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PERCEZIONE DELLO STRESS NEL CANE: VALUTAZIONE DELL'EFFETTO DELLA MATERNITÀ DELLE PROPRIETARIE.

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Corso di Laurea Specialistica in Medicina Veterinaria

Percezione dello stress nel cane:

Percezione dello stress nel cane:

Percezione dello stress nel cane:

Percezione dello stress nel cane:

valutazione dell’effetto della maternità

valutazione dell’effetto della maternità

valutazione dell’effetto della maternità

valutazione dell’effetto della maternità

Candidato: Sechi Rita

ANNO ACCADEMICO 2013/2014

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Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea Specialistica in Medicina Veterinaria

Percezione dello stress nel cane:

Percezione dello stress nel cane:

Percezione dello stress nel cane:

Percezione dello stress nel cane:

valutazione dell’effetto della maternità

valutazione dell’effetto della maternità

valutazione dell’effetto della maternità

valutazione dell’effetto della maternità

delle

delle

delle

delle proprietarie

proprietarie

proprietarie

proprietarie

Relatore: Dott. Angelo Gazzano

Correlatore: Dott.ssa Chiara Mariti

ANNO ACCADEMICO 2013/2014 Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea Specialistica in Medicina Veterinaria

Percezione dello stress nel cane:

Percezione dello stress nel cane:

Percezione dello stress nel cane:

Percezione dello stress nel cane:

valutazione dell’effetto della maternità

valutazione dell’effetto della maternità

valutazione dell’effetto della maternità

valutazione dell’effetto della maternità

Relatore: Dott. Angelo Gazzano

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Indice

Indice

Indice

Indice

Riassunto ... 3 Capitolo 1: INTRODUZIONE ... 4 1.1 Cenni di zooantropologia ... 5

1.2 Origini ed evoluzione del rapporto tra l’uomo e cane ... 6

1.3 Legame affettivo tra uomo e cane ... 8

1.4 Legame tra il bambino e il cane ... 10

1.5 Lo Stress ... 14

1.5.1 Concetto di stress ... 14

1.5.2 La risposta neuroendocrina allo stress ... 15

1.5.3 La risposta immunitaria allo stress... 17

1.5.4 La misurazione della risposta allo stress ... 17

1.5.5 I segni di stress nel cane ... 21

1.6Lo scopo della tesi ... 23

Capitolo 2: MATERIALI, METODI E SOGGETTI ... 24

2.1 Generalità ... 25

2.2 Questionari ... 25

2.2.1 STAY TEST forma Y ... 25

2.2.2 Questionario del dipartimento di Scienze Veterinarie ... 26

Capitolo 3: RISULTATI ... 30

Capitolo 4: DISCUSSIONE ... 53

Capitolo 5: CONCLUSIONI ... 70

BIBLIOGRAFIA ... 71

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PREMESSA

Parole chiave:ansia,cane, comportamento, mamme, percezione, proprietario,

stress

Lo scopo della presente ricerca è stato quello di valutare se e come la presenza di un cane influenzi il livello di ansia in mamme con un unico figlio di 0-6 anni e donne senza figli e di valutare la capacità delle proprietarie di cane con o senza figli di percepire i segnali di stress e di determinare il livello di stress nel proprio animale. A tale scopo sono stati fatti compilare due tipi di questionario a 58 mamme con un figlio di 0-6 anni che possedevano un cane, 84 mamme con un figlio di 0-6 anni senza cane, e 87 proprietarie di cane che non avevano figli. Il primo questionario era costituito dallo STAY TEST forma Y, composto da 20 domande per la valutazione dell’ansia di stato e 20 domande per la valutazione dell’ansia di tratto. Il secondo tipo di questionario comprendeva 7 domande rivolte alle mamme senza cane e 12 domande rivolte alle mamme con cane e alle proprietarie di cane senza figli, quest’ultimo ci ha permesso di analizzare l’interpretazione fornita dal proprietario delle situazioni potenzialmente stressanti per la specie canina. Dalla nostra ricerca è emerso che lo stato di ansia, in particolare l’ansia di stato, è condizionato positivamente solo nelle proprietarie di cane senza figlio. Per quanto riguarda il rapporto cane-proprietario, nonostante dai questionari sia risultato che il livello di stress dei cani percepito dalle mamme è inferiore rispetto a quello percepito dalle proprietarie senza figlio, le risposte delle mamme indicano che queste riconoscono meno i segnali di stress e le situazioni che causano disagio nel cane. Questa mancata comunicazione fra la proprietaria, in particolare mamma, ed il suo cane, potrebbe a lungo andare diventare causa di forte malessere nel cane e tramutarsi in seguito in comportamenti aggressivi e pericolosi nei confronti non solo della famiglia stessa, soprattutto dei bambini, ma anche di altre persone, creando così problemi di Salute Pubblica.

SUMMARY

Keywords: anxiety, behaviour, dog, mothers, owner, perception, stress

The aim of the current research was to assess whether and how the presence of a dog can influence anxiety of mothers with an only child aged 0-6 years and women without children and to evaluate the skillfulness of owners with or without children to perceive signals of stress and to determine stress level in their own animal. For this purpose, two kinds of questionnaires were filled in by 58 mothers with an only child aged 0-6 years owning a dog, 84 mothers with an only child aged 0-6 years who didn’t own any dog, and 87 female dog owners without children. The first questionnaire was the Stay Test Form Y, consisting of 20 questions for the evaluation of thestate anxiety and 20 questions for the evaluation of trait anxiety. The second questionnaire, consisting of 7 questions for mothers without dog and 12 questions for mothers with dog and female owners without children, allowed to analyse owner’s interpretation about potentially stressful situations for dogs. From our research it resulted that anxiety, in particular state anxiety, is positively conditioned only in female dog owners without children. Concerning dog-owner relationship, despite it resulted that stress level in dogs perceived by mothers was lower than stress perceived by female owners, mothers’ answers indicate that they perceive less signs of stress and potentially stressful situations for dogs. This lack of communication between owners, in particular mothers, and dog, in the long run may lead to a condition of poor welfare in the dog, and turn into aggressive and dangerous behaviours towards family members, especially children, and other people, provoking problems of Public Health.

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CAPITOLO 1

CAPITOLO 1

CAPITOLO 1

CAPITOLO 1

Introduzione

Introduzione

Introduzione

Introduzione

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1.1- Cenni di Zooantropologia

La Zooantropologia è una disciplina abbastanza recente che prese avvio alla fine degli anni Ottanta in Europa e negli Stati Uniti, ponendosi come obiettivo quello di ricercare l’interazione fra l’uomo e l’animale in tutte le componenti: semiotiche,culturali e comportamentali. Con la zooantropologia si iniziavano infatti a studiare, così come ci dice R.Marchesini (2000), i fattori che guidano l’uomo nell’interazione con le altre specie, e in particolare le pulsioni verso l’interità animale, i piani e i significati della relazione interspecifica, le dimensioni comunicative che si vengono ad instaurare in tale rapporto, le conseguenze obiettivamente costatabili sulla formazione e sull’equilibrio psicologico dell’uomo. Così come la biologia evoluzionistica ha rivendicato un legame genetico tra uomo e animale, la zooantropologia delinea un legame altrettanto forte, ma questa volta di tipo ontologico, tra le varie specie animali, incluso ovviamente l’uomo.

La zooantropologia ha sicuramente un forte debito nei confronti dell’etologia, soprattutto nelle sue branche di zoosemiotica ed etologia umana, che hanno contribuito alla comprensione dei sistemi di comunicazione interspecifica. A tal proposito sono da sottolineare gli studi di Konrad Lorenz, padre della ricerca etologica sulle relazioni uomo animale, che hanno dato una forte spinta all’avvicinamento dell’uomo all’alterità umana, non limitandosi a studiare il comportamento umano ma ponendo delle profonde riflessioni sul dominio di validità degli apparati cognitivi dell’uomo e dimostrando che la conoscenza umana, intesa come potenzialità investigativa sulla realtà, ha un carattere meramente locale e circostanziale e diviene dunque solo uno dei tanti modi di conoscere che hanno le specie.

