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Analisi del comportamento di cani aggressivi durante la consulenza comportamentale

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE VETERINARIE

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

MEDICINA VETERINARIA

Analisi del comportamento di cani aggressivi

durante la consulenza comportamentale

RELATORE CANDIDATA

Dott. Angelo Gazzano Silvia Migoni

CORRELATORE

Dott.ssa Chiara Mariti

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Indice

Riassunto………3

Sommary………4

1. Introduzione………...5

1.1 Le origini del canis familiaris………....5

1.2 L’organizzazione sociale di un branco di lupi………..6

1.3 Le modalità di comunicazione nei canidi: lupo e canis familiaris………7

1.4 La medicina comportamentale………..9

1.5 Tecniche di modificazione comportamentale………..11

1.6 Le basi per un corretto sviluppo somatico e cognitivo nel cane………..13

1.7 L’aggressività nel cane e tutte le forme in cui può essere………...16

diagnosticata

2.0 Materiali e metodi………..29

2.1 Luogo di svolgimento delle visite comportamentali………...29

2.2 Le caratteristiche dei gruppi selezionati………..29

2.3 Modalità di svolgimento delle osservazioni………30

2.4 Etogramma………..30

2.5 L’analisi statistica dei dati………..35

3.0 Risultati………. 36

3.1 Analisi dei comportamenti non sociali………...36

3.2 Comportamenti non sociali nel gruppo dei cani aggressivi rispetto ai non aggressivi: test di Friedman e Willcoxon………51

3.3 Applicazione del test di Man-Witney per i comportamenti non sociali………..64

3.4 Applicazione del test di Kruskal-Wallis per i comportamenti non sociali………...67

3.5 Analisi dei comportamenti sociali……….74

3.6 Applicazione del test di Kruskal-Wallis per i comportamenti sociali...80

4.0 Discussione………94

5.0 Conclusione……….103

6.0 Riferimenti bibliografici………..104

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Riassunto

Il presente studio ha avuto inizio con l’osservazione delle registrazioni effettuate presso il consultorio del Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa, inerenti un gruppo di soggetti riferiti in visita per aggressività verso le persone ed uno di controllo costituito da soggetti riferiti per altre patologie comportamentali. Per ciascun soggetto, abbiamo scelto di analizzare complessivi trenta minuti di visita così suddivisi, 0-10 minuti, 25-35, 50-60, durante i quali, si è proceduto all’analisi dei comportamenti tenuti dai soggetti secondo per secondo. I dati così ottenuti sono stati elaborati statisticamente, tramite l’applicazione di test non parametrici: test di Friedman, test di Wilcoxon, test di Mann-Whitney, test di Kruskal-wallis. Lo scopo era quello di evidenziare se i soggetti aggressivi mostrassero determinati comportamenti rispetto ai non aggressivi, in modo statisticamente significativo; i risultati positivi ottenuti in tal senso, ci hanno permesso poi di ricercare le ulteriori differenze significative esistenti all’interno del gruppo degli aggressivi, tra quanti lo erano nei confronti dei familiari e quanti invece verso estranei. Anche in questo caso abbiamo ottenuto risultati significativi, che ci hanno permesso di caratterizzare meglio le tipologie di soggetti aggressivi riferiti in visita. In contemporanea allo svolgimento delle osservazioni, si è proceduto all’analisi delle cartelle cliniche dei singoli soggetti, al fine di evidenziare gli aspetti peculiari e salienti della vita di ciascuno di essi, con riferimento alle caratteristiche individuali (sesso, età, castrazione, razza) e a quelle sociali (rapporto i proprietari, ambiente di vita, utilizzo di punizioni etc). Quindi abbiano proceduto alla ricerca nella letteratura scientifica internazionale, di riscontri a tutto ciò che siamo riusciti a evidenziare e far emergere dal presente studio. Quanto da noi riscontrato, in riferimento ai soggetti aggressivi e all’ulteriore differenziazione all’interno dei medesimi, nonché le peculiarità di tali soggetti, hanno trovato quasi sempre conferma e riscontro negli studi e nelle ricerche effettuate da altri autori. Tutto ciò ci ha portato a concludere che l’analisi dei comportamenti tenuti dal soggetto durante una visita comportamentale, può divenire un valido supporto nella formulazione di una diagnosi appropriata e completa.

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Summary

This study began with the observation of the recordings made at the clinic of the Department of Veterinary Science, University of Pisa, about a group of subjects reported on a visit to aggression towards people and a control consisting of subjects relating to other behavioral pathologies. For each subject, we chose to analyze a total of thirty minute visit so divided, 0-10 minutes, 25-35, 50-60, during which, we proceeded to the analysis of the conduct by the parties according to the second. The obtained data were statistically processed by the application of non-parametric tests: Friedman test, Wilcoxon test, Kruskal-wallis. The aim was to highlight if the subjects showed certain aggressive behaviors than non-aggressive, a statistically significant; the positive results obtained in this direction, then we were allowed to seek further significant differences within the group of aggressive, among those who were against family members and how many to strangers. Again we have achieved significant results, which have enabled us to better characterize the types of aggressive individuals reported visiting. In the performance of contemporary observations, we proceeded to the analysis of medical records of individuals, in order to highlight the distinctive features and highlights of the life of each of them, with reference to the individual characteristics (sex, age, castration, race) and social ones (ratio owners, living environment, use of punishments etc). So having made research in the international scientific literature, the findings to all that we were able to highlight and bring out in this study. As we have seen, in reference to the further differentiation and aggressive individuals within them, as well as the peculiarities of these subjects, they found almost always confirmed and reflected in studies and research carried out by other authors. All this has led us to conclude that the analysis of the conduct by the subject during a visit behavioral, can become a valuable support in the formulation of an appropriate diagnosis and complete.

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1. Introduzione

1.1 Le origini del canis familiaris

L’associazione tra uomo e cane ebbe inizio circa 10000 anni fa, tale interazione si basava principalmente sulla collaborazione nella ricerca del cibo e sulla protezione, viste le notevoli capacità sensoriali mostrate dai canidi. Un corredo genetico assai plastico ha permesso lungo il cammino evolutivo e di addomesticamento, la selezione e l’allevamento di razze con caratteristiche assai differenti e con attitudini variegate. Tutto ciò, ci porta a concludere che se per un verso il lupo rimane la base interpretativa del comportamento canino, è altresì vero che migliaia di anni di selezione e addomesticamento, hanno determinato molteplici cambiamenti rispetto al comportamento dei propri antenati (Beaver, 2009, p.1-4). Anche se è ancora contestata da alcuni autori, la maggior parte degli studi genetici, archeologici e comportamentali tendono a confermare che l’odierno lupo grigio è l’antenato ancestrale del cane (Clutton-Brock, 1995; Vilà et al., 1997, 1999; Savolainen et al., 2002; Lindblad-Toh et al., 2005). Ma dal momento che esistono ben 32 sottospecie di Canis lupus, il problema che si apre è quale di queste ha dato origine al Canis familiaris. A questo proposito, si fanno le ipotesi più disparate in merito al luogo in cui tutto ha avuto inizio e alle modalità, ma ad oggi non vi sono certezze a riguardo. Lo studio degli scheletri di canidi ha permesso però di evidenziare, all’incirca attorno ai 40000 anni fa, la comparsa di esemplari le cui caratteristiche anatomiche si differenziano significativamente da quelle dell’antenato comune il lupo (Beaver 2009, p.1-4). Genetisti e archeologici concordano, in base agli studi sui reperti fossili, nel datare attorno ai 30000 anni fa l’affermazione del cane come specie nuova, con proprie caratteristiche morfologiche peculiari (Germonpré et al., 2009, 2012, 2013; Ovodov et al., 2011). Beaver (2009) sostiene che la domesticazione è tuttavia un processo più recente, che viene fatto risalire tra 10000 e 15000 anni fa e per la cui datazione si è puntato in modo particolare sullo studio delle sepolture di canidi. Beaver (2009) riferisce che le tesi inerenti le motivazioni e le modalità con le quali ebbe inizio il processo di addomesticamento, restano poco più che speculazioni. Le ipotesi ci riferiscono di un’interazione inizialmente mutualistica, da cui ambo le specie traevano

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6 vantaggio, soprattutto nell’attività di caccia e nella protezione e difesa da eventuali nemici. S’ipotizza altresì un avvicinamento all’uomo di natura ludica, che poi ha assunto finalità più specifiche e concrete; ancora la presa in custodia e l’allevamento di cuccioli sembra essere stato un’altra tappa importante nell’intero processo. Di sicuro sappiamo che l’addomesticamento fu un processo assai complicato, che determinò in un cospicuo numero di individui selezionati e allevati per molteplici generazioni, cambiamenti nel patrimonio genetico, tali da determinare la nascita di una specie, le cui caratteristiche morfologiche, fisiologiche e comportamentali erano del tutto nuove (Beaver, 2009, p.1-4).

