• Non ci sono risultati.

Sintesi di inibitori dell'isoforma 5 della lattato deidrogenasi umana

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Sintesi di inibitori dell'isoforma 5 della lattato deidrogenasi umana"

Copied!
36
0
0

Testo completo

(1)
(2)

2

LA GLICOLISI

1

Il glucosio (Figura 1) è un monosaccaride aldeidico chirale costituito da una catena carboniosa a sei atomi di carbonio poliossidrilati; rappresenta la principale sostanza nutriente per la maggior parte degli organismi viventi ed occupa una posizione centrale in molti processi metabolici. L’enantiomero D è quello maggiormente presente in natura, mentre la sua immagine speculare, l’L-glucosio, non può essere metabolizzato dalle cellule.

Figura 1. a) Glucosio nella proiezione di Fischer; b) glucosio nelle proiezioni di Haworth; c)

D-glucosio nelle conformazioni a sedia.

Il glucosio una volta entrato nelle cellule, può avere tre principali destini metabolici (Figura 2) :

1. Può essere conservato. Il glucosio può infatti essere conservato sotto forma di polimeri ad alto peso molecolare come l’amido e il glicogeno; questo fa sì che le cellule possano accumulare grandi quantità di esosi senza però aumentare l’osmolarità del citosol. Quando la cellula ha un elevata richiesta energetica, il glucosio può essere rilasciato rapidamente dai polimeri di riserva e usato per produrre ATP sia in modo aerobico che anaerobico.

2. Può essere ossidato ad una molecola a tre atomi di carbonio, il piruvato, tramite il processo glicolitico. La glicolisi rappresenta la principale via del catabolismo del glucosio, nonché la prima conosciuta e la più studiata. La glicolisi inoltre rappresenta anche la principale o addirittura unica fonte di energia per alcune

(3)

3 cellule di mammifero come eritrociti, neuroni e spermatozoi. Nella glicolisi, una molecola di glucosio subisce dieci trasformazioni chimiche in sequenza, che portano alla produzione di due molecole di piruvato. Durante queste reazioni enzimatiche, catalizzate da enzimi che sono stati identificati e purificati, si ha la liberazione di energia che viene immagazzinata sotto forma di ATP e formazione di due molecole di NADH.

3. Può essere ossidato a ribosio-5-fosfato nella via del pentosio fosfato. Questa via metabolica è indispensabile per la produzione di NADPH e di pentosi come il D-ribosio fondamentale per la biosintesi degli acidi nucleici.

Figura 2. Le principali vie di utilizzazione del glucosio.

La glicolisi (Figura 3) può essere suddivisa in due fasi:

1. Fase preparatoria: la cellula compie un investimento energetico, utilizzando due molecole di ATP per fosforilare una molecola di glucosio, così che si possa scindere in due molecole di gliceraldeide 3-fosfato.

2. Fase di recupero energetico: comprende gli ultimi cinque step della glicolisi nei quali le due molecole di gliceraldeide 3-fosfato, precedentemente formate, vengono trasformate in due molecole di piruvato con contemporanea formazione di ATP e NADH.

Dal bilancio delle due fasi si ottiene l’equazione complessiva della glicolisi: glucosio + 2ATP + 2NAD+ → 2 piruvato + 4ATP + 2NADH; con un guadagno energetico netto di due molecole di ATP.

(4)

4

(5)

5

Fase preparatoria

Nella prima tappa (Step 1) una molecola di ATP dona un gruppo fosforico alla molecola di glucosio che viene così attivata per le reazioni successive. La fosforilazione avviene sull’ossidrile in C-6 ad opera dell’enzima esochinasi (Figura 4). L’esochinasi è un enzima che necessita della presenza di ioni Mg2+ per esplicare la propria azione catalitica, in quanto, il vero substrato non è l’ATP4- ma è il complesso MgATP2-.

Figura 4. Prima tappa: fosforilazione del glucosio.