La zooantropologia si distingue tuttavia da tutte le altre scienze che si sono occupate del rapporto uomo-animale in quanto va oltre la consueta lettura

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strumentale della referenza animale e afferma l’importanza della coppia umano/non umano, vedendola come una realtà indivisibile, in continua evoluzione e trasformazione, studiando il rapporto tra l’essere umano e le altre specie in tutte le sue manifestazioni e introducendo una differenza fra le situazioni di utilizzo dell’animale da parte dell’uomo (l’animale “da”) dalle vere e proprie condizioni relazionali (l’animale “con”).

1.2- Origini ed evoluzione del rapporto tra l’uomo ed il cane

Nonostante le origini abbastanza recenti del concetto di zooantropologia, possiamo dire che l’argomento a cui si riferisce si perde nella notte dei tempi, quasi a connotare l’intera storia dell’uomo. In particolare il rapporto con il lupo, che sulla base di analisi genetiche Vilà e col. (1997) hanno confermato sia effettivamente il progenitore del cane, è risultato particolarmente significativo nell’evoluzione della specie umana, al punto che al giorno d’oggi si tende a parlare di una coevoluzione fra la specie umana e quella canina. I primi tentativi di addomesticamento del cane sembra risalgano ad almeno 12000 anni fa, alla fine del Pleistocene. In questo periodo furono rinvenuti i primi resti di cani domestici in una caverna nel nord di Israele; la tomba conteneva uno scheletro umano di una persona anziana con la mano aperta che poggiava sul torace di un cucciolo di cane. Le prime tracce pittoriche, rinvenute in una caverna in Iraq, raffiguranti un cane, sembrano confermare la datazione: nel Neozoico, è quindi lecito pensare che l’antenato dell’uomo e quello del cane condivisero territori e, probabilmente, cibo e spazi. Molte erano le similitudini che accomunavano i due mammiferi: le loro strutture sociali erano simili, entrambi vivevano in grossi gruppi familiari e fornivano ingenti cure parentali, dividendo la cura della prole con altri membri della famiglia; così come comuni erano alcune loro modalità di comunicazione, avendo entrambi notevoli capacità di comunicazione vocale e non vocale;

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sovente entrambi attaccavano prede più grandi di loro, impresa questa che richiedeva uno sforzo di squadra e la divisione dei compiti fra i membri del gruppo. Quando nel tardo Paleolitico e all’inizio del Mesolitico i ghiacci cominciarono a ritirarsi, cani e uomini seguirono la dispersione delle mandrie di grossi animali; attirati dalle carogne cacciate, i cani possono essersi avvicinati agli agglomerati degli uomini, i quali li uccisero per cibarsene; i cuccioli, ormai orfani, possono essere stati presi ed addomesticati per farne magari compagni di caccia, gettando così le basi del rapporto uomo-cane. In seguito, l’uomo si è sicuramente accorto della grande utilità che aveva questo animale nella caccia e nella pastorizia, e quindi ha iniziato ad impiegarlo nelle sue attività. Questa scoperta ha portato l’uomo a “selezionare” i soggetti più socievoli e utili, e a eliminare i soggetti timidi o aggressivi. Dall’archeologia è emerso che le prime e più antiche razze sono Canis Familiaris Putjani (razza più antica che viveva attorno agli insediamenti umani), Canis Familiaris Leineri (antenato dei levrieri), Canis Familiaris Palustris (aspetto simile agli spitz), Canis Familiaris Inostransewi (progenitore dei molossidi), Canis Familiaris Metris-Optimae (antenato delle razze da pastore), Canis Familiaris Intermedius (antenato dei cani da caccia, compresi i barboni).

Il rapporto uomo-cane ha quindi dato il via all’allevamento di questo animale attraverso l’accoppiamento dei soggetti migliori e più idonei alle attività umane, facendo sì che il cane rivestisse ruoli sempre più importanti e specifici per l’uomo, affiancandolo non solo nelle sue attività (caccia, pastorizia, lavoro, guerra ecc.) ma anche all’interno della società, diventando un vero e proprio status symbol del potere, del rango e della posizione economica del proprietario. Con la rivoluzione industriale si è assistito a un grande cambiamento; con l’arrivo delle macchine i cani hanno perso il loro ruolo principale e sono stati impiegati in misura sempre più minore nelle attività, per cui la selezione condotta dall’uomo non era

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più esclusivamente funzionale ma basata sulla ricerca di specifici caratteri per creare nuove razze. Nel diciannovesimo secolo sono nate così le prime mostre canine e in questo periodo si è assistito alla nascita della cinotecnica e degli standard di razza. Il cane, quindi, ha assunto il ruolo di cane da compagnia, ruolo che nella maggior parte dei casi ricopre tuttora.

1.3- Legame affettivo tra uomo e cane

Già Albert e Bulcroft (1987,1988) nei loro studi affermavano che il 60% dei proprietari di animali da compagnia possiedono almeno un cane e che questa specie è la più desiderata tra coloro che non possiedono animali. Il legame affettivo che si instaura con le persone che scelgono il cane come animale da compagnia è considerato da queste più forte rispetto al rapporto che si può instaurare con il gatto o con altri animali. In questo contesto la teoria dell’attaccamento, avanzata per la prima volta da John Bowlby alla fine degli anni Settanta, ha sicuramente comportato un drastico cambiamento nella valutazione dello sviluppo delle relazioni sociali primarie, come il rapporto fra genitori e figli, ma anche della formazione di tutte le relazioni che un individuo, persona o animale, può formare nell’arco della sua vita. In generale si ritiene che il sistema di attaccamento abbia una funzione adattativa di protezione degli individui più giovani dalla predazione, e che il legame fra uomo e cane, per le sue particolari caratteristiche, condivida molti aspetti tipici della relazione tra genitore e figlio. Le persone tendono molto spesso a considerare e trattare il proprio cane come un membro della famiglia e sotto molti aspetti come un figlio, e in questo caso si può parlare di un comportamento parentale diretto a un individuo di un’altra specie. Molte delle modalità comportamentali nell’ambito della relazione sono infatti molto simili, soprattutto nella sfera dell’attaccamento; non a caso molti degli attributi riconosciuti ai bambini vengono condivisi dai cani, come la dipendenza dall’uomo per la salute, il

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fatto di essere allevati dai membri della famiglia fin da quando sono molto piccoli e di rimanere poi anche in età adulta molto dipendenti nei confronti dei loro proprietari per la loro sopravvivenza. Il legame affettivo ed emotivo dell’uomo nei confronti del cane si basa proprio sulle caratteristiche infantili e sulla sua dipendenza e fa’ leva sul processo evolutivo, detto neotenia, grazie ai quali i cani adulti mantengono le caratteristiche giovanili, assomigliando e comportandosi come i cuccioli anche da adulti.

Sotto un altro punto di vista bisogna considerare i benefici che il proprietario trae dal rapporto instaurato con il cane: se da una parte abbiamo sottolineato come il cane tragga vantaggio dal rapporto con l’uomo, dall’altra si devono considerare gli innumerevoli benefici derivanti dal possesso di un cane da parte del proprietario. Diversi studi documentano che la compagnia di un cane apporta benefici psicologici al proprietario (Baun et al., 1991; Friedmann, 1990). Il cane, secondo Serpell (1991), è in grado di far sviluppare nel proprietario un maggiore senso di sicurezza e una maggiore autostima avendo anche effetti positivi sulla sua salute generale, e viene considerato dai proprietari come una fonte di conforto maggiore rispetto a parenti ed amici, rappresentando qualcosa di veramente importante per loro (Bolin, 1987). Katcher e altri ricercatori (Katcher, 1981; Katcher e Beck, 1983 e 1985; Sebkova, 1977) hanno messo in evidenza che la presenza di un cane, così come l’accarezzarlo, è in grado di indurre un effetto calmante e nello stesso tempo di determinare una riduzione della pressione arteriosa – sistolica e diastolica – e della frequenza cardiaca. Quanto detto, secondo i ricercatori è da ricondurre alla capacità degli animali di diminuire le manifestazioni fisiologiche e psicologiche legate a situazioni di stress, incluse l’ansia, l’eccitazione la depressione, oltreché gli aumenti di pressione del sangue. Una ricerca di Bergler (1992), confrontando i comportamenti sociali e le condizioni di

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salute di persone che possedevano un cane e di persone senza animali, ha evidenziato che tra i soggetti privi della compagnia di un animale vi era una maggiore incidenza di sintomi psicosomatici legati all’ansia, quali mal di testa, perdita di appetito, malattie della pelle, problemi cardiocircolatori e depressione. Inoltre possedere un cane facilita i rapporti sociali del proprietario (Hart, 1995), poiché durante le passeggiate in compagnia del proprio animale è più facile che si instaurino rapporti con i passanti (Messent, 1984).