1.2 L’organizzazione sociale di un branco di lupi

Ménatory (2004) sostiene che il lupo è il più grande e il più sociale tra tutti i canidi. I lupi vivono in gruppi di individui strettamente correlati, ma al contempo dotati di una certa flessibilità sociale. La ricerca del cibo è l’elemento chiave attorno al quale fanno perno le relazioni del gruppo. Ciò significa, che mentre nei mesi estivi, in cui le prede sono abbondanti, gli esemplari possono scegliere di condurre una vita solitaria e indipendente dal branco, durante la stagione invernale, si rende necessario per la sopravvivenza il ricorso al branco. I lupi sono monogami e lo rimangono per tutta la vita; maschi e femmine si scelgono vicendevolmente all’età di uno o due anni, rimanendo al fianco del proprio compagno fino alla sua morte (Ménatory 2004, p.104-134). Bowen e Heath (2005) sostengono che in ciascun branco, si riconoscono un solo maschio e una sola femmina ―alpha‖, che occupano il vertice gerarchico ed impartiscono le direttive ai restanti membri del branco. La perpetuazione della stirpe è uno dei compiti di loro esclusiva competenza, così come l’accesso al cibo è severamente controllato e mediato proprio dalla coppia. I restanti individui di rango inferiore contribuiscono all’allevamento della giovane progenie e s’impegnano nella caccia, al fine di conquistare prede di maggior valore. Maschio e femmina alpha mostrano differenti comportamenti aggressivi nei confronti dei cospecifici: la femmina in particolare ridirige le sue attenzioni bellicose nei confronti delle altre femmine del branco, il maschio, invece, s’impegna a contrastare l’ingresso nel branco di individui ad esso estranei. Curiosamente, i restanti membri del gruppo,

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7 si dimostrano volenterosi di intrattenere nuove relazioni sociali anche con individui non appartenenti al branco (Bowen e Heath, 2005, p.23-24). Nonostante le molteplici similarità esistenti tra il comportamento del lupo e quello del cane, bisogna tenere in considerazione un punto fondamentale: l’interazione molto stretta e fondamentalmente chiusa, tra il cane e l’uomo, ne ha influenzato profondamente lo sviluppo comportamentale e la natura della comunicazione tra esso e l’uomo (Bowen e Heath, 2005, p.23-27).

1.3 Le modalità di comunicazione nei canidi: lupo e canis familiaris

Bowen e Heath, (2005) riportano che la comunicazione è uno strumento fondamentale all’interno di una struttura sociale, sia essa un branco o una moderna famiglia di cui è parte integrante un cane. Nel lupo, come nel cane, essa si esplica attraverso l’udito, l’olfatto e la vista. Esempi di suoni riconosciuti in entrambe le specie sono: grugniti, pianti, guaiti, urla, tosse, digrignare i denti, ringhiare ed abbaiare. Una differenza importante è stata riscontrata nella frequenza dell’abbaio e nei livelli di tale comunicazione, in assoluto la più alta tra i canidi. Le ipotesi proposte a riguardo ci riferiscono che l’abbaiare sarebbe stata una caratteristica positiva durante la caccia, al fine di guidare più velocemente l’uomo presso la preda; inoltre è una modalità di comunicazione particolarmente spiccata nel cucciolo, le cui caratteristiche sono state fonte di selezione durante il processo di addomesticamento del cane. L’abbaiare è divenuto in ultimo una modalità con la quale attrarre l’attenzione di altri animali (Bowen e Heath, 2005, p.23-27). L’ululato nel lupo consente la localizzazione degli individui del branco, mentre nel cane viene riproposto per imitare suoni o comunicare ansia. Il ringhio ha significato aggressivo, di gioco, di difesa o minaccia; l’uggiolio può comunicare frustrazione, dolore, sottomissione o richiesta d’attenzione (Gazzano, 2013, p.73-91).

Bowen e Heath (2005) riportano che la comunicazione visiva è forse la più importante, in quanto consente a due individui che si raffrontano, di capire lo status sociale e le intenzioni dell’esemplare che si trova innanzi. La postura del corpo, insieme alle espressioni facciali e alla posizione della coda, sono le chiavi di lettura delle intenzioni dell’altro, ovvero sia dell’approssimarsi di uno scontro o

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8 della possibilità di evitarlo. Nel momento in cui un esemplare intende confrontarsi con un altro, e magari intende promuovere intenzioni per così dire bellicose, la postura è fondamentale, non solo perché comunica le proprie intenzioni, ma altresì perché l’individuo cerca di affermare un’immagine di se stesso (più grande, più forte), non perfettamente aderente alla realtà, ma assai confacente alla situazione: drizza il pelo e la coda; si sporge in avanti e fissa intensamente l’altro; scopre i denti; arriccia le labbra e muove la lingua avanti e indietro. Ma lo stesso concetto visto poc’anzi, vale per un individuo che intende manifestare la propria sottomissione incondizionata evitando, per quanto gli sia possibile, lo scontro diretto. Il medesimo assumerà dunque tale atteggiamento: postura servile; posizionamento della coda tra le gambe e testa mantenuta bassa; evita lo sguardo diretto dell’avversario; mostra una mimica facciale sottomessa, con i margini della bocca rivolti verso il basso. Se ciò non fosse sufficiente a placare le intenzioni del rivale dominante, l’individuo sfavorito può girarsi su stesso, mettendo nella disponibilità olfattiva dell’altro, la propria area genitale e talvolta urinando. In altri casi, laddove ci sia un grado maggiore di confidenza tra i due esemplari, il sottomesso può manifestare un atteggiamento più interattivo: corpo tenuto basso e coda scodinzolante; annusa e lecca la faccia dell’altro, in modo analogo agli atteggiamenti di un cucciolo che fa richiesta di cibo (Bowen e Heath, 2005, p.23-27). Molti degli atteggiamenti visti poc’anzi, sono stati studiati a fondo dalla comportamentalista norvegese Rugaas, che ha individuato una trentina di segnali calmanti utilizzati dal cane per prevenire le aggressioni e ridurre la tensione tra gli individui; i cani, infatti, non amano i conflitti. Gli stessi segnali esistono in forme più marcate nei lupi, dove consentono di interrompere le interazioni violente tra individui del branco (Gazzano, 2013, p.73-91).

Bowen e Heath (2005) sostengono che la comunicazione olfattiva, scarsamente importante nel genere umano, è invece estremamente importante nei canidi. Ciò è correlato allo sviluppo, particolarmente accentuato nel cane, del sistema olfattivo, il quale risulta un milione di volte più sensibile rispetto a quello umano. Tale modalità di comunicazione è basata sugli odori connessi alla produzione di feci, urine e secrezioni, in particolare da parte delle ghiandole anali. Tali odori identificano in modo univoco ciascun individuo e consentono a quanti vi entrano in contatto, di apprendere immediatamente numerose ed importanti informazioni: quanti individui frequentano quel territorio; quando si sono verificati gli ultimi

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9 accessi all’area; se si trattava di maschi o femmine e nel caso se erano sessualmente recettive. Un aspetto peculiare di questa forma di comunicazione è data dal fatto che, i segnali permangono per un certo tempo e dunque è possibile lasciare un messaggio ai ―futuri visitatori‖ dell’area oggetto di demarcazione (Bowen e Heath, 2005, p.23-27). La comunicazione olfattiva può godere di potenti mezzi di comunicazione di natura chimica, che sono i feromoni. Possiamo distinguere due categorie differenti: i releaser o scatenanti, che agiscono direttamente sul sistema nervoso centrale, innescando una risposta comportamentale immediata nel soggetto che li percepisce; i primer o innescanti, che determinano invece cambiamenti fisiologici a lungo termine. Nel cane esistono molteplici aeree destinate alla produzione di feromoni: l’area perineale, la facciale, l’area genitale, la mammaria, la zampa, oltre ai feromoni contenuti nelle feci e nelle urine (Gazzano, 2013, p. 73-91).

