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"L'apprendimento in ambito clinico e modelli applicativi nella formazione universitaria dell'infermiere: una sperimentazione con l'utilizzo del test CLES+T"

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RIASSUNTO

Come riportato nel documento finale del “Global consensus for social accountability” del 2010, “la formazione medica e delle professioni sanitarie odierne richiede di mettere in atto strategie affinché si formi un professionista competente in vari ambiti generali, compresa la cittadinanza globale, in una società in continua trasformazione”.

La formazione deve essere il risultato di modelli educativi efficaci e l’alunno diventa il centro del processo educativo: gli studenti elaborano le informazioni in base a ciò che imparano ed alle loro esperienze e le conoscenze apprese vengono immediatamente messe in gioco diventando risorse operative, sviluppando così un’intelligenza critica.

Il Corso di Laurea in Infermieristica si articola in tre anni durante i quali un terzo dei crediti devono essere maturati in attività di tirocinio: l’operatività in ambito clinico consente di familiarizzare con il contesto lavorativo, sviluppa capacità di lavoro in equipe, autonomia nel processo decisionale e comunicazione terapeutica, ed il tutor favorisce l’applicazione del sapere teorico nella pratica clinica.

Con il tirocinio lo studente deve acquisire competenza, cioè deve essere in grado di fare fronte a situazioni complesse mobilitando risorse personali-sociali e risorse tecnico-specialistiche.

Gli ambienti di apprendimento estremamente complessi e le figure che affiancano lo studente infermiere in questo percorso diventano, quindi, fattori essenziali in grado di influenzare la qualità dell’esperienza e delle competenze acquisite e come tali devono essere oggetto di analisi e valutazione.

Lo strumento utilizzato allo scopo è il test CLES+T, riconosciuto e validato in tutta l’Europa, ed obiettivo dello studio è quello di indagare la percezione degli studenti del III° anno del Corso di Laurea in Infermieristica dei Poli Didattici di

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Lucca e Massa relativamente al clima di apprendimento, leadership del coordinatore, qualità dell’assistenza, modello di apprendimento e relazione tutoriale.

L’equipe infermieristica che funge da tutor clinico accoglie favorevolmente gli studenti infermieri e mostra interesse e collaborazione, il clima di reparto è positivo e facilita l’apprendimento.

Ma esiste un gap tra la teoria appresa all’Università e la pratica clinica: gli infermieri faticano a vedersi come formatori, non conoscono il ciclo educativo degli studenti ed il possesso di una competenza tecnica non determina la capacità di trasmetterla.

Per un apprendimento di qualità è necessario guidare e supportare lo studente nel suo percorso attraverso la “formazione dei formatori” e “coltivare la collaborazione” tra tutor clinico e tutor universitario.

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INTRODUZIONE

La scuola deve porre molta attenzione ai bisogni formativi degli alunni “rimettendosi in gioco” sul piano organizzativo (Scuola dell’Autonomia), sul piano formativo (nuova professionalità dei docenti), sul piano didattico e metodologico (centralità dello studente), proponendosi adeguata ai tempi ed integrata nella realtà sociale.

La necessità di rispondere alla “cittadinanza globale”, in una società in continua trasformazione e la profonda crisi nata in ambito universitario, fa emergere il problema dell’apprendimento come essenziale e rende indispensabile la riorganizzazione della formazione delle professioni sanitarie, mettendo al primo posto i bisogni di salute della popolazione.

Ogni professionista della salute in tutto il mondo dovrebbe essere formato a mobilitare le conoscenze disponibili e ad impegnarsi con mente critica ed atteggiamento etico per contribuire a sistemi sanitari fondati sul cittadino.

La scuola deve, quindi, offrire percorsi didattici volti a sollecitare un’intelligenza critica, capace di coniugare il sapere con il saper fare e di applicare adeguatamente le competenze ed abilità acquisite; deve inoltre avere come obiettivo primario la centralità dell’alunno e la sua motivazione, requisiti fondamentali per un apprendimento significativo.

L’innovazione didattica presuppone il passaggio dalla logica mansionale alla logica processuale, cioè dal saper assolvere certe mansioni ad un agire complesso; l’esperienza universitaria non può limitarsi all’acquisizione di nozioni, ma deve preparare i professionisti a trasformare i saperi in competenze basate sulle evidenze scientifiche, a mettere in relazione le nozioni per rispondere a problemi concreti utilizzando piani di assistenza infermieristica e mappe concettuali che migliorano le capacità del pensiero critico.

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Per raggiungere tali obiettivi, deve essere posta grande attenzione alla metodologia didattica e diventa essenziale la rete di rapporti professionali che condizionano la crescita degli studenti.

Poiché l’infermieristica è una scienza teorica che racchiude nel suo esercizio parte del suo sapere, il tirocinio clinico diventa un elemento di unione tra la realtà teorico-disciplinare e la prassi operativo-professionale ed è considerato dai docenti e percepito dagli studenti come un’occasione di apprendimento ed acquisizione del ruolo professionale attraverso la sperimentazione pratica: crea continuità nell’apprendimento, offre la possibilità di verificare e comprendere la complessità del ruolo assistenziale e di acquisire un’identità professionale, insegna a prendere decisioni e sviluppare gradualmente conoscenze ed attitudini, consolida le abilità apprese e diminuisce lo stress.

Gli studenti infermieri sono qui esposti a storie di vita autentiche, come la gestione di malati affetti da patologie gravi, e queste esperienze possono suscitare emozioni forti che condizionano la crescita individuale.

Poiché esiste un divario tra ciò che viene insegnato agli studenti e ciò che vedono ed apprendono nella realtà, risulta necessario un sistema adeguato di supervisione tutoriale, aperto ad un feedback reciproco, ed un ambiente di apprendimento capace di facilitare la “fusione” tra gli insegnamenti e la pratica.

“Capire questo permette di intervenire sui meccanismi fondamentali che, in molti casi, portano lo studente in formazione alla perdita di idealismo, neutralizzazione emotiva, deterioramento dell’integrità etica, accettazione passiva della gerarchia ed assimilazione degli aspetti meno edificanti dell’essere un bravo medico o infermiere” (Lampp e Seale, 2004).

La valutazione degli ambienti di tirocinio, che si differenziano da altri setting per la loro complessità, serve per “offrire il meglio”: la qualità influenza gli esiti di apprendimento sia in termini di competenza clinica che di soddisfazione

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da parte dello studente; l’ambiente può essere analizzato secondo l’ottica dello studente, del tutor di reparto o del tutor universitario.

Uno strumento che va ad analizzare specificatamente questi aspetti è il test CLES+T che è un test validato e considerato il gold standard in questo ambito: attraverso 34 item, indaga come lo studente viene accolto dall’equipe dell’unità operativa, se le occasioni di apprendimento sono state proporzionate alle singole necessità ma, essenzialmente, il livello di supervisione ricevuta ed il modello di relazione studente-tutor clinico.

L’obiettivo dello studio è quello di analizzare i dati forniti dagli studenti del III° anno del Corso di Laurea in Infermieristica dei Poli Didattici di Lucca e Massa dell’Università di Pisa per individuare gli ambiti su cui è necessario riflettere maggiormente nell’ottica di un percorso di tirocinio apprezzabile.

