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La valutazione del rischio di credito nel factoring

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea magistrale

(ordinamento ex D.M. 270/2004)

in Economia e Finanza

Tesi di Laurea

La valutazione del rischio di

credito nel factoring

Relatore

Ch. Prof.ssa Paola Ferretti

Laureando

Irene Nicoletti

Matricola 829413

Anno Accademico

2015 / 2016

(2)

INDICE

RINGRAZIAMENTI

... 5

INTRODUZIONE

... 7

CAPITOLO 1

IL CORPORATE LENDING E IL RISCHIO DI CREDITO

INTRODUZIONE ... 9

1.1 – IL CORPORATE LENDING ... 10

1.2 – IL RISCHIO DI CREDITO ... 11

CAPITOLO 2

IL FACTORING: ASPETTI PECULIARI

INTRODUZIONE ... 15

2.1 – IL CONTRATTO DI FACTORING ... 16

2.2 – LE MOTIVAZIONI DEL RICORSO AL FACTORING ... 18

2.3 – GLI EFFETTI DEL FACTORING ... 21

CAPITOLO 3

ANALISI DEI CAMPIONI DI DATI: CEDENTI E DEBITORI

INTRODUZIONE ... 23

3.1 – GENERAZIONE DEI CAMPIONI DI DATI ... 24

(3)

3.2.1 – ANALISI QUALITATIVA ... 25

3.2.2 – ANALISI QUANTITATIVA: GLI INDICI DI BILANCIO ... 31

3.2.3 – ANALISI ANDAMENTALE: LA CENTRALE RISCHI ... 42

3.2.4 – IL RATING: LO STATO DI SALUTE DEL CREDITO ... 44

CAPITOLO 4

APPLICAZIONE DEL DOMINANCE-BASED ROUGH SET APPROCH

INTRODUZIONE ... 49

4.1 - ROUGH SET E CLASSIFICAZIONE MULTICRITERIALE ... 50

4.2 - BASI MATEMATICHE DEL DRSA APPLICATE AL CAMPIONE DI

RIFERIMENTO ... 52

4.3 – ANALISI DELLE REGOLE DECISIONALI ... 69

CONCLUSIONI

... 83

BIBLIOGRAFIA

... 85

APPENDICE

... 88

APPENDICE 1 ... 88

APPENDICE 2 ... 90

TAVOLA 1 – Estratto del campione dei cedenti ... 91

TAVOLA 2 – Estratto del campione dei debitori ... 93

(4)

“Credo di poter affermare che nella ricerca scientifica né il grado di intelligenza né la capacità di eseguire e portare a termine il compito intrapreso siano fattori essenziali per la riuscita e per la soddisfazione personale. Nell'uno e nell'altro contano maggiormente la totale dedizione e il chiudere gli occhi davanti alle difficoltà: in tal modo possiamo affrontare i problemi che altri, più critici e più acuti, non affronterebbero.”

(5)
(6)

RINGRAZIAMENTI

Al termine del mio percorso di laurea e della stesura della presente tesi, mi accorgo che sono numerosi i debiti di riconoscenza verso tutti coloro che con il loro aiuto e supporto hanno contribuito alla realizzazione di questo lavoro e alla mia personale crescita.

Desidero, innanzitutto, ringraziare la prof.ssa Paola Ferretti per lo scrupoloso aiuto scientifico e per la volontà e l’interesse di esplorare un ambito di ricerca “nuovo”. Le sono grata per la disponibilità dimostrata e, soprattutto, per il sostegno e i preziosi insegnamenti.

Inoltre, un particolare ringraziamento va al dott. Paolo Murari, Direttore Generale della società di factoring presso cui ho svolto un tirocinio universitario di 6 mesi, e al dott. Luca Simionato, Responsabile Monitoraggio Crediti, per avermi fornito i dati necessari allo sviluppo di questa ricerca.

Vorrei ringraziare anche i miei responsabili, Lino Michielin, Stefano Possamai e Carlo Alberton, per aver creduto nel mio progetto promuovendolo fin dalla sua fase embrionale.

Un sentito “grazie” ad Alessia e Maura le quali hanno condiviso con me questo percorso universitario e mi hanno spesso supportato (e sopportato!) negli studi e nella vita; la mia più sincera gratitudine va poi ad Andrea per gli indispensabili consigli e aiuti informatici e per avermi compreso e assistito in ogni fase "umorale” di analisi e stesura della tesi.

Infine, ma non per questo di minor importanza, vorrei ringraziare la mia famiglia per il costante e amorevole sostegno.

(7)
(8)

INTRODUZIONE

L’andamento economico e la disfunzione dei mercati finanziari degli ultimi anni stanno condizionando in modo rilevante la qualità del credito commerciale delle aziende, caratterizzato sempre più da posizioni in sofferenza.

Analogamente e di conseguenza, le banche hanno assistito alla trasformazione di diversi finanziamenti in essere in crediti deteriorati e difficilmente esigibili, comportando gravi perdite e svalutazioni nei bilanci d’esercizio degli intermediari bancari a causa delle ridotte garanzie a copertura di questi eventi negativi. Pertanto, il Comitato di Basilea ha avviato una profonda riforma della regolamentazione della capital adequacy bancaria per garantire una valutazione più rigorosa della qualità degli attivi degli istituti di credito.

In questa situazione di instabilità e di contrazione del credito bancario si colloca il ricorso delle imprese a fonti di finanziamento alternative come il factoring, il quale rappresenta una modalità di smobilizzo dei crediti commerciali; l’impresa ha la possibilità di trasferire la sua carta commerciale a un intermediario specializzato, detto factor, il quale presta tre servizi fondamentali, variamente combinati: la gestione dei crediti ceduti, la garanzia contro l'insolvenza del debitore, il finanziamento.

Il factoring si colloca tra le attività di corporate lending, ossia di concessione di credito alle imprese, e risponde a un preciso fabbisogno finanziario di breve termine di queste ultime; la valutazione dei rischi nel factoring è più accurata e riduce al minimo la probabilità di incorrere in situazioni di sofferenza perché non si limita all’osservazione del soggetto finanziato (cedente) come nelle operazioni autoliquidanti bancarie (dove la banca agisce solo su mandato all’incasso), ma è estesa al debitore ceduto (avvalendosi di una rilevante base dati fornita da Assifact con informazioni sui tempi di pagamento, sui crediti scaduti e contestati che permette di ottenere uno screening sempre aggiornato) e al tipo di operazione (pro soluto, pro solvendo). Il factor dispone di una visione diretta sull’evoluzione della relazione commerciale fornitore/cliente (il cui deterioramento avviene prima del default del soggetto finanziato) e l’osservazione costante e metodica sui debitori gli consente di mettere in atto tempestive azioni di correzione (conferma, riduzione, revoca del plafond).

Data la specificità del business, il presente elaborato ha l'obiettivo di analizzare e comprendere, studiando una specifica realtà di factoring, quale scenario può incentivare la trasformazione di un credito commerciale ceduto in credito “problematico”, in modo da poter minimizzare e presagire eventuali situazioni di crisi e di insolvenza.

(9)

Viene quindi svolta un’analisi su un campione di imprese cedenti credito e su un campione di debitori ceduti appartenenti a una società di factoring italiana. Attraverso una tecnica di Data

Mining si deducono delle regole decisionali che descrivono come attribuire un giudizio sul

merito creditizio delle imprese.

Si ritiene opportuno, a tal fine, esporre nel Capitolo 1 alcune nozioni riguardanti l’attività di

corporate lending, il rischio di credito e la sua valutazione; successivamente, il Capitolo 2

descrive alcuni concetti chiave riguardanti il contratto di factoring, le motivazioni per cui le imprese vi ricorrono e gli effetti positivi che genera l’utilizzo costante e protratto nel tempo di questo strumento.

I Capitoli 3 e 4 rappresentano il nucleo dell’analisi: in primis si definiscono le modalità di estrazione e costruzione dei due database oggetto d’indagine (uno per le aziende cedenti il credito, l’altro per i debitori ceduti) e in seguito si presentano le variabili, o meglio, gli attributi che sono stati scelti per descrivere l’insieme di dati; successivamente, con l’ausilio del software jMAF vengono dedotte e studiate delle regole decisionali generate applicando ai dati i concetti teorici del Dominance-based Rough Set Approch.