1.4 La medicina comportamentale

La medicina comportamentale umana è un settore interdisciplinare, che studia le connessioni tra i percorsi psicosociali, biologici e comportamentali nel naturale progresso di una malattia. Ciò che la contraddistingue da altri ambiti di studio è che, oltre a studiare i meccanismi con i quali si sviluppa una malattia, si preoccupa di trasferire le conoscenze acquisite al servizio della comunità, per interventi comportamentali concreti. La medicina comportamentale mette insieme le conoscenze teoriche e le innovazioni metodologiche dalle scienze sociali e delle scienze biomediche (Jimenez e Mills, 2012). L’odierna medicina comportamentale, applicata al settore animale, ha come presupposti la naturale partnership tra esseri umani e animali domestici (Grandin e Deesing, 2014). Grandin e Deesing (2014) affermano che il cervello umano è predisposto a rispondere in modo emozionale agli animali e rivedono le prime teorie di etologi e comportamentalisti, che rifiutavano di riconoscere l’esistenza di stati emozionali negli animali; sono i sistemi emozionali del cervello a guidare il comportamento. Ogni emozione è controllato da sistemi subcorticali separati. La genetica influenza la forza della paura, la ricerca di novità, e l'angoscia da separazione. Il comportamento è modellato da una complessa interazione tra genetica ed esperienza (Grandin e Deesing, 2014).

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10 Overall (2005) sostiene che fino agli inizi degli anni ottanta, la maggior parte di coloro che si dedicavano ad aiutare gli animali da compagnia che mostravano comportamenti indesiderati, non erano veterinari. Questo compito era scelto, quasi esclusivamente, da addestratori di cani, esperti di psicologia, da coloro che avevano studiato il comportamento degli animali, l'etologia, o la sociobiologia, e infine, da quelli che erano di buon cuore e generosi, ma privi di una vera preparazione. L'unica cosa che è cambiata in un quarto di secolo è che ora anche i veterinari partecipano a questo sforzo. A partire dalla metà degli anni novanta, negli Stati Uniti e a seguire anche in Europa, sono stati creati appositi corsi di formazione universitaria, internazionalmente riconosciuti, per la preparazione di figure professionali da impiegare nell’ambito della medicina comportamentale (Overall, 2005, p.1-5). Overall (2005) ritiene che la medicina comportamentale sia una vera e propria disciplina scientifica ma, rispetto ad altri settori essendo oggetto di studio in ambito scientifico-universitario solo da un quarto di secolo, soffra enormemente di un ritardo nel riconoscere il giusto valore alla disciplina medesima. Se si considera che i problemi comportamentali sono la principale causa di abbandono e di richiesta di eutanasia in paesi quali USA, Australia, Canada (Houpt et al., 1996; Marston et al., 2004; New et al., 1999; Salman et al., 1998, 2000; Scarlett et al., 1999, 2002), non si può che concludere, come sostiene la Overall (2005), che spetta a quanti sono impegnati oggigiorno in questo settore, imporre la scienza in un campo che ha resistito a lungo alla sua avanzata; ed iniziare così a capire, quali sono le patologie neuro comportamentali, alla base dei disturbi negli animali domestici. Comprendere i modelli di comportamento, all'interno dei livelli (fenotipico, neuroanatomico, neurochimico, molecolare e genomico), tenendo presente che nessuno di questi livelli è indipendente, che i primi quattro sono molto dinamici, e che un'azione può provenire da qualsiasi livello, per poi colpire gli altri; la misura in cui interagiscono è una funzione della risposta genetica e dell’apprendimento (modificato Overall, 1997; Overall et al, 2004).

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1.5 Tecniche di modificazione comportamentale

Condizionamento

Overall (2013) sostiene che occorre distinguere tra condizionamento operante o strumentale e classico o pavloniano. Nel primo caso sono utilizzate strutture di rinforzo (ricompense o punizioni), di cui parleremo più dettagliatamente tra poco. Nel secondo invece, non si ricorre a ricompense per suggellare le associazioni poiché la risposta allo stimolo è innata. L’esempio classico è quello del cane sottoposto ad uno stimolo incondizionato, la presentazione del cibo, a cui fa seguito la salivazione, e contemporaneamente ad uno stimolo condizionato il suono di un campanello; dopo alcune volte, la sola riproposizione dello stimolo condizionato determina la salivazione del soggetto, anche in assenza della reale presenza del cibo. Nel caso del condizionamento operante invece si utilizzano rinforzi e punizioni. Il rinforzo è un processo che implica uno stimolo o un evento, tali da incrementare le future probabilità che un certo comportamento si ripeta. Il rinforzo positivo è rappresentato da uno stimolo o da un evento, che segue l’attuazione della risposta comportamentale voluta dall’addestratore, incrementandone la riproposizione in futuro. Il rinforzo negativo invece consiste nel togliere uno stimolo spiacevole al soggetto, nel momento in cui il medesimo esegue il comportamento voluto, con lo scopo di aumentare in futuro la riproposizione del medesimo (Overall, 2013, p.76-77). Per quanto riguarda le punizioni esse hanno lo scopo di diminuire la probabilità che un comportamento indesiderato si riproponga in futuro. Sono distinte in positive quando al comportamento indesiderato si fa seguire un evento o uno stimolo spiacevole per il soggetto; negative quando si elimina uno stimolo piacevole per il soggetto sempre con lo scopo di ridurre la riproposizione futura di un comportamento indesiderato (Overall, 2013, p:74-75).

Controcondizionamento

Il controcondizionamento rappresenta insieme alla desensibilizzazione il trattamento più utilizzato nelle alterazioni comportamentali causate da paura. La risposta relativamente neutrale nei confronti dello stimolo innescante, è rimpiazzata con uno stato emozionale positivo. Tutto ciò si ottiene fornendo un rinforzo al soggetto, quando lo stimolo scatenante è presente e nel contempo il

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12 cane manifesta un atteggiamento calmo e controllato invece di una risposa dettata dalla paura (Horwitz e Mills, 2009, p.177).

Desensibilizzazione

La desensibilizzazione richiede un’esposizione graduale e controllata allo stimolo, in modo tale da portare all’estinzione delle manifestazioni comportamentali di paura. L’intensità dello stimolo e della risposta, dedotti dall’anamnesi, possono essere utili per riproporre la stimolazione con la corretta modalità e distanza dal paziente. Durante l’esposizione controllata, è importante che lo stimolo sia presentato prima del raggiungimento della soglia presso la quale il soggetto è solito manifestare atteggiamenti di paura. È importante, al fine di assicurarsi dell’avvenuta percezione dello stimolo da parte del soggetto, che il medesimo drizzi le orecchie (Horwitz e Mills, 2009, p.177).

Abituazione

La ripetizione dei contatti con uno stimolo precedentemente sconosciuto può indurre due tipi di risposte comportamentali: diminuzione progressiva della durata e dell’ampiezza della risposta alla paura, fino a non reagire più, è il fenomeno dell’abitudine; nell’altro caso invece si assiste ad un aumento progressivo della risposta alla paura, che tende a fissarsi, questo è il fenomeno della sensibilizzazione. Affinché si sviluppi l’abitudine sono necessari più fattori: - lo stimolo è incontrato inizialmente a debole intensità;

- l’animale è libero di sottrarsi allo stimolo indesiderato;

- i contatti con gli stimoli si ripetono in modo regolare. (Pageat, 1999, p.41)

Estinzione

Questa tecnica consiste nel sopprimere la ricompensa o la punizione che rinforzava o inibiva un comportamento. Nella sua forma classica, consiste nel sospendere la ricompensa che ha fissato un comportamento indesiderabile. L’abbaiare eccessivo di un soggetto può essere stato inconsciamente rafforzato dai proprietari che lo accarezzavano pensando di calmarlo. La tecnica di estinzione è utilizzata ogni qual volta un comportamento indesiderabile è il risultato di un condizionamento volontario o meno (Pageat, 1999, p.237-238).