La fosforilazione del glucosio a livello intracellulare riveste un ruolo chiave nel mantenere la concentrazione intracellulare di glucosio bassa in modo da non ostacolare il suo flusso in entrata. Infatti il glucosio entra nella cellula attraverso specifici trasportatori (GLUT), che regolano il flusso a seconda della sua concentrazione intra- ed extracellulare. Una volta fosforilato in modo irreversibile, poi, il glucosio-6-fosfato (G6P) non può più uscire dalla cellula, poiché i gruppi fosforici sono ionizzati a pH 7.0 e la membrana cellulare è impermeabile a molecole cariche, inoltre non sono presenti trasportatori di membrana specifici per il G6P.

Il secondo step prevede una reazione di isomerizzazione nella quale il glucosio 6-fosfato, un aldosio, viene trasformato in fruttosio 6-6-fosfato, un chetosio (Figura 5); questo fa sì che anche il fruttosio possa entrare nel ciclo della glicolisi con la semplice fosforilazione in C-6.

(6)

6 L’enzima coinvolto nell’isomerizzazione reversibile è la fosfogluco isomerasi.

Il terzo step (Figura 6) costituisce il punto principale di regolazione della glicolisi. La

fosfofruttochinasi-1 (PFK-1) è un enzima piuttosto complesso: oltre ai siti di legame per i

suoi substrati, possiede anche atri siti regolatori dove si legano attivatori o inibitori allosterici. L’attività dell’enzima è incrementata da basse concentrazioni di ATP e alte concentrazioni dei suoi metaboliti ADP e AMP; se invece ci sono alte concentrazioni di ATP, prodotto da altre vie metaboliche, l’enzima è inibito.

La fosfofruttochinasi-1 aggiunge un secondo fosfato, donato dall’ATP, al fruttosio-6-fosfato, formando il fruttosio 1,6-bisfosfato.

Figura 6. Terzo step: fosforilazione del fruttosio 6-fosfato.

Nel quarto step (Figura 7), l’enzima fruttosio 1,6-bifosfato aldolasi, spesso chiamato semplicemente aldolasi, rompe la molecola di zucchero catalizzando una reazione retroaldolica che dal fruttosio 1,6-bifosfato porta alla gliceraldeide 3-fosfato, un aldosio, e al diidrossiacetone fosfato, un chetosio.

Figura 7. Quarto step: scissione del fruttosio 1,6-bifosfato.

L’aldolasi può realizzare anche la reazione opposta, legando insieme le due molecole più piccole per riformare il fruttosio 1,6-bisfosfato (proprio da questa reazione inversa, una

(7)

7 condensazione aldolica, l’enzima prende il nome). Nelle condizioni intracellulari l’equilibrio è però spostato a destra in quanto, appena formati questi intermedi, essi vengono subito sottratti all’equilibrio per subire le successive trasformazioni.

La gliceraldeide 3-fosfato è pronta per le fase successiva di recupero energetico, mentre il diidrossiacetone fosfato deve subire un ulteriore step (Figura 8), dove a sua volta viene trasformato in gliceraldeide 3-fosfato.

Figura 8. Quinto step: isomerizzazione del diidrossiacetone fosfato.

L’enzima che catalizza la reazione è la trioso fosfato isomerasi; grazie a quest’ultimo passaggio si ottengono due molecole identiche di gliceraldeide-3-fosfato, pronte per seguire la stessa via; si completa così la fase preparatoria della glicolisi.

Fase di recupero energetico:

La seconda fase della glicolisi inizia con il sesto step (Figura 9) dove la gliceraldeide 3-fosfato viene prima ossidata ad acido a cui poi viene legato uno ioni 3-fosfato ottenendo un’anidride mista chiamata acil fosfato: l’1,3-bifosfoglicerato.