Queste regole cercano di individuare quali caratteristiche economico-finanziarie possono fungere da alert nel cambiamento dello “stato di salute” di un credito al fine di ottenere un innovativo e semplice modello di scoring basato su logiche multicriteriali piuttosto che statistiche.

(10)

CAPITOLO 1

IL CORPORATE LENDING E

IL RISCHIO DI CREDITO

INTRODUZIONE

La valutazione del rischio di insolvenza di un’impresa è stata per molto tempo la maggior preoccupazione di ricercatori ed esperti di finanza. Con il termine insolvenza si intende quella situazione in cui un’azienda non riesce a pagare gli istituti di credito, gli azionisti privilegiati, i fornitori, oppure un conto è scoperto, o l’impresa è fallita secondo la legge. Tutte queste situazioni derivano da una discontinuità di funzionamento dell’azienda.

Il numero di imprese in fallimento è un importante indicatore della salute dell’economia, infatti può essere considerato come un indice dello sviluppo e della solidità della realtà economica. Chiaramente, il fallimento influenza l’intera esistenza di un’azienda e comporta costi elevati per la stessa, per chi collabora con quest’ultima (altre aziende e organizzazioni) e infine per l’economia del Paese.

Diviene quindi necessario per gli istituti creditizi, in primo luogo, interpretare correttamente il particolare fabbisogno finanziario delle imprese e, in secondo luogo, dotarsi di modelli e strumenti capaci di presagire situazioni di crisi e di insolvenza, nel contesto di un’ottimale gestione dei crediti.

Nel presente capitolo si delinea, brevemente, l’attività di corporate lending e gli strumenti a disposizione delle imprese per far fronte a scompensi di liquidità; infine si cerca di fornire una sintetica definizione di insolvenza e rischio di credito, individuando le modalità di stima del rischio stesso e quali sono, invece, le novità introdotte dall’ultima revisione degli Accordi di Basilea.

(11)

1.1 – IL CORPORATE LENDING

Per corporate lending si intende l’attività di prestito, o concessione di credito, a una particolare classe di prenditori di fondi, le imprese, e rappresenta da sempre l’attività di core

business della banca commerciale, tanto che per alcuni autori l’erogazione di finanziamenti è il

principale input dell’attività di un istituto di credito.

Con riferimento al profilo di domanda del mercato creditizio, è da rilevare che il sistema italiano si caratterizza per la presenza di poche grandi imprese, molte piccole-medie imprese e numerose microimprese; questa struttura del tessuto produttivo induce a qualificare le aziende italiane come medium size based e alimenta specifici fabbisogni finanziari.

Di fatto, è necessario interpretare i contratti di lending alla luce delle particolari necessità finanziarie delle imprese, precisando che il mercato creditizio offre una serie di prodotti in grado di rispondere alle esigenze espresse dalla clientela.

Ad esempio, gli scompensi di liquidità derivanti dalla dinamica del capitale circolante possono essere coperti tramite l’apertura di una linea di credito in conto corrente; alternativamente, l’impresa può individuare quelle poste che costituiscono l’attivo circolante (come i crediti verso clienti, i titoli e il magazzino) facilmente smobilizzabili. In questo modo l’azienda, privandosi in via temporanea o definitiva, di alcuni attivi inclusi nell’attivo circolante può ottenere immediatamente disponibilità liquide in conto corrente. Si ricorda che il capitale circolante è paragonabile a una spugna: se esso si contrae, vengono liberate risorse liquide destinabili ad altri impieghi1.

A questo punto è opportuno precisare che questi servizi non sono offerti solo dalle banche, ma sussistono, nel panorama del credito, anche gli intermediari finanziari i quali sono tipicamente specializzati in una specifica area di business, a volte circoscritta a un unico prodotto. Si differenziano dalle banche per l’assenza di raccolta di risparmio presso il pubblico sotto forma di depositi ma a questi soggetti è riservata, secondo l’art. 106 del Testo Unico Bancario, l’attività di concessione di finanziamenti nei confronti del pubblico sotto qualsiasi forma. Gli intermediari finanziari sono perciò “specializzati” in prodotti definibili “parabancari” come il factoring o il leasing e quindi nel finanziamento degli investimenti in capitale fisso e/o circolante delle imprese.

In questo modo l’attività di corporate lending privilegia forme di relazione con le imprese sempre più personalizzate e diversificate; inoltre le caratteristiche proprie dell’intermediario finanziario, come la ridotta complessità operativa e organizzativa e il minor rischio di illiquidità, consentono di contenere e ridurre il rischio individuale e sistemico2.

1

[9] Caselli S., Gatti S., 2006. Il corporate lending. Bangacaria Editrice

2 [20] Galmarini F., Tavecchia D., 2015. L’intermediario finanziario specializzato tra nuovo Tub, Single Rulebook e

vigilanza unica: il caso del factoring. Assifact,

(12)

1.2 – IL RISCHIO DI CREDITO

Ogni credito concesso ha un proprio margine di rischio generato da un insieme di elementi, che vanno dalle caratteristiche del cliente al contesto economico nel quale è inserito il tipo di finanziamento scelto.

Nello specifico, la gestione del credito commerciale finalizzato a sovvenzionare le aziende è un processo che implica, in primo luogo, l’assegnazione di una valutazione circa la rischiosità dell’impresa cliente, in secondo luogo la concessione e il finanziamento del credito, e infine la riscossione del credito e l’eventuale assunzione del rischio di inesigibilità.

La corretta valutazione iniziale dell’impresa cliente è fondamentale per minimizzare il rischio che la controparte non sia più in grado si assolvere le proprie obbligazioni e per determinare l’ammontare di capitale bancario a copertura del rischio di credito. Ad ogni soggetto economico, infatti, è associato un rating, ovvero un giudizio sintetico espresso sotto forma di punteggio, che esprime una valutazione sulla qualità del credito e quantifica il rischio che la controparte risulti insolvente, sulla base dell’analisi congiunta di variabili finanziarie e non.

Diviene quindi necessario fornire una definizione di rischio di credito e successivamente comprendere come questo concetto influenzi le modalità di valutazione della rischiosità di un’impresa.

Per rischio di credito si intende la probabilità che il finanziamento erogato si tramuti in perdita a causa dell’insolvenza dell’impresa, o, più in generale, il rischio di credito rappresenta “la possibilità che una variazione inattesa del merito creditizio di una controparte, nei confronti della quale esiste un’esposizione, generi una corrispondente variazione inattesa del valore di mercato della posizione creditizia3”.

Da quest’ultima definizione emerge che il rischio di credito non riguarda esclusivamente il caso di manifestazione di uno stato di insolvenza4, ma deve essere misurato e conseguentemente gestito facendo riferimento a una distribuzione nella quale l’evento estremo è preceduto da diversi livelli di probabilità che questo possa manifestarsi.

In ottemperanza anche alle disposizioni di Basilea 2 e alle istruzioni dell’Organo di Vigilanza il rischio di credito può essere scomposto in:

- Rischio di default: rischio che la controparte non sia in grado di far fronte alle proprie obbligazioni;

3

Fonte: A. Sironi, I rating interni e i modelli per la gestione del rischio di credito, Tematiche istituzionali – Banca d’Italia, aprile 2000

4

A riguardo Pavesi [28] scrive: “In linea di diritto, per insolvenza si intende uno stato di decozione per cui un soggetto economico, ovvero un imprenditore che esercita un’attività commerciale, non è più in grado di assolvere le proprie obbligazioni verso i creditori, quantomeno con normali mezzi di pagamento; a questo punto interviene il tribunale per giudicare se sussistono le condizioni per dichiarare aperta una procedura concorsuale (fallimento o concordato preventivo).”

(13)

- Rischio di spread/migrazione: rischio di variazione del merito creditizio della controparte che determina un effetto sul valore di mercato della posizione creditoria;

- Rischio di recupero: rischio che il tasso di recupero effettivamente registrato al termine della liquidazione delle attività di una controparte divenuta insolvente risulti inferiore a quanto originariamente stimato dalla società.