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1.6 Le basi per un corretto sviluppo somatico e cognitivo nel cane

La nutrizione

L’acqua deve essere sempre a disposizione del soggetto e particolare attenzione va posta durante i mesi più caldi o nel corso di attività ludiche o di lavoro prolungate. Ogni limitazione nell’accesso alle risorse idriche comporta nell’animale il ricorso a fonti alternative, non necessariamente salutari (toilette), forme di iperattività, comportamenti distruttivi e gravi problemi dal punto di vista fisiologico. Per quanto concerne l’alimentazione, i fabbisogni dei singoli individui sono estremamente mutevoli sulla base delle caratteristiche peculiari della razza, dello stile di vita condotto dall’animale e dalle eventuali patologie intercorrenti. A riguardo, vi sono molte discussioni inerenti la somministrazione del cibo in maniera standardizzata e ripetitiva, ogni giorno alla stessa ora con le stesse modalità, o piuttosto una somministrazione a seguito di un lavoro svolto dall’animale. Sembrerebbe che molti animali preferiscano, infatti, questa seconda possibilità, inoltre, nel primo caso è sufficiente un ritardo o un mancato rientro del proprietario per scatenare frustrazioni nel soggetto abitudinario. Molta attenzione deve essere posta poi all’utilizzo sconsiderato del cibo che, utilizzato per premiare inavvertitamente atteggiamenti sconsiderati, viene ben presto assunto dal cane come modello per richieste continue di cibo. È opportuno dunque che la somministrazione avvenga in un luogo ben determinato e all’interno di una certa fascia oraria (Horwitz e Mills, 2009, p.24-31).

Le deiezioni

Un altro aspetto gestionale assai importante riguarda l’espletamento, da parte del cane, dei propri bisogni fisiologici. Nel cucciolo è fondamentale individuare un’area nella quale il medesimo possa eliminare le deiezioni, sia essa all’interno dell’ambito domestico o altrimenti opportunamente accessibile; premiare l’animale ogni volta che utilizza in modo opportuno l’area ad esso designata è fondamentale. Nell’adulto, soprattutto laddove i tempi di permanenza all’interno dell’area domestica sono notevoli, sarebbe opportuno individuare aree e modalità per consentire l’espletamento delle proprie funzioni. Diversamente, infatti, l’animale rischia di incorrere in una situazione di forte stress legata all’impossibilità di urinare, e aumentano le possibilità di rilascio anticipato delle

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14 deiezioni al momento del rientro dei proprietari o a seguito di stimoli di vario genere (Horwitz e Mills, 2009, p.24-31).

Area di riposo

Risulta di estrema importanza garantire al cane un luogo dove potersi coricare e riposare tranquillamente senza essere disturbato. Ciò significa che tale giaciglio dovrebbe rappresentare una sorta di tana in cui rifugiarsi nei momenti di disagio, di stress, paura e presso la quale poter ritrovare il necessario riposo e conforto. Molto dibattute le sistemazioni del cane presso la camera da letto, sui cui esiti negativi nell’instaurarsi del rapporto uomo animale vi è ancora molto da ricercare. Ciò che si sa con certezza è che le abitudini assunte dal cucciolo diverranno atteggiamenti consolidati nell’adulto. Se il cucciolo cresce nella stanza da letto, è insensato pensare di estrometterlo una volta adulto; così come abituato a dormire a stretto contatto con una persona che vive sola, l’arrivo e l’inserimento nel proprio contesto sociale di una nuova figura creano scenari nuovi, per nulla scontati e di contrapposizione con quello che viene percepito come un vero e proprio intruso (Horwitz e Mills, 2009, p.24-31).

Esercizio fisico

L’esercizio fisico è auspicabile e necessario per preservare la salute dell’animale, non solo dal punto di vista fisiologico, ma anche psicologico. Certamente correlata con le esigenze e caratteristiche del singolo soggetto, l’attività fisica e in particolare la stessa svolta al di fuori dell’ambito domestico, hanno un ruolo imprescindibile nella vita del soggetto. In particolare è auspicabile che il cucciolo frequenti aree appositamente pensate per lo sgambamento, presso le quali ha la possibilità di entrare in contatto con altre persone che non siano i proprietari e con altri esemplari della propria specie, con i quali imparare a rapportarsi e misurarsi in modo positivo (Horwitz e Mills, 2009, p.24-31).

Gioco

Il gioco è una componente imprescindibile per il corretto sviluppo comportamentale del cane; in particolare durante la fase giovanile, il cucciolo necessita di interagire con altri cani adulti, con i quali può per mezzo del gioco imparare numerosi comportamenti positivi, che dovranno essere riproposti più

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15 tardi quando divenuto adulto incontrerà altri soggetti della sua specie. L’interazione passa anche attraverso il morso ed il ringhio e ciò, il cucciolo lo ripropone con la madre e con i compagni di gioco in modalità assolutamente normali e naturali, da non interpretare erroneamente come sintomi di aggressività o dominanza. Nel cane adulto il gioco permane estremamente importante anzi, si ritiene un esempio di pedomorfismo. Il gioco consente di organizzare la consuetudine giornaliera, di mantenersi in esercizio fisico e mentale e intrattenere relazioni sociali (Horwitz e Mills, 2009, p.24-31).

Masticazione

Nel cucciolo prima, ma anche nell’adulto di domani, non si può trascurare un’esigenza come quella di masticare intensamente oggetti di varia natura. Questo comportamento risponde ad esigenze fisiologiche ma anche comportamentali, dunque è importante che al cane si garantisca l’accesso ad oggetti sui quali ridirigere le proprie attenzioni, senza che questi risultino dannosi per il medesimo. Impedire al cane l’esplicazione della propria attività orale su qualsiasi oggetto, si traduce in stress e profonda frustrazione a carico del medesimo (Horwitz e Mills, 2009, p.24-31).

Ricompense

Il cibo rimane, a tutti gli effetti, la miglior ricompensa che si possa utilizzare per premiare atteggiamenti positivi e risposte auspicabili nel nostro amico a quattro zampe (Horwitz e Mills, 2009, p. 24-31).

Interazione tattile uomo-cane

L’interazione tattile tra uomo e cane sembra tradursi in reciproci vantaggi per entrambe, sia dal punto di vista emozionale che fisiologico. In particolare si è riscontrato che durante le interazioni tattili positive, si ha un aumento della concentrazione di beta-endorfine, ossitocina, prolattina, beta-feniletamina e dopamina in entrambe le specie; invece elusivamente nell’uomo una concomitante diminuzione dei livelli di cortisolo (Horwitz e Mills, 2009, p.24-31).

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16 Natura e forza del legame uomo-cane

Un altro punto chiave per il coretto sviluppo comportamentale del cane, spesso causa di notevoli controversie familiari, riguarda l’interdipendenza uomo-cane e le sue relative implicazioni. Se è vero che il cane è un animale sociale, il quale tendenzialmente predilige trascorrere una gran parte del proprio tempo in compagnia dei proprietari, è altresì vero che l’impossibilità da parte del soggetto a rimanere solo per un certo tempo, si traduce in atteggiamenti patologici del soggetto, che si dimostra incapace di fronteggiare situazioni nuove, mostrando tutti i segni di un’ansia da separazione. Per questa ragione, il cucciolo dovrebbe essere abituato a vivere dentro e fuori casa laddove possibile, incoraggiando l’attività esplorativa, fornendo materiali e giochi sui quali possa ridirigere le proprie attenzioni anche in solitudine, promuovendo dunque una certa indipendenza, seppur minima, dell’animale. Nel contempo, gli studi hanno rivelato che i cani lasciati per tempi eccessivamente lunghi soli e in ambiti ristretti, mostrano numerose alterazioni comportamentali, a riprova del fatto che i nostri amici sono mammiferi sociali, che necessitano più che mai di interazioni con umani e con specifici (Horwitz e Mills, 2009, p.24-31).