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CAPITOLO I

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1.1 L’apprendimento nell’adulto: il modello andragogico di

Knowles

L’apprendimento è un processo che si protrae per tutta la vita ed è basato sulla motivazione, interessi personali, bisogni e valori e gli studenti del Corso di Laurea in Infermieristica sono una popolazione di soggetti adulti motivati.

Knowles considera l’adulto, con le sue specifiche prospettive individuali, come soggetto in apprendimento, il cui obiettivo è una progressiva acquisizione di autonomia sia per svolgere i ruoli propri delle diverse fasi della vita (bisogno di imparare), sia per imparare ad imparare (self directed learning).

Secondo Knowles, “uno dei bisogni fondamentali, quasi universale, degli adulti è imparare ad assumersi le responsabilità del loro apprendimento attraverso la ricerca personale. Allo stesso tempo gli adulti devono sapere come apprendere in collaborazione con gli altri e, soprattutto, come apprendere attraverso l’analisi delle loro esperienze (principio di interattività)” 1.

Per poter sviluppare l’apprendimento in età adulta è quindi necessario cercare di capire sia come egli impara, sia quali sono i comportamenti che possono o devono essere attivati per promuovere e conseguire i risultati.

Gli adulti imparano in maniera esperienziale e l’istruzione va condotta non nel senso della memorizzazione dei contenuti teorici, ma deve essere basata sulla presentazione di compiti e problematiche ispirate a situazioni della vita reale.

1. Knowles M., (2007). Quando l’adulto impara. Pedagogia e andragogia, Milano: Franco Angeli

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Knowles afferma che i principi della formazione andragogica sono:

Bisogno di conoscere: l’adulto vuol sapere perché deve imparare qualcosa e a cosa possa servire, quindi il compito del docente è di aiutare i discenti a prendere coscienza del “bisogno di conoscere”;

Concetto di sé: l’adulto si pensa responsabile ed autonomo, per cui, se si trova in una situazione di non auto governabilità, reagisce con la resistenza;

Ruolo dell’esperienza precedente: l’esperienza precedente, con i suoi pregressi talvolta negativi, costituisce la base su cui integrare le nuove conoscenze; questo porta le persone ad essere diverse l’una dall’altra e richiede un insegnamento basato sulle tecniche esperienziali (discussioni di gruppo, simulazioni, problem solving);

Disponibilità ad apprendere: l’adulto vuole imparare ciò che deve sapere e saper fare per far fronte alla vita reale, per realizzare il proprio ruolo professionale;

Orientamento verso l’apprendimento: l’orientamento è centrato sulla vita reale, la prospettiva è quella di una immediata applicazione di quanto appreso;

Motivazione: le motivazioni più potenti sono le pressioni interne, il desiderio di una maggiore soddisfazione nel lavoro, l’auto-stima, la qualità della vita.

La conoscenza di questi principi comporta l’adeguamento dei modelli di programmi di formazione degli adulti che devono fornire non nozioni, ma procedure e risorse per aiutare i discenti ad acquisire informazioni ed abilità; nascono i contratti di apprendimento dove viene data visibilità alla responsabilità dello studente ed alla condivisione del progetto.

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E vengono valorizzati aspetti come assicurare un clima favorevole relativamente all’ambiente fisico ed al clima umano ed interpersonale, creare un meccanismo per la progettazione comune, diagnosticare i bisogni di apprendimento elaborando un modello del comportamento della performance o delle competenze desiderate ed infine progettare un modello di esperienza di apprendimento attraverso l’utilizzo di risorse umane e materiali, mettere in atto il programma e valutare le discrepanze tra il modello ed il livello di competenza acquisito.

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1.2 La pedagogia moderna: aspetti psicosociali

dell’apprendimento

Normalmente ci si disinteressa di ciò che fa apprendere ed il problema viene superato con il ricorso ai contenuti, l’interesse per i quali viene considerato sufficiente a motivare e mantenere l’impegno; in realtà i contenuti ed il metodo sono il mezzo attraverso il quale si giunge all’apprendimento, ma non mettono in luce i fattori psicologici che causano l’apprendere.

Cosa fa apprendere?

Identificazione e proiezione: l’apprendimento avviene per l’identificazione dell’allievo con il formatore, in quanto impariamo per imitazione di un soggetto che consideriamo migliore e più colto di noi; più spesso è l’ideale che proiettiamo su una persona ed apprendiamo nello sforzo di raggiungere il nostro io ideale;

Sperimentazione: l’esperienza può essere dolorosa o piacevole, può essere superficiale o può indurre a ripetere gli errori ma, da sola, non è un fattore di apprendimento; la sperimentazione è una versione dell’esperienza protetta dalle conseguenze dannose ed arricchita della verifica e valutazione (tecniche come i laboratori e le simulazioni);

Legame interpersonale e sociale: legame di scambio che instauriamo con i singoli compagni di apprendimento o con il gruppo, il collettivo sociale che fa da riferimento; apprendiamo grazie alle relazioni ed agli scambi accrescitivi che queste consentono. Impariamo anche per l’appartenenza, per diventare e restare parte di un sistema che ci dà identità e ci rafforza; l’attività dell’altro, quando è considerata pertinente ed interessante, viene adottata. “Il gruppo è meglio, è qualcosa di diverso dalla somma delle sue singole parti” (K. Lewin).

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Come insegna la pedagogia moderna2, l’esperienza educativa può essere divisa in tre aspetti e lo studente, al termine del corso di studi, è il risultato dell’integrazione di questi elementi:

la struttura fisica comprende non soltanto l’edificio e le attrezzature in esso contenute ma anche l’orario di lavoro, la logistica, in altre parole il percorso in cui è suddivisa la giornata: frequenza, durata e numero delle lezioni, seminari, centri di simulazione ed ambiente virtuale dove lo studente apprende prima del tirocinio. E’ l’impalcatura che sostiene il tempo a disposizione per fare domande e trovare le risposte, cioè per permettere alla formazione di realizzarsi. Qui si sviluppano gli aspetti comunicativo-relazionali e lo studente impara meglio e sbaglia meno se l’insegnamento avviene in ambiente ristretto;

la conoscenza fondamentale, cioè il curriculum tradizionale: è quella parte della formazione su cui tutti tendono a concentrarsi dando per scontato il primo momento, la struttura fisica, ed ignorando il terzo che è il curriculum nascosto;

il curriculum “nascosto” è l’aspetto principale della formazione perché gli studenti vi partecipano in modo più o meno consapevole ed è ciò che li rende dei professionisti.

Non tutto quello che viene insegnato nel Corso di Laurea è compreso nelle lezioni e nei libri di testo, buona parte di ciò che viene insegnato e molto di ciò che viene acquisito fa parte del curriculum nascosto: è il messaggio indelebile, non scritto, spesso non verbale, che una persona porta con sé dopo aver partecipato ad un determinato evento o una esperienza educativa.

2. Dreeben R.,(1967). On what is learned in school, London, Addison Wesley, http://www.uiw.edu/education/

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Contrasta con il curriculum ufficiale perché opera a livello delle interazioni interpersonali al di là del contesto didattico formale, al di fuori dell’aula, nei corridoi, in ascensore o al bar; ha la sua ragione di essere indipendentemente dai curricula accademici, perché permette di trasmettere contenuti e valori professionali che difficilmente sono trasmissibili dalle istituzioni formative.