(8)

8 L’enzima che catalizza la razione è la gliceraldeide 3-fosfato deidrogenasi; l’agente ossidante utilizzato dall’enzima è il NAD+ (forma ossidata del cofattore nicotinamide adenin dinucleotide) che legando uno ione idruro (:H-) si riduce a NADH, mentre l’altro atomo di idrogeno proveniente dalla molecola del substrato che si ossida compare nella soluzione sottoforma di ione H+.

L’acil fosfato appena formato è un intermedio con un energia libera di idrolisi molto elevata, questa energia viene sfruttata dalla cellula per produrre ATP nella settima tappa della glicolisi dove l’1,3-bifosfoglicerato viene trasformato in 3-fosfoglicerato (Figura 10).

Figura 10. Settimo step: trasferimento del gruppo fosforico dall’1,3-bifosfoglicerato all’ADP.

La reazione in condizioni intracellulari è reversibile, infatti l’enzima che la catalizza, la

fosfoglicerato chinasi, prende il nome proprio dalla reazione inversa.

L’intermedio ottenuto possiede ancora un gruppo fosforico, che nell’ottavo step (Figura 11) grazie all’enzima fosfoglicerato mutasi viene spostato dal C-3 al C-2 del glicerato.

Figura 11. Ottavo step: conversione del 3-fosfoglicerato in 2-fosfoglicerato.

Nella nona tappa (Figura 12), il 2-fosfoglicerato viene disidratato per dare il fosfoenolpiruvato.

(9)

9 Nell’ultimo step (Figura 13), l’estere fosfato viene idrolizzato per produrre ATP con contemporanea formazione di una molecola di piruvato, inizialmente nella forma enolica, ma che tautomerizza rapidamente nella sua forma chetonica, che è quella prevalente a pH 7.0.

Figura 13. Decimo step: trasferimento del gruppo fosforico dal fosfoenolpiruvato all’ADP.

La reazione è catalizzata dall’enzima piruvato chinasi, che è un importante enzima allosterico. Ha un ruolo fondamentale nella regolazione della glicolisi, infatti viene inibito da alte concentrazioni di ATP e di altri intermedi importanti per la produzione di energia come l’Acetil-CoA. Viene invece attivato quando diminuiscono i livelli di ATP e aumentano i livelli di zuccheri fosforilati come il fruttosio 1,6-bisfosfato.

(10)

10

Effetto Pasteur

Louis Pasteur, studiando la fermentazione del glucosio operata dal lievito, notò che sia la velocità di consumo del glucosio, sia la quantità totale di glucosio consumato erano molto maggiori in condizioni anaerobiche (basse concentrazioni di O2), che in condizioni aerobiche (alte concentrazioni di O2). Studi successivi confermarono il verificarsi di tale fenomeno anche nel tessuto muscolare. Questo fenomeno prende il nome di “Effetto

Pasteur”.1, 2

La spiegazione biochimica di questo fenomeno si basa sul confronto tra il metabolismo di una cellula in condizioni aerobiche e in condizioni anaerobiche (Figura 14).

Figura 14. Produzione energetica in condizioni anaerobiche e aerobiche.

In condizioni normali di ossigeno, la cellula, dopo la glicolisi, catabolizza il piruvato nel ciclo di Krebs arrivando ad ottenere CO2 ed H2O con una produzione di ben 32 molecole di ATP. Quando invece ci sono basse concentrazioni di O2, la cellula, una volta avvenuta la glicolisi, non può continuare nel catabolismo del glucosio, con una conseguente produzione totale di sole 2 molecole di ATP. In conclusione, per riuscire ad ottenere una stessa quantità di energia, la cellula, in condizioni anaerobiche, deve accelerare la glicolisi quindi necessiterà di un quantitativo maggiore di glucosio.

L’aumentare del consumo di glucosio al diminuire della concentrazione di O2 si può quindi considerare come un fenomeno adattativo della cellula, che cerca di adeguare la produzione di ATP alle richieste energetiche cellulari.

(11)

11

I DESTINI DEL PIRUVATO

1

Il piruvato, prodotto finale della glicolisi, può subire vari destini a seconda delle condizioni in cui si trova la cellula (Figura 15):

Figura 15. Destino del piruvato.