1.7 L’aggressività nel cane e tutte le forme in cui può essere diagnosticata

Landsberg e Hunthausen (2013) sostengono che le legislazioni, spesso si preoccupano di preservare il pubblico dalle aggressioni canine in genere; ma le statistiche ci dimostrano, che la stragrande maggioranza delle aggressioni, vedono come protagonisti i cani di casa o cani che conoscono bene le proprie vittime. I bambini sono la categoria maggiormente a rischio, soprattutto i maschi. Il comportamento della vittima è fondamentale nel determinare l’attacco da parte del cane e questo si traduce nel fatto che molti episodi potrebbero essere evitati, se i proprietari del cane fossero maggiormente istruiti sul comportamento dei propri animali. Molteplici sono i segnali inviati dal cane al proprietario nella fase preconsumatoria, ma più spesso essi non sono percepiti, perché s’ignora persino quale sia il comportamento normale di un cane; in taluni casi poi, le modalità di selezione e allevamento hanno reso il soggetto impossibilitato ad esprimere in

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17 modo chiaro i propri stati d’animo. Il termine aggressività ci consente di descrivere un vasto gruppo di comportamenti, di cui non rappresenta la causa; piuttosto rappresenta la risposta comportamentale ad una condizione emozionale complessa (Landsberg e Hunthausen, 2013, p.117-121). Le statistiche riguardanti i problemi comportamentali dei cani ci indicano, che i comportamenti aggressivi, sono così rappresentati nei diversi contesti domestici e pubblici (Beaver, 2009, p.15):

aggressioni in casa verso umani (3.1%-11.4%) in pubblico verso animali (8.8%)

in casa verso animali (2.6%)

Horwitz e Mills (2009) riferiscono che la disquisizione inerente i problemi di aggressione nei confronti delle famiglie, può essere considerata uno dei compiti più impegnativi; essi sostengono, infatti, che il veterinario non solo deve confrontarsi con il rischio di aggressioni nei confronti dei familiari da parte del cane, ma anche con le conseguenze emozionali suscitate nei proprietari dal comportamento del cane. Il primo scopo del veterinario deve essere quello di prevenire le aggressioni. A tal proposito Horwitz e Mills (2009) hanno riscontrato l’importanza dei colloqui, che si svolgono tra il veterinario ed i proprietari, in quanto più spesso i medesimi accennano in modo fugace ad episodi di vita familiare, durante i quali il cane si è mostrato aggressivo con o senza esplicazione dell’attività consumatoria. In questi casi è fondamentale, dopo aver instaurato un rapporto di reciproca fiducia con i proprietari, indagare a fondo gli episodi narrati, ed eventualmente intraprendere le misure correttive del caso, anticipando così il perpetrarsi di atteggiamenti inopportuni, che potrebbero preludere ad episodi di aggressività nei confronti dei familiari. Esistono molteplici classificazioni delle diverse forme di aggressività. Di seguito è riportata una delle più recenti e dettagliate (Overall, 2013), che individua ben tredici tipi differenti di cause correlabili agli episodi aggressivi.

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1.7 (1) Aggressività materna

Questo tipo di aggressività si manifesta nei confronti di persone o animali, da parte di una cagna con i cuccioli, che sta partorendo o ha una falsa gravidanza. Gli attacchi sono scatenati semplicemente da movimenti compiuti in prossimità della cagna e le lesioni ai cuccioli sono solitamente accidentali. Più spesso la cagna ringhia all’approssimarsi dell’estraneo, ma non vi sono segni premonitori specifici della futura aggressione. Solitamente però l’intensità dell’insulto è proporzionata alla distanza che intercorre tra la cagna e chi vi si approccia. Questa condizione in cagne particolarmente suscettibili si può riproporre ad ogni calore o parto. È necessario escludere nelle diagnosi differenziali, cause imputabili agli ormoni della riproduzione. Le modalità con le quali prevenire tutto ciò, consistono nel predisporre una location opportuna per la cagna, dove possa rimanere tranquilla e indisturbata; un luogo dove possibilmente si senta protetta e il cui accesso da parte di altre persone deve essere rigorosamente limitato. Comunicare con l’animale in modo da rendere note le proprie intenzioni e magari utilizzare musica classica per rilassare ulteriormente la cagna. Infine, la pulizia del ricovero e l’approvvigionamento di acqua e cibo dovrebbero essere eseguite nei momenti in cui la cagna lascia i cuccioli e si trova altrove (Overall, 2013, p.173-230).

1.7 (2) Aggressività predatoria

Rivolta dalla madre nei confronti dei propri cuccioli è immotivata e ingiustificata, poiché ha luogo in assenza di comportamenti anomali o deplorevoli da parte dei medesimi nei confronti della madre. La cagna può ringhiare, afferrare i cuccioli, morderli con o senza mutilazioni e perfino ucciderli. In questo caso, devono essere escluse in diagnosi differenziale, reazioni conseguenti a fame, dolore intenso o malattia neurologica. Questo tipo di manifestazione sembra riproporsi all’interno di una stessa linea genetica. In questo caso le modalità d’intervento ci suggeriscono di evitare ulteriori gravidanze e nel caso svezzare precocemente i cuccioli con l’aiuto di un altro cane adulto (Overall, 2013, p.173-230).

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1.7 (3) Aggressività ludica

In questo caso, il comportamento aggressivo ha luogo all’interno di un contesto ludico, per lo più da parte di un cucciolo o di un giovane cane ai danni del proprietario. I segni indicativi possono essere inizialmente poco specifici, ringhi abbai, salti, che inseriti nell’attività di gioco non sono percepiti come elementi anomali; tuttavia questi atteggiamenti si fanno progressivamente più intensi e assumono i connotati di una vera e propria aggressione. Cambia il tono delle vocalizzazioni, la durata delle medesime, la mimica facciale e l’intensità con la quale s’interagisce con il proprietario. Alla base di tale comportamento si riconoscono diverse cause; per prima cosa è importante differenziare i cuccioli allevati dall’uomo, rispetto a quelli cresciuti dai propri genitori, poiché in questi ultimi manca l’inibizione dei comportamenti negativi esercitati nei confronti dei proprietari. Per un corretto sviluppo comportamentale, durante l’interazione con il cucciolo, ciascun individuo dovrebbe reprimere atteggiamenti inopportuni, compreso l’esercizio del morso in ambito ludico in forme non accettabili e ciò, spesso non ha luogo. Altrettanto importante evitare che insorgano atteggiamenti impropri o addirittura incoraggiarli premiandoli, comportamento purtroppo riproposto da numerosi proprietari. Fondamentale risulta dunque la corretta formazione durante la crescita del cucciolo. Occorre individuare con esattezza quali siano i comportamenti accettabili e normali, rispetto a quelli negativi e non giustificabili; il gioco deve essere opportunamente organizzato e condotto in maniera tale che il cane ridiriga le proprie attenzioni inizialmente verso un gioco; consentendo si determinate interazioni come il morso, ma esclusivamente nei confronti dell’oggetto inanimato, stoppando invece immediatamente il medesimo, quando l’attività predatoria è esercitata verso parti del corpo umano. Insegnare i segnali d’interruzione del gioco, di attesa e ripresa in modo ordinato e tranquillo (Overall, 2013, p.173-230).

1.7 (4) Aggressività da paura

Questo tipo di aggressività ricorre in cani che manifestano segni fisiologici e comportamentali di paura. Gli atteggiamenti caratteristici sono quelli della fuga, della ritirata, evitare lo sguardo dell’altro; fisiologicamente tutte le manifestazioni

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20 sono una conseguenza di una costante e aumentata attivazione del sistema simpatico. Solitamente i cani cercano di evitare per quanto possibile lo scontro diretto ma, se la minaccia è percepita come ineluttabile, si arriva all’aggressione, solitamente preceduta da vocalizzazioni di avvertimento di vario genere. La reazione si può manifestare nei confronti di umani o appartenenti ad altre specie. I segni caratteristici che possono farci intuire una tale reazione sono la postura, abbassamento della testa e del corpo, pilo erezione, orecchie portate dietro, arricciamento e retrazione delle labbra, vocalizzazioni di minaccia quali abbaio e ringhio. In diagnosi differenziale devono essere poste tutte le patologie in grado di alterare la mobilità e l’abilità del soggetto nel tenere sotto controllo ciò che accade attorno a lui; nonché le patologie causa di profondo dolore. Quando tutto ciò è stato escluso, la nostra attenzione deve ridirigersi su altre cause. Per prima cosa la paura è facilmente insegnabile e rinforzabile, nonché adattativa all’interno di un certo contesto. Ci possono essere predisposizioni genetiche che influenzano una maggior o minor risposta nei confronti di certi stimoli; vi sono poi situazioni di cani abusati, maltrattati, puniti impropriamente che sviluppano aggressività da paura. Un contesto inappropriato dal quale l’animale non può fuggire è altresì causa di aggressività. Le modalità con le quali si può intervenire, ci suggeriscono per prima cosa di evitare la riproposizione dello stimolo dannoso all’animale, fintanto che il medesimo non si è desensibilizzato nei confronti di detta stimolazione. Occorre evitare in modo prioritario le punizioni, che si traducono esclusivamente in un rinforzo dell’atteggiamento aggressivo. Evitare di braccare il soggetto, perché ciò aumenta la sua paura e le possibilità che reagisca aggressivamente. Non rassicurare il soggetto asserendo che è tutto apposto, perché il cane ha una chiara percezione dell’anormalità della situazione in cui si trova quindi, evitare altresì di accarezzarlo rinforzando così un atteggiamento che deve essere corretto. Cercare invece di calmare il soggetto inserendolo in un contesto di quiete. Infine quando si esce a passaggio, è bene che il soggetto sia sotto il pieno controllo del proprietario e dunque, si possa intervenire per bloccare una determinata reazione avversa sul nascere (Overall, 2013, p.173-230).