“Il curriculum nascosto ha un ruolo fondamentale nella formazione dell’identità dell’infermiere, perché riguarda la socializzazione sottile, l’insegnamento che forma a pensare ed a sentire come infermieri” (Tanner, 1990). Messaggi impliciti sono disseminati ovunque: dalla struttura ad anfiteatro all’aula frontale che, come una barriera simbolica, separa il docente dal discente, all’atmosfera gerarchica e competitiva che può arrivare fino all’umiliazione dello studente; esiste, quindi, una differenza fondamentale tra ciò che viene insegnato agli studenti e ciò che imparano effettivamente.

“Ogni parola che diciamo, ogni azione che compiamo, ogni volta che scegliamo di non parlare o non agire, ogni sorriso, ogni sospiro è una lezione dell’hidden curriculum”3

.

“Capire la dinamica del curriculum nascosto può permettere di intervenire sui meccanismi fondamentali che in molti casi portano, nello studente in formazione, alla perdita di idealismo, all’adozione di una identità professionale ritualizzata, alla neutralizzazione emotiva, al deterioramento dell’integrità etica, all’accettazione passiva della gerarchia ed all’assimilazione degli aspetti meno edificanti del bravo medico o infermiere..” (Lempp e Seale, 2004)

La didattica, quindi, non deve limitarsi a definire i contenuti del corso di studi, la conoscenza fondamentale, ma deve identificare le innovazioni necessarie a tutti i livelli nei vari programmi per modificare il comportamento dei futuri professionisti della salute in linea con i nuovi bisogni.

3. Gofton W., Regehr G., (2006). What we don’t know we are teaching: unveiling the hidden

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1.3 La formazione

1.3.1 EQF e descrittori di Dublino

I risultati di apprendimento attesi specificano cosa lo studente dovrebbe conoscere, comprendere ed essere in grado di dimostrare al termine di un processo di apprendimento.

L’EQF (European Qualifications Framework) definisce l’articolazione degli studi nell’arco della propria vita “lifelong learning” su otto livelli ed il sesto corrisponde alla laurea triennale infermieristica, i vari livelli sono classificati in termini di conoscenze (risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l’apprendimento), abilità (capacità di applicare conoscenze per risolvere problemi) e competenze (comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali).

Nel dicembre 2004, a livello internazionale, si è sentita la necessità di elaborare i risultati dell’apprendimento comuni a tutti i laureati di un certo corso di studi, che possono essere espressi da un “descrittore del titolo” (qualification description).

Secondo i “descrittori di Dublino” i risultati dell’apprendimento attesi possono essere identificati in:

Conoscenza e capacità di comprensione (knowledge and under standing)

Conoscenza e capacità di comprensione applicate (applying knowledge and under standing)

Autonomia di giudizio (making judgements) Abilità comunicative (communication skills) Capacità di apprendere (learning skills)

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Nell’articolo 3, comma 7, del decreto attuativo che disciplina le lauree triennali: “Nel definire gli ordinamenti didattici dei corsi di laurea, le Università specificano gli obiettivi formativi in termini di risultati appresi, con riferimento al sistema dei descrittori (Descrittori di Dublino) adottati in sede Europea, e individuano gli sbocchi professionali anche in riferimento alle attività classificate dall’ISTAT” 4

.

I saperi necessari comprendono:

ambito tecnico-professionale: insieme delle competenze specialistiche relative al settore, richiedono un lungo periodo di apprendistato che determina l’appartenenza alla categoria professionale;

ambito trasversale: acquisizione di saperi e competenze necessarie nello svolgimento della professione e che portano allo sviluppo di relazioni positive, clima di reparto collaborativo e capacità di problem solving; ambito riflessivo: acquisizione di competenze per analizzare e rivedere il

proprio agire attraverso il confronto con gli altri e favorire la crescita professionale.

Questi saperi portano a saper gestire situazioni complesse o contraddittorie senza farsi travolgere e saper trasformare gli errori in opportunità di crescita.

4. Galletti C., Marmo G.Valutare e decidere in Infermieristica, l’infermiere in prospettiva

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1.3.2 La formazione dello studente infermiere

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce la responsabilità sociale delle scuole di medicina come “l’obbligo di indirizzare la formazione, la ricerca e le attività assistenziali allo scopo di rispondere ai problemi prioritari della comunità, della regione e/o della nazione che hanno il mandato di servire”.

I laureati del Corso di Laurea in Infermieristica, ai sensi della Legge 10 agosto 2000 n° 251, art.1 comma 1, sono operatori delle professioni sanitarie, responsabili dell'assistenza generale infermieristica, che svolgono con autonomia professionale attività dirette alla promozione della salute individuale e collettiva, alla prevenzione dei fattori di rischio e alla cura delle malattie e delle disabilità, espletando le funzioni previste dal D. M. 739 del 14 settembre 1994 e successive integrazioni e modificazioni e dallo specifico codice deontologico.

“Gli infermieri devono partecipare all’identificazione dei bisogni di salute e di assistenza della persona e della collettività formulando così i relativi obiettivi; pianificare, gestire e valutare l’intervento assistenziale infermieristico, garantire la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche, agire sia individualmente che in collaborazione con gli altri operatori sanitari…” (D.M. 739/1994).

Secondo il D.Lgs. 353/94, “il raggiungimento delle competenze professionali si attua attraverso una formazione teorico-pratica che includa anche l’acquisizione di competenze comportamentali e che venga conseguita nel contesto lavorativo specifico di ogni profilo, così da garantire al termine del percorso formativo, la piena padronanza di tutte le necessarie competenze e la loro immediata spendibilità nell’ambiente di lavoro”.

Il Corso di Laurea in Infermieristica si articola in 3 anni durante i quali lo studente deve acquisire 180 Crediti Formativi Universitari (CFU); ogni CFU corrisponde a 30 ore di attività formativa ed un terzo dei crediti devono essere maturati in attività di tirocinio.

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Durante questo percorso, lo studente deve acquisire competenza, cioè deve essere in grado di fare fronte a situazioni complesse mobilitando in modo pertinente risorse personali-sociali e risorse tecnico-specialistiche.

L’I.S.F.O.L.5

suddivide le competenze in:

competenze di base che è il sapere minimo, il sapere scolastico, le conoscenze informatiche e della lingua straniera;

competenze trasversali che sono le capacità di diagnosi e decisione, di problem solving, determinano comportamenti abili e valorizzano la persona;

competenze tecnico-professionali che sono le conoscenze specifiche di una professione e comprendono a loro volta le conoscenze intellettive (interpretare e trovare soluzione ai problemi), le conoscenze relazionali (capacità di empatia) e le conoscenze tecniche-gestuali (agire con efficacia-efficienza).

Le attività formative professionalizzanti (tirocinio) costituiscono lo strumento attraverso il quale il laureato in “Infermieristica” consegue l’abitudine ai

comportamenti tipici della professione, alle relazioni con pazienti e familiari, ai rapporti con colleghi e professionisti gerarchicamente sovraordinati e

sottordinati; con il tirocinio raggiunge la necessaria affidabilità ed esperienza per operare scelte delicate nell’impiego di tecniche diagnostico-terapeutiche che sono tipiche delle patologie e delle situazioni apprese nello studio delle materie di base.