Condizioni aerobiche:

1. Il glucosio nel citosol viene degradato a piruvato con la produzione di energia tramite il processo glicolitico. In presenza di O2 il catabolismo del glucosio continua fino ad ottenere CO2 ed H2O. Infatti il piruvato, una volta formato, viene trasportato dal citosol ai mitocondri dove subisce una prima reazione di decarbossilazione ossidativa, nella quale perde il gruppo carbonilico sotto forma di CO2 e vi si lega il Coenzima-A con contemporanea riduzione del NAD+ a NADH. L’acetil-CoA è ora pronto ad entrare nel ciclo dell’acido citrico (o ciclo di Krebs) (Figura 16) e ad essere completamente metabolizzato. Come si vede nella Figura 16, in questo ciclo si intrecciano una serie di vie metaboliche in quanto molti degli intermedi possono derivare da altri processi biochimici o possono essere il punto di partenza per la formazione di altre sostanze. I lipidi a catena pari possono essere ossidati completamente, attraverso il processo della β-ossidazione, a formare Acetil-CoA, mentre quelli a catena dispari sono ossidati ad Acetil-CoA e Succinil-CoA ed entrano quindi nel ciclo. Il citrato, che si forma nel primo step, del ciclo

(12)

12 può essere trasportato nel citosol ed essere scisso dall’enzima citrato liasi per dare di nuovo Acetil-CoA, che a sua volta può entrare nella biosintesi degli acidi grassi e del colesterolo. Gli amminoacidi possono subire vari processi metabolici e diventare intermedi pronti ad essere catabolizzati nel ciclo di Krebs. Intermedi come gli acidi ossalacetico o α-chetoglutarato sono però anche punti di partenza per la biosintesi di amminoacidi. Ulteriori interemedi sono coinvolti in reazioni anaboliche ad esempio a partire dal Succinil-CoA si sintetizza il nucleo porfirinico, o l’L-malato che entra nel processo della gluconeogenesi.

Figura 16. Ciclo di Krebs.

Durante questo ciclo di reazioni si produce energia, che la cellula immagazzina attraverso la formazione di ATP e la contemporanea riduzione di cofattori come NAD+ e FAD rispettivamente a NADH e FADH2. I cofattori ridotti cedono poi

(13)

13 elettroni a dei complessi che si trovano sulla membrana interna mitocondriale e che fanno parte di quella che viene chiamata catena respiratoria. L’accettore finale di questi elettroni è l’ossigeno molecolare, che viene trasformato in H2O. Il trasferimento di elettroni da un complesso all’altro è accompagnato dalla traslocazione di protoni dalla matrice allo spazio mitocondriale intermembrana. Si viene così a creare un gradiente di concentrazione e di carica che permette, attraverso un processo chiamato fosforilazione ossidativa, la formazione di ATP.

Condizioni anaerobiche:

2. Il lievito e altri microrganismi, in assenza di ossigeno, fermentano il glucosio a etanolo e CO2 in un processo chiamato fermentazione alcolica (Figura 17). Il piruvato, derivante dalla glicolisi, viene in una prima tappa decarbossilato ad acetaldeide, che, a sua volta, subisce una riduzione ad etanolo con la conseguente ossidazione del cofattore NADH a NAD+.

Figura 17. Fermentazione alcolica TPP descrivere la sigla (Tiamina pirofosfato).

3. Cellule come quelle appartenenti al muscolo scheletrico umano o gli eritrociti, se non possiedono una concentrazione tale di ossigeno per effettuare la respirazione cellulare, ma si trovano in condizioni anaerobiche, vanno incontro ad un processo che prende il nome di fermentazione lattica (Figura 18), nella quale una molecola di piruvato viene ridotta a lattato, con conseguente ossidazione del NADH a NAD+.