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1.7 (5) Aggressività correlata al dolore

Questo tipo di manifestazione è associato a situazioni in cui il soggetto è incapace di adattarsi o far fronte a patologie estremamente dolorose, ingiurie o interventi che ripropongono costantemente lo stimolo dolorifico. Interessante osservare la capacità del soggetto di anticipare la risposta aggressiva, correlandola al trattamento o alla manipolazione che è causa dello stimolo doloroso. Non è per niente semplice valutare la dolorabilità di un soggetto, ma solitamente si può notare la protezione della zona maggiormente interessata, un deficit funzionale parziale, vocalizzazioni e un’attenzione particolare per la zona in oggetto. Solitamente le aggressioni che si scatenano all’approssimarsi dello stimolo doloroso, sono precedute dal mostrare i denti, vocalizzazioni molteplici, ringhi, balzi in avanti e in ultimo morsi. Un punto chiave nell’intera disquisizione è dato dal concetto base che il cane benché a differenza dell’uomo non si lamenti, non è esente dal provare dolore e sofferenza; ciò è strettamente correlato con una sottovalutazione o scarsa attenzione delle condizioni di sofferenza del soggetto, che può tradursi in reazioni anomale da parte del medesimo. In particolare risulta assai importante la gestione del dolore in corso di patologie quali artriti o displasie, con particolare riferimento anche alle modalità d’interazioni con il cane, soprattutto se il soggetto risulta manipolato anche da bambini. Infine, reazioni aggressive possono aver luogo a seguito dell’incontro-scontro tra cani, durante il quale si verificano lacerazioni o contusioni a carico dei soggetti coinvolti. Per evitare di incorrere in tali situazioni, è auspicabile innanzi tutto una corretta valutazione comportamentale del dolore; atteggiamenti improntati alla calma e tranquillità; ma più di tutto è fondamentale che il soggetto sia stata abituato alla manipolazione del suo corpo e dunque consenta al proprietario di intervenire in modo opportuno per approntare le terapie del caso (Overall, 2013, p.173-230).

1.7 (6) Aggressività territoriale e protettiva

In questo caso si tratta di una manifestazione di aggressività che si manifesta durante l’approccio tra due individui o gruppi d’individui che s’incontrano, in un contesto che è privo di minacce contingenti. Le modalità dell’aggressione s’intensificano all’approssimarsi dei soggetti o alla ricerca da parte di alcuni di

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22 interagire con il soggetto o i soggetti che presentano il comportamento anomalo. I cani che manifestano tali atteggiamenti ridirigono la propria attenzione e vigilanza sull’oggetto dell’aggressione, abbaiano, ringhiano e infine mordono. Alla base di tali manifestazioni si possono riconoscere la protezione di location inappropriate (non pertinenti al contesto domestico); l’aggressività verso una o più specie che s’introducono nel proprio territorio; la protezione nei confronti della propria zona notte; l’esistenza di uno spazio minimo attorno a se da preservare e mantenere inviolato. In tutti questi casi è fondamentale che i soggetti non siano mai lasciati soli, confinati o in assenza di supervisione, perché ciò si tradurrebbe in un rischio concreto per la salute umana o di altri animali ivi presenti. È importante che il cane sia collocato all’interno di un’area opportunamente recintata; ciò se per un verso favorisce l’esplicazione dell’atteggiamento territoriale nei confronti di un’area ben precisa e delimitata, nel contempo evita che il soggetto possa nuocere impropriamente. Evitare poi di collocare il cane in qualsiasi situazione che richiede l’esplicazione di comportamenti difensivi o protettivi nei confronti di un certo luogo o ambito domestico. Desensibilizzazione e controcondizionamento sono fondamentali nel lavoro di rieducazione comportamentale del soggetto (Overall, 2013, p.173-230).

1.7 (7) Aggressività intraspecifica

In questi casi l’approccio aggressivo si manifesta come atto volitivo e intenzionale nei confronti di un con specifico, all’interno di un contesto privo di minacce e soprattutto in assenza di segnali premonitori specifici. L’animale che si appresta ad attaccare, infatti, lo fa inaspettatamente e senza far precedere l’aggressione da qualsiasi segnale di avvertimento. Tuttavia all’uomo sfugge quasi sempre un atteggiamento di marcato controllo del consimile che esula dalla normalità. L’aggressore solitamente si propone di braccare l’avversario, disorientarlo e infine minacciarlo, in una sequenza di eventi che può culminare con l’attacco in assenza di particolari vocalizzazioni o avvertimenti. In diagnosi differenziale in questo caso occorre ricordare disendocrinie, aggressività correlata al dolore, infezioni o agenti tossici. Questo tipo di aggressività si manifesta al raggiungimento della maturità sociale, tra i diciotto e i ventiquattro mesi. Tali manifestazioni si riscontrano più frequentemente tra cani dello stesso sesso e maggiormente tra

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23 giovani femmine. Un aspetto molto importante è la percezione che l’aggressore ha dell’avversario, l’interpretazione dell’appartenenza a un determinato status sociale e il tipo di ruolo che ha tale soggetto. Questo tipo di aggressioni comunque, possono verificarsi tanto tra soggetti che si conoscono, quanto tra cani mai incontratisi prima. La corretta gestione di tali situazioni è fondamentale; occorre dunque per prima cosa impostare un nuovo tipo di relazioni sociali, che non siano basate sull’incertezza e tali da non percepire un costante pericolo nell’individuo che si ha d’innanzi. Un altro punto chiave consiste nell’individuare con esattezza i ruoli di aggressore e di vittima e nell’anticipare e prevenire, in tale ottica, scontri e incomprensioni. Un’altra strategia vincente, forse poco conosciuta e apprezzata, consiste nell’utilizzo di cani mediatori che con successo esercitano un’azione inibitoria nei confronti dell’aggressore e di protezione della vittima. È importantissimo che i proprietari evitino a qualsiasi costo gli scontri ed altrettanto importante che non s’inseriscano in un combattimento già in atto, mettendo a serio rischio la propria incolumità fisica; più spesso, infatti, l’intervento umano per separare i due soggetti, si traduce in lesioni anche gravi a carico dei proprietari (Overall, 2013, p.173-230).

1.7 (8) Aggressività ridiretta

In questo caso l’aggressore ridirige la propria attenzione su un terzo soggetto, dopo che la sua interazione con il primo è stata bloccata da manifestazioni di superiorità o dall’intervento proprio del terzo soggetto. Non si tratta di un’aggressione accidentale e l’aggressore non compie un errore di valutazione, dunque è un atto intenzionale. Non vi sono segni specifici e si tratta di un’aggressione in piena regola, che possono subire individui o animali intervenuti come elemento di disturbo, nella sequenza predatoria che il soggetto stava attuando. Alla base di tale comportamento vi è la riproposizione di un comportamento nel quale non cambiano le modalità operative, bensì il target verso cui si dirige la propria aggressività. Il trattamento prevede l’identificazione delle situazioni in cui ricorre l’atteggiamento aggressivo; la diagnosi di eventuali problematiche intercorrenti; le modifiche comportamentali alla stregua di insegnamenti che si basino sulla calma e il rilassamento e una minor reattività a stimolazioni di vario genere (Overall, 2013, p.173-230).