Il rischio di credito può sorgere come risultato del verificarsi di diversi eventi o il manifestarsi di molteplici fattori, interni ed esterni alla società. Ad esempio, la scelta strategica di operare in alcuni specifici segmenti di business oppure cambiamenti dello scenario macroeconomico di riferimento rappresentano alcuni dei fattori che storicamente possono influenzare le dinamiche di gestione del rischio di credito. È pertanto possibile classificare le fonti del rischio di credito in distinte macro categorie, a seconda che quest’ultimo sia originato da:

- eventi negativi che impattano esclusivamente sulla parte affidata (rischio specifico); - eventi negativi che impattano sull’intero sistema economico (rischio sistematico). L’analisi sulla solvibilità della clientela deve tenere in considerazione sempre tutti gli scenari che possono produrre effetti negativi.

A questo proposito, gli enti creditizi utilizzano i modelli di rating, sviluppati direttamente da Banca d’Italia o elaborati dalle banche al proprio interno (Internal Ratings-Based, IRB) e successivamente validati e approvati dalle autorità di Vigilanza, come proxy per la classificazione della qualità del credito.

Il rating da attribuire all’azienda emerge dalla ponderazione di tre tipologie di analisi5:  analisi quantitativa;

 analisi qualitativa;  analisi andamentale.

L’analisi quantitativa considera, come fonte principale di una valutazione sul merito di credito, i dati di bilancio opportunamente riclassificati in quanto è possibile attingere, in modo oggettivo, informazioni sulla realtà economica e finanziaria dell’impresa unitamente al grado di rischio connesso al profilo aziendale. Gli aspetti di carattere quantitativo hanno maggiore rilevanza poiché sono più oggettivi e verificabili, specialmente per le imprese di media dimensione6.

5

[10] Cremona G., Faenza M., Monarca P., Tarantino N., 2006. Il manuale del factoring. Ipsoa

6 [32] Quattrocchio L. M., 2016. La classificazione dei crediti da parte degli intermediari finanziari. Le diverse

nozioni di crisi ed insolvenza. La segnalazione alla Centrale Rischi. Il nuovo diritto delle Società n.4/2016, pagg.

16-66, consultabile alle pagine web:

www.quattrocchio.it/wp-content/uploads/2014/05/L.M.-QUATTROCCHIO-La-classificazione-dei-crediti-da-parte-degli-intermediari-finanziari.pdfoppure

https://iris.unito.it/retrieve/handle/2318/1523054/45496/QUATTROCCHIO%20L.M.,%20La%20classificazione%20 dei%20crediti.pdf

(14)

L’analisi qualitativa è ricondotta, invece, a informazioni di tipo ambientale come ad esempio l’assetto giuridico e societario dell’impresa, il suo core business e le attività collegate, il settore di attività, i principali concorrenti, l’evoluzione del settore, le strategie commerciali e i piani industriali di sviluppo, la presenza di competenze finanziarie sviluppate dal management.

Attualmente le PMI e le microimprese manifestano l’esigenza di essere valutate soprattutto con riferimento alle loro risorse intangibili come le strategie aziendali e le potenzialità del business dell’impresa e queste informazioni possono essere raccolte principalmente attraverso incontri diretti tra l’intermediario bancario e/o finanziario e il managemet dell’impresa.

Infine, l’analisi andamentale è caratterizzata da informazioni riferite a situazioni passate ma fortemente correlate con la situazione attuale dell’impresa come il controllo che fornisce la Centrale dei Rischi sulla valutazione complessiva del credito e sulla presenza di sconfini, insoluti, protesti, fallimenti. L’importanza dell’aspetto andamentale risiede nella considerazione del profilo di comportamento del cliente rispetto alla banca e al sistema creditizio.

In merito alla classificazione dei crediti, dal 1° gennaio 2015 sono stati recepiti dagli organi di Vigilanza i nuovi standard tecnici pubblicati dalla European Banking Authority (EBA) e, di conseguenza, Banca d’Italia ha provveduto ad aggiornare e modificare le regole di redazione del bilancio bancario e a ridefinire il concetto di attività finanziarie deteriorate7.

La nuova ripartizione dei crediti delineata dalla Banca d’Italia è volta a garantire una valutazione più rigorosa della qualità degli attivi bancari, attuando un monitoraggio più rigido dei crediti ristrutturati e oggetto di concessioni. La novità introdotta di maggior rilievo in merito è certamente rappresentata dalla definizione armonizzata di esposizioni deteriorate (non

performing exposures) e di esposizioni oggetto di concessione (forborne exposures).

Vengono meno quindi le categorie delle cosiddette “attività deteriorate” (past due loan) che nella regolamentazione previgente erano suddivise, in base al livello di patologia, in esposizioni scadute o sconfinanti, ristrutturate, incagliate, a sofferenza.

Attualmente gli enti creditizi distinguono tra8:

- attività finanziarie non deteriorate, altrimenti definite “esposizioni performing” o in

bonis, ossia le esposizioni che non presentano anomalie significative, oppure esposizioni non deteriorate;

7

Si fa riferimento alle circolari n. 272 del 2008 - 7° Aggiornamento - “Matrice dei conti” e n. 217 del 1996 - 13° Aggiornamento - “Manuale per la compilazione delle Segnalazioni di Vigilanza per gli Intermediari finanziari, per gli istituti di pagamento e per gli IMEL”. Il testo integrale della circolare n. 272, ultimo aggiornamento gennaio 2015, è disponibile sul sito web della Banca d’Italia nella pagina:

www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/normativa/archivionorme/circolari/c272/index.html.

8

[2] Ametrano F., Pazzaglia S., Tacchino L., 2016. Risoluzione della crisi d’impresa: la prospettiva del sistema

(15)

- attività finanziarie deteriorate altrimenti definite “esposizioni non performing” che vengono ripartite, indipendentemente dall’acquisizione di eventuali garanzie (reali o personali) a supporto delle stesse, nelle seguenti categorie di segnalazione: esposizioni

scadute e/o sconfinanti deteriorate (past due), inadempienze probabili (anche definite

Unlikely to pay) e sofferenze.

Si può notare quindi che la categoria dei “crediti ristrutturati” è stata eliminata e questo implica una riclassificazione degli stessi; inoltre il concetto di “incaglio” viene sostituito dalla categoria delle “inadempienze probabili”, in quanto si vuole spostare l’attenzione e il giudizio dell’ente creditizio sulla probabilità che l’impresa debitrice adempia integralmente alle sue obbligazioni creditizie senza il ricorso ad azioni quali l’escussione delle garanzie.

Infine, le nuove direttive emanate dall’Autorità bancaria europea prevedono il riconoscimento di una nuova categoria dove vi rientrano le “esposizioni forborne”. Come riporta Quattrocchio [32], “trattasi di una categoria trasversale che riguarda concessioni istituite dalla banca ad un debitore che si trova o è in procinto di trovarsi in difficoltà finanziaria; la Banca d’Italia specifica che le esposizioni forborne deteriorate rientrano, a seconda dei casi, tra le sofferenze, le inadempienze probabili oppure tra le esposizioni scadute e/o deteriorate e non formano una categoria a sé stante di attività deteriorate”. (Fonte:

https://iris.unito.it/retrieve/handle/2318/1523054/45496/QUATTROCCHIO%20L.M.,%20La%20classificazione%20

(16)

CAPITOLO 2

IL FACTORING:

ASPETTI PECULIARI

INTRODUZIONE

Negli ultimi anni, si è assistito ad una contrazione del credito bancario a seguito dell’insorgere di un numero elevato di situazioni di crisi d’impresa; le banche, per poter far fronte alla trasformazione di diversi finanziamenti in essere in “crediti problematici”, hanno inasprito la selezione dei soggetti richiedenti una concessione di credito.

La maggiore esigenza di liquidità ha portato le aziende ad ampliare il loro accesso al credito utilizzando nuove controparti e nuovi strumenti come il factoring. In un ottica di medio-lungo termine il ricorso crescente a questa tipologia di contratto potrebbe altresì incentivare il sistema bancario a ridurre la rischiosità dei propri attivi. In questo modo le banche potranno detenere un minor requisito di capitale e ottemperare alle direttive previste dalle nuove regole di vigilanza prudenziale introdotte con Basilea 3, dove si richiede maggiore qualità degli strumenti ammessi nel patrimonio di vigilanza.

In questo capitolo si offre una panoramica sul contratto di factoring, introducendo la regolamentazione che lo disciplina e le caratteristiche essenziali che lo identificano; successivamente si espongono alcune motivazioni che inducono le imprese a ricorre a questo prodotto e infine quali aspetti positivi e migliorativi sembra apportare alla gestione interna dell’azienda.

