• Non ci sono risultati.

Il Reise in die Aequinoctial-Gegenden des neuen Continents in den Jahre 1799-1804 di Alexander von Humboldt: il ritorno del Paradiso represso

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Il Reise in die Aequinoctial-Gegenden des neuen Continents in den Jahre 1799-1804 di Alexander von Humboldt: il ritorno del Paradiso represso"

Copied!
132
0
0

Testo completo

(1)

1

UNIVERSITÁ DI PISA

Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica

Corso di Laurea Magistrale in Letterature e Filologie Europee

Curriculum Comparatistico

Tesi di Laurea

A

LEXANDER VON

H

UMBOLDT ED IL SUO

R

EISE IN DIE

A

EQUINOCTIAL

-G

EGENDEN DES NEUEN

C

ONTINENTS IN DEN

J

AHREN

1799-1804:

IL RITORNO DEL

P

ARADISO REPRESSO

RELATORE

Prof. Luca Crescenzi

CORRELATORE

Prof.ssa Giovanna Cermelli

CANDIDATO

Azzurra Lia

(2)

2

I

NDICE

I

NTRODUZIONE

pag. 6

C

APITOLO

I:

L

E

O

RIGINI DEL

M

ITO pag. 12

I.1 Il Mito del Paradiso Terrestre oltre il Cristianesimo I.1.1 La Lettera del Prete Gianni

I.1.2 La Navigatio Sancti Brandani

I.1.3 L’imposizione dell’ideologia Cristiana sul resto del mondo I.2 Conformazione generale del Paradiso Terrestre

I.3 Paradiso Terrestre e mito di El Dorado si incontrano I.3.1 Il Mito nel Romanzo di Alessandro

C

APITOLO

II:

E

L

D

ORADO

pag. 37

II.1 Gli Antichi Imperi del Sole II.1.1 Gli Aztechi II.1.2 I Maya II.1.3 Gli Inca

(3)

3

II.2 El Dorado città dei sogni

II.3 Dalla scoperta del nuovo mondo alla caccia all’oro II.4 La (s)fortuna di Walter Raleigh

C

APITOLO

III:

A

LEXANDER VON

H

UMBOLDT

pag. 61

III.1 Una vita dedicata alla scienza III.2 Il testo e la sua vicenda editoriale

III.3 Il viaggio di Alexander von Humboldt nel Nuovo Continente III.4 Wittkower, Forster e Humboldt: tre punti di vista sul “lato umano” III.5 Da Cumanà a Cuba: le popolazioni indigene agli occhi di Alexander von Humboldt

III.6 Alexander von Humboldt e il Paradiso Terrestre: Realtà o Apparenza? III.6.1 Il Paradiso e lo stato di Grazia

III.6.2 La lente che modifica la realtà (o l’apparenza) III.6.3 L’uomo come prigioniero della caverna religiosa III.6.4 Perché l’uomo “deve” cercare il Paradiso Terrestre

C

APITOLO

IV:

D

ALLA

D

IALETTICA DELL

’I

LLUMINISMO ALLA

FORMAZIONE DEL COMPROMESSO pag. 102

IV.1 Cosa si vuole raggiungere IV.2 La materia della Dialettica IV.3 C’è un Ulisse su questa nave? IV.4 A proposito del compromesso

A

PPENDICE

A:

L

E MAPPE DEL

P

ARADISO

T

ERRESTRE NEI

(4)

4

A

PPENDICE

B:

D

AI VIAGGI DEI CONQUISTADORES AD

A

LEXANDER VON

H

UMBOLDT pag. 126

A

PPENDICE

C:

I

RIFERIMENTI AL

P

ARADISO NEI TESTI DAL

M

EDIOEVO ALL

’I

LLUMINISMO

B

IBLIOGRAFIA E

S

ITOGRAFIA pag. 130

(5)
(6)

6

I

NTRODUZIONE

Prima di esporre quelle che saranno le tematiche di questa tesi, vorrei soffermarmi innanzitutto sul metodo con cui ho deciso di trattare il testo di Alexander von Humboldt, Reise in die Aequinoctial-Gegenden des neuen Continents in den Jahren

1799-1804, e quali sono le fonti da cui ho attinto per spiegare i passi critici del

suddetto. Sebbene un primo approccio mi avesse indirizzato verso una trattazione argomentata secondo i principi della retorica aristotelica, ho preferito ragionare in termini di dialettica. Secondo Aristotele infatti il primo passo della retorica è l’inventio; la principale preoccupazione di questo punto iniziale è quella di costruire un ragionamento solido e la solidità di questo risiede nella presenza di prove tecniche e non-tecniche: le prove tecniche sono i ragionamenti, che richiedono un’elaborazione, mentre quelle non-tecniche sono le prove materiali e concrete come testimonianze, confessioni o reperti. Proprio per la mancanza di quest’ultime, avendo a disposizione quasi esclusivamente il rapporto di Humboldt sulla spedizione in Sud America, ho deciso di affrontare la trattazione per mezzo della dialettica. Sebbene il termine

(7)

7

dialettica abbia acquisito, da Aristotele a Kant, una connotazione negativa, è più che mai utile, in questa tesi, utilizzarla nei termini che aveva già assimilato attraverso Platone ovvero, analizzare il rapporto tra identità delle idee, affermazione e negazione delle stesse. Più nello specifico tratterò il contenuto del testo humboldtiano attraverso la dialettica hegeliana che ha il seguente paradigma: per Hegel l’assoluto è divenire, e la legge che lo regola è la dialettica, di questa il filosofo tedesco distingue tre momenti: l’astratto o intellettuale, il negativo-razionale, il positivo-razionale. L’astratto, ovvero la tesi, si ferma alle determinazioni isolate della realtà. Il negativo-razionale, l’antitesi, nega le determinazioni astratte dell’intelletto, rapportandole con le determinazioni opposte. Il positivo-razionale, che costituisce la sintesi, coglie l’unità delle determinazioni opposte, ricomponendole in modo sintetico. Se l’intelletto è l’organo del finito, la ragione è quello dell’Infinito, lo strumento con cui il finito viene risolto nell’Infinito. Globalmente considerata, la Dialettica consiste quindi nell’affermazione di un concetto astratto e limitato, che funge da tesi; nella negazione di questo concetto e nel passaggio ad un concetto opposto, che funge da antitesi; nell’unificazione della precedente affermazione e negazione in una sintesi positiva comprensiva di entrambi. Riaffermazioni che Hegel focalizza con Aufhebung, che esprime l’idea di un superamento che è, al tempo stesso, un togliere e un conservare. La dialettica illustra la risoluzione del finito nell’infinito. Essa mostra come ogni finito non possa esistere in se stesso, ma è obbligato ad opporsi ad altro ed entrare in una trama di relazioni. La dialettica ha un significato ottimistico, perché essa ha il compito di unificare il molteplice, conciliare le opposizioni. Se da una parte quindi Hegel rifiuta l’idea totalitaria dell’illuminismo secondo cui la ragione e l’intelletto dovevano giudicare e prevalere su tutto, dall’altra però rifiuta, o meglio contesta, il versante opposto del circolo romantico il quale ripiegava sul proprio io e sul primato del sentimento, sull’arte e sulla fede. Quella che quindi propone lui è una mediazione, per cui se esiste un polo, esiste anche il suo opposto ed insieme portano ad una determinata conclusione. Ciò è, a mio avviso, quello che fa lo stesso Humboldt ed è quello che ho intenzione di fare anche io. Quelle che andrò a proporre saranno quindi una tesi, la sua antitesi e una sintesi finale. Perché però applicare un tale procedimento ad un testo che è ritenuto dalla maggior parte degli studiosi un testo scientifico? Che il resoconto di Humboldt appartenga alla branca della scienza è inconfutabile, è stato infatti lui a dare

(8)

8

lo spunto a Darwin per la sua teoria dell’evoluzione ma, allo stesso tempo, è possibile guardare al suo elaborato come a un prodotto della letteratura.