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1.7 (9) Aggressività correlata al cibo

Questo tipo di aggressività si manifesta specificatamente in presenza di cibo. L’elemento edibile è indispensabile allo scatenarsi della reazione aggressiva e molteplici tipi di cibo possono dar luogo a tali manifestazioni. In alcuni casi, l’animale reagisce in maniera aggressiva solo alla presentazione di una determinata pietanza, ritenuta particolarmente appetitosa o desiderabile. Questo tipo di situazioni sono abbastanza semplici da intuire, in quanto il cane ringhia all’approssimarsi di persone o animali presso il proprio pasto. Inoltre vi è la tendenza, in particolare se si tratta di ossa, a nascondere e proteggere il cibo. La diagnosi in questo caso è molto specifica. Il cibo è la chiave interpretativa da indagare a fondo. Si è visto ad esempio, che l’utilizzo di giocattoli da mordere e masticare nei quali sono state inserite sostanze appetitose, può scatenare reazioni aggressive verso cibi ritenuti particolarmente invitanti. Inoltre, poiché sono molteplici i cibi che possono dar luogo a tali manifestazioni, ciò si traduce nel coinvolgimento di differenti mediatori neurochimici, che dovrebbero farci inquadrare in altre sottoclassi la problematica in oggetto. Le diagnosi comunque ci indicano che il cibo non è assolutamente percepito come un oggetto di possesso; si ritiene inoltre che questo atteggiamento nei confronti del cibo, possa essere altresì correlato alle dinamiche evolutive del cane e al perpetrarsi di forme ancestrali di protezione del cibo. In situazioni di questo genere, occorre che la somministrazione del cibo avvenga in modo controllato e protetto; nessuno deve avvicinarsi per togliere la ciotola fintanto che il soggetto non è lontano dalla zona interessata; è preferibile che il cane, laddove non si renda necessario una sua collocazione dietro un cancello o un’altra struttura di contenzione, consumi il suo pasto all’esterno delle zone domestiche adibite dall’uomo alla propria alimentazione. Di fondamentale importanza mantenere i bambini debitamente separati dal cane, soprattutto quando da ambo le parti ha luogo la consumazione di cibo (Overall, 2013, p.173-230).

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1.7 (10) Aggressività da possesso

Questi tipi di manifestazione si ridirigono nei confronti di individui che cercano di approcciarsi a un oggetto (che non sia cibo) posseduto dall’aggressore o di cui quest’ultimo ne controlla le modalità con cui poterne disporre. In assenza di tale oggetto del contendere, ogni manifestazione cessa di esistere. Le categorie di oggetti che possono dar luogo a reazioni di questo tipo sono molteplici, ma non si tratta in alcun caso né di cibo né di oggetti appetibili. I mediatori neurochimici coinvolti, differiscono in modo sostanziale da quelli riscontrati nelle forme di aggressività correlate al cibo. Talvolta correlata con forme di aggressività da controllo dell’impulso, ne differisce e si caratterizza per una risposta forte, ristretta e ripetibile nei confronti dell’oggetto in questione. In tutti questi casi i soggetti tendono a fissare l’oggetto, proteggerlo e perfino occultarlo. L’aggressore ringhia all’approssimarsi di un altro individuo, sia esso uomo o cane. In taluni casi il soggetto sembra perfino mostrare all’altro l’oggetto ma, se l’estraneo si avvicina, scatta l’aggressione. Infine, all’interno del contesto domestico, un cane che ha numerosi giocattoli, può minacciare i proprietari per il totale controllo dei medesimi. Questo tipo di aggressività si riscontra in particolar modo al raggiungimento della maturità sociale. La reazione può manifestarsi esclusivamente verso altri cani o viceversa solo verso umani. Nell’utilizzo dei giochi è importante che i proprietari non comunichino inavvertitamente un senso di pericolo e di protezione che incoraggia tali manifestazioni di aggressività. In questi casi, gli studi ci dicono che spesso sono proprio le modalità d’interazione ludica tra il cane e il proprietario, all’origine dei comportamenti anomali. I proprietari, infatti, sono convinti di poter gestire l’accesso ai giochi secondo la propria discrezionalità, ovvero di fornire l’oggetto ma altresì toglierlo al cane improvvisamente (senza una ragione determinata), più spesso come affermazione della propria superiorità sull’amico a quattro zampe. Un altro punto importante riguarda il controllo dell’ambiente volto a evitare l’istigazione nel soggetto di forme di possesso o controllo anomale e ingiustificate. Assolutamente sconsigliabile toccare o prelevare un oggetto, sul quale il cane sta esercitando il proprio controllo in forma anomala e possessiva. In alcuni casi poi, l’unica cosa da fare nell’immediatezza della situazione è allontanarsi dal soggetto (Overall, 2013, p.173-230).

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1.7 (11) Aggressività predatoria

In questi casi si possono riscontrare aggressioni sommesse, ma più spesso comportamenti esibiti durante circostanze associate all’attività predatoria o verso vittime quali giovani, bambini o animali malati. La morte o la consumazione non sono necessarie nella sequela di eventi; i danni maggiori si riscontrano quando l’attività predatoria è diretta nei confronti di umani o di altri cani. Spesso tali manifestazioni sono esibite nei confronti di altre specie presenti nel proprio territorio o verso individui che mostrano disabilità o che vanno in bicicletta. I segni più importanti sono rappresentati da sguardo fisso, salivazione, midriasi, movimenti agitati della coda, inseguimenti silenziosi, movimenti a scatto. Di solito l’attacco consegue in ultimo alla mobilizzazione della vittima, dopo un periodo di controllo serrato della medesima da parte dell’aggressore. Dal punto di vista eziologico, si è riscontrata una certa correlazione tra cani che hanno mostrato attività predatoria nei confronti di animali selvatici e l’esplicazione di dinamiche predatorie nei confronti di cani o essere umani. Episodi di aggressività verso le persone sembrano preludere altresì ad attacchi nei confronti dei consimili. La condizione fisica di alcuni essere umani o di alcuni animali, li rende poi delle vittime ideali, denotando in essi movenze tipiche di una preda. Per questa modalità aggressiva, l’unico trattamento possibile consiste in una gestione adeguata e attenta del soggetto (Overall, 2013, p.173-230).

1.7 (12) Aggressività legata al controllo dell’impulso

Questo tipo di aggressività è definito come una reazione inappropriata e anormale nei confronti di esseri umani, all’interno di un contesto nel quale si esercita un controllo attivo o passivo del comportamento del cane. Tutti i tentativi di correggere o interrompere un certo comportamento, cui fa seguito l’intensificazione delle risposte aggressive, conferma tale diagnosi. Questo tipo di aggressività è altresì conosciuto come aggressività da dominanza. Le forme di aggressività da controllo dell’impulso possono essere distinte in due grandi categorie. La prima comprende le forme di autentica aggressività impulsiva, si tratta in questi casi di soggetti più spesso ansiosi e disorientati. Nel secondo gruppo sono ricompresi quegli episodi che sembrano legati all’impulsività, ma

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27 che in realtà sono il frutto di un’errata e impropria comunicazione tra il cane e i proprietari. I segni che ci indicano una possibile reazione di questo genere sono l’irrigidimento del soggetto, lo sguardo fisso, l’essere desto e attento, non da ultimo bloccare o afferrare le gambe delle persone quando il cane si trova in una delle seguenti situazioni: spinto; manovrato dalla testa o dal muso; manovrato con il piede; corretto verbalmente; corretto con collare e guinzaglio; spostato o spinto via da un letto da un divano o allontanato da una persona; disturbato mentre dorme. In diagnosi differenziale, dobbiamo ricordare il dolore e le malattie sistemiche, con particolare riferimento alle patologie endocrine. Questo tipo di aggressività è diagnosticato più spesso nei maschi, nei quali però evolve più lentamente rispetto alle femmine, per le quali soprattutto se giovani tende a manifestarsi in forme fulminanti. Solitamente in entrambe i sessi, le manifestazioni hanno luogo durante il periodo della maturità sociale. Entrambe le forme in precedenza descritte possono essere correlate con un alterato metabolismo del glutammato e della serotonina. La chiave della corretta gestione di tali situazioni risiede nell’evitare di stimolare la risposta aggressiva da parte del cane. Ciò si ottiene tenendosi lontani da tutte quelle situazioni di eccitazione agonistica, che suscitano nel cane il comportamento indesiderato. Rinforzare gli atteggiamenti positivi di mancata risposta allo stimolo e allontanarsi da esso quando invece si mostra reattivo. Assicurarsi di poter monitorare il soggetto e se ciò non è possibile, collocarlo in un luogo opportuno dove non possa nuocere ad altre persone. L’interazione con il cane deve avvenire secondo regole ben precise, rispettate da chiunque intenda approcciarsi con il soggetto (Overall, 2013, p.173-230).