“L’attività pratica formativa e di tirocinio clinico deve essere svolta con la supervisione e la guida dei tutori professionali appositamente assegnati, coordinati da un docente appartenente al più alto livello formativo previsto per ciascun profilo professionale e corrispondente alle norme definite a livello europeo, dove esistenti” (Decreto Interministeriale 2 aprile 2001).

5. I.S.F.O.L.: Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, D.P.R. n°10, 15 gennaio 1972

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Definire le competenze specifiche di un laureato nelle professioni sanitarie, “core curriculum”, deve rispondere al quesito su cosa deve sapere e saper fare per offrire al Servizio Sanitario Nazionale un servizio di alta qualità professionale, evitando inutili sovrapposizioni di ruoli e conflitti di competenze: il “core curriculum” è il complesso di contenuti essenziali (conoscenze, competenze, abilità e comportamenti) che tutti i neolaureati devono avere acquisito in modo completo e permanente per l’esercizio iniziale della professione; la sua definizione chiara a livello nazionale ed il suo confronto con i “core” degli altri Paesi dell’Unione Europea, può portare al riconoscimento effettivo dei titoli di studio ed alla libera circolazione dei professionisti.

I principali “attori” del progetto formativo della Laurea in Infermieristica sono gli studenti del I, II e III anno e nel progetto formativo si definiscono i contenuti, i metodi ed i tempi dell’insegnamento.

La formazione pone lo studente in una posizione centrale ed attiva, impegnandolo nel gestire il proprio percorso di apprendimento e nel sostenere l’autonomia e la crescita personale.

Gli obiettivi della formazione, in relazione all’anno di studio, sono quelli di definire il tipo di informazione (sapere), l’azione (fare) ed il comportamento (essere) che gli studenti dovranno apprendere.

Si individuano quindi un’area cognitiva nella quale viene espresso il sapere clinico o conoscenza, un’area gestuale in cui si esprime il sapere tecnico o azione ed un’area comportamentale in cui si esprime il sapere trasversale o atteggiamenti.

Il patto formativo dei docenti con lo studente riporta al patto di fiducia che lega un paziente ai professionisti che si prendono cura di lui; la docenza ha quindi la responsabilità di farsi garante del risultato finale e di coinvolgere i professionisti che operano con una mentalità aperta a tutti gli aspetti dell’ambiente lavorativo.

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1.4 La pratica professionale

Patricia Benner, teorica del nursing, afferma che “il più delle volte la chiarezza concettuale viene dopo e non prima della pratica: l’esperienza è legata al vissuto, ad un processo attivo di revisione ed affinamento delle nozioni teoriche nel confronto con la realtà operativa”.

Le situazioni cliniche reali sono di gran lunga più complesse e ricche di eccezioni rispetto alle teorie ed ai modelli formali; la teoria ha un ruolo significativo perché indica dove individuare i problemi assistenziali e dove cercarli, ma è la pratica che rende concrete le conoscenze teoriche e cambia il grado di competenza dell’operatore.

Il professionista infermiere deve imparare non solo ad applicare alla pratica nozioni teoriche, ma anche a teorizzare interpretando la realtà in modo da dare senso all’intervento assistenziale.

Il sapere teorico o sapere che, know that, non è uguale al sapere pratico o sapere come, know how, e le sole conoscenze teoriche non sono sufficienti alla spiegazione; gli infermieri acquisiscono molte abilità, skills, con il conoscere ma non come metterle in pratica.

“Il nursing è una disciplina umana applicata con basi scientifiche e metodologiche, che consiste nell’ampliamento del sapere sia attraverso le indagini scientifiche basate sulla teoria, sia l’esistente sviluppato con l’esperienza clinica nella pratica” 6

.

La pratica clinica costituisce di per sé una modalità di conoscenza e cresce grazie all’apprendimento dall’esperienza ed alla trasmissione di quanto appreso nei contesti reali.

6. Benner P., (2003).L’apprendimento basato sull’esperienza. L’eccellenza nella pratica

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L’esperienza deriva dal fatto che nozioni ed ipotesi preconcette sono messe alla prova, perfezionate o disconfermate dalla situazione reale, l’esperienza è pertanto un prerequisito della competenza: gli infermieri che esercitano l’assistenza, mano a mano che imparano dai pazienti e dai loro familiari, sviluppano sia la conoscenza clinica che la capacità di azione morale.

L’apprendimento dall’esperienza richiede un ambiente che sostenga tale acquisizione e lo studente in tirocinio ha necessità di imparare seguendo una procedura ripetitiva ed uguale a se stessa.

Scrive Benner che “il comportamento governato dalle regole, tipico del novizio, è estremamente limitato e privo di flessibilità; il nocciolo della difficoltà sta nel fatto che, poiché i novizi non hanno esperienza della situazione a cui si trovano di fronte, bisogna dar loro delle regole che ne guidino l’attività. L’esperienza è un processo attivo di perfezionamento e modifica di teorie, nozioni e idee nel confronto con una data situazione” (Benner, 2003).

La condizione per una buona pratica infermieristica è quindi la competenza del professionista che è basata su una solida base di conoscenza teorica, sull’applicazione delle migliori evidenze scientifiche e su una “pratica esperta che supera i limiti dei modelli formali” (Gordon, 2003).

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CAPITOLO II

IL SETTING DI APPRENDIMENTO ED IL

TUTOR

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2.1 Centralità dello studente ed Unità di Apprendimento

Il metodo didattico deve rispondere a due requisiti:

EFFICACIA: il metodo consente di impiegare la ragione in maniera efficace e produttiva

UNIVERSALISTICO: il metodo non esclude nessuno

In questa epoca di riforme della scuola viene enfatizzata la “centralità dello studente” o “centralità della persona che apprende”7

.

Tutto il sistema di istruzione e formazione è finalizzato alla crescita e valorizzazione della persona che entra nelle scuole, cresce e apprende.

“La centralità del soggetto che apprende, con la sua individualità e con la rete di relazioni che lo legano alla famiglia ed ai diversi ambienti sociali, culturali, territoriali è un principio educativo della scuola. La scuola guarda alla persona nella sua identità, con i suoi ritmi di apprendimento e le sue peculiarità cognitive e affettive, per farsi capace di portarla il più vicino possibile all’acquisizione piena delle competenze da raggiungere attraverso il percorso di istruzione” (MIUR, Rapporto 2001).

Si tenga presente, inoltre, che una delle parole chiave della Legge 53/2003 e Decreto Legislativo 59/2004 è la personalizzazione, che, con le unità di apprendimento ed i piani di studio personalizzati, è strumento metodologico didattico della centralità dello studente.

L’Unità di Apprendimento costituisce la struttura di base dell’azione formativa: prevede compiti reali o simulati e prodotti che i destinatari devono realizzare ed indica le risorse (capacità, conoscenze, abilità) che devono essere mobilitate per diventare competente.

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Sul piano normativo, le Unità di Apprendimento sostituiscono le Unità Didattiche e sono state introdotte con la legge 53/2003 (Legge Moratti).