(17)

2.1 – IL CONTRATTO DI FACTORING

L’espressione “factoring” indica l’attività finanziaria di trasferimento di crediti commerciali da un’impresa a una banca o ad un intermediario finanziario specializzato che provvede, dietro un corrispettivo, a fornire una serie di servizi quali la gestione, il finanziamento e l’incasso dei crediti ceduti, fino alla garanzia dell’eventuale inadempimento dei debitori.

Sotto il profilo normativo, il factoring è un contratto atipico di matrice anglosassone ed è regolato dalla legge n. 52 del 21 febbraio 1991. Questa legge, che inquadra il factoring come disciplina speciale della cessione del credito prevista dal codice civile agli artt. 1260 – 1267, si applica quando ricorrono le seguenti condizioni:

- il cedente è un imprenditore;

- i crediti ceduti sorgono da contratti stipulati dal cedente nell’esercizio dell’impresa; - il cessionario è una banca o un intermediario finanziario disciplinato dal testo unico

delle leggi in materia bancaria e creditizia (D.lgs. 385/93) il cui oggetto sociale preveda l’esercizio dell’attività di acquisto di crediti d’impresa.

In ogni operazione di factoring risultano interessati tre soggetti economici (Figura 2.1): - il factor (o cessionario), rappresentato dalla società di factoring;

- il cliente del factor (cedente), rappresentato dall’azienda che cede al factor i propri crediti;

- il debitore del cliente (ceduto), vale a dire l’acquirente dei prodotti, beni o servizi dell’azienda.

(18)

Caratteristica fondamentale del factoring è la possibilità di combinare, in funzione delle esigenze e delle caratteristiche del cliente, servizi di varia natura; in particolare, il servizio finanziario (regolamento anticipato dei crediti fattorizzati) si associa ad alcuni servizi non finanziari (gestione e assicurazione dei crediti, prestazione di assistenza e consulenza in campo amministrativo, commerciale, legale, valutario) e in questo modo l’impresa che vi ricorre ha la possibilità di ottenere benefici finanziari, strategici, gestionali e commerciali.

Nello specifico, il factoring offre un supporto:

- finanziario, attraverso lo smobilizzo immediato dei crediti non ancora scaduti e con il prefinanziamento sugli ordini;

- assicurativo, tramite la garanzia del buon fine dei crediti ceduti (esclusivamente per la tipologia pro soluto). Il factor garantisce la solvibilità dei debitori ceduti, in genere concedendo alle imprese clienti dei plafond, cioè dei limiti di rischio rotativi a valere su ciascun debitore (oltre detti limiti i crediti possono essere fattorizzati con clausola salvo buon fine);

- amministrativo e contabile, con la valutazione della solvibilità dei debitori, la contabilizzazione analitica delle partite, l’incasso dei crediti a scadenza o l’eventuale recupero in caso di insolvenza;

- commerciale, con l’aiuto della configurazione delle politiche di vendita e la consulenza in materia di analisi di mercato.

Per ottenere tutti questi benefici potenziali è necessario che lo strumento sia utilizzato in maniera corretta in funzione delle esigenze espresse dall’impresa, del tipo di mercato e del posizionamento competitivo; le imprese che utilizzano il factoring in maniera ampia, sistemica e prolungata nel tempo sono maggiormente in grado di percepirne i benefici sulla gestione delle relazioni creditizie con i propri clienti e in termini di riduzione dell’attività interna di gestione dei crediti commerciali9.

Inoltre è opportuno precisare che esistono due tipologie di contratti di cessione: pro soluto (ossia con il trasferimento del rischio di credito a carico del cessionario, cioè dell’acquirente il credito) e pro solvendo (ossia con il mantenimento del rischio di credito a carico del soggetto che lo cede).

Nel factoring pro soluto il factor acquista e gestisce i crediti commerciali vantati verso determinati debitori, previamente identificati, e si assume il rischio dell’insolvenza degli stessi nei limiti del plafond associato a ciascun debitore.

Nel factoring pro solvendo, invece, il rischio di mancato o parziale pagamento dei debitori ceduti resta in capo al cedente e quest’ultimo è tenuto a restituire alla società di factoring le

9 [35] Tavecchia D., 2012. Gli effetti del factoring sulle imprese italiane. Alcune evidenze empiriche. Assifact,

DiscussionPaper Series n. 1/2012 consultabile al sito:

(19)

somme anticipate quale corrispettivo dei crediti ceduti, oltre agli interessi, spese e commissioni concordate. Il cedente garantisce inoltre che tutti i crediti sono certi, liquidi ed esigibili10

a scadenza (anche quelli futuri).

Dato che nel contratto di cessione del credito risultano interessati due soggetti (cedente e debitore/i), anche il rischio che si assume il factor è osservabile dal punto di vista dell’uno e dell’altro soggetto economico. Infatti, il rischio massimo assumibile verso il cedente è rappresentato dall’importo massimo di anticipazione che il factor è disponibile a concedere a quest’ultimo (fido accordato); dall’altra parte, se il fido collegato a un debitore è pro soluto, il rischio che si assume il factor è determinato dall’importo massimo di crediti relativi a uno specifico debitore che la società si è formalmente impegnata a garantire al cedente.

Il corrispettivo della cessione è determinato in misura pari al valore nominale dei crediti ceduti, o al diverso importo che risultasse dovuto dal debitore per effetto di eventuali riduzioni connesse con l’operazione sottostante (sconti, abbuoni, ecc.); l’anticipazione invece corrisponde ad una percentuale, preventivamente convenuta, sul valore nominale dei crediti (di solito pari all’80%) che dipende dalle esigenze del cliente e dalla qualità del credito11

. La quota non anticipata viene in seguito liquidata al cedente dopo che la società di factoring ha incassato il pagamento da parte del debitore.

2.2 – LE MOTIVAZIONI DEL RICORSO AL FACTORING

Il factoring non è un contratto nuovo ma uno strumento già presente e consolidato nel mercato italiano; inoltre, osservando la figura 2.2, si sta assistendo a un crescente ricorso di questo prodotto negli ultimi anni, tanto che l’Italia risulta essere il quinto mercato del factoring a livello mondiale e il quarto a livello europeo. I dati di Banca d’Italia e Assifact a dicembre 2014 dimostrano che, nonostante il PIL italiano abbia subito una contrazione negativa dello 0,4% e a sua volta l’erogazione di credito bancario abbia registrato un’inflessione del -1,6% nel settore privato e del -2,43% nel settore pubblico, il ricorso al factoring è aumentato nel 2014 del 2,81% con un turnover di 178 milioni di euro (11% del PIL)12

.

10 Definizioni:

— certezza, quando il credito deriva da patti precisi e vincolanti per entrambi i contraenti, ovvero quanto sussiste lo scambio effettivo e dimostrabile delle due volontà , da un lato quella di vendere e dall’altro quella di acquistare; — esigibilità, quando il credito, se sottoposto ad un termine, è scaduto, per cui può esserne legittimamente richiesto il saldo da parte di chi ne è titolare;

— liquidità, quando il credito è determinato esattamente nell’ammontare, in modo da non creare problemi di interpretazione sulla sua quantificazione.

11 [10] Cremona G., Faenza M., Monarca P., Tarantino N., 2006. Il manuale del factoring. Ipsoa 12

[37] Valentini P., 2015. Factoring: il TMS è parte attiva del processo di supporto alla tesoreria. Amministrazione & Finanza n. 12/2015 pagg. 58-64

(20)

Figura 2.2 – Factoring: il mercato mondiale 2014 (in milioni di Euro)

Questa tipologia di contratto ha trovato ampia diffusione nel mercato italiano principalmente per la presenza di un elevato ammontare di credito commerciale connesso però all’utilizzo di pagamenti fortemente dilazionati. Il motivo principale di ricorso al factoring riguarda, infatti, la possibilità per le imprese di smobilizzare una quota del capitale circolante riuscendo ad ottenere liquidità per finanziare il proprio sviluppo. Alcuni lavori empirici dimostrano che il factoring è un’operazione che attrae dapprima imprese di piccola dimensione, aziende giovani e caratterizzate da una crescita molto rapida; tale tendenza sarebbe collegata a una logica di outsourcing del processo di gestione del credito commerciale in modo da poter sfruttare la struttura organizzativa del factor senza dover internalizzare funzioni di amministrazione e gestione del credito, e soprattutto per poter ottenere informazioni riguardanti la solvibilità dei nominativi ceduti o di potenziali clienti (geograficamente anche lontani) ad un costo inferiore rispetto a quello che l’impresa avrebbe dovuto sostenere.