Quindi le cose cambiano. Secondo la teoria letteraria del semiologo Jurii Lotman, un testo scientifico non prevede la coesistenza in esso di due verità contrapposte, proprio perché si creerebbe un paradosso, mentre in un testo letterario, che non richiede necessariamente una verità e una sola, può contenere delle conclusioni anche in contrasto fra loro, purché si completino e non si annientino, quindi in ogni testo di matrice letteraria è possibile scorgere una interpretazione diversa a seconda del punto di vista con cui lo si guarda. Inoltre “ogni testo, in particolare quello artistico, contiene quello che possiamo chiamare immagine del pubblico. Essa agisce attivamente sul pubblico reale diventando per lui un codice normativo, che si impone alla sua coscienza. Trasferendosi dall’ambito del testo alla sfera del comportamento reale, questo codice diventa norma dell’idea che il pubblico ha di sé” (Lotman 1980). È proprio quello che succede quando ci si trova davanti il testo di Humboldt: dal punto di vista scientifico, si possono ricavare dati matematici, fisici, geografici, astronomici e meteorologici ed essi sono accompagnati da tesi e dimostrazioni che hanno sicuramente influito sulla scienza moderna, ma lui fa di più e lo fa per ampliare l’accessibilità e per aumentare il numero di lettori. Infatti Humboldt non scrive solo uno sterile trattato dimostrativo dei suoi esperimenti condotti in loco, ma racconta, nei minimi particolari, quello che si trova davanti incorniciando la narrazione con degli aneddoti storici. Quindi, come specificherò anche nei capitoli seguenti, quello che ci troviamo a leggere è quanto mai più vicino alla narrazione in prosa romanzesca. È questo anche che ci, e mi, permette di scorgere tra le righe questioni che vanno ben oltre l’ambito scientifico. A mio avviso c’è una ulteriore motivazione alla scelta narrativa di Humboldt: raccontare piuttosto che riportare in termini dimostrativi aumenta la fruibilità e di conseguenza il numero di lettori a cui può arrivare il testo. Partendo da questi presupposti, l’interrogativo a cui si tenta di dare una risposta è: perché un uomo di scienza come Humboldt, erede della scuola illuministica di Göttingen, si spinge fino a determinati punti segnati sulla carta geografica del Sud America? Perché sente la necessità di vedere con i suoi stessi occhi la conformazione di questi luoghi?

(9)

9

Per rispondere a questi quesiti è bene procedere con ordine: prima di tutto la tesi. Nei primi due capitoli di questa trattazione (Capitolo I, Le origini del mito e Capitolo II,

El Dorado) viene esposto il dato, la questione protagonista: il Paradiso Terrestre. In

qualsiasi regione del globo ci si sposti, è possibile notare come ogni popolo, a modo suo, abbia nella propria tradizione l’immagine di un luogo mitico, dove la natura è sempre rigogliosa e benevola, dove tutte le specie, animali e non, convivano in armonia tra loro. Molto interessante è risultata l’estrema somiglianza della concezione edenica cristiana con quella delle regioni orientali; proprio per questo in epoca classica, specialmente con le spedizioni di Alessandro Magno, si è verificata una sorta di fusione tra le meraviglie del mondo orientale e la locazione e formazione del Paradiso Terrestre. Per secoli infatti si è creduto che questo si trovasse in oriente e ad alimentare ogni sorta di credenza è stata specialmente tutta la letteratura prodotta a riguardo nel Medioevo. Dalla Navigatio Sancti Brendani (la navigazione di San Brandano) alla lettera di Prete Gianni, dal Milione di Marco Polo, ai viaggi di John Mandeville, l’immaginario collettivo ha assunto la forma costante del giardino, però del tutto orientaleggiante arricchito inoltre, da quelli che nel Medioevo venivano chiamati

Bestiari, manuali enciclopedici sulle “meraviglie” del mondo asiatico. Tra questi testi

rientra anche la produzione letteraria sulle gesta di Alessandro Magno. Dall’opera latina del cronista dell’imperatore, definito Pseudo-Callistene (ma di dubbia esistenza), sono state create altrettante opere ed in lingue diverse: dalle Res Gestae

Alexandri Magni di Quinto Cruzio Rufo, all’Alexandre di Alberic de Pisaçon, al

rimaneggiamento di quest’ultimo per mano di Lamprecht der Pfaffe, l’Alexanderlied, scritto in Mittelhochdeutsch. In questi testi si parla di come Alessandro abbia raggiunto un certo giardino al cui interno si trovava la fonte della giovinezza. I due miti si fondono all’epoca della scoperta dell’America, quando Colombo, credendo di aver raggiunto le Indie orientali, diffuse anche la convinzione che il Paradiso si trovasse nel luogo da lui scoperto. Nonostante l’errore, la credenza rimase salda, fino a fondersi ulteriormente con quella degli indios su El Dorado. Ma gli errori di valutazione non si fermano solo all’ambito geografico, bensì anche in quello linguistico: el dorado infatti significa “il dorato” ed è da riferirsi al rituale azteco-incaico durante il quale un uomo cosparso d’oro veniva immerso nelle acque ritenute sacre. Ad ogni modo, nonostante gli errori e nonostante la letteratura, la caccia a questo luogo mitico non si è mai

(10)

10

fermata perché, come ci dirà anche lo stesso Humboldt, nelle favole c’è sempre un fondo di verità. Dalla tesi all’antitesi: perché l’uomo non può raggiungere il Paradiso Terrestre? E perché quindi, ritenere che tutto ciò che è stato scritto nei secoli addietro siano fandonie? Nel terzo capitolo (Capitolo III, Alexander von Humboldt), dopo un’introduzione allo scienziato Humboldt e alla sua spedizione, ho tentato di rispondere a queste domande utilizzando principalmente il saggio di Heinrich von Kleist, Il teatro delle marionette; a differenza della marionetta, l’uomo non ha ricevuto, e mai riceverà, la Grazia divina. Questo perché ognuno di noi è dotato di un intelletto al quale si dovrebbe rinunciare per raggiungere tale luogo. Rinunciarci significherebbe abbandonarsi completamente al sentimento ed alla fede, ma è un’impresa che l’uomo non riuscirà mai ad affrontare, specialmente nell’epoca dell’Illuminismo, dove intelletto e ragione erano il fulcro della vita di ogni individuo. L’uomo è così intrappolato in una sorta di caverna platonica, del tutto cristianizzata, dove cerca di divincolarsi tra i fili della realtà e dell’apparenza1, non trovando mai una soluzione definitiva; l’unica costante è il non raggiungimento del Paradiso Terrestre. Ma possono convivere tesi e antitesi? Humboldt ci dimostra che è possibile. Nell’ultimo capitolo (Capitolo IV, Dalla Dialettica dell’Illuminismo alla formazione

del compromesso) analizzo come sia possibile che in un testo scientifico convivano

due affermazioni contrapposte. Il testo di riferimento è la Dialettica dell’Illuminismo di T. Adorno e M. Horkheimer, fondamentale per spiegare il parallelo tra la dialettica presente nel testo humboldtiano e quella dell’Illuminismo come concetto epocale. In particolare l’attenzione cade sul capitolo di Odisseo: egli domina e inganna il mito, ma a sua volta sarà dominato dal mito stesso, in quanto la sua sete di conoscenza lo porterà a non fermarsi mai e a fare di lui una vittima e un carnefice allo stesso tempo. Ed ecco il paragone con Humboldt, anche lui, da scienziato, tenta di seguire il dovere della scoperta, va alla ricerca di El Dorado/Paradiso Terrestre per dimostrare la sua “non esistenza”, ma vedremo poi come, in realtà, non faccia che affermare il mito, anche se in termini totalmente diversi rispetto ai suoi predecessori. Un frase chiave nel testo ci indica il suo messaggio: “sono stati commessi molti errori ma, come sappiamo, in ogni favola c’è un fondo di verità”; ecco che vediamo il rigore scientifico cedere, ecco che

1 L’esempio che utilizzo per spiegare questo divincolarsi è quello della lente colorata, di cui ci parla lo

(11)

11

vediamo il passaggio stilistico, sempre nel testo, da una descrizione ed enumerazione di fatti ed esperimenti scientifici ad una vera e propria narrazione, dalle leggende del passato alle più recenti spedizioni nel nuovo continente, dove egli tenta di correggere gli errori, di misurazione e valutazione, commessi, ma indicandoci comunque il punto in cui si trova il Paradiso. Perciò egli crea un compromesso, utilizzando la terminologia del teorico della letteratura Francesco Orlando, poiché egli nel dirci “qui il Paradiso non esiste”, allo stesso tempo afferma e nega il mito; lo nega in termini scientifici, lo afferma in quelli narratologici e mitici (comunicandoci inoltre che lui crede, seppur in minima parte, nell’esistenza del Paradiso). Tutto questo lo fa non discostandosi da quello che il rigore scientifico gli impone, il cambio di stile appunto, suggerisce allo stesso tempo e il distacco dalla materia letteraria, e la presenza della tradizione che, né per lui né per noi, potrà mai sparire del tutto. Si può quindi dire che questo ritorno alla fine dell’Illuminismo, del Paradiso Terrestre è un concetto che è stato represso ma non rimosso; e si può anche affermare come Humboldt sia a tutti gli effetti un Ulisse della modernità.

(12)

12

C

APITOLO

P

RIMO

L

E

O

RIGINI DEL

M

ITO

In questo primo capitolo verrà esaminato il Paradiso Terrestre, cosa rappresenti per la tradizione cristiana, da dove derivi la concezione di cui ne abbiamo oggi e come esso nel tempo sia stato interpretato. Ma oltre a questo viene preso in esame un altro mito, di origine pagana, che ad un certo punto nella storia viene associato, grazie alla sue caratteristiche, a quel Paradiso Terrestre della Genesi: si tratta del mito di El Dorado. È il capitolo della tesi, dove vengono esposti i fatti realmente accaduti, descritti nei resoconti storici, tra il Vecchio ed il Nuovo Continente e come questi contengano elementi provenienti dalla letteratura. Una fusione che ha confuso tutti i viaggiatori susseguitisi da Alessandro Magno ad Alexander von Humboldt, facendo perdere di vista il confine della verità rispetto alla finzione, ma che non ha impedito, nel corso dei secoli, ad ogni tipo di avventuriero di partire alla ricerca del primario oggetto di desiderio, il suddetto Paradiso Terrestre. L’attenzione si rivolge in particolar modo,

(13)

13

oltre alla tradizione cristiana, a quella germanica e quella classica, per poi sfociare, nel secondo capitolo, alla riemersione del mito di El Dorado, affinatosi dopo la scoperta dell’America.