La loro istituzione rappresenta il passaggio dalla lezione del docente al processo di apprendimento dello studente; si privilegia la modalità in cui avviene l’apprendimento rispetto ai contenuti (imparare ad imparare).

Deve sempre essere individuata la competenza da acquisire e prevede momenti di riflessione, ambiente cooperativo, verifica finale ed un ruolo attivo degli studenti: “si impara lavorando”.

I docenti, con la costruzione delle Unità di Apprendimento, definiscono gli standard di apprendimento; a tale scopo è necessaria la progettazione:

di uno o più obiettivi formativi adatti e significativi, tra loro integrati, con definizione delle conoscenze ed abilità coinvolte ed i relativi standard di apprendimento;

delle attività didattiche, dei metodi, delle soluzioni organizzative necessarie per concretizzare gli obiettivi formativi formulati;

delle modalità con cui verificare i livelli delle conoscenze e delle abilità acquisite, e se e quanto tali abilità e conoscenze si sono trasformate in competenze personali di ciascuno.

2.2 I setting di apprendimento

Il percorso di studi per diventare infermiere è un processo multidimensionale che richiede di passare molto tempo con i pazienti e deve essere supportato da confronti continui con i tutor clinici.

Il tirociniorappresenta il cardine su cui poggia una parte importante della formazione dell’infermiere e le strategie formative devono unire i bisogni dello studente con le caratteristiche degli ambienti di tirocinio; “per i docenti

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e gli studenti rappresenta l’occasione privilegiata di apprendimento dell’infermieristica in cui il ruolo del tutor e le caratteristiche del contesto costituiscono i primi fattori in grado di influenzare la qualità dell’esperienza e delle competenze acquisite”.

Si svolge in larga parte negli ospedali e rappresenta almeno un terzo dei Crediti Formativi Universitari (CFU) necessari per il Corso di Laurea, degli attuali 180 CFU, 60 sono dedicati obbligatoriamente al tirocinio.

I setting di apprendimento devono consolidare le nozioni apprese e tradurle in capacità di agire avvalendosi del pensiero critico, la teoria e la pratica si completano a vicenda e gli studenti imparano ad assumere le responsabilità inerenti la professione infermieristica.

Nella riorganizzazione degli ambienti di apprendimento è necessario fare riferimento anche agli elementi essenziali del modello andragogico: assicurare un clima favorevole all’apprendimento, creare un meccanismo per la progettazione comune in quanto gli adulti si sentono impegnati in una attività proporzionalmente alla loro partecipazione, diagnosticare i bisogni di apprendimento progettando un modello delle competenze desiderate, mettere in atto e valutare il programma.

Tra gli elementi principali, il fattore “tempo” è estremamente rilevante: uno studente che segue il processo assistenziale per un periodo più lungo e con lo stesso paziente, ha una visione più chiara e completa del ruolo dell’infermiere rispetto a quello che ha contatti sporadici per due o tre settimane.

Durante brevi soggiorni nei reparti gli studenti possono imparare abilità tecniche, ma servono maggiori opportunità per integrare queste capacità con abilità interpersonali di costruire relazioni efficaci e terapeutiche con i pazienti; stando maggiormente a contatto con loro, lo studente impara a riconoscere gli elementi cruciali della relazione d’aiuto ed arriva a comprendere più profondamente le proprie reazioni emotive all’interno di questo tipo di rapporto, acquisisce un’esperienza olistica del prendersi cura.

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Inoltre, a seguito di una permanenza più lunga nelle sedi di tirocinio, gli studenti imparano effettivamente a lavorare con maggiore indipendenza assieme agli altri membri del team.

Un reparto di degenza è un’entità complessa costituita da molti sottosistemi integrati e “l’ambiente pedagogico” svolge un ruolo importante nell’apprendimento: l’ambiente di tirocinio caratterizzato da buone relazioni interne, ottimi coordinatori infermieristici ed un livello di supervisione accettabile porta lo studente ad imparare attraverso l’esperienza e la riflessione, ad acquisire un atteggiamento critico e sviluppare capacità di vivere ogni contesto ed ogni avvenimento come fonte di apprendimento.

Altro elemento importante è la “relazione con il tutor clinico”, aspetto confermato anche negli studi di Saarikoski8 durante la validazione in Finlandia del test CLES+T; si sta inoltre verificando il passaggio da una supervisione di gruppo ad un rapporto individuale che soddisfa maggiormente la necessità di apprendimento dello studente, mettendo in evidenza le sue esigenze di crescita.

Questo tipo di relazione richiede più tempo ma, quando è proficua, porta ad esprimere la soddisfazione dello studente.

In un setting che facilita l’apprendimento, l’atmosfera deve: incoraggiare ad essere attivi

favorire la natura personale dell’apprendimento

ammettere l’idea che essere differenti è cosa accettabile tollerare l’imperfezione

incoraggiare l’apertura di spirito e la fiducia in sé facilitare la scoperta

favorire un clima di rispetto ed accettazione favorire l’autovalutazione in cooperazione permettere il confronto delle idee

8. Saarikoski M.et al., (2008). The nurse teacher in clinical practice: developing the new

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~ 25 ~

2.3 Il tutoraggio ed il “tutor universitario”

Il termine tutor è di origine latina e deriva dal verbo tutari, che significa proteggere, difendere, custodire; è comparso per la prima volta negli USA (Thesaurus Educational Resources Information Centre, 1974) con il significato di “persona che, spesso privatamente, è incaricata di insegnare una /particolare materia a singoli individui o a gruppi di piccole dimensioni”.

Il Thesuaurus europeo dell’educazione, nel 1991, ne amplia il significato con il termine “tutoraggio” segnando il passaggio da una figura di facilitatore ad una funzione di assistenza educativa, autonoma rispetto alla docenza, e volta ad aiutare lo studente nel raggiungimento di obiettivi formativi, con piena responsabilità della propria formazione.

In Italia, la Legge 19 novembre 1990 n.341, recante “Riforma degli ordinamenti didattici universitari”, comprende la funzione tutoriale con connotazione di counseling: è compito dei professori e dei ricercatori guidare il processo di formazione degli studenti attraverso l’assistenza e l’orientamento, per renderli protagonisti del processo formativo e rimuovere gli ostacoli che impediscono una proficua frequenza dei corsi.

Nella storia del corso di Laurea in Infermieristica il termine tutor compare per la prima volta nella tabella XVIII-ter del D.U.I. ed è improntato alla formazione teorico-pratica, per poi evolvere nell’istituzione del “tutor clinico”, distinto dal coordinatore didattico che è deputato a seguire il percorso curriculare.

“La tutorship non è un ruolo ma una funzione mentale di chi fa formazione”9

.

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~ 26 ~

Il requisito richiesto per svolgere la funzione di tutor clinico e di coordinatore didattico o tutor universitario è la Laurea Magistrale in uno dei profili delle professioni sanitarie.