Inoltre il factoring ha dimostrato di essere uno strumento adatto a fasi negative del ciclo economico: negli anni della grave crisi congiunturale (2008-2009) le aziende sono state “obbligate” a ricorrere alla cessione del credito come fonte alternativa di finanziamento a causa della difficoltà del ricorso al credito bancario tradizionale; grazie alla visione diretta, che ha il factor, sull’evoluzione della relazione commerciale fornitore/cliente (il cui deterioramento avviene prima del default del soggetto finanziato) e grazie all’osservazione costante e metodica sui debitori che consente di mettere in atto tempestive azioni di correzione (conferma, riduzione, revoca del plafond)13, nel biennio della crisi l’incidenza delle sofferenze nel factoring sono state mediamente un terzo di quelle registrate tra gli impeghi bancari14.

13

[19] Galmarini F. di Assifact, Convegno “Studio Pagamenti 2014”. La condivisione delle informazioni per la

(21)

Figura 2.3 – Andamento delle sofferenze nel factoring e nei prestiti bancari

tra il 2009 e il 2013

Figura 2.4 – Dati riassuntivi del credito in banca (milioni di euro)

www.assifact.it/UserFiles/File/I%20CONVEGNI/EVENTI%20PATROCINATI%20DA%20ASSIFACT/Studio%20pagamen ti%202014-Cribis/Assifact-studio%20pagamenti%202014.pdf

14 [20] Galmarini F., Tavecchia D., 2015. L’intermediario finanziario specializzato tra nuovo Tub, Single Rulebook e

vigilanza unica: il caso del factoring. Assifact. Consultabile sul sito:

(22)

Questo accade perché la valutazione dei rischi nel factoring non è limitata al soggetto finanziato (cedente) come nelle operazioni autoliquidanti bancarie (dove la banca agisce solo su mandato all’incasso), ma è estesa al debitore ceduto (avvalendosi di una rilevante base dati fornita da Assifact con informazioni sui tempi di pagamento, sui crediti scaduti e contestati che permette di ottenere uno screening sempre aggiornato) e al tipo di operazione (pro soluto, pro solvendo).

Dopo la crisi finanziaria si è anche assistito ad una riduzione del costo del ricorso al factoring, ovvero il costo di questa operazione si è avvicinato ai tassi di interesse richiesti dagli istituti bancari per operazioni simili come anticipo fatture o effetti salvo buon fine, sconto cambiario ecc.; grazie all’analisi puntuale della clientela e del merito creditizio dei clienti ceduti si è riusciti a ridurre gli indici di rischio connessi a questi soggetti.

Le componenti effettive di costo per il servizio completo di gestione crediti e finanziamenti risultano essere15:

 interesse sugli anticipi (nel factoring con accredito anticipato);

 commissione di factoring (stabilita in percentuale degli importi dei crediti ceduti);  diritti fissi per ciascuna fattura ceduta;

 spese di tenuta conto;

 spese di registrazione del contratto (onere una tantum, all’avvio del rapporto);  giorni di perdita valuta sugli accreditamenti in conto.

2.3 – GLI EFFETTI DEL FACTORING

Partendo dal presupposto che il factoring è uno strumento di finanziamento del capitale circolante delle imprese flessibile e ad elevata personalizzazione (per la diversa combinazione dei servizi offerti), gli effetti positivi che si possono manifestare sui soggetti economici che vi ricorrono sono molteplici.

In primo luogo, analizzando l’equilibrio finanziario dell’impresa, l’introduzione del factoring consentirebbe di migliorare il rapporto tra attività correnti e passività correnti (che costituiscono il capitale circolante) favorendo una riduzione del ciclo monetario e incrementando la velocità di circolazione del capitale investito. In seguito, dopo che le risorse investite in credito commerciale sono state liberate, si otterrebbe un miglioramento della posizione finanziaria netta (ovvero della capacità di far fronte al servizio del debito), della redditività e del grado di rischiosità dell’azienda.

In secondo luogo, il ricorso al factoring sembrerebbe alleggerire, attraverso il servizio di gestione dei crediti ceduti, le incombenze amministrative e contabili del cedente; inoltre un

(23)

effetto importante del factoring dovrebbe essere quello di sostituire progressivamente i costi fissi legati alla struttura interna di credit management con costi variabili rappresentati dalle commissioni richieste dal factor16.

Un terzo aspetto riguarda i benefici sulla politica commerciale e la conseguente riduzione dei costi di informazione: grazie alle economie di scala presenti nella società di factoring, questa potrebbe fornire importanti informazioni all’impresa cedente sui suoi debitori o su possibili nuovi clienti; questo vantaggio è maggiormente osservabile nei confronti di aziende che offrono prodotti diversificati e/o i fornitori sono geograficamente distanti o frazionati sul territorio. Infine il ricorso al factoring potrebbe apportare un miglioramento al rating dell’azienda e rendere la relazione banca/impresa più solida, duratura e meno rischiosa a seguito del maggior flusso informativo che interviene nella relazione.

L’esternalizzazione del processo di gestione del credito commerciale potrebbe, in definitiva, rendere le imprese più snelle e flessibili e in grado di concentrare le risorse economiche e manageriali sull’attività principale riducendo così i rischi connessi alla clientela acquisita17.

16

[35] Cit. www.portalefactoring.it/UserFiles/File/CREDIFACT_PAPERS/Q1-2012%20IT%20Tavecchia.pdf

(24)

CAPITOLO 3

ANALISI DEI CAMPIONI DI DATI:

CEDENTI E DEBITORI

INTRODUZIONE

Aiutati dalla panoramica dei capitoli precedenti sulla definizione di rischio di credito e contratto di factoring, questo capitolo ha l’obiettivo di analizzare due campioni di dati riguardanti l’uno le aziende clienti di una società di factoring (ovvero imprese cedenti credito commerciale all’intermediario specializzato), l’altro i debitori che vengono ceduti, dall’azienda, al factor.

I dati sono stati forniti da una società di factoring italiana appartenente a un noto Gruppo Bancario nazionale; le informazioni che la stessa ha potuto comunicare fanno riferimento all’anagrafica delle aziende clienti (cedenti) e dei relativi debitori ceduti, ad alcuni indicatori di bilancio e alle segnalazioni presenti nella Centrale Rischi. Ai fini della tutela della privacy delle aziende inserite nel database, ogni dato sensibile è stato omesso dalla presente esposizione.

In questo capitolo ci si sofferma quindi a descrivere la struttura dei campioni di dati, dalla loro generazione alla scelta delle variabili che li compongono. In particolare, viene dato ampio spazio alla descrizione degli indicatori di bilancio e ad alcune voci che compongono il prospetto della Centrale Rischi.

(25)

3.1 – GENERAZIONE DEI CAMPIONI DI DATI

Le informazioni riguardanti i cedenti e i debitori sono state fornite dalla società di factoring attraverso tre distinti database: il primo raccoglieva esclusivamente dati anagrafici (codice identificativo, denominazione, forma giuridica, recapiti, ecc.); il secondo presentava alcuni indici di bilancio e alcune voci di stato patrimoniale e conto economico riclassificati; il terzo, la posizione dell’azienda in Centrale Rischi. Sono state dapprima selezionate le aziende clienti, e di conseguenza i debitori collegati, che presentavano un’esposizione nei confronti del factor (in termini di fatture cedute caricate a sistema) nel mese di gennaio 2016

Delle aziende considerate, sono stati selezionati i prospetti contabili presenti nel secondo database, relativi all’esercizio 2014, ad eccezione di alcune imprese per cui era già disponibile il bilancio civilistico del 2015.

Un primo problema, riscontrato nel collegare il database delle anagrafiche con quello contenente i bilanci, è sorto dalla mancanza, per metà dei soggetti, dei prospetti contabili. Il motivo di questa omissione è da imputare, in primo luogo, alla presenza, tra i debitori, di numerose pubbliche amministrazioni e di alcune aziende estere; in secondo luogo, al recepimento di nuovi cedenti per i quali non era ancora stato inserito a sistema il bilancio dell’ultimo esercizio, oppure alla presenza di cedenti in concordato preventivo o che hanno presentato dichiarazione di fallimento. Le aziende che riversano in questo stato, solitamente, tendono a ritardare la presentazione dei dati contabili.