I.1 Il mito del Paradiso Terrestre oltre il Cristianesimo

Prima che approdasse al cristianesimo, la concezione del Paradiso Terrestre si trovava già in molte religioni (monoteiste e politeiste) e in esse persiste tutt’oggi.Era già nella mitologia sumera col nome di Dilmun ed era situato nei pressi del golfo Persico, a sud delle terre sommerse, un luogo anch’esso dove non si trovavano né malattie né morte e vi risiedeva il dio Enki. Conobbero poi il mito gli Indi, gli Egizi, gli Irani, i Cinesi, i Greci, i Latini, i Celti ed i Germani.

I libri sacri dell’India ed il Mahabharata celebrano il Monte Meru, da cui sgorgano i quattro grandi fiumi.

Agli Egizi, molto probabilmente, appartenne in origine la credenza degli Orti delle

Esperidi, che serbavano lungo ricordo di una età felicissima, vissuta dagli uomini sotto

la mite dominazione di Ra, l'antichissimo dio del Sole. I Cinesi, coronarono il

Kuen-lun di un Paradiso, dove vi sono alberi meravigliosi e dove sorgono molto fiumi.

In tutti questi miti vi sono elementi comuni: alberi e frutti datori di vita e di scienza, fonti della giovinezza, fiumi che fecondano la terra, felicità, trasgressione e caduta che fanno passare da un periodo di estrema gaiezza e prosperità, ad uno di lunga miseria. Nel mito si trovano tracce dell’antichissimo culto della natura: l’albero della vita è il nutrimento, mentre l’albero della scienza è quello delle risposte.

(14)

14

In molte di queste religioni il Paradiso non è situato in una vasta pianura isolata, ma su di un monte, come ben specificato dai testi sacri dell’India, uno spazio sconfinato che si trova su una cima altissima, irraggiungibile per un corpo mortale. Anche il regno dell’Asgard germanico si trova in cima ad un monte. All’altro estremo c’è la credenza che il Paradiso si trovasse su di un’isola, in riferimento principalmente all’isola di

Avalon, di cui si narra nel ciclo

arturiano e dove re Artù, ferito in battaglia, vi fu portato e salvato dalla

morte. Un’altra leggenda, narrata da Giraldo Cambrense, parla dell’esistenza di due isole poste in un lago dell’Irlanda, una della vita ed una della morte. In mezzo a questi due estremi si trova un’altra interpretazione che circoscrive, in un certo senso, i confini del Paradiso. Sono confini ben difficili da chiarire perché, secondo questa interpretazione, esso è stato immaginato come una città o comunque una fortificazione cinta da un muro2 la cui cima non è visibile ad occhio nudo, però nessuno ha mai saputo dire con esattezza quanto estesa fosse la zona che la recinzione delineava. Attestazioni di Tertulliano o Lattanzio parlano di una barriera fatta di fiamma viva; parole ribadite nel Medioevo da Isidoro di Siviglia. L’ipotesi di un muro altissimo costituito di fuoco ardente trova un riscontro nella saga raccolta nell’Edda, ovvero testi che narrano storie della mitologia norrena in prosa ed in poesia dove il castello in cui dorme la valchiria Sigurdrifa per decreto di Odino, è circondato dalle fiamme. Nell’Edda poetica in particolare, si

parla del regno di Asgard le cui fiamme fanno ribollire tutte le acque, per cui tutti gli dèi devono attraversare ogni giorno il Bifrost, per recarsi in assemblea presso l’Yggdrasil, il frassino leggendario che sostiene il mondo, tranne Þórr. “Kǫrmt ok Ǫrmt ok Kerlaugar tvær, þær skal Þórr vaða hverjan dag

Figura 1: Un’illustrazione del Bifrost germanico, il ponte che collega l’Asgard col mondo terreno.

(15)

15

er hann dæma ferr at aski Yggdrasils, þvíat Ásbrú brenn ǫll loga, heilǫg vǫtn hlóa. Kǫrmt e Ǫrmt e i due Kerlaugar,

questi deve Þórr guadare ogni giorno

quando in consiglio si reca al frassino Yggdrasill, poiché Ásbrú

arde tutto di fiamme, ribollono le sacre acque”3.

Da qui anche un’altra credenza medievale ritenente che il Paradiso non fosse una vasta vallata, ma una città od un castello ben chiusi, come ci mostrano le varie cartografie del tempo, in particolare quella di Giovanni Leardo, risalente al 14484. Allo stesso modo viene anche descritto il Vara, o paradiso iranico dell’Yima, il quale era cinto da un muro e contenente molti palazzi. Caso a parte sono due leggende che hanno avuto molto successo nel Medioevo, anch’esse responsabili della vasta circolazione del mito del Paradiso: quella del Prete Gianni e quella di San Brandano.

I.1.1 La lettera di Prete Gianni

Prete Gianni è un personaggio leggendario di cui si hanno le prime notizie nell’Anno Domini 1165, quando l’Imperatore di Costantinopoli, Manuele I di Comneno, ricevette una lettera il cui mittente si presentava come “Presbiter Iohannes5, Dominus Dominatium”6 Questa raccontava come nel lontano est, al di là delle regioni occupate

3 Edda Poetica, Discorso di Grimnismal, stanza

29

4 Vedi Appendice A con le antiche mappe dei

manoscritti

5 [Questo nome ha ricevuto differenti

spiegazioni a seconda dell'interpretazione che si è data alla leggenda dello stesso monarca. Il primo elemento del nome è stato messo in relazione (Yule) con l'epiteto di ὁ πρεσβύτερος che assume S. Giovanni Evangelista nella seconda e terza delle sue epistole; un cronista medievale (Giovanni di Hildesheim) credeva

che Presbyter fosse un titolo assunto dal sovrano in quanto egli era superiore a tutti gli altri monarchi, come gli ecclesiastici sono superiori ai laici; altri hanno visto nel titolo di Presbyter un'allusione alle idee correnti nell'Egitto medievale circa i re cristiani di Nubia celebranti la messa sugli altari; altri (Paez) alla dignità di diacono che aveva effettivamente il sovrano dell'Etiopia.] Fonte: Enciclopedia Treccani Online

(16)

16

dai musulmani, oltre quelle terre che i crociati avevano cercato di sottrarre al dominio degli infedeli, ma che al loro dominio erano tornate, fioriva un regno cristiano.

“Terra nostra melle fluit lacte habundat. In aliqua terra nostra nulla venena nocent nec garrula rana coaxat,

scorpio nullus ibi, nec serpens serpit in herba.

Venenata animalia non possunt habitare in eo loco nec aliquos laedere. Inter paganos per quandam provinciam nostram transit fluvius, qui vocatur Ydonus. Fluvius iste de paradiso progrediens expandit sinus suos per universam provinciam illam diversis meatibus, et ibi inveniuntur naturales lapides, smaragdi, saphiri, carbunculi, topazii, crisoliti, onichini, berilli, ametisti, sardii et plures preciosi lapides. Ibidem nascitur herba, quae vocatur assidios, cuius radicem si quis super se portaverit, spiritum immundum effugat et cogit eum dicere, quis sit et unde sit et no men eius. Quare immundi spiritus in terra illla neminem audent invadere. In alia quadam provincia nostra universum piper nascitur et colligitur, quod in frumentum et in annonam et corium et pannos commutatur. Est au tem terra illa nemorosa ad modum salicti, plena per omnia serpentibus. Sed cum piper maturescit, accendunt nemora et serpentes fugientes intrant cavemas suas, et tunc excuti tur piper de arbusculis et desiccatum coquitur, sed qualiter coquatur, nullus extraneus scire permittitur7.