Le funzioni peculiari del tutor universitario sono:

progettare percorsi di tirocinio coerenti con il progetto formativo complessivo e con i modelli assistenziali di riferimento;

facilitare i processi di apprendimento orientati allo sviluppo di competenze professionali;

guidare lo studente nei processi di elaborazione dell’esperienza stimolandolo ad acquisire nuove conoscenze;

favorire l’integrazione tra modelli teorici e modelli sperimentati in ambito assistenziale;

incoraggiare lo studente ad auto-apprendere;

presidiare i processi di apprendimento utilizzando efficaci modalità didattiche;

facilitare l’acquisizione di meta-competenze utili al processo formativo ed all’esercizio professionale;

offrire sostegno in relazione a difficoltà di apprendimento o situazioni problematiche, anche personali, intervenendo per quanto di competenza o indirizzando verso altre figure o servizi;

predisporre un contesto formativo adeguato, negoziando con le sedi di tirocinio condizioni favorevoli ed attivando processi di accoglienza ed integrazione degli studenti;

proporsi come “guida di tirocinio” che segue lo studente nelle varie sedi di tirocinio;

valutare i processi formativi, stimolare l’autovalutazione e concorrere alla valutazione certificata di tirocinio dello studente;

proporre attività formative complementari, aree di ricerca o altre iniziative atte ad integrare teoria ed azione.

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~ 27 ~

2.4 Il “tutor clinico”

Secondo l’attuale sistema formativo universitario, l’apprendimento avviene applicando una didattica attiva che porta alla risoluzione di problemi in un contesto organizzato in cui il lavoro del tutor, l’insegnamento, il tirocinio e la realtà assistenziale si intersecano e forniscono esperienza su cui costruire la professionalità dello studente.

Il tutorato clinico è orientato allo sviluppo della competenza del futuro infermiere; il tirocinio consente al discente di familiarizzare con il contesto lavorativo, sviluppando capacità di lavoro in equipe finalizzate all’implementazione del pensiero critico, autonomia nel processo decisionale e comunicazione terapeutica, ed il tutor favorisce l’applicazione del sapere teorico nella pratica clinica.

Deve rispondere ai bisogni di assistenza didattica personalizzata e di orientamento al counceling.

Il tutor clinico è generalmente l’infermiere di reparto che si occupa del tutorato dello studente nella specifica realtà clinica, ed il concetto di tutorato clinico si riferisce al guidare, supportare e valutare gli studenti infermieri da parte del personale di reparto.

La quasi totalità degli infermieri svolge attività di tutorato affiancandolo all’attività clinica; ciò comporta che il professionista, in orario di servizio, deve garantire una presenza costante, attiva e competente allo studente e, contemporaneamente, gestire i percorsi assistenziali degli utenti.

Il tutorato diventa così una funzione attribuita all’infermiere, limitata nel tempo ed aggiuntiva rispetto alla clinica; al contrario, l’infermiere-tutor-clinico ha un proprio profilo, con responsabilità precise legate alla relazione d’aiuto.

Il suo core curriculum (Figura II.1) prevede competenze cliniche, didattiche e formative, valorizzando gli aspetti psicopedagogici della leadership che fanno di questa attività un ruolo e, se riconosciuto, motiva il professionista

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ad investire energie e risorse al fine di acquisire le competenze ed i requisiti necessari per ricoprirlo10.

Figura II.1: Competenze del tutor clinico.

Nella pratica tali strumenti sono utilizzati solo parzialmente e le attività svolte sono inferiori a quelle previste: prevalgono quelle legate all’operatività ed allo studente, confronto/valutazione in itinere, sostegno/guida nell’esecuzione di tecniche infermieristiche e valutazione al termine del percorso, tralasciando gli aspetti di progettazione, pianificazione ed analisi dei casi clinici.

10. Pellagatta C., (2010). Tutor clinico tra Università e Azienda Sanitaria: ruolo o funzione per

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Nei documenti europei che trattano di formazione si rileva la raccomandazione di selezionare sedi di tirocinio ove sia presente personale sufficiente e qualificato a garantire la supervisione; si demanda spesso al Coordinatore la loro individuazione e formazione specifica e si tenta di definire il rapporto che può andare da 1:1 a 1:5.

Tale figura deve conoscere il ciclo educativo delle persone in formazione, valutando in particolare gli obiettivi del singolo e le competenze da acquisire nella specifica esperienza clinica; è richiesta una formazione complementare a quella di base, ma la scarsa regolamentazione per il reclutamento di tutor clinici crea disomogeneità tra le varie figure e funzioni.

E’ richiesto, inoltre, un continuo aggiornamento sia in ambito clinico che formativo per garantire una dinamicità di competenze in evoluzione sia per l’Università che per l’Azienda Sanitaria.

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CAPITOLO III

QUALITA’ DELL’APPRENDIMENTO E

STRUMENTI DI RIFERIMENTO

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La ricerca di una qualità sempre più elevata ha assunto un carattere strategico nelle aziende sanitarie a causa di fattori quali una limitazione della spesa pubblica, che impone di evitare sprechi e disservizi, la necessità di alti standard dovuta alla competizione ed una domanda maggiore da parte dell’utenza.

L’obiettivo finale dei professionisti è quello di adottare metodi e strumenti che portino al miglioramento, per una qualità delle prestazioni erogate non inferiori a livelli minimi considerati accettabili, e ad una revisione costante per un processo rinnovamento continuo.

Perché una cosa sia di qualità è necessario che tutte le sue caratteristiche, o almeno quelle salienti, abbiano una valenza positiva; dobbiamo inoltre considerare che esse variano in funzione degli interessi delle persone coinvolte.

Tra gli stakeholders in ambito formativo-sanitario troviamo gli organi decisionali, i fruitori dell’apprendimento, i docenti, i tutor ed anche lo Stato e la società che costituiscono il contesto in cui avviene l’apprendimento; le aspettative e le responsabilità di tutti gli attori sono diverse ed è quindi fondamentale valorizzare i ruoli di ognuno, definirne i confini, sottolineare l’importanza della collaborazione reciproca e della negoziazione delle risorse disponibili.

E’ utile che tutti siano a conoscenza di come sono suddivisi compiti e responsabilità, in modo da rendere agevoli ed efficaci comunicazione ed interazione.

Per valutare la qualità sono inoltre necessari strumenti di riferimento: Standard di apprendimento e di qualità: insieme di caratteristiche note ed

accettate o date per scontate e riferite agli obiettivi formativi previsti; il loro scopo è di semplificare il processo, renderlo comprensibile a tutti e diventare elementi di valutazione. Sono rappresentati da competenze certificabili che garantiscono ad ogni soggetto la spendibilità delle conoscenze a livello europeo e soglie minime di efficacia ed efficienza;

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sono definiti a livello nazionale e realizzati a livello locale mediante strategie didattiche ed organizzative.

Best Practice: metodo, processo, modo di fare qualcosa che è più efficace di qualunque altro nel raggiungere un certo risultato. Le migliori pratiche sono il modo più efficiente (minor sforzo) e più efficace (migliori risultati) di svolgere un compito, basato su procedure ripetibili che si sono dimostrate valide e utili nel tempo per un gran numero di persone. Linee Guida: elenco di regole o principi e derivano dall’esperienza, dalla

valutazione dei risultati e dalle best practice.