Per superare questi inconvenienti, si è deciso di escludere dall’indagine le pubbliche amministrazioni e tutti i debitori esteri e di raccogliere i prospetti contabili mancanti interrogando il database di informazioni economico-finanziarie e di bilanci aziendali AIDA di proprietà del Bureau Van Dijk. Dato che la maggior parte delle aziende in fallimento o in concordato preventivo non ha presentato il proprio bilancio nell’anno precedente la dichiarazione di insolvenza, si è scelto di recuperare gli ultimi dati disponibili relativi alla chiusura d’esercizio più prossima all’anno di fallimento.

Infine è stato collegato, ai precedenti due database, quello comprendente le segnalazioni presenti in Centrale Rischi sulla situazione dei fidi in essere per ciascun cliente a gennaio 2016.

Si sono così ottenuti due campioni distinti: il primo costituito da 340 cedenti di cui 31 sono stati dichiarati insolventi o falliti tra il 2010 e il 2015; il secondo composto da 330 debitori di cui 22 in procedura concorsuale o in liquidazione/scioglimento tra il 2010 e il 2015.

La Tavola 1 e la Tavola 2 in Appendice presentano un estratto dei campioni (l’uno per i cedenti, l’altro per i debitori) a partire dai dati disponibili nei tre database.

(26)

3.2 – VARIABILI CONSIDERATE

Come esposto nel Capitolo 1, ad ogni azienda dovrebbe essere assegnato un rating che emerge da un’analisi quantitativa, qualitativa e andamentale della stessa.

Per questo motivo entrambi i campioni sono stati costruiti considerando le seguenti 17 variabili:

 4 variabili qualitative, tra cui la posizione geografica delle imprese, il settore di attività, l’anno di costituzione e la tipologia di fido accordata dal factor;

 9 indicatori di bilancio per supportare l’analisi quantitativa; la finalità dei dati di bilancio opportunamente riclassificati è di interpretare la realtà economica e finanziaria unitamente al grado di rischio connesso al profilo aziendale;

 3 indici che rispondono ad un approccio andamentale, ossia informazioni riferite a situazioni passate ma fortemente correlate con la situazione attuale dell’impresa come il controllo che fornisce la Centrale Rischi sulla valutazione complessiva del credito e sulla presenza di sconfini, insoluti, protesti, fallimenti;

 1 indicatore sintetico di rating che attribuisce un punteggio allo stato di salute del credito delle imprese.

3.2.1 – ANALISI QUALITATIVA

Posizione Geografica

Per ogni soggetto presente nel database delle anagrafiche viene fornita la sigla della provincia presso cui ha sede l’impresa. Si è deciso, per rendere più snella l’analisi, di raggruppare inizialmente le province in base alla regione di appartenenza. In un secondo momento è risultato opportuno ragionare per aree geografiche, in modo da evidenziare eventuali differenze tra le varie zone d’Italia.

Le aree geografiche individuate sono:

 Italia Nord-Occidentale che comprende le regioni Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria;

 Italia Nord-Orientale che considera le regioni Trentino Alto-Adige, Veneto, Friuli Venezia-Giulia, Emilia Romagna;

 Italia Centrale formata dalle regioni Toscana, Lazio, Umbria, Molise;

 Italia Meridionale che raggruppa le regioni Campania, Abruzzo, Basilicata, Puglia, Calabria;  Italia insulare che considera Sicilia e Sardegna;

 Estero (solo per i cedenti) che individua le aziende con sede extra-territoriale.

Nei grafici 3.1 e 3.2 è illustrato, con una rappresentazione a torta, il partizionamento geografico risultante per il campione dei cedenti e per quello dei debitori. Si osservi che le imprese cedenti sono maggiormente localizzate nell’area Nord-Est mentre i debitori sono

(27)

equamente distribuiti nell’Italia Settentrionale. Le imprese selezionate situate al Centro e al Sud raggiungono una percentuale di presenza territoriale modesta.

Grafico 3.1 – Campione dei cedenti suddiviso per area geografica

Area geografica Conteggio

Italia Nord Occidentale 90

Italia Nord Orientale 141

Italia Centrale 46

Italia Meridionale 56

Estero 7

Totale complessivo 340

Grafico 3.2 – Campione dei debitori suddiviso per area geografica

Area Geografica Conteggio

Italia Nord Occidentale 117

Italia Nord Orientale 133

Italia Centrale 52 Italia Meridionale 25 Italia Insulare 3 Totale complessivo 330 27% 41% 16% 14% 2%

Area geografica - CEDENTI

Italia Nord Occidentale Italia Nord Orientale Italia Centrale Italia Meridionale Estero 35% 40% 16% 8% 1%

Area geografica - DEBITORI

Italia Nord Occidentale Italia Nord Orientale Italia Centrale Italia Meridionale Italia Insulare

(28)

Settore di attività economica

Per settore di attività economica si intende, in questa trattazione, il codice ATECO 2007 assegnato a ciascuna azienda il quale “è una combinazione alfanumerica […]. Le lettere individuano il macro-settore economico mentre i numeri (da due fino a sei cifre) rappresentano, con diversi gradi di dettaglio, le specifiche articolazioni e sottocategorie dei settori stessi.” (fonte: www.codiceateco.it/codice-ateco)

Data la numerosità di attività economiche, si è scelto di operare un raggruppamento per macro-settori ATECO (1° livello per lettere) cui appartengono le imprese selezionate. La Tavola

3 in Appendice riporta la struttura del codice Ateco dopo aver selezionato solo i macro-settori.

Si è provveduto quindi ad associare a ciascuna descrizione specifica di attività economica rilevata nei campioni, una descrizione “minima”, riferita appunto al macro-settore di appartenenza.

Le aziende cedenti risultano raggruppate in 16 macro-settori di attività economica, mentre i debitori evidenziano 14 classi di raggruppamento.

Nelle tabelle 3.1 e 3.2 è fornito il dettaglio dell’aggregazione. Si può facilmente notare che il settore economico dominante per entrambi i campioni è quello delle attività manifatturiere, seguito dal settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio e dal comparto delle costruzioni.

Tabella 3.1 – Campione dei cedenti suddiviso per attività economica

Attività Economica da Codice Ateco 2007 Conteggio % su Totale

ATTIVITÀ MANIFATTURIERE 150 44%

COMMERCIO ALL'INGROSSO E AL DETTAGLIO; RIPARAZIONE DI

AUTOVEICOLI E MOTOCICLI 63 18,5%

COSTRUZIONI 39 11,5%

TRASPORTO E MAGAZZINAGGIO 21 6,2%

FORNITURA DI ENERGIA ELETTRICA, GAS, VAPORE E ARIA CONDIZIONATA 12 3,5% NOLEGGIO, AGENZIE DI VIAGGIO, SERVIZI DI SUPPORTO ALLE IMPRESE 12 3,5%

SANITA' E ASSISTENZA SOCIALE 9 2,6%

SERVIZI DI INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE 8 2,4%

AGRICOLTURA, SILVICOLTURA E PESCA 6 1,8%

ALTRE ATTIVITÀ DI SERVIZI 5 1,5%

ATTIVITÀ PROFESSIONALI, SCIENTIFICHE E TECNICHE 4 1,2%

ATTIVITA' IMMOBILIARI 3 0,9%

FORNITURA DI ACQUA; RETI FOGNARIE, ATTIVITÀ DI GESTIONE DEI RIFIUTI

E RISANAMENTO 3 0,9%

ATTIVITÀ DEI SERVIZI DI ALLOGGIO E DI RISTORAZIONE 2 0,6%

ISTRUZIONE 2 0,6%

ATTIVITÀ ARTISTICHE, SPORTIVE, DI INTRATTENIMENTO E DIVERTIMENTO 1 0,3%

(29)

Tabella 3.2 – Campione dei debitori suddiviso per attività economica

Attività Economica da Codice Ateco 2007 Conteggio % su Totale

ATTIVITÀ MANIFATTURIERE 187 56,7%

COMMERCIO ALL'INGROSSO E AL DETTAGLIO; RIPARAZIONE DI

AUTOVEICOLI E MOTOCICLI 62 18,8%

COSTRUZIONI 18 5,5%

TRASPORTO E MAGAZZINAGGIO 13 3,9%

SERVIZI DI INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE 10 3,0%

ATTIVITÀ PROFESSIONALI, SCIENTIFICHE E TECNICHE 9 2,7%

SANITA' E ASSISTENZA SOCIALE 8 2,4%

NOLEGGIO, AGENZIE DI VIAGGIO, SERVIZI DI SUPPORTO ALLE IMPRESE 7 2,1% FORNITURA DI ACQUA; RETI FOGNARIE, ATTIVITÀ DI GESTIONE DEI RIFIUTI

E RISANAMENTO 6 1,8%

FORNITURA DI ENERGIA ELETTRICA, GAS, VAPORE E ARIA CONDIZIONATA 5 1,5%

ATTIVITA' IMMOBILIARI 2 0,6%

AGRICOLTURA, SILVICOLTURA E PESCA 1 0,3%

ATTIVITÀ DEI SERVIZI DI ALLOGGIO E DI RISTORAZIONE 1 0,3%

ATTIVITÀ FINANZIARIE E ASSICURATIVE 1 0,3%

Totale complessivo 330

Anno di Costituzione dell’impresa

La variabile identifica l’anno di iscrizione dell’azienda nel registro delle imprese.