Alla fine del XII secolo, Ottone, abate dell'abbazia di San Biagio nella Foresta Nera, continuando la Chronica di Ottone di Frisinga, partecipante alla seconda crociata, riferì

7 “21. La nostra terra stilla miele ed è ricolma di latte. In qualche sua parte nessun veleno fa danno né

gracida la garrula rana non v’è scorpione, né serpente che strisci nell’erba. Gli animali velenosi non possono abitarvi né far male ad alcuno. 22. Tra i pagani, in una delle nostre province, scorre un fiume che chiamano Indo. Questo fiume, che sgorga dal Paradiso, distende i suoi meandri in bracci diversi per l’intera provincia e in esso si trovano pietre naturali, smeraldi, zaffiri, carbonchi, topazi, crisoliti, onici, berilli, ametiste, sardonici e molte altre pietre preziose. 23. Nel fiume nasce anche un’erba che chiamano assidio e se qualcuno ne porta su di sé la radice scaccia lo spirito maligno e lo costringe a dire chi sia e di dove venga e il suo nome. Ecco perché, in quella regione, gli spiriti maligni non osano invasare nessuno.” Un esempio di come Prete Gianni descrive le sue terre. (A cura di) Zaganelli Gioia, Lettera a Prete Gianni”, par. 21-25, pag. 57-59, Pratiche Editrice, 1992

(17)

17

di un suo colloquio in Siria con un vescovo monaco che gli aveva parlato di un’autorità cristiana, re e sacerdote, che regnava su un grande impero posto oltre l'Armenia e la Persia, ma prima dell'India e della Cina. Fra' Giovanni da Pian del Carpine, nella cronaca dei suoi viaggi (Historia Mongalorum) narra di come Ogüdai, successore di Gengis Khan, era stato sconfitto dai sudditi di un re cristiano, il Prete Gianni, ed il popolo che guidava che era conosciuto come quello degli «Indiani chiamati Saraceni neri, o anche Etiopi».

Ad ogni modo è grazie alla prima lettera all’imperatore che la città-stato di Prete Gianni divenne famosa e non solo accrebbe il desiderio di visitare questa terra meravigliosa, ma alcuni credettero che questo regno custodisse il Santo Graal, o che addirittura lì si trovassero la fonte dell'eterna giovinezza ed il Paradiso Terrestre. L’esistenza di questo regno rimase comunque un accenno per secoli quando fu ripreso da due grandi compilatori di scritti di viaggi: Marco Polo e John Mandeville. Se il primo accenna solamente le diatribe tra il Prete Gianni e Gengis Khan, Mandeville ne fornisce una descrizione chiara e dettagliata: era una regione molto difficile da raggiungere poiché nel mare attorno alle isole del regno si trovavano rocce di calamita che attiravano le navi a sé e bloccavano il cammino dei naviganti che erano destinati alla morte, distese e fiumi di sabbia sempre in movimento che nessun uomo, con nessun mezzo poteva passare, ma vi erano anche meraviglie di ogni genere come la grande quantità di pietre preziose, natura ricca di animali e alberi e un fiume che, come racconta lo stesso Prete Gianni, sgorga dal monte del Paradiso. Per tale motivo il regno di questo imperatore viene associato al Paradiso Terrestre.

Purtroppo, specialmente a causa delle troppo generiche informazioni ricavabili dalla lettera, tutti i viaggiatori che si erano avventurati in terre sconosciute non sono mai riusciti a trovare questo luogo meraviglioso, né indizi concreti che ne provassero davvero l’esistenza per cui divenne opinione comune che nessun uomo potesse trovarlo, e nel caso si fosse riuscito, vi era l’impossibilità di penetrarvi.

“12. In tribus Indiis dominatur magnificentia nostra, et transit terra nostra ab ulteriore India, in qua corpus sancti Thomae apostoli requiescit, per desertum et progreditur ad solis ortum, et redit per declivium in Babilonem desertam iuxta turrim Babel. 13. Septuaginta duae provinciae servium nobis, quarum

(18)

18

pacuae sunt christianorum, et unaquaeque habet regem per se, qui omnes sunt nobis tributarii”8

La stessa vicenda di Prete Gianni è rimasta nei secoli solo una leggenda, una sorta di araba fenice, perché molti hanno parlato di queste terre e di quest’uomo potentissimo, ma nessuno ha mai potuto verificarne l’effettiva realtà.

I più audaci nell’intraprendere viaggi di tale misura erano i monaci e tra questi, uno dei più importanti fu San Brandano.

I.1.2 La Navigatio Sancti Brandani

San Brandano, di origini irlandesi, fu abate di Llancarvan e Clonfert e, oltre alla leggenda creata da autori più tardi, egli compì veramente un viaggio, di cui parla nel libro che egli scrisse al suo ritorno: De Fortunatis Insulis9, che sposterebbe la

collocazione del Paradiso Terrestre da Oriente a Occidente. Dal primo racconto, scritto in gaelico, che aveva redatto il santo, ha attinto l’autore per creare la prima versione latina noto col titolo di Navigatio Sancti Brandani10. Questo testo narra di come Brandano, udito il racconto di San Barinto, che gli riferì di aver visitato una terra meravigliosa e di essere poi arrivato all’Isola della promessione dei santi piena di ogni delizia, che dura dal principio del mondo e del suo ritorno, ebbe il desiderio di visitare anche lui questi luoghi. Consigliatosi con i monaci decise di partire e si recò all’estremità della sua terra dove vivevano i suoi genitori; arrivato laggiù, con i suoi, costruì un’imbarcazione per compiere il viaggio. Durante il percorso si imbatterono in diverse isole in ognuna delle quali si trovavano stranezze e meraviglie di ogni genere, pericoli da affrontare, come il mostro marino che stava per inghiottirli finchè un altro

8 “12. La nostra Sovranità si estende sulle tre Indie e dall’India Maggiore, dove riposa il corpo

dell’Apostolo Tommaso, i nostri domini si inoltrano nel deserto, si spingono verso i confini d’Oriente e ripiegano poi verso Occidente sino a Babilonia deserta, presso la torre di Babele. 13. Settantadue provincie sono a noi sottoposte e di esse poche sono cristiane e ognuna ha un suo re e ognuno di essi ci paga tributi”. (A cura di) Zaganelli Gioia, “Lettera a Prete Gianni”, par. 12-13, pag. 55, Pratiche Editrice, 1992

9 Trattato che si trova nella redazione della vita del santo, negli Acta Sanctorum.

10 Le redazioni della leggenda sono tre: il racconto gaelico, la Navigatio e testi tedeschi e olandesi che

(19)

19

non sopraggiunse per combattere con il primo, incontrarono Giuda che sedeva su una pietra in mezzo all’oceano. Alla fine del settimo anno giunsero presso un’isola circondata da una luce intensa, quella era la terra della promissione, l’isola paradisiaca che avevano cercato per molto tempo. Ivi trovarono tutto quello che conteneva il racconto di San Barinto e dopo aver fatto un voto a Dio, presero la via del ritorno. Questa testo riporta delle incongruenze con le redazioni gaelica e tedesca, poiché nella prima non è riportato il racconto di San Barinto, mentre nella seconda il Paradiso Terrestre è descritto in maniera molto più ampia rispetto alla Navigatio, dove in quest’ultima si trova così:

“E avendo compiuto lo lodo di Dio e’ dismontano tutti in terra di nave, incontanente e’ vidono quella terra più preziosa che tutte l’altre terre pe lla sua bellezza e pe lle maravigliosa e graziose cose dilettevole che v’erano dentro sì come di belli e chiari e preziosi fiumi co lle sue acque molto dolcissime e fresche e soave, ed eravi alberi di molte maniere tutti preziosi di preziosi frutti, e assai eravi rose e gigli e fiori e viole e erbe e ogni cosa odorifera e perfette in sua bontà. Ed eravi uccelletti cantatori d’ogni dilettevole natura e tutti cantavano ordinatamente dolcissimo e soave canto: ben pareva veramente tempo dilettevole a modo di dolce primavera. Ed eravi le strade e lle vie tutte lavorate d’ogni natura, pietre preziose, ed eravi tanto bene che molto rallegrava lo cuore di tutti quelli che lla vedeva co lli occhi, ed eravi bestie dimestiche e salvatiche d’ogni maniera, andavano e stavano a lloro piacere e volontà, e tutte stavano insieme dimesticamente sanza volersi fare niuno male o alcuna noia l’una all’altro; ed eravi uccelli per questo modo e stavano insieme somigliatamente. Ed eravi vigne e pergole sempre ben fornite di preziose uve che lla sua bontà e bellezza avanza tutte l’altre.”11

In questo testo, il Paradiso è descritto con troppa sobrietà dato che lo scopo del viaggio era proprio la scoperta di questo luogo divino, e dopo la tortuosa ricerca, l’aspettativa era di una descrizione prolissa e ricca di attributi. Ciò nonostante il resoconto di questa Isola che San Brandano visitò, lasciò nell’uomo un forte desiderio e un lungo ricordo.

11 Dalla Navigatio Sancti Brandani, a cura di Grignani Maria Antonietta, Bompiani, 1975. Cap.XXXII,

(20)

20

La grandezza della leggenda che si è creata non ha eguali e grazie a questo testo per tutto il Medio Evo si credette fermamente nell’esistenza del Paradiso Terrestre. Nonostante i contrasti con gli altri racconti e le varie teorie, come appunto quella riguardante il Prete Gianni, il punto preciso venne rappresentato in gran parte delle cartografie dell’epoca. Dall’estremo Oriente il Paradiso Terrestre si vede rappresentato nelle zone occidentali: in alcune circa presso la latitudine dell’Irlanda o più a Nord, in altre a Ovest delle Isole Fortunate, o Canarie. Nel globo di Martino Behaim (fig. 2), datato 1492, l’isola divina è rappresentata in prossimità dell’Equatore, come si vede nella figura nella pagina seguente.