(14)

14 In condizioni normali, la cellula sfrutta l’ossigeno come accettore finale degli elettroni permettendo una continua rigenerazione di cofattori ossidati e la glicolisi può quindi procedere senza limitazioni. Se però la cellula, per vari motivi, non ha più quantità adeguate di ossigeno, si verificherà un blocco della fosforilazione ossidativa con conseguente accumulo di cofattori ridotti. La produzione di energia tramite la glicolisi sarebbe quindi destinata a bloccarsi, in quanto risulterebbe impossibile ossidare la gliceraldeide-3-fosfato in assenza del cofattore NAD+. Di conseguenza, il piruvato derivante dalla glicolisi è sottoposto ad una reazione di ossido-riduzione dove si ha la rigenerazione del NAD+ e la conseguente riduzione del piruvato ad acido lattico, che a pH fisiologico si trova prevalentemente sotto forma di lattato. Quindi, da una molecola di glucosio si ha la produzione di due molecole di NADH e due di piruvato; dalle stesse due molecole di piruvato attraverso la fermentazione lattica si riottengono due molecole di cofattore ossidato NAD+. Si ha quindi un bilanciamento perfetto, così che la cellula possa portare avanti la glicolisi anche in condizioni anaerobiche, senza arrivare al blocco completo della produzione di energia.

La fermentazione lattica è un processo che avviene spesso soprattutto nel muscolo scheletrico sotto sforzo, dove si possono avere momenti di momentanea carenza di ossigeno. L’acido lattico prodotto provoca l’acidificazione del muscolo con conseguenti dolori e crampi; in un secondo momento, durante il recupero dopo lo sforzo fisico, l’acido lattico viene trasportato dal sangue al fegato dove viene convertito in glucosio.

L’enzima che catalizza la reazione è la L-lattato deidrogenasi (LDH), appartenente alla classe delle ossidoreduttasi. L’LDH (Figura 19) è un tetramero le cui subunità possono essere di due tipologie: il tipo H, maggiormente presente nel cuore e il tipo M, maggiormente presente nel muscolo scheletrico. Dalla diversa combinazione di queste subunità si ottengono cinque forme isoenzimatiche: LDH-1 (H4), LDH-2 (H3M), LDH-3 (H2M2), LDH-4 (HM3) e LDH-5 (M4). Questi isoenzimi differiscono tra loro per distribuzione tissutale e piccole differenze cinetiche e di composizione amminoacidica. L’ LDH-1 o LDH-B (H4) è maggiormente espresso a livello del muscolo cardiaco e degli eritrociti; mentre l’LDH-5 o LDH-A (M4) è prevalentemente presente nel muscolo scheletrico e nel fegato. La presenza di una particolare isoforma all’interno di una cellula è completamente dipendente dalla quantità dei due monomeri (H, M) disponibili per associarsi.3

(15)

15

Figura 19.3 LDH-1 complessato con NADH e ossammato (in blu); i monomeri sono evidenziati con colori

diversi e il sito attivo è evidenziato in azzurro.

Il meccanismo d’azione dell’enzima prevede il trasferimento di uno ione idruro dall’anello nicotinammidico del NADH al gruppo chetonico del piruvato (Figura 20). L’Asp166, tramite un legame ad idrogeno, stabilizza la forma protonata dell’anello imidazolico dell’His193. Quest’ultima ha due funzioni fondamentali: lega il piruvato posizionandolo in modo corretto e funge da donatore/accettore di protoni nella reazione redox. Il piruvato viene anche stabilizzato grazie al legame tra il carbossilato e l’Arg169. Inoltre l’Arg106 ha la funzione di polarizzare la funzionalità chetonica, promuovendo l’attacco da parte dell’idruro donato dal NADH. Questi quattro residui amminoacidici sono conservati in tutte le isoforme dell’LDH.4

Asp166 O O HN N H His193 C CH3 O O NH2 H2N NH Pyr Arg169 H2N NH2 NH Arg106 N NADH O NH2 H H O

Figura 20. Meccanismo d’azione dell’LDH. (La numerazione amminoacidica è stata ottenuta dallo