Le aziende cedenti selezionate sono state costituite tra il 1938 e il 2014 mentre il range individuato dai debitori è più ampio in quanto l’impresa più datata è stata iscritta nel registro delle imprese nel 1901.

Il grafico 3.4 fornisce una rappresentazione, per anno, della frequenza di imprese che sono state costituite in determinati periodi storici.

A titolo esemplificativo, il 20% delle aziende presenti nel campione dei cedenti sono state costituite tra il 2010 e il 2014, mentre poco più del 35% sono state costituite tra il 2000 e il 2009. Nel decennio 1990-1999 risultano essere state fondate il 20% delle imprese quindi al restante 25% appartengono le aziende definibili come “storiche”.

Indagando invece il campione dei debitori, si nota una minore percentuale di imprese “giovani”: solo il 5% delle aziende selezionate è stato iscritto nel registro delle imprese negli ultimi 5 anni e un 24% nel decennio 2000-2009. Tra gli anni 1990 e 1999 sono state costituite il 23% delle società e quindi quasi il 50% del campione è rappresentato da aziende presenti da più di 25 anni nella scena economica.

Si può concludere che la composizione dei due campioni è molto differente sotto l’aspetto della storicità aziendale.

(30)

Grafico 3.4 – Rappresentazione della frequenza di imprese costituite tra il 1901 e il 2014

Tipologia di fido accordato al cedente e al debitore collegato

La variabile “Tipologia di Fido” individua il tipo di prodotto che è stato assegnato all’azienda cedente e al suo (o ai suoi) debitore/i ceduto/i dal factor nel momento della sottoscrizione del contratto di factoring, dopo un’accurata valutazione del cliente e del suo portafoglio crediti. Le tipologie di fido presenti nei campioni selezionati sono:

 Pro-solvendo, identifica un’operazione di factoring con rischio a carico del cedente per il mancato pagamento dei debitori ceduti. Il cedente infatti è tenuto a restituire alla società di factoring le somme anticipate quale corrispettivo dei crediti ceduti in caso di insolvenza del debitore;

 Pro soluto, identifica un’operazione di factoring con assunzione del rischio a carico della società di factoring per il mancato o parziale pagamento dovuto all’insolvenza dei debitori ceduti;

 Pro-solvendo e Pro-soluto: identifica quella situazione in cui ad un cedente sono collegati più fidi; questo avviene quando si vuole operare una discriminazione all’interno del portafoglio crediti del cedente tra i debitori ceduti;

 Piano di Rientro: identifica una particolare situazione del cliente, solitamente collegata a un credito deteriorato, in cui si sta valutando un’azione di rientro della posizione e recupero del credito;

 Sola gestione e Fido Revocato: la prima fattispecie identifica quelle posizioni per cui il cliente ha richiesto solo l’amministrazione dei crediti ceduti e viene quindi a mancare

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 1 9 01 1 9 23 1 9 30 1 9 38 1 9 45 1 9 47 1 9 51 1 9 59 1 9 61 1 9 63 1 9 65 1 9 67 1 9 69 1 9 71 1 9 73 1 9 75 1 9 77 1 9 79 1 9 81 1 9 83 1 9 85 1 9 87 1 9 89 1 9 91 1 9 93 1 9 95 1 9 97 1 9 99 2 0 01 2 0 03 2 0 05 2 0 07 2 0 09 2 0 11 2 0 13 F re q u en za

ANNO di COSTITUZIONE - CEDENTI e DEBITORI

(31)

77% 13%

10%

Fido collegato al debitore

PRO SOLVENDO

PRO SOLUTO/PRO SOLVENDO PRO SOLUTO

l’aspetto finanziario dello smobilizzo dei crediti; per revoca del fido invece si intende la sospensione dell’utilizzo della linea di credito in concomitanza di grave insolvenza dei soggetti coinvolti o in situazioni di contenzioso.

Nei grafici a torta 3.5 e 3.6 è mostrata la composizione dei due campioni dal punto di vista della tipologia di fido. Alla maggior parte delle aziende viene assegnato un fido pro solvendo, mentre per il 20% circa dei cedenti si opta per un fido pro-soluto.

Grafico 3.5 – Rappresentazione della distribuzione della Tipologia di Fido per i cedenti

Grafico 3.6 – Rappresentazione della distribuzione della Tipologia di Fido per i debitori

69% 18%

7% 5%

1%

Tipologie Fido CEDENTI

PRO SOLVENDO

PRO SOLUTO

PRO SOLUTO/PRO SOLVENDO FIDO PER SOLA GESTIONE/REVOCATO PIANO DI RIENTRO

(32)

3.2.2 – ANALISI QUANTITATIVA: GLI INDICI DI BILANCIO

La selezione degli indici economici e finanziari è basata su due motivi principali: il loro utilizzo in precedenti studi ([1], [15], [25]) e per essere stati utilizzati in esperienze decisionali precedenti da esperti di finanza.

Facchinetti [16] identifica 3 principali categorie di indici in funzione della capacità segnaletica che sono in grado di manifestare sul versante:

 della solidità, intesa come capacità dell’impresa di perdurare nel tempo;

 della liquidità, intesa come capacità dell’azienda di far fronte, tempestivamente ed economicamente ai propri impegni;

 della redditività, quale capacità dell’impresa di remunerare congruamente tutti i fattori della produzione impiegati.

Ai fini del presente lavoro, quindi, gli indici selezionati possono essere raggruppati in 3 classi a seconda che si voglia investigare:

 l’equilibrio economico o reddituale;  l’equilibrio patrimoniale;

 l’equilibrio finanziario.

Gli indici reddituali studiano il livello di redditività complessivo dell’impresa, ossia la capacità di produrre reddito e generare risorse.

Gli indici patrimoniali verificano la presenza di un’adeguata struttura degli impieghi, il livello di indebitamento e la congruenza tra le fonti di finanziamento attivate e le corrispondenti modalità di impiego dei capitali raccolti.

Gli indici finanziari analizzano la capacità dell’azienda di attivare nel tempo fonti di finanziamentoidonee a coprire i fabbisogni indotti dalle operazioni di gestione.

Nei campioni individuati alcuni di questi indici non risultavano definiti (N.d.): per poter trattare questi dati “mancanti” si è assegnato un valore significativamente grande o piccolo alle posizioni N.d..

Dopo la descrizione di ogni categoria di indicatori, si riportano i grafici di dispersione costruiti per ciascun indice, considerando i dati presenti nei campioni; in questo modo è possibile osservare la reale volatilità dei ratios, individuare la presenza di alcuni outlier e capire in quale

(33)

INDICI REDDITUALI

La prima categoria di indici ha l’obiettivo di studiare il livello di redditività complessivo dell’impresa, ossia le basi su cui poggia la relativa modalità di creazione del valore.

La redditività delle vendite: R.O.S. (Return On Sales)

Il R.O.S. è un indicatore della redditività del fatturato e fornisce una misura (%) della capacità dell’impresa di produrre profitto dalle vendite complessivamente effettuate nel periodo. Viene quindi preso in esame l’ambito della gestione operativa o attività caratteristica dell’impresa, indagando quanto reddito operativo l’azienda realizza per ogni unità monetaria di vendite.

