Euclide Tema 2020.4A
”Il fenomeno dell’immigrazione”
Davide Manuel VITALE, 4C Liceo Scientifico “Newton” Roma
Sono secoli che sentiamo parlare del fenomeno sociale dell’immigrazione, ma col tempo lo stesso ha cambiato rotta. Tanti erano, in passato, gli europei che lasciavano le loro terre alla ricerca di aree di maggiore sviluppo, come le Americhe. Oggi, purtroppo, la movimentazione parte, per lo più, da aree molto povere, dilaniate da guerre o contrasti religiosi, verso Paesi con un governo più stabile.
Immigrazione non è dunque, solo spostamento di persone verso zone più industrializzate e con maggiore benessere, ma è anche un movimento di culture, una mobilitazione di tradizioni diverse. Ed è in questo che l’Europa rappresenta un’eccellente attrattiva.
Un fenomeno che prende le mosse da luoghi vittime di miserie e dittature (Africa e Asia, per esempio) o da Paesi dell’Est, provati da conflitti sanguinosi. La speranza di nuova pace risulta sovente delusa, in quanto spesso gli immigrati si scontrano con conflittualità derivanti da atteggiamenti razzisti o con l’impreparazione verso l’ “accoglienza di massa”.
In realtà gli immigranti vanno a ricoprire dei posti di lavoro spesso duri e sottopagati, rifiutati dagli stessi europei.
Ombre sulle figure degli stranieri sono dovute prettamente ad un sentimento di paura verso l’estraneo (xenofobia) che induce atteggiamenti di allontanamento o addirittura di espulsione. Questo comporta che il “nuovo” si trova a vivere ai margini delle città, in situazioni di sopravvivenza, accrescendo i pregiudizi sulla scarsa igiene e sulla delinquenza dilagante.
Sicuramente molti di questi preconcetti vengono avvalorati dai tanti fatti di cronaca che li vedono come protagonisti, in negativo.
La circostanza che tanti di loro, accolti nei nostri paesi, non facciano molto per integrarsi, preferendo la strada più semplice verso il guadagno facile, non ci deve rendere miopi. Il futuro va verso una società multietnica e multireligiosa, per cui dovremmo adattarci tutti ed abituarci ad una pacifica convivenza.
Non tutti gli immigrati vengono per delinquere, ma ci dovrebbero essere solo flussi controllati, in modo tale che chi entra, possa farlo in piena regolarità e sicurezza. Una volta inseriti in un nuovo Stato devono poter essere accolti, per esempio, nelle scuole per acquisire una loro professionalità ed, al tempo stesso, essere da stimolo sociale, verso una diversità integrata.
Per flussi controllati intendo pianificati, con i loro Paesi d’origine, che possono essere interscambio di opportunità e non alimentare quella catena di clandestinità in mano a scafisti senza scrupoli e priva di controlli, pagata a caro prezzo e con pochissime garanzie. Ne potrebbe nascere addirittura una cooperazione tra Paesi ed i profitti di chi era meno fortunato, potrebbero tornare, almeno in parte, dai familiari nel Paese natio.
Non credo dunque, che la soluzione sia una chiusura dell’Europa a protezione dei propri confini, ma orientarsi verso la tolleranza e l’accoglienza, verso chi viene, in maniera legale, nel nostro Paese, con la voglia di portare con sé la propria unicità, come arricchimento della società ospitante. Senza imporre usi e costumi ma cooperando nell’ottica della pacifica convivenza.
Lo Stato ospitante, nei limiti dell’accoglienza controllata, dovrebbe poter offrire lavoro, cure mediche, scuola, casa e mettere nelle condizioni l’immigrato di poter accedere a questi benefici, nella liceità.
Tanta umiltà è d’obbligo per tutti: nel rispetto di usi, costumi e religioni, di ognuno, si potrà realizzare una comunità inclusiva.
Il vero problema riguarda l’incontrollabilità del fenomeno. Ecco perché i flussi migratori sono sempre più soggetti ad accordi tra Paesi, consistenti anche nel pianificare rientri di menti brillanti nei Paesi d’origine, per esempio al termine di conflitti, consentendogli di ricominciare nelle loro terre ( è il caso della Jugoslavia). Si potrebbe pensare inoltre, di inviare aiuti umanitari, personale specializzato, investire in quelle aree in progetti di sviluppo o costruendo e
potenziando le opere pubbliche, in modo da incentivare le popolazioni a restare nei loro territori.
Dobbiamo bandire la diffidenza verso il diverso da noi, perché da questa ne possono nascere comportamenti razzisti.
L’immigrazione, purtroppo, è, per lo più, dovuta alla mancanza di possibilità di scelta.
Ognuno cerca sicurezza nelle proprie condizioni di vita: chi nel salvaguardarla, chi nel conquistarla.
Bisogna lavorare dunque, per garantire una scelta e rendere il fenomeno un’opportunità.
Mi viene in mente l’immigrazione turca in Germania: forza lavoro integrata che ha fornito sostegno all’economia locale e garantito indipendenza economica allo straniero, inserito di fatto nella società ospitante.
I vari governi dovrebbero attuare delle politiche volte all’accoglienza iniziale, favorendone l’inserimento e soprattutto non approcciandosi alla questione in quanto criticità, ma come risorsa economica e culturale, aggiuntiva e non limitante per le popolazioni locali.
Non dobbiamo scordare mai che anche l’Italia ha conosciuto due grandi fasi migratorie, nel Novecento, ad inizio secolo e dopo la seconda Guerra mondiale, mosse dalla ricerca di situazioni di vita migliori. Ed ancora, in un certo senso, conosciamo una sorta di immigrazione interna, da Sud a Nord, a causa del bisogno di lavoro.
La soluzione del fenomeno immigrazione, a mio avviso, sta nell’ imparare ad accettare la nostra nuova condizione di uomini quali cittadini del mondo, in una moderna visione globale e cosmopolita.