1.4- Legame tra il bambino e il cane

L’importanza degli animali nella vita dei bambini non è una novità per genitori, insegnanti ed altre figure che vivono in contatto con i giovani. Le visite agli zoo, gli animali domestici, l’osservare la natura circostante, i libri con animali come protagonisti letti ai bambini, il dolore provocato dalla vista di un animale randagio maltrattato, testimoniano l’importanza che la nostra cultura attribuisce agli animali e al loro ruolo nella vita dei giovani (Ascione, 2007). Secondo Bossard (1944) gli animali domestici giocano un ruolo importante nella vita familiare e nella salute mentale dei suoi componenti, in modo particolare nei bambini del nucleo familiare. I cani, secondo Bossard, danno ai bambini una serie di benefici, in quanto prendersi cura di un cane insegna loro il senso di responsabilità, l’averlo abitua il bambino all’igiene personale, insegna loro le differenze sessuali educandoli alla sessualità e rende facile i contatti con altri esseri umani. Perdere un animale domestico insegna inoltre al bambino ad esprimere il dolore e a superarlo. La relazione bambino-animale trova documentati effetti anche sullo sviluppo cognitivo dell’essere umano: stimola l’attenzione e la concentrazione (Katcher e Wilkins, 1994), facilita l’acquisizione del linguaggio e la capacità verbale (Salomon, 1981;

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Condoret, 1983) e migliora la capacità di interpretare i segnali non verbali coinvolti nella comunicazione. I bambini che possiedono animali sono inoltre più abili nel cogliere il significato delle espressioni facciali umane correlate a precisi stati d’animo di quanto non lo siano i coetanei che non li possiedono (Guttman et al., 1983). Campbel e Katcher (1992) riferiscono casi di significativi miglioramenti in 10 bambini con deficit cognitivi e con diagnosi di autismo che includevano la presenza del cane nel programma terapeutico. Levinson nel 1972 rivolse l’attenzione al ruolo degli animali nella vita di un bambino e notò che la presenza di un animale domestico in famiglie disagiate fosse una fonte di benessere e creasse armonia; in caso di assenza di un familiare l’animale aiutava i bambini a consolarsi e sentirsi più sicuri nei confronti del mondo esterno.

Eisenberg e Fabes (1998) ci dicono che la nostra biologia, neurofisiologia e cultura contribuiscono alla formazione del nostro modo di rispondere al disagio degli altri esseri umani e, molto probabilmente, anche degli animali. Quando i bambini osservano come vengono trattati gli animali in casa, imparano anche come trattare altri componenti vulnerabili della famiglia e apprendono le strategie che i genitori, o quelli che li sostituiscono, usano per reindirizzare, plasmare e modificare quei comportamenti che possono avere effetti negativi su altri membri della famiglia.

La ricerca condotta intorno alle valenze referenziali dell’animale per il bambino, che caratterizza gli anni ’70 e ’80, può essere ricondotto a due esperienze pilota, realizzate negli Stati Uniti d’America nel secondo dopoguerra, che hanno modificato per sempre il nostro modo di interpretare la relazione bambino-animale.

La prima esperienza è stata condotta dallo psicologo Samuel Ross, che negli anni ’50 ha avviato una comunità per ragazzi con difficoltà di inserimento sociale basata su un paradigma molto preciso, che consiste nel

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prendersi cura dell’animale come palestra per incrementare processi di attaccamento e responsabilità.

La seconda esperienza, avviata agli inizi degli anni ’60 dallo psichiatra Boris Levinson, ha indagato più sul valore assistenziale e riabilitativo della relazione bambino-animale. In particolare, Levinson (1969) rilevò su un bambino autistico come la semplice presenza di un cane durante le sedute terapeutiche apportasse significativi miglioramenti nella relazionalità e nelle risposte cognitive del piccolo paziente. La sua scoperta ha trovato in seguito conferme nelle ricerche di molti studiosi (ad esempio Condoret (1983), i coniugi Corson (Corson e Corson, 1978; Corson et al., 1975) ed Erika Friedmann (Friedmann et al., 2003) che hanno ulteriormente confermato come la relazione con l’animale possa avere un ruolo assistenziale fondamentale nel bambino.

Le prime fasi della vita costituiscono le fondamenta della storia dell’individuo ed è importante che egli abbia, soprattutto in questo periodo, una pluralità di referenti educativi e una ricchezza di stimoli e l’animale è un referente non surrogabile, perché unici e caratterizzanti sono gli stimoli apportati e i problemi suscitati da tale presenza. In particolare le prime esperienze che legano il bambino al variegato mondo dell’alterità animale hanno una risonanza molto forte sulla sua formazione e vanno a costituire un modello relazionale capace di influenzare e indirizzare le pulsioni e le tendenze del bambino nei confronti del mondo animale (Serpell, 1981). Bettelheim (1992) ed altri parlano di un vero e proprio continuum psicologico tra il bambino e l’animale, perché molte caratteristiche sono avvertite come condivise, quali l’irrazionalità, l’istintività, la curiosità, che differenziano entrambi dal razionale mondo degli adulti. L’animale svolge la funzione di interlocutore affettivo, di amico speciale del bambino, quasi un suo alter ego, che spesso può determinare nel bambino una identificazione proiettiva perché l’animale permette al bambino di

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sperimentare, di provarsi senza essere giudicato e gli dona sicurezza affettiva, protezione, aiuto. L’animale svolge anche una funzione di sostegno, in quanto aiuta il bambino che si trova in particolari momenti di incertezza affettivo/referenziale. Tale sostegno, però, viene realizzato solo se c’è reciprocità, soprattutto con il cane ed il gatto, altrimenti diventa aleatorio perché il sostegno affettivo è correlato al grado di condivisione, come il giocare e l’esplorare insieme, il dialogo interspecifico. Si deve sottolineare anche la valenza formativa che l’animale offre al ragazzo in quanto la comunicazione animale è fatta di suoni, di movimenti e di posture, in altri termini è un catalogo zoosemiotico. La valenza formativa del referente animale sta quindi nella capacità di suscitare domande, porre quesiti da risolvere, sollecitare riflessioni. Secondo Marchesini (2000), “l’animale richiama i principi di analogia, di somiglianza, a volte di omologia e tuttavia resta il diverso per antonomasia”. La consuetudine con la varietà morfologica e comportamentale dell’animale porta alla diminuzione della diffidenza verso la diversità, perché abituarsi al fatto che ogni animale percepisce il mondo in modo differente, visto il suo diverso modo di vivere, ne fa capire il significato.

Di concerto diversi studiosi stanno mettendo in evidenza il ruolo globale giocato dal referente animale nel processo di crescita del bambino, soprattutto nei primi anni di vita. Le ricerche in campo didattico della scuola francese di Hubert Montagner (2001) e gli studi in ambito sociologico dello statunitense Frank Ascione (1992) dimostrano come la relazione con l’animale sia una componente essenziale nella crescita del bambino. Dopo trenta anni circa di esperienze e di studi, oggi si può disporre di una notevole mole di lavori scientifici che sottolineano l’importanza della relazione con l’animale nel dare sostegno nelle diverse aree di problematicità dell’età evolutiva.

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1.5- Lo Stress

1.5.1- Concetto di stress

Fu il medico ungherese Hans Selye, nel descrivere la risposta non specifica dell’organismo ad uno stimolo negativo, il primo a utilizzare il termine “stress”, fino ad allora usato in ingegneria per indicare lo sforzo, la tensione a cui è sottoposto un materiale. Nel 1936, conducendo un esperimento di farmacologia su dei ratti, notò la presenza di ulcere gastriche, atrofia del sistema immunitario, ingrossamento delle ghiandole surrenali, sia nei ratti sperimentali che in quelli di controllo. Egli attribuì tale fenomeno alle metodiche sperimentali, che prevedevano ripetute manipolazioni ed iniezioni, e non al farmaco. Nel corso degli anni furono date una serie di definizioni per quanto riguarda il concetto di stress, tra cui ricordiamo Perry (1975), per cui lo stress fa parte dei continui tentativi degli animali di mantenersi in uno stato di equilibrio con l’ambiente e Casey (2004), per cui lo stress è un termine usato per denotare un evento o una situazione che ha un impatto acuto o cronico su un individuo e che provoca in lui una risposta neuroendocrina.