L’indice può essere espresso come segue:

à % = ( )

∗ 100

Il R.O.S. è tanto più soddisfacente quanto più risulta elevato; il R.O.S. aumenta con l’aumentare dei ricavi (e quindi incrementando il volume delle vendite e/o i prezzi di vendita) e con il diminuire dei costi.

L’indice deve essere confrontato, non solo con l’andamento storico dello stesso, ma soprattutto con la redditività media delle vendite del settore di appartenenza in quanto un valore positivo dell’indicatore potrebbe evidenziare una situazione di normalità.

Il valore del R.O.S. deve sempre essere analizzato insieme al valore di un altro indice: l’Asset

Turnover.

L’indice di rotazione dell’attivo netto (Asset Turnover)

Se ad un miglioramento del ROS corrisponde un tasso di rotazione dell’attivo stabile o maggiore ad esso, si può affermare che il miglioramento della redditività delle vendite è dovuto ad una riduzione dei costi conseguenti ad un miglioramento dell’efficienza aziendale.

L’Asset Turnover rappresenta un indicatore di efficienza, in quanto indica nel corso di una gestione produttiva il numero delle volte in cui il capitale investito si è rinnovato o ha ruotato per effetto dei ricavi delle vendite; di conseguenza, può essere considerato come una buona proxy delle volte in cui l’attivo netto ritorna mediamente in forma liquida attraverso i ricavi di vendita.

(34)

-0.50 0.51 1.52 2.53 3.54 4.55 5.56 6.57 7.58 8.59 R o ta zi o n e at ti vo ( vo lt e)

Asset Turnover

Cedenti Debitori =

Il valore assunto dall’indicatore è correlato a valori elevati di capitale circolante, quindi per imprese commerciali l’indicatore dovrebbe assumere valori molto superiori rispetto alle imprese industriali; inoltre la sua unità di misura non è una percentuale quanto un numero di ideali “giri di una ruota”.

Grafico 3.7 – L’indice della redditività delle vendite

Grafico 3.8 – L’indice di rotazione dell’attivo netto

-60 -50 -40 -30 -20 -10 0 10 20 30 40 50 R .O .S . %

Redditività delle vendite

Cedenti Debitori

(35)

Il grafico di dispersione 3.7 mette in relazione la distribuzione dell’indice di redditività delle vendite per il campione dei cedenti e dei debitori contemporaneamente. In questo modo è possibile notare la presenza di aziende con valori del R.O.S. fortemente negativi, anche se la distribuzione sembra concentrarsi nell’intervallo [-10% , 20%]. Osservando invece il grafico 3.8 che mostra la distribuzione dell’indice di rotazione dell’attivo, si rileva che quest’ultimo assume, per la maggior parte delle aziende, valori compresi tra 0 e 2,5. Inoltre l’indice sembra essere più volatile nel campione dei debitori.

INDICI PATRIMONIALI

Gli indici patrimoniali permettono di analizzare la struttura degli investimenti e dei finanziamenti in modo tale da poter esprimere la capacità dell’azienda di mantenere nel tempo una situazione di equilibrio strutturale. Per raggiungere questo equilibrio è necessario che vi sia un’elasticità degli impieghi in grado di far fronte ai cambiamenti imposti dall’esterno, un livello di indebitamento non eccessivamente alto ed infine una congruità tra le fonti di finanziamento attivate e le corrispondenti modalità di impiego.

Per poter permettere all’analista di dare un giudizio in merito al grado di dipendenza dell’azienda dalle fonti di finanziamento esterno è necessario calcolare gli indici di seguito esposti.

Indice di autonomia finanziaria

L’indice di autonomia finanziaria esprime il rapporto tra il patrimonio netto e il totale dell’attivo, dove per totale attivo si intende il capitale investito o, più specificamente, l’ammontare complessivo degli investimenti immobilizzati e circolanti, effettuati sia con risorse interne che di terzi. L’indice di autonomia finanziaria “è un indicatore dimensionale di patrimonializzazione, il quale mostra il peso dei fondi interni per finanziare gli attivi dell’azienda. Valori elevati dell’indicatore evidenziano una maggiore capitalizzazione dell’azienda e, di conseguenza, possono essere considerati un segnale di solidità strutturale”. (Fonte: www.cerved.com/pub/bilanci/note_1_trend.pdf)

Infatti, tanto più è elevato il valore dell’indice, tanto più l’azienda è indipendente dal ricorso a mezzi di terzi. Il reciproco dell’indice fornisce una misura dell’indice di indebitamento (leverage).

(36)

Oneri finanziari su fatturato

Gli oneri finanziari sono rappresentati dagli interessi che nascono dall'accensione di un debito di finanziamento e da possibili sgradevoli situazioni di insolvenza che possono insorgere.

Il rapporto tra gli oneri finanziari a numeratore e il fatturato a denominatore è un indicatore di onerosità che mostra l’assorbimento dei ricavi prodotti dagli oneri finanziari.

Tipicamente le piccole e medie imprese italiane evidenziano problematiche su eccessivi oneri finanziari e sulla loro gravosa incidenza sul fatturato totale (il totale delle fonti o degli impieghi). Il valore del rapporto dovrebbe tendere ad essere minimizzato per rientrare in una situazione di normalità strutturale. Valori molto elevati sono indice di debolezza finanziaria dell’azienda in quanto la ricchezza prodotta dalle vendite viene assorbita per la copertura del capitale di terzi.

Grafico 3.9 – L’indice di autonomia finanziaria

Grafico 3.10 – L’indice degli oneri finanziari su fatturato

-120 -100 -80 -60 -40 -20 0 20 40 60 80 100 120 C ap . n et to s u C ap in ve st it o %

Indice di Autonomia Finanziaria

Cedenti Debitori 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 O n er i f in . s u f at tu ra to %

Oneri finanziari su fatturato

Cedenti Debitori

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Osservando il grafico 3.9 appare evidente che la maggior parte delle aziende selezionate dispone di un indice di autonomia finanziaria positivo, come raccomandano gli esperti di finanza, ad eccezione di alcuni casi, rilevati soprattutto tra i cedenti. Inoltre si può notare che per i debitori, la distribuzione dell’indice si concentra su valori più alti rispetto ai cedenti.

Per quando riguarda gli oneri su fatturato, il grafico 3.10 mostra una situazione inversa rispetto al grafico precedente: l’indice assume tendenzialmente valori superiori nel campione dei cedenti; emerge quindi che questi ultimi sono maggiormente esposti verso gli enti creditizi.

INDICI FINANZIARI

È possibile suddividere gli indici finanziari in due gruppi:

- il primo gruppo è rappresentato dagli indici di struttura: essi permettono di analizzare l’utilizzo corretto o scorretto delle fonti (capitale proprio e mezzi di terzi);

- il secondo gruppo è rappresentato dagli indici di liquidità i quali mettono in evidenza la capacità dell’azienda di far fronte nel tempo ai propri impegni.

Gli indici finanziari analizzano quindi la correlazione tra investimenti e finanziamenti.

Indici di struttura

L’obiettivo degli indici di struttura è di analizzare l’equilibrio finanziario di medio-lungo periodo dell’impresa e comprendere se la struttura degli investimenti e dei finanziamenti è sostenibile nel lungo periodo.

Si precisa in primo luogo che la differenza tra immobilizzi netti e capitale netto è nota come margine di struttura e rappresenta l’eccesso di capitale netto liberamente investibile in attività a breve scadenza. L’analisi finanziaria sostiene inoltre che i capitali permanenti – cioè la somma tra capitale netto e passività consolidate – dovrebbero essere sempre superiori al valore delle immobilizzazioni per un utile principio di correlazione tra durata delle poste degli attivi immobilizzati e quella delle passività a scadenza più lunga. Recentemente, inoltre, la teoria della finanza si è avvicinata molto a questo ragionamento sostenendo che la massimizzazione del valore dell’impresa riposa su un adeguato matching tra la duration (durata finanziaria) dei debiti e la duration degli asset finanziati da quei debiti.

Indice di copertura globale

L’indice di copertura globale, detto anche quoziente di struttura secondario, indica il rapporto fra le fonti finanziarie permanenti (ovvero la somma tra capitale netto e debiti finanziari a medio/lungo termine) e il totale delle immobilizzazioni.

Riferimenti

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