1.7 (13) Aggressività idiopatica

Come ci suggerisce il nome, questo tipo di diagnosi ha luogo quando le aggressioni ricorrono in contesti privi di stimoli riconducibili a forme di aggressività note, e in assenza di cause fisiche o alterate condizioni fisiologiche. La diagnosi deve inoltre distinguere come indipendenti le forme ad eziologia neurologica. Spesso questa tipo di aggressività è altresì definito come rabbia (concetto desunto dall’ambito umano che andrebbe calato nel contesto sociale del cane), e correlato con l’aggressività impulsiva. Nessun segno di alcun tipo è

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28 riscontrabile in associazione a tali manifestazioni. In diagnosi differenziale ricordiamo le crisi epilettiche, il dolore acuto, trattamenti con corticosteroidei. Le manifestazioni ricorrono più spesso tra uno e tre anni, periodo nel quale si ha la maggior frequenza di crisi epilettiche idiopatiche; non è possibile indurre la riproposizione di tali atteggiamenti in un contesto clinico. L’unico trattamento possibile, dal momento che le cause sono pressoché ignote, risiede nell’evitare tutte quelle circostanze che sono associate alle reazioni aggressive o che ne sono addirittura scatenanti (Overall, 2013, p.173-230).

1.8 Scopo dello studio

Il presente studio si è preposto di osservare il comportamento di cani condotti in visita presso il consultorio di medicina comportamentale del Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa. In particolare sono state sfruttate le riprese effettuate durante i colloqui tra i proprietari ed il veterinario comportamentalista, i quali si svolgono sempre alla presenza dell’animale ivi condotto. Sono stati scelti ventisei casi, di cui tredici riferibili a cani condotti presso il consultorio per problemi di aggressività nei confronti delle persone; e i restanti tredici scelti tra cani che mostravano ogni altro tipo di problema che non fosse l’aggressività verso esseri umani. Lo scopo principale della ricerca è stato quello di capire se esistessero delle differenze osservabili durante la consulenza comportamentale fra cani aggressivi verso le persone e cani che non mostrino tale tipo di aggressività. Inoltre, ci siamo proposti di individuare, se possibile, le eventuali differenze esistenti tra soggetti aggressivi verso i familiari e soggetti aggressivi verso persone estranee.

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2.0 Materiali e metodi

2.1 Luogo di svolgimento delle visite comportamentali

Lo studio, qui rappresentato, ha preso l’incipit dall’osservazione dei comportamenti tenuti da alcuni cani, durante le visite comportamentali presso il consultorio di medicina comportamentale degli animali d’affezione, del Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa. Presso la struttura, è in funzione un consultorio, nel quale un medico veterinario, esperto in medicina comportamentale, riceve i pazienti accompagnati dai relativi proprietari. L’ambulatorio si configura come una grande stanza, con porte di accesso alla medesima comunicanti con l’esterno e porta interna che consente il passaggio alle altre stanze del dipartimento. L’arredo interno è rappresentato da un tavolo, le sedie per far accomodare i proprietari, un lavandino, un mobile, e due divani nella piena disponibilità dei quattro zampe. All’interno della stanza, sono collocate quattro telecamere in punti strategici per la ripresa del cane nella quasi totalità dello spazio ambulatoriale. Le immagini sono registrate in tempo reale su cd e successivamente trasferite in un hard-disk apposito, che ne costituisce l’archivio. I filmati, presi in visione, si riferiscono a visite condotte nel biennio 2012-2014.

2.2 Le caratteristiche dei gruppi selezionati

Sono diventati oggetto di studio 26 casi, di cui 13 riferibili a cani con problemi di aggressività verso le persone ed i restanti 13 con qualsiasi altro tipo di problema comportamentale, ivi compresa l’aggressività verso i propri simili. Nel gruppo dei cani aggressivi il 46% (n=6) mostrava aggressività verso le persone estranee, il 38,5% (n=5) mostrava aggressività verso le persone familiari, il restante 15,3% mostrava aggressività verso entrambe. Nel gruppo dei cani non aggressivi il 77% (n=10) presentava fobie di varia natura, il 15,4% (n=2) mostrava aggressività verso i consimili, il restante 7,6% (n=1) grande eccitabilità. Nel gruppo dei cani aggressivi l’84,5% (n=11) era rappresentato da maschi, mentre nel gruppo dei non aggressivi il 53,8% (n=7) era rappresentato da maschi. In entrambe i gruppi, il numero dei cani di razza rappresentava il 53,8% (n=7) del totale. Il veterinario

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30 comportamentalista ha proposto, in ausilio alla terapia comportamentale, una terapia farmacologica nel 38,4% (n=5) dei soggetti aggressivi, e nel 61,5% (n=8) dei non aggressivi. Nel gruppo dei cani aggressivi, il veterinario comportamentalista ha proposto l’ausilio dell’educatore cinofilo, durante il percorso rieducativo, nell’86,4% (n=11) dei casi. Mentre nel gruppo dei cani non aggressivi, la proposta di ricorso all’educatore cinofilo è stata fatta nel 23% (n=3) dei casi. Dall’analisi dei floow-up è emerso che, nel gruppo dei cani aggressivi, il 77% (n=10), dopo aver intrapreso un percorso rieducativo, ha evidenziato significativi miglioramenti; mentre nel gruppo dei non aggressivi si è assistito ad un miglioramento nell’85% (n=11) dei casi.

2.3 Modalità di svolgimento delle osservazioni

I filmati sono stati visionati secondo uno schema costante, che prevedeva l’osservazione su complessivi 30 minuti di registrazione, così suddivisi:

-osservazione della consulenza dal suo inizio per i primi 10 minuti (0-10 minuti); -osservazione dei 10 minuti centrali della prima ora (25-35 minuti);

-osservazione degli ultimi 10 minuti della prima ora di consulenza (50-60 minuti). L’osservazione è stata condotta analizzando secondo per secondo il comportamento dei singoli cani, misurando la frequenza e durata dei comportamenti elencati in un etogramma (tabelle 1 e 2), che comprendeva la maggior parte dei comportamenti visibili con le relative definizioni.

2.4 Etogramma

Tabella 1: etogramma contenente le definizioni dei comportamenti non sociali Non sociali

Comportamenti Definizioni Riferimenti bibliografici Esplorazione Attività dirette verso gli oggetti

presenti nella stanza. Annusare, ispezione visiva da lontano (fissando o scanning), ispezione visiva da vicino, leccare.

Topàl et al., 1998; Prato Previde et al., 2003; Palestrini et al., 2005, 2010; Mariti et al., 2013.

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Esplorazione statica Il cane in piedi, seduto o sdraiato esercita attività di ricerca dell’ambiente circostante in modo statico.

Presente ricerca

Si stira Il cane stiracchia il corpo e le zampe.

Breeda et al., 1997

Locomozione Ogni attività motoria diversa dall'esplorazione, dal gioco e dal seguire.

Mariti et al., 2014; Modificato da: Prato Previde et al., 2003; Palestrini et al., 2005; Palestrini et al., 2010. Seduto Il cane ha il posteriore appoggiato a terra mentre le zampe anteriori sono stese, il torace non tocca il pavimento.

Mills et al., 2006; Hubrecht, 1993.

In piedi Il cane è in piedi con le quattro zampe che toccano il pavimento.

Mills et al., 2006; Schipper et al., 2008.

Sdraiato Il cane poggia il torace al pavimento, ma il soggetto è attento a ciò che lo circonda.

Mills et al., 2006

Dormire Il cane è disteso con gli occhi chiusi.

Modificato da Graham et al., 2005.

Orientato alla porta Fissare la porta, sia quando si trova vicino ad essa che quando è lontano.

Prato Previde et al., 2003; Palestrini et al., 2005; Mariti et al., 2013; Mariti-Ricci et al., 2013; Mariti et al., 2014. Comportamenti verso la porta

Ogni attività diretta verso la porta: grattare, scavare, premere con il muso, dare zampate

Prato Previde et al., 2003; Palestrini et al., 2005; Mariti et al., 2013; Mariti-Ricci et al., 2013; Mariti et al., 2014.

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