In generale si può definire lo stress come la risposta biologica elicitata quando un individuo percepisce una minaccia alla propria omeostasi. Si parla di stress fisiologico o “eu-stress” quando l’animale investe il minimo sforzo nella risposta e non ne è cosciente; l’adattamento in questo caso rientra nel range della normalità. In una situazione di “overstress” l’animale impegna notevoli energie nella risposta adattativa ma è incosciente dello sforzo che può però andare a scapito di altri processi biologici. Definiamo invece “distress”il caso in cui l’animale impegna elevate risorse nella risposta adattativa, è cosciente dello sforzo e si può ritenere che soffra. Sulla base della durata della situazione stressante dividiamo lo stress in acuto e cronico; nello stress acuto la situazione stressante dura per poche

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ore e molto spesso queste situazioni sono provocate dall’uomo: approccio ravvicinato, trasporto dell’animale e visite cliniche ne sono un esempio. Lo stress viene definito cronico quando la situazione stressante si protrae per più di un giorno.

1.5.2- La risposta neuroendocrina allo stress

La risposta allo stress è un meccanismo che consente all’animale di reagire rapidamente a un evento potenzialmente pericoloso per l’omeostasi individuale. In una prima fase avviene il riconoscimento dell’evento stressogeno da parte dell’organismo, in cui il sistema nervoso centrale percepisce un evento come potenzialmente dannoso, o comunque ritenuto tale dall’individuo, per l’omeostasi individuale. Successivamente avremo una difesa biologica nei confronti dell’evento stressogeno e le relative conseguenze alla risposta allo stress che avvengono nell’organismo

I due principali sistemi fisiologici che costituiscono le linee principali di risposta allo stress sono rappresentati dall’asse ipotalamo - ipofisi - ghiandola surrenale e dal sistema nervoso simpatico. Cannon (1932) enfatizzò l'attivazione del sistema nervoso autonomo in risposta allo stress. Nella sua famosa descrizione della risposta allo stress come flight-fight (fuga-combattimento), egli dimostrò l'importanza della secrezione di adrenalina e noradrenalina, ormoni del sistema nervoso simpatico, rilasciati l'uno dalla porzione midollare del surrene, l'altro dalle terminazioni simpatiche. Per Cannon, lo stress veniva definito in base agli stimoli necessari per ottenere queste risposte fisiologiche. Selye (1956) fu il primo studioso a far entrare il sistema endocrino nella definizione di stress. Nella famosa serie di esperimenti che hanno portato alla formulazione di una delle teorie più solide nella ricerca sullo stress, la sindrome generale di adattamento, egli descrisse una triade di risposte che ipotizzava costituissero lo stress stesso. Queste includevano l'ipertrofia delle ghiandole

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surrenali, le ulcerazioni della parete dello stomaco e l'involuzione del timo. Questa triade di risposte implicava: il coinvolgimento del sistema endocrino, con un aumento nella secrezione di adrenocorticotropina dall'ipofisi e di corticosterone dalle ghiandole surrenali; un aumento nell'attività del sistema nervoso autonomo, che si manifestava nelle ulcerazioni dello stomaco; l'attivazione del sistema immunitario (involuzione del timo)

Nel 1975 J.W. Mason, presentando un'altra versione del concetto di stress, enfatizzò il ruolo cruciale degli "approcci psicologici messi in atto nelle reazioni emotive o di attivazione a seguito di eventi pericolosi o spiacevoli che si possono manifestare nella vita quotidiana". Egli riteneva che la cosiddetta non specificità delle risposte endocrine allo stress fosse dovuta alla componente emozionale legata al fatto di sperimentare stimoli capaci di indurre stress. Perciò la risposta non specifica descritta da Selye è principalmente di natura comportamentale o psicologica e "i processi interpretativi alla base delle risposte fisiologiche aspecifiche probabilmente coinvolgono un livello di funzionalità dell'SNC più elevato di quanto non si fosse precedentemente supposto". Nel 1979 J.W. Hennessy e S. Levine ipotizzarono che la componente endocrina della risposta allo stress, l'asse ipotalamo-ipofisi-surrene, fosse un indicatore sensibile dello stato di allerta dell'organismo e che perciò la sua risposta riflettesse un'aumentata attivazione emozionale. Questa teoria rappresentava una parziale estensione della posizione presentata da Mason. Grazie alle teorie di Mason e Levine, dunque, il cervello divenne una componente essenziale del concetto di stress.Come faccia il cervello a organizzare e a determinare quale sistema debba attivarsi, e in quali circostanze, è uno degli interrogativi principali dei ricercatori che studiano la neurobiologia dello stress. Nei casi in cui si può ritenere che il comportamento funzioni come una risposta strumentale o di coping, non ci sono molti problemi interpretativi poiché la risposta

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comportamentale può essere considerata funzionale e adattativa. In questi casi, l'effetto che ci si aspetta è quello della discordanza dell'andamento dei parametri comportamentali e fisiologici. Quando vi è dissociazione, si preferisce accettare il parametro fisiologico come quello che riflette in maniera più diretta ciò che il cervello sta valutando come stress.

1.5.3- La risposta immunitaria allo stress

In una ricerca, Paik et all.(2000) hanno suggerito che l’effetto di uno stress prolungato sul sistema immunitario non è semplicemente la soppressione dell’attività immunitaria, ma rappresenta piuttosto una ridistribuzione delle cellule immunitarie che si muovono al di fuori della circolazione e nelle aree periferiche del corpo come la pelle, la parete della vescica urinaria e la parete del tratto gastrointestinale. Questa capacità di ridistribuire unità funzionali ha un senso in termini evolutivi e , dal punto di vista adattativo, è importante avere un sistema immunitario preparato ad una “aggressione” del corpo proveniente dall’esterno, quando l’animale si trova a fronteggiare qualche forma di minaccia esterna (Dhabhar e McEwen, 1996).

1.5.4-La misurazione della risposta allo stress

I livelli di stress possono essere misurati usando parametri fisiologici e comportamentali. Anche uno di questi da solo può essere indicativo di un alterato stato di salute psicologica, ma l’utilizzo contemporaneo di entrambi è considerato un indicatore più affidabile del livello di stress o del grado di benessere (Mason e Mendl, 1993).

Indicatori fisiologici

Per quanto riguarda gli indicatori fisiologici della risposta di stress nei singoli animali, questi hanno il vantaggio di fornire misure quantitative: si ottiene un valore che può essere confrontato con valori ottenuti in differenti condizioni o su altri individui. Tuttavia, non solo c’è un’enorme variazione individuale nella risposta fisiologica agli stressori, ma vi sono anche

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fisiologiche variazioni nei diversi momenti del giorno, che possono rendere difficile il confronto e l’interpretazione dei risultati (Rushen, 1991).

Tra i parametri fisiologici alcuni possono non essere considerati specifici indicatori dello stress, come la pressione sanguigna, il ritmo cardiaco e il ritmo respiratorio, in quanto possono aumentare anche con l’esercizio fisico. È importante che le operazioni di rilevamento della frequenza cardiaca non siano esse stesse fonte di stress e ne inducano involontariamente un aumento.

Le risposte fisiologiche allo stress vengono più comunemente misurate tramite l’attività del sistema HPA, i livelli di cortisolo o la sensibilità della ghiandola surrenale (mediante test di stimolazione con ACTH) (Klemcke, 1994). Il cortisolo può essere misurato nelle urine, nella saliva e nel plasma.

La misurazione nel plasma riflette meglio la risposta allo stress al momento della valutazione, il livello di tale sostanza è influenzato sia dal momento della giornata che dallo stress indotto dal prelievo.

Il livello di cortisolo nelle urine riflettono la risposta allo stress nelle 4 ore precedenti e dipendono dal periodo di raccolta dell’urina nella vescica; nelle urine la concentrazione di cortisolo può essere espressa in rapporto a quella della creatinina che è costante.

Nella saliva è presente solo la forma libera del cortisolo, che è presente in minore quantità ed aumenta nelle stesse circostanze che provocano un aumento di quelli ematici.

La risposta relativa al cortisolo può avere variazioni legate al momento della giornata, all’individuo, all’età e al sesso.

