970 sul caso Casciotti. Con atto di citazione, notificato il 13 settembre 1958, C.G.R. conveniva innanzi al Tribunale di Roma l’Ufficiale di Stato Civile del comune di nascita, nonché il P.M., e con successivo atto notificato il 27 febbraio 1959, anche il ministero dell’interno, chiedendo di essere dichiarato di sesso femminile e di essere annotato come tale nel registro di stato civile. Egli riteneva, infatti, di aver manifestato fin dall’infanzia, persistenti tendenze e gusti femminili. In primo grado il Tribunale, con sentenza in data 29 novembre 1962, rigettò la domanda considerando determinante ai fini della decisione i caratteri anatomici. Il Signor Casciotti, contro tale pronuncia, propose appello ottenendo una sentenza di accoglimento. La Corte ritenne di poter far proprie le conclusioni alle quali erano giunti i due collegi di consulenti, riconoscendo così al signor Casciotti l’appartenenza al sesso femminile. Nel giungere a tale decisione, determinanti sono stati gli esami psichiatrici espletati in primo grado e

30 Ad avviso dei consulenti era molto difficile stabilire in quale delle varie sindromi di intersessualità poteva essere inquadrato il caso del signor Casciotti. Questi hanno comunque affermato non esservi dubbio alcuno che il Casciotti dovesse essere considerato un

intersessuale nel quale l’anomalia del sesso ha influito soprattutto sulla sfera psichica orientandola in senso femminile. Veniva così in questione la personalità psichica che i consulenti avevano unanimemente ravvisata nel Casciotti di tipo femminile. V. “La Giustizia Penale 1971, pag. 226 “

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l’esame psicologico-psicometrico condotto mediante l’adozione di test; i consulenti tecnici erano unanimemente d’accordo nel sostenere che l’interessato non fosse un pervertito sessuale, restando il suo atteggiamento influenzato dalla sua caratteristica di transessuale che lo ha sempre fatto sentire appartenente al sesso femminile. Per questi motivi, la Corte accolse l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, dichiarò che Casciotti Giuliano Rolando, indicato nell’atto di nascita come “sesso maschile”, era di “sesso femminile”; ordinando all’Ufficiale di Stato Civile del Comune di Rocca di Papa di procedere alla rettificazione dell’atto di nascita.

Un’altra importante decisione risale al 1972, quando il Tribunale di Lucca si pronunciò tenendo conto del problema umano, sociale e giuridico, dell’accertamento del c.d. cambiamento di sesso. Nella sentenza si leggeva che, “il diritto che si faceva valere era quello relativo all’identità sessuale, quale condizione primaria della personalità, da cui scaturiscono conseguenze diverse sul piano giuridico e sociale.”

In assenza di precise disposizioni legislative al riguardo, le pronunce che accoglievano la domanda facevano riferimento ai principi generali del diritto tra i quali quello del riconoscimento del sesso conforme alla propria persona.31

Parte della dottrina e della giurisprudenza di merito che aderivano a questo orientamento ritenevano di dover affrontare l’indagine giuridica “sul terreno della vita in relazione e in termini di rapporto tra tutela dell’interesse del cittadino e la tutela dell’interesse della collettività”. Ciò assume maggior valore se si fa riferimento a quei soggetti che, non potendolo fare in Italia, si recavano all’estero per sottoporsi all’intervento chirurgico. In questi casi erano due le

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conseguenze negative: da un lato, il soggetto continuava a mantenere in tutti gli atti (atto di nascita, carta d’identità, e così via) il sesso iscritto al momento della nascita, e dall’altro, si creavano problemi relativi ai rapporti giuridici, in quanto non vi era corrispondenza tra ciò che si presentava e ciò che invece risultava dagli atti di stato civile.

Tutto ciò creava nella persona transessuale un sentimento di ansia, di emarginazione, ma non solo, era fonte di forte discriminazione e violazione dei propri diritti (si pensi al diritto alla privacy; questo veniva violato ogni qualvolta il transessuale doveva far conoscere il proprio percorso al fine di poter essere creduto e, a volte, al fine di evitare di essere condannato per reati come ad esempio il travestitismo, sostituzione di persona, e così via.)

Si sottolineava spesso che la rettificazione del sesso nell’atto di stato civile trovava fondamento sulla necessità di adeguare l’atto alla realtà. In tal senso sono due le tesi sviluppatesi.