(21)

21

(22)

22

I.1.3 L’imposizione dell’ideologia cristiana sul resto del mondo

Prima che il cristianesimo diventasse, nel IV secolo d.C., il più importante fenomeno religioso dell’impero, fu una parte del processo di diffusione dei culti Orientali in Occidente. Con le conquiste romane ben oltre fuori dall’odierna Europa, vengono a confluire molti culti, come ad esempio il culto di Iside e Serapide in Egitto. Processo reso possibile dalla apertura della religione romana, la quale aveva inglobato divinità italiche, poi greche e andando avanti, da ogni parte dell’impero. La diffusione di religioni e credenze viene resa possibile anche grazie, nel I e II secolo d.C., all’incremento delle vie di comunicazione tra le provincie dell’impero, ma il principale fattore di successo dei culti Orientali fu l’inadeguatezza della religione romana, che non colmava le ansie spirituali degli individui: essa offriva poco spazio all’esperienza del singolo nella vita religiosa e si era bloccata su rituali talmente formali che il rapporto con la divinità assumeva più l’aspetto di un contratto. A differenza di ciò, i culti orientali offrivano prima di tutto un coinvolgimento in prima persona dell’individuo, ognuno aveva la propria sacra storia e delle divinità che mano a mano venivano rivelate all’individuo secondo dei riti di iniziazione, i quali introducevano il singolo alla comunità religiosa rendendolo parte attiva. Inoltre la religione tradizionale romana non prevedeva la preparazione dell’uomo alla vita dopo morte, mentre i culti misterici12 (definiti tali poiché erano accessibili individualmente a tutti e coperti dal più rigoroso segreto) stabilivano un preciso rapporto tra la condotta terrena e la vita nell’aldilà, perciò offrivano nuove attese e speranze rassicurando le anime ansiose. Ma mentre questi culti orientali non nuocevano allo status quo dei culti locali, poiché basati entrambi sul politeismo, il caso del cristianesimo, il quale invece è caratterizzato da un rigido monoteismo, fu presto avvertito come rifiuto della religione ufficiale e quindi come minaccia.

Dopo la sottomissione romana nel 63 a.C. e l’annessione all’impero come provincia, la religione in Palestina era caratterizzata dalla presenza di sètte, le principali erano quattro: Sadducei, Farisei, Zeloti ed Esseni. Queste, ad esclusione di quella dei

12 Con il termine misteri (dal greco μυστήριον [mysterion], poi in latino mysterium) si vogliono indicare

i culti di carattere esoterico che affondano le loro radici nelle antiche iniziazioni primitive e che si diffusero in tutto il mondo antico greco e medio-orientale, con un particolare sviluppo in età ellenistica e successivamente in epoca romana.

(23)

23

Sadducei, avevano come peculiarità in comune l’attesa della salvezza; Dio non avrebbe abbandonato quel popolo alle altre dominazioni, sarebbe venuto il giorno in cui Egli avrebbe manifestato la sua potenza e la sua giustizia. Questa nuova epoca si sarebbe realizzata soltanto con una seconda Creazione, al culmine di questo nuovo mondo ci sarebbe stato il Giudizio Finale che avrebbe distinto i buoni dai malvagi condannandoli alla dannazione eterna. L’instaurazione del nuovo regno d’Israele sarebbe stata opera del Messia, che inizialmente era rappresentata come figura pienamente umana, mentre in seguito sarà concepita come ente sovraumano, a metà tra l’uomo e il Dio. Credenza che ebbe un’importanza rilevante per la nascita del cristianesimo.

La vera nascita del cristianesimo si ebbe dall’avvento e dalla predicazione di Gesù, che lo definirono ben presto il Cristo (dal greco Christòs, che ha lo stesso significato dell’ebraico Mashiah, Messia) e della sua vita ne parlano, quasi esclusivamente, i quattro Vangeli degli apostoli Matteo, Marco, Luca e Giovanni. La loro certezza storica è stata messa in discussione da molti storiografi antichi e studiosi dei testi sacri, ma la loro valenza più che altro è religiosa, con il fine di edificare il popolo cristiano raccontando la vita di Gesù Cristo, il figlio di Dio.

La parola di Cristo, partita dalla Galilea dove raccolse i suoi discepoli fino ad arrivare a Gerusalemme e seguita da guarigioni miracolose e altri prodigi, suscitò l’entusiasmo popolare, ma allo stesso tempo provocò anche dei risentimenti da parte di Farisei e Sadducei perché si rivolgeva prima di tutto ai poveri e diseredati, giudicati più vicini a Dio dei ricchi, e perché proclamava l’esigenza di allontanarsi dai rituali avvicinarsi all’amore di Dio e al prossimo in modo da raggiungere la perfezione morale intima. La classe dirigente giudaica, in accordo con quella romana, decise di intervenire arrestandolo e condannandolo a morte per mezzo della crocefissione. I seguaci di Gesù, sconvolti dalla morte del loro Maestro, trovarono fiducia nella speranza dell’ascesa del Cristo alla destra di Dio grazie alla resurrezione, tornando così alla sua gloria. Il messaggio si diffuse rapidamente tra i primi cristiani ai quali si aggiunsero molti altri seguaci.

L’unica differenza in quel momento, tra giudei e cristiani, era il Messia, che per i primi era ancora atteso, mentre per i secondi si era manifestato in Gesù; a separare ancora di

(24)

24

più queste due religioni fu San Paolo, Paolo di Tarso, definito il padre della teologia cristiana. Egli era stato educato secondo la fede giudea, ma era stato influenzato anche dalla cultura ellenica diffusa in tutte le città a oriente del Mediterraneo; la sua conversione al cristianesimo fu improvvisa, negli Atti degli Apostoli si narra di una folgorazione:

“[6] Mentre ero in viaggio e mi avvicinavo a Damasco, verso mezzogiorno, all'improvviso una gran luce dal cielo rifulse attorno a me; [7] caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? [8] Risposi: Chi sei, o Signore? Mi disse: Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti. [9] Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono colui che mi parlava. [10] Io dissi allora: Che devo fare, Signore? E il Signore mi disse: Alzati e prosegui verso Damasco; là sarai informato di tutto ciò che è stabilito che tu faccia. [11] E poiché non ci vedevo più, a causa del fulgore di quella luce, guidato per mano dai miei compagni, giunsi a Damasco.”13

Così da persecutore dei cristiani, incaricato dalle alte sfere religiose ebraiche, diventò parte del culto di Cristo, dedicandosi immediatamente ad una intensa attività missionaria sia per terra che per mare, nel corso di una di queste fu arrestato e, una volta a Roma, condannato a morte. L’importanza di Paolo nella diffusione del cristianesimo fu enorme: oltre a sostenere la necessità di diffondere il culto tra i pagani, predicò anche un messaggio privo di osservanze rituali, come la circoncisione o l’astinenza assoluta da alcuni cibi, come il maiale per la religione ebraica, il che rendeva la conversione dei pagani più facile ed entusiastica.

La religione cristiana, prima di arrivare ad una sua completa definizione, passò attraverso una serie di controversie che si protrassero per quasi tutta la tarda latinità, fino ad arrivare a Costantino, che invece di vedere il popolo cristiano come una minaccia politica, lo vide come un punto di forza e proclamò, con l’Editto di Milano nel 313 d.C., la libertà di culto e la restituzione dei beni confiscati. In seguito quindi, ottenuta la libertà, il cristianesimo si trovò di fronte a problematiche dottrinali che risolsero inizialmente con la creazione di un ordinamento ecclesiastico, ma restava comunque labile sul piano teorico. Mentre si decideva l’assetto della dottrina, si

(25)

25

vennero a creare le prime eresie14, come l’Arianesimo, da Ario (IV secolo) che sosteneva la subordinazione e non la parità del Cristo verso Dio. Il Concilio servì anche come scossa per definire tutte le basi necessarie del culto.

Una seconda fase della Chiesa è definita “Patristica”, cioè un corpus di commenti alle scritture e testi creati dai “Padri della Chiesa” in base alla tradizione classica greco-romana e giudaica.

Tra il IV e il V secolo si verificò una profonda crisi dell’impero, che arrivò ad un punto talmente alto da generare sconforto ad ogni livello. La speranza vanificata nel mondo terreno, si trovava solo in Cielo.