Benchmarking: strumento di miglioramento basato sull’analisi della concorrenza e quindi sul confronto; il concetto base è di trovare un riferimento esterno per valutare la qualità ed i rapporti costi-efficacia. Rubric: la griglia di valutazione è uno strumento che ha lo scopo di

rendere oggettiva la valutazione del raggiungimento degli obiettivi di apprendimento.

Strumenti di valutazione: lo strumento è “ciò di cui ci si serve per ottenere qualcosa”, in questo caso lo strumento è il mezzo per ottenere informazioni in ambito formativo-sanitario ed uno dei presupposti teorici per la sua creazione è che l’ambiente incide in maniera rilevante sulla formazione e lo studente è al centro.

Lo strumento di riferimento per eccellenza per la valutazione degli ambienti di tirocinio è il test CLES+T.

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CAPITOLO IV

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4.1 Dal CLEI al CLES+T

“Gli ambienti di apprendimento clinico sono costituiti da una rete di fattori interagenti che influenzano gli esiti dell’apprendimento degli studenti”, e “assumono la caratteristica di contesti organizzativi psico-sociali, per cui producono essi stessi apprendimento influenzando tanto l’insegnamento quanto l’acquisizione di competenze”11

.

Studiare gli ambienti di apprendimento clinico permette di riflettere sulla tipologia dell’organizzazione che deve individuare i bisogni formativi e mettere in atto processi finalizzati al cambiamento; consente di creare condivisione in un ambiente complesso a vantaggio della qualità formativa.

In un ambiente dove il singolo individuo è circondato ed influenzato dalle necessità assistenziali e dalle dinamiche del gruppo di lavoro è importante accertare la qualità del clima e dare voce agli studenti sulle esperienze di tirocinio clinico, valutare i contesti operativi, la validità degli interventi formativi ed il grado di soddisfazione.

Poiché esiste un divario tra ciò che viene insegnato agli studenti e ciò che vedono ed apprendono, la valutazione degli ambienti di tirocinio diventa essenziale per “offrire il meglio”.

In ambito scientifico sono stati sviluppati diversi strumenti di indagine, evoluti e modificati nel tempo, che sono documentati:

Clinical Learning Environment Inventory (CLEI) dove Chan, a partire da una revisione della letteratura, ha sviluppato e testato il suo documento che si basa sulla teorizzazione di Moss: l’ambiente di apprendimento è considerato un contesto sociale complesso, con una propria personalità

11. Dunn SV., Burnett P.et al., (1995). The development of a clinical learning environment scale. Journal Adv Nurse, 22 (6): 1166-1173

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o clima e vengono studiate l’innovazione, il grado di coinvolgimento, la personalizzazione degli interventi ed il livello di orientamento;

Clinical Learning Environment Diagnostic Inventory (CLEDI), dove Hosoda si è riferito al modello esperienziale di Kolb e Fry che ha forti correlazioni con il modello di Saarikoski;

Clinical Learning Environment and Supervision (CLES), elaborato in Finlandia da Saarikoski (2002) e validato in altri otto sistemi formativi per comparare le modalità di tutorato clinico. Nel corso degli anni è stato tradotto in 26 lingue e validato in più di 20 paesi, tra cui l’Italia nel 2009, e la sua affidabilità e validità è stata confermata con il passare del tempo; la versione originale è stata modificata ed adattata per indagare specifici elementi indispensabili per la crescita dello studente infermiere;

Clinical Learning Environment and Supervision+Tutoring (CLES+T): nello studio italiano, il test CLES è stato espanso sia dal punto di vista

metodologico che in termini di contenuto; in particolare è stato coinvolto un campione più ampio, è stata fatta un valutazione più dettagliata ed è stata aggiunta una nuova scala relativa al tutor universitario, nasce il CLES+T12.

Il CLES +T è considerato il gold standard per descrivere le percezioni degli studenti rispetto al contributo fornito dai tutor ed il livello di interazione con tutta l’equipe assistenziale e permette loro di riflettere sull’ambiente clinico di apprendimento.

12. Tomietto M., Saiani L.et al., (2012). Clinical Learning Environment and Supervision plus nurse Teacher (CLES+T) scale: testing the psychometric characteristics of the Italian version. Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia, 34 (3 Suppl B), www.gimle.fsm.it

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4.2 Struttura del CLES

Saarikoski ha individuato, a partire dalla letteratura, le variabili che influenzano l’apprendimento clinico: la relazione con il tutor, il livello qualitativo dell’assistenza infermieristica erogata, la cultura tutoriale, il clima di reparto e lo stile di leadership del coordinatore infermieristico (Allegato N.1).

Fino a quel momento, non esisteva in Finlandia uno strumento valido di ricerca e l’analisi di Saarikoski ha evidenziato che l’apprendimento è un processo delicato e può essere facilmente influenzato da diverse variabili: in particolare, il clima di reparto e lo stile di leadership del coordinatore infermieristico sono i fattori più importanti per valutare la qualità dell’ambiente di apprendimento clinico.

Marco Tomietto, Infermiere PhD Psicologia delle Organizzazioni, ha portato avanti nel 2009 uno studio comparato con il lavoro originale di Saarikoski per validare tale strumento anche in Italia (Allegato N.2).

Tra i vari strumenti documentati, ha privilegiato il test finlandese perché: è stato utilizzato su ampi campioni di studenti e quindi presenta i

migliori risultati di validità ed affidabilità;

è correntemente utilizzato in numerosi Paesi europei;

è basato su riferimenti concettuali specifici degli ambienti di apprendimento clinico degli studenti infermieri;

è stato sviluppato in contesti affini culturalmente a quelli italiani ed ha dimostrato la sua fruibilità ed accessibilità anche in contesti culturali distanti tra loro.

Nell’adattamento degli item al contesto italiano sono stati considerati i criteri raccomandati da Saarikoski, valutando la corrispondenza tra il mentor ed il link teacher finlandesi con le figure tutoriali presenti nel contesto italiano: il mentor è stato associato al tutor clinico, cioè l’infermiere qualificato che facilita l’apprendimento nella pratica clinica ed il link teacher al tutor universitario che appartiene alla sede formativa e supporta tutor clinici e studenti.

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Il CLES consta di 27 item raggruppati in cinque fattori:

clima di reparto: (4 item) che indaga quanto lo studente si è sentito partecipe ed accolto nell’equipe;

stile di leadership del coordinatore infermieristico: (4 item) che considera quanto il coordinatore valorizza i membri dell’equipe ed è integrato nel gruppo infermieristico;

modello di erogazione dell’assistenza infermieristica: (4 item) che riguarda il grado di personalizzazione delle cure infermieristiche alle esigenze dei pazienti, la chiarezza della documentazione e dei flussi informativi di interesse assistenziale;

modello di apprendimento: (6 item) che accerta se l’equipe ha favorito l’apprendimento dello studente e se le occasioni di apprendimento sono state sufficienti e significative;

relazione di tutorato: (8 item) che esplora se la relazione studente-tutor clinico è stata caratterizzata da una interazione reciproca e orientata ai bisogni di apprendimento dello studente;

un singolo item per valutare il grado di soddisfazione complessiva per l’ambiente di apprendimento.

Le risposte per ogni singolo item vengono valutate con la scala Likert dove “1” significa minimo accordo e “5” massimo accordo.