Parte della dottrina aveva sostenuto una tesi piuttosto singolare, che non prendeva in considerazione la psiche della persona transessuale, sostenendo che la rettifica di sesso era affermata sulla base della situazione presente al momento della richiesta, anche se conseguente ad un intervento chirurgico. Ciò che rilevava, secondo tale tesi, era l’aspetto esteriore, la diagnosi era basata principalmente sull’aspetto dei genitali esterni, anche se ricostruiti, e delle caratteristiche somatiche. Sulla stessa linea si ponevano altri autori i quali sostenevano che per il diritto pubblico non contasse il procedimento che ha prodotto una certa situazione giuridica rilevante, in particolare l’idoneità fisica ad assolvere il ruolo del sesso opposto a quello originario, ma la situazione stessa in sé così come opera nel campo dei rapporti umani e sociali.

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Un’isolata giurisprudenza di merito si appellava al criterio di “prevalenza reale ex post”32, qualificando irrilevante per la vita di relazione il fatto che un soggetto, al microscopio, potesse essere dotato di cromosomi (ad esempio) XY, qualora, a seguito di una mirata chirurgia plastica, proprio il suo inserimento nella società in veste di uomo desse origine a gravi inconvenienti, determinanti confusione e pregiudizio per l’ordine sociale.33 In questo caso, il riconoscere l’identità della persona, non faceva leva sulla dignità e necessaria tutela di una condizione umana peculiare, ma trovava fondamento nella necessità di preservare l’ordine sociale e nella tutela dell’affidamento di terzi.

A tal proposito, il Professore Alfredo Paolella34 considerava semplicistiche le tesi sopraesposte, appoggiando la tesi della valutazione globale delle varie componenti del sesso, compresa quella psicologica. Inoltre, non si sarebbe potuto ricorrere alla presunzione ex articoli 2727 e 2729 c.c., in quanto di questa si tiene conto quando non sia altrimenti acquisibile con certezza il fatto da provare e, oltre a questo, la legge non prevede alcuna presunzione o finzione di sesso. In questi casi Paolella parlerebbe di “giudice che assume un ruolo di notaio”, limitandosi a prendere atto di ciò che appariva e attribuendone pubblica fede.

Altra parte della giurisprudenza, attenendosi rigorosamente alla lettera della legge, negava l’applicazione del procedimento di rettificazione quando mancavano errori nella redazione dell’atto di nascita, escludendo pertanto il ricorso analogico al procedimento amministrativo previsto dall’art. 165 Ord. Stato Civile. 35

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Criterio che imponeva di accostare “il sesso più vicino alla realtà con quello legale” 33

Le nuove frontiere giuridiche della transessualità: brevi osservazioni comparatistiche. 34

A. Paolella, “Sulla diagnosi di sesso: aspetti medico legali.” In Giust. Pen. 1971, I, 228 35

(39)

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37

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Questo orientamento, restio ad accogliere le domande di rettificazione degli atti di stato civile, nasceva dalla considerazione del fatto che per assumere una decisione non era determinante la personalità psichica del richiedente, bensì i caratteri anatomici e funzionali. Si riteneva, quindi, impossibile rettificare l’enunciazione del sesso effettuata nell’atto di nascita sulla base delle dichiarazioni rese dal padre o altra persona legittimata a seguito di esclusivo esame degli organi genitali esterni del nato. 36

Sembrava, così, delinearsi l’idea che, per il nostro ordinamento, la distinzione di sesso fosse ancorata al criterio anatomico, tralasciando qualsiasi altro aspetto.

Con il tempo, è proprio questo orientamento che va consolidandosi; molti giudici infatti, pur riconoscendo e comprendendo il disagio e la sofferenza del richiedente, nel rigettare la domanda facevano leva sul fatto che la nuova situazione in cui si trovava la persona era un evento sopravvenuto alla nascita, una mera conseguenza dell’intervento chirurgico, che attribuiva “una diversa identità somatica, artificiale e meramente fittizia”37

Volendo comprendere meglio il motivo dell’esclusione della rilevanza del mutamento volontario di sesso, possiamo citare la Corte di Cassazione (sentenza 1847/1972)38 : “L’ordinamento positivo non rimane indifferente alle modificazioni dei caratteri sessuali soltanto in quei casi in cui il sesso, al momento della nascita, non appare ben definito, oppure viene a manifestarsi nella fase di sviluppo in seguito ad una evoluzione naturale e non artificiosamente provocata […]. Ma nel caso di specie, come in altri facilmente ipotizzabili, l’ordinamento giuridico, una volta accertato dal perito che il soggetto è

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Tribunale di Roma 29 novembre 1962. In La Giust. Pen. 1971, 222; Cass. 3 aprile 1980, n 2161. In Foro It. 1980, 918.

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For it. 1980, 918

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