Il Cristianesimo divenne l’unica religione con Teodosio nel 391 d.C.: nacque una nuova istituzione molto forte, che puntava al cuore dell’uomo, un culto monoteista che da debole era passato ad essere forte e deciso. La Chiesa riempì il vuoto morale che si era creato nell’umanità e si fece carico di mantenere la giustizia. Proprio in nome della giustizia non fu più possibile esprimere opinioni contrarie a quelle del potere, l’autorità civile si unì a quella religiosa ed arrivò ovunque. L’imperatore Giuliano tentò un ritorno al politeismo, ma fallì, dal momento che la fede cristiana era diventato un caposaldo dell’umanità. Inoltre, ad incrementare le adesioni alla fede cristiana e alla Chiesa, fu il fatto che le incursioni e gli assalti dei popoli stranieri stavano aumentando e l’impero non era più in grado di garantire alla popolazione quella sicurezza che invece aveva trovato nella religione. L’esistenza terrena era perennemente in bilico. Si era rafforzata l’autorità papale, prima di tutti quella del vescovo di Roma in quanto successore di Pietro, e si era affermato il primato del potere spirituale su quello temporale.

Dopo il difficile periodo delle invasioni barbariche, ci fu un incremento ed uno sviluppo dei monasteri, che divennero dei centri molto importanti sotto il profilo ecclesiale, poiché vi si riunivano le parti del clero; economico, perché ogni monastero era in grado di provvedere al proprio sostentamento coltivando e allevando i beni di prima necessità e aiutando i meno abbienti; e spirituale, un luogo dove il pellegrino

(26)

26

ma anche il semplice credente poteva andare a pregare, a sentire la messa o semplicemente a cercare un contatto col divino.

Siamo agli albori del Medioevo e in questo periodo, non solo si ebbe uno sviluppo del sistema monastico, ma anche un incremento dell’espansionismo del verbo cristiano, partendo dalla propagazione dei punti cardini della religione. Vescovi e missionari si dedicarono all’evangelizzazione dei popoli pagani e ariani ed è da questo momento in poi che si svilupperà il senso del viaggio: la partenza per un luogo sconosciuto con un fine primo, ovvero la religione. Questi ambasciatori infatti, non si limitavano soltanto a cercare di convincere i popoli alla conversione, ma tenevano anche dei veri e propri diari di viaggio, in cui descrivevano la vita delle genti che incontravano o le diversità che in cui si imbattevano durante il percorso.

L’attendibilità dei contenuti è spesso poco credibile oggigiorno, dal momento che alcuni diari contenevano dei saggi su bestie mostruose e persone dall’anatomia completamente stravolta; caratteristica che deriva soprattutto dalla tradizione Alessandrina dato che Alessandro Magno, durante le sue spedizioni, aveva al suo seguito religiosi, scrittori e scienziati, che attestavano tutto quello che incontravano nel loro percorso, tra cui anche le bestie meravigliose ritrovate in India. Al di là della credibilità o meno, l’intento di questi racconti era quello di convincere il popolo cristiano che esso era l’unico creato a immagine e somiglianza di Dio, o in altri casi si screditava la credenza delle creature magiche o mostruose perché Dio in quanto perfetto e in quanto l’uomo è stato creato a sua immagine e somiglianza, non poteva aver creato qualcosa che non lo fosse.

I.2 Conformazione generale del Paradiso Terrestre

Dall’introduzione a questo studio si è visto come la vera origine della tradizione paradisiaca sia a tutti gli effetti nel Testo Sacro dell’Antico Testamento, precisamente nel libro della Genesi (sia per l’ebraismo che per il cristianesimo). Dio, Elohim per gli ebrei, al momento della creazione pone i primi due esseri umani, Adamo ed Eva, nel

(27)

27

giardino dell’Eden15. Quello a cui si pensa istintivamente quando si parla di Paradiso è un giardino, un bellissimo giardino attraversato da un fiume, ricco di alberi di ogni genere, la più disparata vegetazione e popolato da tutti gli animali del creato i quali convivono in perfetta armonia tra loro. La vita al suo interno non conosce fine e vi è assenza di peccato.

Il paradiso è quindi il locus amoenus per eccellenza e rappresenta una delle mete più ambite per l’uomo, proprio per tutti i motivi sopra elencati. Ad ogni modo, prima della diffusione del cristianesimo, non veniva solo intercettato da studiosi e dai primi viaggiatori, ma, a seconda delle interpretazioni e della religione di appartenenza, veniva descritto nei minimi dettagli e posizionato in un qualche punto del globo fino ad un dato momento scoperto e/o immaginato.

Nel paradiso si trovano le piante aromatiche, come attestano Tertulliano e Sant’Agostino, arcivescovo di Alessandria, ogni genere di pianta e fiore, compresi l’albero della vita e quello della conoscenza16. Le piante medicinali ricoprivano anche il monte Meru e l’isola di Avalon. Tutti i poeti concordano per il fatto che ogni pianta non ha bisogno di alcuna coltura, e anche se non pioveva mai, rimanevano sempre verdi e fresche e avevano contemporaneamente sullo stesso ramo il fiore appena sbocciato e il frutto maturo.

All’interno poi si trovava una fonte che irrigava tutto il paradiso e da cui nascevano i quattro fiumi; c’è da dire che nel testo biblico però non si accenna alle sue proprietà, l’idea venne agli interpreti poiché la fonte è posizionata accanto all’albero della vita, per cui la comunanza era spontanea. Nel paradiso indiano c’è la fonte Ganga dalla quale nasce il Gange, ma è comunque un’idea che si protrae anche nelle leggende e nei racconti storici, come quello di Pseudo-Callistene sulla vita e le spedizioni di Alessandro Magno, dove si afferma che l’imperatore abbia trovato la fonte della giovinezza e con essa la città mitica di El Dorado. La fonte donatrice di vita si trova anche nelle fiabe popolari come in quella dei fratelli Grimm “Das Wasser des

15 Èden s. m. [dall’ebr. ῾ēden, che in origine significò «campagna», e poi anche «piacere, delizia»]. 1.

Nell’Antico Testamento, nome del luogo (più spesso con iniziale maiuscola) dove s’immaginava fosse il paradiso terrestre, ossia «il giardino di Eden» (Genesi 2, 8 e 15). 2. Per estensione, luogo incantevole: un parco meraviglioso che è un vero e.; stato piacevole, felice: vive indisturbato nel suo eden.

16 Come è attestato anche nel Talmud ebraico, anche se è una caratteristica che permane in altre

(28)

28

Lebens”17. Nel “Combattimento di Adamo” le acque che si formano e sgorgano nei quattro fiumi hanno origine dall’albero della vita.

Ad ogni modo nelle leggende medievali sul paradiso, si parla esplicitamente di una fontana della vita anche senza un preciso riferimento biblico; è una fontana che sgorga anche nel Paese della Cuccagna e in quello di Prete Gianni18, come si visto anche nel paragrafo precedente. La fonte fu una preda molto più ambita del paradiso nella sua totalità. Nel 1512 Ponce de Leon, lo scopritore della Florida, organizzò appositamente una spedizione per cercarla nell’isola di Bimini, da cui credeva scaturisse.

I quattro grandi fiumi che hanno origine all’interno del paradiso sono un enigma tutt’oggi da sciogliere perché se Tigri ed Eufrate sono certi, il Frison ed il Gihon sono apparentemente incollocabili per cui, nel corso dei secoli, studiosi ed esegeti dei testi si sono sbizzarriti con la formulazione di varie teorie: una di queste ad esempio, suppone che il Gihon sia il Nilo, lo stesso Giuseppe Flavio, afferma che i quattro grandi fiumi del Paradiso Terrestre siano il Gange, l’Eufrate, il Tigri ed il Nilo. Per di più, come già attestato da Tertulliano, oltre ai corsi d’acqua si pensava che nel Paradiso vi fosse l’esistenza di canali in cui scorreva latte, altri in cui fluiva l’olio e ancora vino e balsamo. Non manca certo il fiume carico di pietre preziose di ogni genere, di cui si hanno attestazioni in Maometto, nella cultura Azteca e nella lettera di Prete Gianni all’imperatore Manuele:

“Fluvius iste de paradiso progrediens expandit sinus suos per universam provinciam illam diversis meatibus, et ibi inveniuntur naturales lapides, smaragdi, saphiri, carbunculi, topazii, crisoliti, onichini, berilli, ametisti, sardii et plures precioses lapides”19.

Per Brunetto Latini, il fiume in cui scorrono le pietre preziose è l’Eufrate, ma secondo Giordano da Sévérac si trova abbondanza di gemme in tutti e quattro i fiumi.

17 Tradotto: L’acqua della vita.

18 Sulla conformazione dello stato in cui era re Prete Gianni, si veda Appendice B, con i testi integrali 19 “Questo fiume, che sgorga dal Paradiso, distende i suoi meandri in bracci diversi per l’intera provincia

e in esso si trovano pietre naturali, smeraldi, zaffiri, carbonchi, topazi, crisoliti, onici, berilli, ametiste, sardonici e molte altre pietre preziose”. (A cura di) Gioia Zaganelli, La Lettera del Prete Gianni, pag. 59, Pratiche Editore 1992.