Il test di stimolazione con ACTH può essere utilizzato per misurare l’effetto di un cambiamento dell’ambiente nell’ambito di un contesto di ricerca (Casey, 2004). La corteccia surrenale modifica la sua sensibilità in conseguenza alla stimolazione cronica con ACTH (Restrepo e Armario,

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1987); pertanto, misurando la risposta corticale all’ACTH prima e dopo un periodo di stress cronico, è possibile evidenziare un cambiamento nella risposta, correlato al grado di stimolazione addizionale che si è verificato durante questo periodo. Come per il cortisolo, la stimolazione con ACTH ha come risultato ampie variazioni all’interno di una specie e sono quindi necessari valori di riferimento o misurazioni ripetute perché i risultati siano significativi.

Un altro ormone la cui variazione ematica può indicare stress è la prolattina, ma anche in questo caso i risultati devono essere interpretati in quanto variano con il tempo, con il ciclo estrale nelle femmine, con situazioni di immobilità fisica forzata, di sforzo o freddo prolungati (Manser, 1992).

Parametri comportamentali

La misurazione dei parametri comportamentali non è invasiva e consente di fare una valutazione sulle risposte individuali. Il problema che impedisce di effettuare controlli fra tali parametri è l’alto grado di variazione individuale dipendente dall’età, dal sesso, dalle caratteristiche individuali e dalle precedenti esperienze di ciascun individuo (Broom, 1988). I comportamenti manifestati in un particolare contesto possono essere confrontati con i comportamenti considerati “normali” per quella stessa specie, ma ciò è molto più difficile da fare con le specie domestiche piuttosto che con le specie selvatiche allevate in cattività, in quanto vi sono cambiamenti genetici e ambientali rispetto alle loro forme “selvatiche” o ancestrali. Nella ricerca riguardante la valutazione dei parametri comportamentali, vi sono esempi di studi condotti con l’ausilio di questionari, attraverso i quali si è andati ad indagare su come le caratteristiche, sia del cane che del proprietario, influenzano la qualità di vita dell’animale (Marinelli et al., 2007), sull’ansia relativa ai disordini comportamentali nei cani (Palestrini

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et al., 2004) e sugli effetti dei diversi metodi di addestramento sul comportamento dell’animale (Hiby et al., 2004).

La maggior parte dei problemi comportamentali in realtà sono normali risposte adattative. Un cane che si comporta in modo aggressivo quando si trova di fronte un individuo percepito come pericoloso e dal quale non può scappare, è un cane “normale”.

Il comportamento di un animale in una determinata situazione è infatti determinato da fattori genetici (di specie, razza, individualità), esperienze durante lo sviluppo e il successo o meno di precedenti risposte allo stress. Un comportamento è “anormale” quando, ad esempio, il pattern comportamentale non è filogeneticamente adattativo per quella specie. Nei casi clinici correlati ad ansia e paura, ad esempio, i cambiamenti neuro-anatomici e fisiologici nell’encefalo possono raggiungere un punto in cui la risposta di paura inizia automaticamente ogni qualvolta si incontra uno stimolo particolare o prevedibile e quindi una paura generalizzata che col tempo potrebbe sfociare in una vera e propria fobia.

Le risposte allo stress possono diventare un problema sia quando la risposta comportamentale appresa verso uno stress acuto è inappropriata in un ambiente umano, sia quando gli individui sono incapaci di manifestare una risposta comportamentale in grado di risolvere la loro situazione e la risposta allo stress diventa cronica.

Quando lo stressore è cronico o imprevedibile per natura, gli animali manifesteranno risposte comportamentali inappropriate o eccessive, al fine di ridurre il livello di stress (Dantzer e Mormede, 1981).

Uno stress “incontrollato” può avere una serie di conseguenze per il singolo animale fra i quali:

• Lo sviluppo di comportamenti alternativi che indirizzano l’energia dell’animale verso un'altra attività di “sostituzione”, come il leccarsi o il grooming (Mason, 1991).

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21

• Lo sviluppo di comportamenti ripetitivi, stereotipati, o compulsivi (Mason, 1991).

• Il perpetuarsi di risposte fisiologiche correlate allo stress, che possono avere effetti deleteri o patologici sull’animale.

Le cause di stress nel cane possono essere molteplici e modificabili a seconda di fattori come età, sesso, stato fisiologico, contesto ambientale. Le cause più comuni di stress nel cane sono:

1. malattie organiche (dolore) o patologie comportamentali (ansia) 2. errori nella relazione con il proprietario:

• disturbi di comunicazione e nella gestione delle risorse

• eccesso o carenza di attenzioni

• incertezza nelle aspettative del proprietario

• utilizzo di punizioni positive o rinforzi negativi

3. situazioni inconsuete o legate ad esperienze spiacevoli (visite, ricoveri, separazione dal proprietario)

4. eccessive richieste nell’addestramento (condotte in modo non professionale).

1.5.5-I segni di stress nel cane

La comunicazione con il proprietario permette al cane di manifestare precocemente alcuni segnali di stress acuto. La prima cosa che può far sospettare uno stato di stress acuto è la comparsa di un comportamento insolito o il cambiamento nella frequenza e nella durata di un comportamento.

Tra i segni e sintomi somatici e comportamentali di stress acuto nel cane sono presenti (Notari, 2007) :

• urinazione e defecazione/diarrea

• aumento dell’attività motoria

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22 • salivazione • piloerezione • tremori • polipnea • distogliere lo sguardo

• protrusione della lingua (a forma di spatola)

• leccamento del muso

• sbadiglio

• sollevamento di una zampa

• movimenti rotatori del corpo

• postura bassa.

In corso di stress cronico, che perdura per un cospicuo periodo di tempo, è possibile che insorgano patologie diverse, e la comparsa di stereotipie. Nello stress cronico, l’asse HPA inizia a “sregolarsi” e strutture cerebrali importanti possono essere sottoposte ad un eccessiva esposizione di corticosteroidi, con un deterioramento della capacità di apprendimento e della memoria. I segni comportamentali di stress cronico sono diversi e possono essere meno evidenti, o meno problematici per il proprietario, se comparati con i segnali di stress acuto. La mancanza o l’insufficiente esercizio o stimolazione mentale, le costanti minacce sociali inevitabili, e le continue esposizioni a situazioni di paura possono essere considerati stressori cronici (Notari, 2007).

Fra i segnali di stress cronico, secondo Notari, troviamo:

• diminuzione della varietà di comportamenti messi in atto (diminuisce il repertorio comportamentale)

• presenza di attività sostitutive o stereotipie: girare in tondo, camminare ossessivamente, abbaiare eccessivamente, overgrooming, automutilazione, fissità, polidipsia/polifagia, inseguire le ombre

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23 • passività

• aumento del sonno

• anoressia

Molti dei segnali manifestanti una situazione di stress nel cane, appartengono alla categoria di segnali detti “calmanti” che vengono spesso usati da questi animali per mantenere la gerarchia sociale e per risolvere i conflitti all’interno del branco. I cani utilizzano questo tipo di segnale sia per calmare se stessi, quando si sentono stressati o a disagio, sia per calmare l’altro, facendolo sentire più sicuro, in modo così da risolvere il conflitto evitando lo scontro (Rugaas, 2005). Tra questi segnali calmanti, secondo Rugaas, sono presenti ad esempio: girare la testa, distogliere lo sguardo, socchiudere gli occhi, voltarsi di lato o di spalle, leccarsi il naso, sbadigliare, agitare la coda.

1.6 Lo scopo della tesi

Lo scopo della presente ricerca è stato quello di valutare, attraverso l’interpretazione delle risposte fornite dallo STAY-TEST e dal questionario, se e come la presenza di un cane può influenzare il livello d’ansia di mamme con un figlio di 0-6 anni e donne senza figli; l’altro obiettivo è stato quello di valutare la capacità delle proprietarie di cane con o senza figli di percepire i segnali di stress nel proprio animale e di determinare il livello di stress del cane in una famiglia con un bambino o senza bambino.