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4.3 Struttura del CLES+T

“Il ruolo dell’insegnante è di fungere da collegamento tra l’Università e gli ambienti di cura per creare le condizioni a facilitare un buon apprendimento clinico e per migliorare le conoscenze dall’esperienza clinica”13 .

In considerazione del ruolo importante svolto da questa figura, il test CLES+T include nuovi item relativi alla percezione degli studenti sul ruolo del tutor nell’integrazione tra la teoria e la pratica, la collaborazione con lo staff del reparto e la promozione di una buona relazione tra tutor clinico e studente.

La versione più recente comprende 34 item che valutano cinque settori (Figura IV. 1):

clima di reparto, 9 item;

leadership del coordinatore di reparto, 4 item; qualità dell’assistenza, 4 item;

modello d’apprendimento, 6 item;

relazione tutoriale, 11 item suddivisi in: - integrazione teoria – pratica

- integrazione del tutor universitario

- riunioni tra studente, tutor clinico e tutor universitario

I migliori ambienti di apprendimento clinico sono quelli in cui esistono buone relazioni tra il personale ed i pazienti e prevale una struttura poco gerarchica in cui il coordinatore crea i presupposti per l’accoglienza dello studente e la valorizzazione delle attività di tutoraggio clinico svolto dagli infermieri.

13. Tomietto M., Saiani L.et al., (2012). Clinical Learning Environment and Supervision plus nurse Teacher (CLES+T) scale: testing the psychometric characteristics of the Italian version. Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia, 34 (3 Suppl B), www.gimle.fsm.it

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Anche nel test CLES+T le risposte per ogni singolo item vengono valutate con la scala Likert dove “1” significa minimo accordo e “5” massimo accordo. CLIMA DI REPARTO QUALITA’ DELL’ASSISTENZA LEADERSHIP DEL COORDINATORE RELAZIONE TUTORIALE LEADERSHIP E MODELLO D’APPRENDIMENTO CATEGORIZZAZIONE DELLE AREE ATTITUDINI E COMUNICAZIONI FACILITAZIONI E RISORSE PER L’INSEGNAMENTO, SPIRITO “COMUNE” DEL REPARTO AMBIENTE IMPLEMENTAZIONE DELLA TEORIA RELAZIONE, SOCIALITA’ SUPPORTO PER LO STAFF LAVORARE CON GLI

STUDENTI SUPERVISIONE, INSEGNAMENTO AMBIENTE PEDAGOGICO TEMI PRINCIPALI E STRUMENTI DI AUDIT SOTTOCATEGORIE DELLA SCALA CLES+T TIPO DI SUPERVISIONE STILE DI LEADERSHIP DEL COORDINATORE INFERMIERISTICO COLLABORAZIONE DEGLI INFERMIERI NEL REPARTO RUOLO DEL TUTOR NELLA PRATICA CLINICA

Figura IV.1: Frammentazione teorica della scala CLES+T.

I cinque fattori del CLES+T:

1. Il clima di reparto: indaga quanto lo studente si è sentito partecipe ed accolto nell’equipe; l'ambiente di apprendimento può essere inteso come luogo fisico o virtuale, ma anche come spazio mentale e culturale, organizzativo ed emotivo/affettivo insieme. Il reparto come ambiente fisico viene vissuto come luogo di appartenenza e di sperimentazione e le dinamiche interattive, se non ben gestite, possono diventare un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi. Ambiente, perciò, come "spazio d'azione" creato per stimolare e sostenere la

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considerare il contesto con lo sguardo di chi vi è inserito per apprendere ed è necessario il richiamo alla responsabilità del discente ed

alla condivisione del progetto (contratto di apprendimento). L’apprendimento diventa più produttivo se ci sono collaborazione tra le

persone ed interazione studente-insegnante, obiettivi chiari di gruppo con assunzione di responsabilità, specializzazione per quanto riguarda i compiti assegnati ed adattamento ai bisogni individuali; valorizzare la relazione contribuisce a creare un clima positivo, influenza la

motivazione, l’impegno e l’insieme dei comportamenti. (Webb, 1982). “Prendersi cura” dello studente, nella sua totalità, è un altro fattore che

può contribuire a creare un clima favorevole. Interviene inoltre il “livello delle aspettative”: lo studente si aspetta che il docente, come persona, abbia valori e principi morali in cui crede e che sia in grado di stabilire una buona relazione emotiva che aumenta l’interesse per l’apprendimento. Il tirocinio è il cardine su cui poggia una parte importante della formazione dell’infermiere: il grado di accettazione dello studente all’interno dell’equipe, oltre ad accrescere la motivazione, gratifica lo studente in quanto soddisfa i suoi bisogni di sicurezza, affetto, appartenenza che sono le basi dell’autorealizzazione ed aumentano il suo impegno e coinvolgimento adulto nel tirocinio, oltre ad un pensiero

critico.

2. Leadership del coordinatore di reparto: indaga quanto il coordinatore valorizza i membri dell’equipe ed è integrato nel gruppo infermieristico. Il coordinatore infermieristico è una figura strategica di riferimento per la struttura infermieristica anche nel rapporto diretto con l’utenza ed opera in stretta relazione con i ruoli medici ed amministrativi di responsabilità più elevata, assumendo compiti di gestione, mediazione e facilitazione di processo. Deve possedere capacità concettuali di analisi, progettazione, problem solving ed apprendimento, capacità tecnico professionali per fissare gli standard assistenziali, capacità manageriali e

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di leadership e capacità comportamentali per gestire la comunicazione ed i rapporti interpersonali; deve essere dotato di intelligenza emotiva per motivare ed auto motivarsi e gestire le relazioni con empatia, contribuendo

a creare un buon clima di reparto. Nell’organizzazione del gruppo deve lavorare con metodo e chiarire gli

obiettivi, stimolando la disponibilità a lavorare in comune; ha acquisito avanzate competenze professionali per lavorare in qualunque ambito

operativo e funge da riferimento e consulente per il personale. Rientrano tra i suoi compiti anche la progettazione e valutazione di

percorsi formativi e l’attività didattico-educativa nei confronti degli studenti infermieri, personale, utenti e familiari. La letteratura evidenzia che lo stile dirigenziale del coordinatore e la sede di tirocinio sono, per gli studenti, i due fattori più importanti per un buon ambiente di apprendimento clinico e per far sì che ogni

esperienza diventi occasione di apprendimento. “La sua responsabilità maggiore, per garantire un tirocinio formativo di

qualità, è quella di condividere il modello formativo e le filosofie assistenziali con la sede formativa, collaborare a ridefinire gli obiettivi educativi specifici realistici per quella unità operativa, supervisionare la guida di tirocinio del proprio team e stimolare momenti di riflessione condividendoli con l’equipe” 14.

Una buona leadership migliora le prestazioni del team infermieristico: si riduce il rischio di errori dell’equipe, si ha un minor turnover del personale ed aumenta il grado di soddisfazione dell’utente.

3. Qualità dell’assistenza: riguarda il grado di personalizzazione delle cure infermieristiche alle esigenze dei pazienti, la chiarezza della documentazione e dei flussi informativi di interesse assistenziale.

14. Saiani L., (2008). Il ruolo del coordinatore nel promuovere ambienti formativi e tirocini

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