(29)

29

Dal libro della Genesi non è dato sapere con esattezza chi abitasse dentro al Paradiso (e se vi abitasse qualcuno); sappiamo solamente che il primo essere umano a toccare quelle terre fu Adamo e il secondo, la sua compagna Eva. Ad ogni modo, nonostante il Testo Sacro, sono state elaborate delle teorie preadamitiche: con questo termine si intende quella teoria secondo cui esisteva una sorta di doppio di Adamo, la sua parte “celeste”, chiamata col nome di Adam Kadmon, di cui si ha testimonianza nella Prima Epistola ai Corinzi:

“Se c’è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale. Sta scritto infatti che 45. Il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita. 46. Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale. 47. Il primo uomo, tratto dalla terra, è fatto di terra; il secondo uomo viene dal cielo. 48. Come è l’uomo terreno, così sono quelli di terra; e come è l’uomo celeste, così anche i celesti. 49. E come eravamo simili all’uomo terreno, così saremo simili all’uomo celeste. 50. Vi dico questo, o fratelli: carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che si corrompe può ereditare l’incorruttibilità”20.

Sono anche molte le ipotesi e le modalità con cui i due primi esseri umani furono cacciati dal Paradiso Terrestre; queste variano specialmente per l’intensità della pena. Il Corano in particolare, nella sua Sura II21, accentua il contrasto tra l’uomo Adamo e l’angelo superbo Iblis, conducendolo ad effetti disastrosi:

“34 E quando dicemmo agli Angeli: "Prosternatevi ad Adamo", tutti si prosternarono, eccetto Iblîs, che rifiutò per orgoglio e fu tra i miscredenti. 35 E dicemmo: "O Adamo, abita il Paradiso, tu e la tua sposa. Saziatevene ovunque

20 Nuovo Testamento, Prima Lettera ai Corinzi, Meridiani Mondadori. La Prima lettera ai Corinzi è uno

dei testi che compongono il Nuovo Testamento, che la tradizione cristiana e la quasi unanimità degli studiosi attribuisce a Paolo di Tarso, composta probabilmente nel 53/57 d.C.

21 La seconda Sura del Corano è intitolata Al-Baqara (La Giovenca), prende il nome dal verso 67 della

(30)

30

a vostro piacere, ma non avvicinatevi a quest’albero ché in tal caso sareste tra gli empi". 36 Poi Iblîs li fece inciampare e scacciare dal luogo in cui si trovavano. E Noi dicemmo: "Andatevene via, nemici gli uni degli altri. Avrete una dimora sulla terra e ne godrete per un tempo stabilito"”22.

Iblis, condannato a miscredente, si vendica su Adamo ed Eva e, una volta fuori dal regno dei cieli, lo farà anche con tutti gli altri conducendoli nel peccato.

Oltre alla caratteristica di primo uomo Adamo aveva anche quella della conoscenza, sapere connato e non acquisito che veniva superato solo da Cristo. Adamo aveva ricevuto il dono dello scibile attraverso un libro che gli avrebbe donato Dio stesso con la promessa che in punto di morte glielo avrebbe restituito; cosa che non fece e che invece lasciò in eredità al figlio Seth. Nel Testamento di Adamo poi è narrato come egli abbia vissuto prima della cacciata dal paradiso: udivano il suono armonioso che moveva dalle ali dei serafini preganti; udivano la gran voce delle acque le quali, dal profondo adoravano il loro fattore, udivano le preghiere di tutti gli esseri distribuite per le diverse ore del giorno e della notte (Graf 2009). Non è dato con precisione sapere quanto i due, Adamo ed Eva, resteranno in Paradiso, alcuni parlano di ore, come fa ad esempio Dante nel canto XXVI del Paradiso:

“Nel monte che si leva più da l’onda, 140 fu’ io, con vita pura e disonesta,

da la prim’ ora a quella che seconda, come ’l sol muta quadra, l’ora sesta”23.

Altri invece parlano di una permanenza di pochi giorni nonostante le ipotesi più accreditate concedono al loro soggiorno una durata che varia dalle ventiquattr’ore al secolo. Solo i maomettani li fanno restare nel Paradiso per circa cinquecento anni.

22 Corano, Sura della Giovenca, v.v. 34-36

23 Alighieri Dante, Divina Commedia, Paradiso Canto XXVI, v.v. 139-142, a cura di Natalino Sapegno,

(31)

31

Una volta che Adamo ed Eva furono poi cacciati dal Paradiso, non si sa con esattezza dove vissero, molto probabilmente trascorsero l’ultima parte della loro vita sull’isola di Serendib o Ceilan, anche se questa credenza ha un’origine buddista, trasformata poi dai maomettani che a sua volta arrivò ai cristiani portoghesi, i quali rinominarono quel luogo come Pico de Adam, dando celebrità al territorio e alla vicenda.

Ad ogni modo, comune a cristiani ed ebrei, è la credenza secondo cui Adamo ed Eva fossero entrambi all’interno del Paradiso Terrestre quindi chi, per merito della Grazia Divina, scampava alla morte, doveva abitare in un luogo dove la morte non esisteva e non era neanche concepita, dove si trovava l’albero della vita. Nel Libro di Enoch è scritto che sia lui che Elia furono trasportati nel Paradiso Terrestre e che non conoscono la morte grazie alla fonte della vita. I due profeti compaiono di solito estremamente vecchi, fatto che contraddice la teoria secondo cui chi beve dalla fonte della giovinezza, torna giovane anche nell’aspetto fisico. Ad ogni modo Enoch ed Elia non sono mai morti e serbano il corpo che ebbero mentre furono tra gli uomini; non per questo però sono sottratti alla comune legge che affligge tutta la stirpe di Adamo: il momento della loro morte è solo rimandato. Quando verrà il giorno del giudizio dovranno tornare da quelle terre di promissione per combattere l’Anticristo. Egli alla fine li ucciderà, anche se poi, sia Enoch che Elia, riceveranno il dono della resurrezione per essere assunti alla gloria del cielo.

I.3 Paradiso Terrestre e mito di El Dorado si incontrano

Ad un certo punto nella storia la visione tradizionale e cristiana del Paradiso Terrestre si congiunge con l’ideologia classica e, principalmente grazie agli spagnoli, si è iniziato a cercare un altro tipo di paradiso, El Dorado. Il punto storico che ha dato origine a questa confluenza è, senza ombra di dubbio il 1492, anno della scoperta

(32)

32

dell’America di Cristoforo Colombo24. Egli, come insegna la storia, stava cercando di raggiungere le Indie per un’altra via, ovvero la via del mare dalla parte occidentale, circumnavigando il globo dalla parte opposta rispetto a tutte le rotte classiche e medievali fin ora compiute. Con la scoperta dell’America il mondo della geografia, della cartografia e dell’esplorazione è stato totalmente rivoluzionato, certo, vi erano ancora residui della concezione aristotelico-tolemaica secondo cui la terra fosse piatta ma presto sarebbe giunto Galileo che riuscirà a imporre del tutto la nuova visione del mondo conosciuto.

Quello che importa in questa sede è l’allargamento dello spazio terrestre abitabile che non tardò anche a riempirsi di mitologia. Lo stesso Colombo afferma di aver trovato il Paradiso Terrestre ed avendo descritto un luogo ricolmo di oro, questo venne immediatamente associato alla mitica città di El Dorado

L’origine della leggenda si trova in un testo medievale contenente la narrazione mitica dell’età classica sulla vita di Alessandro Magno. Il Romanzo di Alessandro ottenne fama grazie a Juan Ponce de Leon25 il quale partecipò alla seconda spedizione di Colombo, nel 1494, nel Nuovo Mondo e pochi anni più tardi guidò l’esplorazione di una terra sconosciuta che è l’odierna Porto Rico. Ma la vera fase esplorativa di Ponce de Leon si ebbe dopo il revocamento dell’incarico di governatore nel 1511 causato da alcuni contrasti che ebbe col figlio di Colombo, Diego Colombo. Da questo periodo in poi appunto, si diede alla folle ricerca delle acque miracolose citate nel Romanzo di

Alessandro.

I.3.1 Il Mito nel Romanzo di Alessandro

24 Anche se in un piccolo manoscritto genovese del 1449 si trova la testimonianza di Antonio Gallo in

cui si ritiene che il mondo dell’India sia stato trovato dal fratello di Colombo, Bartolomeo, che concepì a Lisbona l’idea di una navigazione verso Occidente.

25 Juan Ponce de León (Santervás de Campos, 1474 circa – L'Avana, luglio 1521) è stato un condottiero

spagnolo che ricoprì la carica di Governatore di Porto Rico dal 1508 al 1511 e dal 1515 al 1519. Si arruolò ancora giovane per entrare in guerra e liberare Granada, l'ultimo possedimento dei Mori nella Penisola iberica. Nel 1493 accompagnò Cristoforo Colombo nel suo secondo viaggio verso il Nuovo Mondo. Nel 1513 sbarcò in quella che oggi è la Florida, per questo è considerato il primo esploratore europeo ad aver messo piede negli Stati Uniti continentali. (Fonte: Enciclopedia Treccani online)

(33)

33

Il primo testo giuntoci è un frammento di 105 ottosillabi, l’Alexandre di Alberic de Pisaçon, scritto molto probabilmente nel 1130. Se in questo troviamo i primi anni di vita e quelli dell’educazione di Alessandro, nel rimaneggiamento di Lamprecht, l’Alexanderlied scritto in Mittelhochdeutsch, troviamo gli eventi narrati fino alla battaglia di Granico e Dario che si prepara alla rivincita. Nel 1170 compaiono ancora tre romanzi, questi in dodecasillabi, di cui però possediamo solo il rimaneggiamento di Alexandre de Bernay: il Fuerre de Gadres, l’Alexandre en Orient e la Mort

d’Alexandre con gli ultimi giorni di vita del re.