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CAPITOLO 2

CAPITOLO 2

CAPITOLO 2

CAPITOLO 2

Materiali, Metodi e

Materiali, Metodi e

Materiali, Metodi e

Materiali, Metodi e

Soggetti

Soggetti

Soggetti

Soggetti

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2.1 Generalità

La seguente ricerca è stata condotta su un campione di 229 soggetti donne suddivise in 3 gruppi secondo i seguenti criteri :

• 58 mamme con un unico figlio di età compresa tra 0 e 6 anni con cane

• 84 mamme con un unico figlio di età compresa tra 0 e 6 anni senza cane

• 87 proprietarie di cane senza figli

I soggetti oggetto di studio sono residenti presso i comuni delle province di La Spezia, Pisa e Sassari. Lo studio è stato realizzato mediante l’utilizzo di questionari che sono stati distribuiti presso scuole dell’infanzia, scuole primarie, parchi, palestre ed università, nel periodo che va da Maggio 2012 a Luglio 2013. La distribuzione nelle scuole è stata fatta dietro richiesta di collaborazione in forma scritta del Dipartimento di Scienze Veterinarie – Università di Pisa e successiva accettazione del consiglio di istituto.

2.2 Questionari

Per ottenere il nostro scopo sono stati utilizzati due tipi di questionario:

• STAY TEST FORMA Y, per la valutazione dell’ansia nei diversi gruppi di donne

• Questionario formulato dal personale del Dipartimento di Scienze Veterinarie – Università di Pisa, per la valutazione dello stress del cane. I questionari sono presenti in dettaglio in appendice.

La compilazione dei questionari poteva essere fatta in forma anonima o rilasciando il proprio nominativo e recapito in modo facoltativo.

2.2.1 STAY TEST forma Y

Il primo tipo di questionario è rappresentato dallo STAY TEST forma Y, che rappresenta una delle scale d’ansia più usate in campo diagnostico e clinico in psicologia umana, sia in Italia che nel mondo.

Il form dello STAY TEST è costituito da due sezioni:

• Forma Y-1 relativa all’ansia di stato

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Per la valutazione dell’ansia di stato viene richiesto al soggetto come si sente in questo momento, descrivendo così i suoi attuali stati d’animo; per la valutazione dell’ansia di tratto viene richiesto come il soggetto si sente abitualmente.

Gli esaminandi sono stati istruiti sulla modalità di compilazione ed in particolare sulla differenza fra le due parti del questionario.

Nello Stay-test vengono riportate alcune frasi che le persone usano per descriversi e il soggetto in esame deve leggere ciascuna frase e poi contrassegnare con una crocetta la casella con la risposta che meglio rappresenta il suo stato d’animo, attuale nel caso della tabella 1, abituale nel caso della tabella 2; le opzioni sono rappresentate dalle seguenti risposte:

• Per nulla

• Poco

• Abbastanza

• Moltissimo

Si chiede inoltre all’intervistato di non impiegare troppo tempo per rispondere .

Per ogni sezione sono presenti 20 domande.

2.2.2 Questionario del dipartimento di Scienze Veterinarie – Università di Pisa

Il secondo tipo di questionario (sempre allegato in appendice), è costituito da 7 domande rivolte alle mamme senza cane, e 12 domande rivolte alle mamme con cane e alle proprietarie di cane senza figli.

È suddivisibile in 3 sezioni principali: la prima relativa all’intervistato, la seconda al segnalamento del cane e la terza alla percezione dello stress nel cane.

La prima sezione è comune a tutti e tre i questionari, le ultime 2 sezioni sono rivolte solo ai soggetti possessori del cane.

Sezione relativa all’intervistato

In questa sezione vengono richiesti nominativo e recapiti (facoltativi), professione, età, se il soggetto possiede o ha posseduto animali , tipo di abitazione .

Le ultime due domande vengono fatte per sapere se il soggetto potrebbe aver avuto esperienze con altri animali che possono aver condizionato la

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27

scelta di possedere un cane e la capacità di riconoscerne i segni di stress; anche il tipo di abitazione come un centro urbano, la periferia o vivere fuori dal centro abitato potrebbe condizionare la scelta dell’intervistato riguardo al possedere un cane o meno.

Sempre in questa sezione, viene richiesto alle intervistate se negli ultimi tempi è avvenuto un episodio che ha modificato gli equilibri familiari, in modo da escludere, a seconda della risposta, la presenza del cane fra le cause di ansia del proprietario.

Nel questionario delle “ mamme senza cane” è presente la domanda “vorrebbe un cane?” seguita da tre opzioni di risposta: “no, perché”, “si, ma non posso prenderlo perché..”, “non so”. L’intervistata deve contrassegnare con una crocetta la voce desiderata motivando successivamente la propria risposta.

Seconda sezione: segnalamento del cane

In questa parte, presente solo nei questionari delle “mamme con cane” e “proprietarie di cane senza figli”, sono raccolti i dati relativi al cane.

Si richiede il nome del cane, età, sesso (specificare se maschio intero o femmina sterilizzata), razza, tipo di attività svolta.

Terza sezione : percezione dello stress del cane

Le domande presenti in questa sezione hanno lo scopo di verificare la percezione dello stress del cane da parte delle proprietarie con figli o senza figli.

Si chiede all’intervistata se esistono situazioni in cui il proprio cane si stressa, come si accorge che il cane è stressato e quale definizione di stress reputa più giusta tra quelle elencate.

Alla fine del questionario si chiede all’intervistata di scegliere quale, tra i segnali presenti in un elenco, possono indicare stress nel proprio cane, con la possibilità di indicarne più d’uno e aggiungere eventualmente altre situazioni non presenti nella lista.

Questo elenco, che include i segni più comuni presenti in un cane sottoposto a stress, è messo dopo le precedenti domande per impedire che il proprietario sia condizionato nelle risposte.

La domanda conclusiva richiede quale sia secondo il proprietario il livello di stress del proprio cane scegliendo fra le seguenti possibilità: altissimo, alto, medio e basso.

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Struttura del questionario

Nella preparazione del questionario abbiamo utilizzato 3 categorie di domande:

- Domande chiuse, che prevedono una serie di risposte definite a priori, entro le quali devono rientrare tutte le possibili risposte fornite all’intervistato; di queste la maggior parte prevede di indicare una sola risposta fra quelle elencate (ad esempio la domanda n°5), mentre in altre viene data la possibilità all’intervistato di poter indicare più di una risposta tra quelle proposte (domanda n°4).

- Domande completamente aperte, che non prevedono risposte predefinite, ma devono essere totalmente elaborate dall’intervistato; nel caso del nostro questionario questa tipologia di domanda è stata utilizzata nella n°8 (“quali situazioni stressano il suo cane?”), dove il proprietario è lasciato libero di rispondere senza essere condizionato da definizioni presenti in un elenco che verrà proposto in altre domande.

- Domande semiaperte, in cui è prevista una serie di risposte predefinite con la possibilità di aggiungerne altre non previste da indicare nello spazio apposito dopo la voce “altro (specificare)”; tra gli esempi abbiamo:

• La domanda n°2 in cui si chiede all’intervistato di indicare la propria professione o di aggiungerla nello spazio apposito se non presente nelle risposte proposte.

• La domanda n°4 che richiede di indicare quali tipi di animali possiede o ha posseduto; in caso di risposta affermativa alla domanda precedente si ha la possibilità di aggiungerne un altro non presente nell’elenco.

• La domanda n°11 dove l’intervistato può aggiungere altre attività ripetitive presenti nel cane oltre ai segni di stress già presenti nella lista del questionario.

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Analisi statistica

I dati raccolti relativi a questo questionario sono stati inseriti in un file di Microsoft excel, ottenendo così una statistica descrittiva dell’andamento delle risposte.

L’analisi statistica dei risultati dello STAI Y-TEST è stata condotta dapprima con il test di Kruskal-Wallis e poi con il test di Mann-Whitney (p<0,05) per il confronto fra singoli gruppi.

La comparazione del livello di stress dei cani del gruppo 1 e 3 è stata effettuata tramite il test di Mann-Whitney (p<0,05).

La capacità di riconoscimento dei segnali di stress canini da parte delle proprietarie del gruppo 1 e 3 è stata confrontata utilizzando il test del X2 e, dove necessario a causa del basso numero delle risposte positive, il test di Fisher (p<0,05).