L’Asia così favolosa e sterminata, percorsa in lungo e largo dagli eserciti di Alessandro è solo una costruzione letteraria perché alla base di queste storie non ci sono testi storici come quelli di Plutarco o Arriano, ma narrazioni latine di sapore misterioso e leggendario. Il romanzo francese di Alessandro nasce da una sorta di Biblioteca di Babele, traduzioni e compendi che si interpolano tra loro come le Res Gestae Alexandri

Magni di Quinto Curzio Rufo del 40 d.C., o le Res Gestae Alexandri Macedonis di

Giulio Valerio ed il Romanzo di Alessandro del 952 scritto in greco da quello che poi venne definito Pseudo-Callistene. Anche la stessa Lettera di Prete Gianni, nonostante sia un falso, ebbe molto successo e diffusione sia in latino che in volgare.

Il testo di Pisaçon esalta le qualità del cavaliere fin da bambino; tra i suoi maestri spicca Aristotele e, col suo aiuto, Alessandro diventa sempre di più un re dalle doti divine: generoso, cavalleresco e magnanimo. Attraverso la sua figura hanno voluto proporre un trattato di comportamento regale. Il destino del conquistatore del mondo si manifesta già da bambino in un suo sogno: un uovo cade al suolo dalle sue mani, si rompe e ne esce un terribile serpente che fa tre volte il giro del letto per poi tornare nel suo guscio e morire. Dopo le interpretazioni di numerosi indovini, Aristotele decodifica il sogno come un simbolo trionfale: tutta la conquista dell’universo è destinata a lui, l’uovo è il mondo ed il ritorno del serpente nel guscio è il ritorno in patria dell’imperatore. Nonostante questa però sono state date anche interpretazioni più sinistre come quella del saraceno Saligot de Ramier, il quale afferma che l’uovo si rompe a causa della sua fragilità ed il serpente che ne esce è un uomo di animo folle che vorrà fare guerre e mettere piede in terra straniera, ma non si realizzerà nulla di quello che lui vuole e dovrà volgersi indietro come fa il serpente tornando nel guscio.

(34)

34

Il destino di Alessandro è in Oriente e dopo la campagna d’Egitto, si dirige verso la Persia di Dario, poi nelle Indie e nell’Asia più profonda e misteriosa. Spingendosi sempre più oltre, Alessandro non compie più solo un viaggio con intento bellicoso, ma una spedizione esplorativa che lo porta per la via delle spezie, dell’oro, dell’avorio e dell’argento; la sua curiositas lo spinge ben oltre, cosa che lo porta a creare una vera e propria enciclopedia dello straordinario, una specie di libro della natura alla rovescia. L’evento premonitore della grandezza di Alessandro fu quando riuscì a domare il cavallo con la testa di bue, gli occhi di leone e che si nutre di carne umana, Bucefalo. Agli occhi del re Filippo, il giovane Alessandro diventa un grande condottiero, e durante le sue spedizioni, si presentano mostri e bestie di ogni genere come i Cicocefali, i Liotifal, enormi bianchi serpenti a più teste e ogni sorta di animale che poi entrerà a far parte dei cosiddetti Bestiari medievali. Di questi incontri e delle altre gesta straordinarie di Alessandro si hanno delle raffigurazioni in miniatura nel manoscritto più importante che abbiamo oggi, il Manoscritto Bodley 26426; un esempio di queste è l’immersione subacquea di Alessandro nel fiume che, incredibilmente, ricorda una versione primitiva dei nostri moderni sottomarini:

A rivelare poi il suo destino sono gli episodi della Valle del pericolo, quello delle Tre Fontane magiche e quello degli

Alberi del Sole e della Luna. Dopo essere

giunti alla fine del mondo conosciuto, Alessandro e i suoi uomini si trovano chiusi in un Vaus Perilleus27: possono uscirne solo se uno di loro si sacrifica restando lì per sempre e, naturalmente, si

26 Il Manoscritto Bodley 264 è un codice miniato del XIV secolo, conservato alla Bodleian Library

dell'Università di Oxford, contenente, tra l'altro, l'edizione interpolata, e più completa, del Roman d'Alexandre, oltre che un'edizione francese del Milione di Marco Polo. (Fonte: Enciclopedia Treccani online)

27 Definita anche dal Mandeville, Perilous Valley, situata nei pressi del regno di Prete Gianni ed infestata

dai diavoli

Figura 3: Immersione sottomarina di Alessandro Magno, Ms. Bodley 264, folio 50 recto.

(35)

35

offre Alessandro. Una volta rimasto solo, scopre il segreto della valle: vi è un demone con il quale, grazie alla sua astuzia, Alessandro contratta riuscendo a salvarsi. Nel suo cammino di ritorno, incontra quattro vegliardi che gli rivelano l’esistenza di tre fontane magiche: una che resuscita i morti, una che restituisce giovinezza e una che dona l’immortalità. Solo della terza si interessa l’imperatore ed è l’unica che non riesce a trovare. Quest’ultima fontana si può trovare solo un giorno all’anno e solo grazie alla fortuna; a causa di quest’ultima però, dovrà ricadere sullo scopritore una punizione dopo l’immersione nella fontana ed il non più fortunato verrà murato vivo in un pilastro costruito apposta per lui e per l’eternità. Gli alberi del Sole e della Luna sono alberi parlanti che profetizzano ad Alessandro il suo destino e la sua morte oramai prossima: morirà a Babilonia in un anno e otto mesi senza poter rivedere la sua patria; destino che poi alla fine Alessandro accetterà.

Quello che differenzia Alessandro da Carlo Magno o da re Artù è il volere superare i limiti umani senza curarsi dei costumi o interdizioni senza curarsi delle empietà. Oltre a questo, l’animo di Alessandro è mosso da una più che viva speranza di trovare quello che nessun uomo ha mai trovato, fare scoperte grandiose che portano il suo nome. Per cui testi di fantasia e testi storici vengono a fondersi e le narrazioni sull’imperatore vanno ben oltre il mito; uno di questi è appunto la scoperta della fonte della giovinezza, raccontata in un’altra versione rispetto a quella di Pisaçon, della quale troviamo scritto nel romanzo di Pseudo-Callistene:

“Dopo aver camminato per circa cinquanta scheni, trovammo un luogo dove c’era una fonte splendente, la cui acqua brillava come la luce del fulmine: c’erano colà anche moltissime altre sorgenti d’acqua e l’aria di quel luogo era profumata, e non troppo scura. Mi venne fame e volevo qualcosa da mangiare; chiamai perciò il mio cuoco, di nome Andrea, e gli dissi: “Preparaci qualcosa da mangiare”. E lui prese un pesce sotto sale e andò a lavarlo all’acqua splendente di quella fonte; tuttavia, come il pesce fu gettato in quell’acqua, subito riprese vita e scappò via dalle mani del cuoco. Quello si spaventò e perciò non mi raccontò nulla di questo prodigio: lui però prese un po’ di quell’acqua e ne bevve; e poi ne prese ancora poca in un recipiente d’argento e

Riferimenti

Documenti correlati

Bald danach gehen jedoch ihre Erinnerungen auf historisch situierbare Ereignisse zurück: Auf den mit ihnen befreundeten Filmregisseur, der ihr von den Schwierigkeiten erzählte

Given the continuing need to maintain a level economic playing field, Member States considering implementation o f environmental levies (such as taxes, charges

in precedenza, e almeno altrettanto importante: la ritroviamo al di qua e al di là delle Alpi, nel balivato di Savoia, culla della dinastia umbertina, come in quelli di

In this paper, we introduce an entanglement classification of “generic” n-qubit pure states under SLOCC that is based on a finite number of families and subfamilies (i.e., a

The platform is composed by a mechanical structure with five monitors and speakers for infants’ audio- visual stimulation and a gaze tracker to monitor and measure their attention

Se trouve dans le midi de l’Europe en France, en Italie, en Sicile et les iles adjacentes, en Dalmatie, en Grèce, en Macedonie, en Bythinie,en Afrique en Algérie, dans les iles

Wird dieses Aufeinandertreffen über eine Auxiliarsprache wie das Englische vermittelt, stellt sich die Frage nach dem Anteil von Kultur in der Begegnung, der im übrigen

In the context of the present discussion what interests us is that if the verbal form open is selected by the marker to, the syntactic structure is in- terpreted as infinitive and