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CAPITOLO 3

CAPITOLO 3

CAPITOLO 3

CAPITOLO 3

Risultati

Risultati

Risultati

Risultati

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I primi risultati analizzati riguardano la prima parte della nostra ricerca, cioè esaminare lo stato d’ansia dei gruppi di donne da noi intervistate che dividiamo nei seguenti gruppi:

• Gruppo 1- mamme con un unico figlio di età compresa tra 0 e 6 anni con cane

• Gruppo 2- mamme con un unico figlio di età compresa tra 0 e 6 anni senza cane

• Gruppo 3- proprietarie di cane senza figli

I grafici che seguono rappresentano l’elaborazione statistica dei punteggi ricavati dallo S.T.A.I.-Test. Questi punteggi sono stati ottenuti escludendo quei soggetti che hanno dichiarato di aver avuto eventi recenti che hanno modificato gli equilibri familiari e che potrebbero aver condizionato così il loro stato emotivo.

I grafici che seguono, quindi, prendono in considerazione il 82,7% (n°=48) dei soggetti appartenenti al gruppo 1, il 91,7% (n°77) dei soggetti del gruppo 2 e il 78,2% (n°68) di quelli appartenenti al gruppo 3.

Grafico n°1 : tot staiy1=risultati dell’ansia di stato nei 3 gruppi oggetto di studio

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La rappresentazione grafica dell’ansia di stato (forma Y1) mostra come la mediana registrata per i tre diversi gruppi non mostri una grossa differenza, e si aggira intorno ai 35 (p= 0,498; χ2 =1,394).

Grafico n°2 : tot staiy2= risultati dell’ansia di tratto nei 3 gruppi oggetto di studio

Per quanto riguarda l’ansia di tratto (forma Y2) si rileva una differenza da parte delle proprietarie di cani, che risultano meno ansiose delle mamme; la mediana è compresa tra i valori 60-70 (p=0,007; χ2 =9,945).

Nell’ansia di stato (forma Y1), abbiamo confrontato le successive differenze fra i gruppi ed i risultati sono stati i seguenti:

• Confronto gruppo 1 e gruppo 2: il gruppo 1 non differisce dal gruppo 2 quindi 1=2 (p=0,766; u=1789,5).

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• Confronto gruppo 1 e gruppo 3: il gruppo 1 ha un livello di ansia di tratto più alta rispetto al gruppo 3, statisticamente significativa, quindi 1>3(p=0,009; U=1169,5).

• Confronto gruppo 2 con gruppo 3: il gruppo 2 ha un livello di ansia di tratto più alta rispetto al gruppo 3, statisticamente significativa, quindi 2>3(p=0,005; U=1916,0).

Grafico n°3 : tot staiy : risultati della somma dell’ansia di stato e di tratto nei 3 gruppi oggetto di studio.

Per quanto riguarda la sezione inerente la seconda parte del questionario i dati sono di seguito riportati in base al gruppo preso in esame.

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Sezione N°1: Dati dell’intervistata Primo gruppo: mamme con cane

In questo gruppo risultano donne di età compresa tra i 30-50 anni (82,7%), seguita da un età di 20-30anni (15,5%) e solo in minima parte sotto i 20 anni (1,7%) (vedi tab.1a). L’età media (± deviazione standard) è risultata essere di 36,1 ± 6,0 anni.

Tabella 1a: L’età delle mamme con cane che hanno compilato il questionario

Età Totale

Sotto 20 anni 1,7%

Tra 20 e 30 anni 15,5%

Tra 30 e 50 anni 82,7%

Per quanto riguarda la professione delle intervistate, la maggior parte è rappresentata da impiegate (29,3%), casalinghe (24,1%), seguite da altro (17,2%), libere professioniste (15,5%), operaie (6,9%), studentesse (3,4%).(vedi tab.2a)

Tabella 2a: Professione degli intervistati

Professione Totale Impiegato 29,3% (n°17) Libero Professionista 15,5% (n° 9) Operaio 6,9% (n° 4) Studente 3,4% (n° 2) Casalinga 24,1% (n°14) Pensionato 0,0% (n° 0) Altro 17,2% (n°10)

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La maggior parte delle persone intervistate (81% ) possiede o ha posseduto animali che sono rappresentati principalmente da cani (85,1%) e gatti (59,5%), seguiti da tartarughe (38,3%), volatili (21,3%) e conigli (21,3%). (tab.3a-4a).

Tabella 3a: Se l’intervistato possiede o ha già posseduto altri animali

Possiede o ha già posseduto altri animali?

Totale

81% (n° 47)

No 19% (n° 11)

Tabella 4a: Quali altri tipi di animali possiede o ha già posseduto l’intervistato

Quali altri animali possiede? Totale

Cani 85,1% (n°40) Gatti 59,5% (n°28) Cavalli 4,2% (n° 2) Volatili 21,3% (n° 10) Conigli 21,3% (n° 10) Piccoli roditori 19,1% (n° 9) Tartarughe 38,3% (n° 18) Rettili 0% (n° 0) Altro 14,9% (n° 7)

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L’abitazione dove vive il soggetto è rappresentata soprattutto da periferia/piccolo paese (41,4%) seguita da centro urbano (36,2%) (tab.5a)

Tabella 5a: dove abita l’intervistato

Dove abita? Totale

In un centro urbano 36,2% (n°21)

Periferia/piccolo paese 41,4% (n°24)

Fuori da un centro urbano 22,4% (n°13)

Alla domanda se negli ultimi tempi è avvenuto un episodio che ha modificato gli equilibri familiari il 17,2% delle intervistate ha risposto “si” contro il 82,7% che ha risposto “no”

Secondo gruppo: Mamme senza cane

Per quanto riguarda questo gruppo di soggetti l’età è maggiormente rappresentata da donne di età compresa fra 30 e 50anni (73,8%) (vedi tab.1b). L’età media (± deviazione standard) è risultata essere di 34,5 ± 5,1 anni.

Tabella 1b: L’età delle mamme senza cane che hanno compilato il questionario

Età Totale

Sotto 20 anni 0%

Tra 20 e 30 anni 26,2% (n°22) Tra 30 e 50 anni 73,8 (n°62)

Per quanto riguarda la professione delle intervistate, la maggior parte è rappresentata da casalinghe (33,3%) seguite da “altro” (27,4%) e “impiegate” (25%) (vedi tab.2b)

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Tabella 2b: Professione degli intervistati

Professione Totale Impiegato 25% (n°21) Libero Professionista 9,5% (n°8) Operaio 3,6% (n°3) Studente 1,2% (n°1) Casalinga 33,3% (n°28) Pensionato 0% Altro 27,4% (n°23)

La percentuale delle persone intervistate che possiede o ha posseduto animali è equivalente a quella rappresentata da chi non ha mai posseduto animali. Questi sono rappresentati in egual misura principalmente da cani e gatti (entrambi 47,6%) (tab.3b-4b)

Tabella 3b: Se l’intervistato possiede o ha già posseduto altri animali

Possiede o ha già posseduto altri animali?

Totale

50 % (n°42)

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Tabella 4b: Quali altri tipi di animali possiede o ha già posseduto l’intervistato

Quali altri animali possiede o ha posseduto? Totale

Cani 47,6% (n°20) Gatti 47,6% (n°20) Cavalli 2,4% (n°1) Volatili 21,4% (n°9) Conigli 14,3% (n°6) Piccoli roditori 14,3% (n°6) Tartarughe 21,4% (n°9) Rettili 2,4% (n°1) Altro 16,7% (n°7)

L’abitazione dove vive il soggetto è rappresentata in percentuale uguale da centro urbano e periferia/piccolo paese (entrambi 44%) mentre il restante 12% abita fuori da un centro urbano (tabella 5b).

Tabella 5b: dove abita l’intervistato

Dove abita? Totale

In un centro urbano 44% (n°37)

Periferia/piccolo paese 44% (n°37)

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Alla domanda se negli ultimi tempi è avvenuto un episodio che ha modificato gli equilibri familiari il 91,7% delle intervistate ha risposto “no”contro il 8,3% che ha risposto “si”.

Alla domanda se l’intervistata vorrebbe un cane la maggior parte ha detto “no” (46,4%), il 25% hanno risposto non so, mentre il 28,6% ha optato per la risposta “si, ma non posso prenderlo perché..”. Fra le intervistate che hanno risposto “no, perché” le ragioni sono state soprattutto la mancanza di tempo (45,1%), “non mi piacciono i cani”(25,6%) e la mancanza di spazio (12,8%), mentre il 5,1 % ha indicato la presenza del bambino quale motivo ostativo.

Fra le intervistate che hanno risposto “si, ma non posso prenderlo perché” le ragioni più frequenti sono state la mancanza di tempo e spazio (entrambe 41,7%), la presenza del figlio (16,7%) e quella di altri animali (8,3 %).

Terzo gruppo. Proprietarie di cane senza figli

Per quanto riguarda questo gruppo di soggetti l’età è rappresentata principalmente da donne di età compresa fra 30 e 50 anni (43,6%) seguite da quelle comprese tra 20 e 30 anni (42,5%) (vedi tab.1c). L’età media (± deviazione standard) è risultata essere di 33,1 ± 11,1 anni.

Tabella 1c: L’età dei proprietari che hanno compilato il questionario

Età Totale Sotto 20 anni 3,4% (n°3) Tra 20 e 30 anni 42,5% (n°37) Tra 30 e 50 anni 43,6% (n°38) Tra 50 e 70 anni 10,3% (n°9) Oltre i 70 anni 0%

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Per quanto riguarda la professione delle intervistate, la maggior parte è rappresentata da studentesse (36,8%) seguite da impiegate (23%) (vedi tab.2c).

Tabella 2c: Professione degli intervistati

Professione Totale Impiegato 23% (n°20) Libero Professionista 14,9% (n°13) Operaio 2,3% (n°2) Studente 36,8% (n°32) Casalinga 8% (n°7) Pensionato 1,1% (n°1) Altro 13,8% (n°12)

La maggior parte delle persone intervistate (98,85%) possiede o ha posseduto animali che sono rappresentati principalmente da cani (95,3%) e gatti (65,1%) (tab.3c-4c).

Tabella 3c: Se l’intervistato possiede o ha già posseduto altri animali

Possiede o ha già posseduto altri animali?

Totale

98,85% (n°86)

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Tabella 4c: Quali altri tipi di animali possiede o ha già posseduto l’intervistato

Quali altri animali possiede? Totale Totale

Cani 95,3% (n°82) Piccoli roditori 24,4 (n°21)

Gatti 65,1% (n°56) Tartarughe 31,4% (n°27)

Cavalli 4,6% (n°4) Rettili 0%

Volatili 37,2% (n°32) Altro 10,4% (n°9)

Conigli 11,6% (n°10)

L’abitazione dove vive il soggetto è rappresentata in maggior parte da periferia/piccolo paese (40,23%) (tabella 5c)

Tabella 5c: dove abita l’intervistato

Dove abita? Totale

In un centro urbano 33,3% (n°29)

Periferia/piccolo paese 40,23% (n°35)

Fuori da un centro urbano 26,4% (n°23)

Alla domanda se negli ultimi tempi è avvenuto un episodio che ha modificato gli equilibri familiari il 78,2 % delle intervistate ha risposto “no” contro il 21,8% che ha risposto “si”.

Sezione N°2: dati del cane

Questa sezione è presente solo nei questionari dati ai soggetti del gruppo 1 e 3.

Primo gruppo: mamme con cane

Dai risultati è emerso che la maggior parte dei cani posseduto dalle mamme in esame ha un età compresa tra i 3 e i 6 anni (34,5%), mentre il 25,8% ha tra 6 e 12 anni, seguito dal 22,4% dei soggetti con età compresa tra 10 mesi e i 3 anni (Tab.1d)

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Tabella 1d: L’età del cane

Età del cane Totale

Fino a 10 mesi 6,9% (n°4)

Da 10 mesi a 3 anni 22,4% (n°13) Da 3 anni a 6 anni 34,5% (n°20)

Da 6 anni a 12 anni 25,8% (n°15)

Oltre 12 anni 10,3% (n°6)

Per quanto riguarda il sesso vengono preferiti i maschi interi (60,3%) seguiti dalle femmine intere e sterilizzate (entrambe al 17,2%); il 5,2% dei soggetti sono maschi castrati (Tab.2d)

Per quanto riguarda la taglia vengono preferiti quelli di taglia piccola (37,9%) o media (36,2%), seguiti dai soggetti di taglia grande (25,9%) e gigante (3,4%), mentre per quanto riguarda le razze le più presenti sono meticcio (46,5%) e pastore tedesco (12,1%) (tab. 3d)

Tabella 2d: Il sesso del cane

Sesso del cane Totale

Maschi interi 60,3% (n°35)

Maschi castrati 5,2% (n°3)

Femmine intere 17,2% (n°10)

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Tabella 3d: La razza del cane

Razza del cane Totale Razza del cane Totale Meticcio 46,5% (n°27) Akitainu 1,7% (n°1)

Labrador Retriever 3,4% (n°2) Bulldog 1,7% (n°1)

AlaskanMalamute 1,7% (n°1) Pastore Tedesco 12,1% (n°7)

Jack Russel Terrier 3,4% (n°2) Yorkshire 5,2% (n°3)

Beagle 1,7% (n°1) Cocker 5,2% (n°3)

Setter inglese 1,7% (n°1) Golden Retriever 1,7% (n°1)

Pinscher 5,2% (n°3) Barboncino 3,4% (n°2)

Bassotto 1,7% (n°1) Shitzu 1,7% (n°1)

Bichonfrise’ 1,7% (n°1)

La principale attività svolta dal cane è rappresentata da compagnia (94,8%), seguita da sport (6,9%) e difesa (6,9%) (tab.4d)

Tabella 4d: L’attività svolta dal cane

Attività del cane Totale

Caccia 5,2% (n°3) Sport 6,9% (n°4) Compagnia 94,8 (n°55) Esposizione 0% Difesa 6,9% (n°4) Utilità 3,4% (n°2) Altro 0%

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Terzo gruppo: proprietarie di cane senza figli

Dai risultati è emerso che la maggior parte dei cani posseduto dalle mamme in esame ha un età compresa tra i 6 e i 12 anni (40,2%), seguita dai soggetti di età compresa tra 10 mesi e i 3 anni (29,9%) (Tab.1e)

Tabella 1e: L’età del cane

Età del cane Totale

Fino a 10 mesi 3,4% (n°3)

Da 10 mesi a 3 anni 29,9% (n°26) Da 3 anni a 6 anni 21,8% (n°19) Da 6 anni a 12 anni 40,2% (n°35)

Oltre 12 anni 4,6% (n°4)

Per quanto riguarda il sesso vengono preferiti i maschi interi (42,5%) seguiti dalle femmine intere (27,6%) e quelle sterilizzate (26,4%); il restante 3,4% dei soggetti sono maschi castrati (Tab.2e).

Tabella 2e: Il sesso del cane

Sesso del cane Totale

Maschi interi 42,5% (n°37)

Maschi castrati 3,4% (n°3)

Femmine intere 27,6% (n°24)

Femmine sterilizzate 26,4 (n°23)

Per quanto riguarda la taglia i soggetti preferiscono quelli di taglia media (35,6%) seguiti da quelli di taglia piccola (32,2%); i cani di taglia grande rappresentano il 25,3% del campione seguiti da quelli di taglia gigante (6,9%). Per quanto riguarda invece le razze, le più presenti sono rappresentate da meticcio (41,4%) e pastore tedesco (6,9%) (tab. 3e).

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Tabella 3e: La razza del cane

Razza del cane Totale Razza del cane Totale Meticcio 41,4% (n°36) Barbone 2,3% (n°2)

Labrador Retriever 2,3% (n°2) Pit bull 2,3% (n°2)

AlaskanMalamute 3,4% (n°3) Segugio 2,3% (n°2)

Jack Russiel Terrier 2,3% (n°2) Pastore Tedesco 6,9% (n°6)

Setter inglese 1,15% (n°1) Dogue de Bordeaux 2,3% (n°2)

Pinscher 3,4% (n°3) Volpino 2,3% (n°2)

Bassotto 1,15% (n°1) Yorkshire 2,3% (n°2)

Carlino 1,15% (n°1) Golden Retriever 1,15% (n°1)

Dalmata 1,15% (n°1) Barboncino 1,15% (n°1)

Cocker 2,3% (n°2)

La principale attività svolta dal cane è rappresentata da compagnia (92%) seguita da difesa (8%) e caccia (4,6%) (tab.4e)

Tabella 4e: L’attività svolta dal cane

Attività del cane Totale

Caccia 4,6% (n°4) Sport 1,15% (n°1) Compagnia 92% (n°80) Esposizione 3,4% (n°3) Difesa 8% (n°7) Utilità 3,4% (n°3)

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