(16)

16

L’IPOSSIA TUMORALE

L’ipossia è un fenomeno dovuto alla scompenso tra l’apporto e il consumo di O2 che, nei casi più gravi, può trasformarsi in anossia, ovvero un assenza di O2. Molti studi5 condotti negli ultimi anni hanno dimostrato che lo svilupparsi di aree tissutali ipossiche spesso coincide con la presenza di tumori solidi in stato avanzato. Infatti, nelle zone tumorali, si riscontrano valori medi di pressione parziale di O2 molto più bassi rispetto ai valori medi riscontrati nei tessuti normali (Figura 21). Inoltre i tumori non presentano una distribuzione di ossigeno costante, in quanto i valori di pO2 possono subire grandi variazioni passando da una zona all’altra e questo fa sì che le zone ipossiche e/o anossiche siano dislocate in modo molto eterogeneo.6

Figura 21.6 Ossigenazione dei tumori e dei tessuti normali circostanti.

(*misutati in mmHg; ND dati non disponibili)

La caratteristica principale delle masse tumorali è l’elevata attività proliferativa ed è proprio questa la causa principale a cui attribuire le anomalie strutturali e funzionali della microcircolazione tumorale. Le cellule tumorali, che hanno ormai perso i meccanismi di controllo di crescita, si dividono con una velocità elevata e senza un’organizzazione definita. Questo porta alla formazione di estese masse tumorali che possono andare a comprimere od ostruire completamente i lumi vasali. Essendo i vasi ostruiti, il flusso sanguino alle cellule diminuisce, così che le zone tissutali da loro irrorati subiscono una drastica diminuzione di O2 fino ad avere zone necrotiche se l’interruzione del flusso è totale.

(17)

17 La massa in neoformazione per continuare nella proliferazione deve però garantirsi un adeguato apporto di ossigeno e nutrienti; per farlo, mette in atto un fenomeno detto

angiogenesi. L’angiogenesi avviene in qualsiasi tessuto in accrescimento, in quanto i nuovi

tessuti, attraverso la liberazione di particolari fattori come Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF), promuovono la formazione di nuovi vasi per avere un’adeguata ossigenazione. Allo stesso modo, la massa tumorale si crea un proprio microcircolo per soddisfare le proprie necessità metaboliche. Così come per la crescita tumorale, anche la crescita dei vasi sanguigni non ha un’organizzazione ben definita. I vasi che si formano sono spesso irregolari, tortuosi, possono presentare anastomosi artero-venose e fondi chiusi, mancano di muscolatura liscia ed innervazione e possono avere un rivestimento endoteliale incompleto (Figura 22). Sono proprio queste anomalie nella struttura vasale che portano ad un inefficiente ed incostante trasporto di nutrienti.

Figura 22.3 Vasi sanguigni in un tessuto normale (a) e in uno tumorale (b).

L’ipossia che deriva dalla situazione di sbilanciamento tra consumo e apporto di ossigeno, tipica di molti tessuti tumorali, può essere dovuto a vari fattori (Figura 23):7

• Anomalie strutturali e funzionali della microcircolazione tumorale (ipossia

diffusione-limitata). L’apporto di ossigeno limitato dalla perfusione conduce, in

genere, a forme di ipossia che sono transienti e per questo si parla di ipossia

acuta.

• Alterazione della geometria diffusionale (ipossia perfusione-limitata). Infatti la proliferazione tumorale è più veloce del processo di angiogenesi, quindi intorno

(18)

18 ad un vaso si crea una massa tumorale nella quale le zone periferiche si trovano troppo lontane dai vasi sanguigni neoformati per avere un adeguato apporto di ossigeno e nutrienti, poiché l’ossigeno, per arrivare alle cellule più periferiche, deve diffondere attraverso tutti gli strati cellulari sottostanti e di conseguenza, all’aumentare della distanza dai vasi, la concentrazione di ossigeno diminuisce. Quindi, le cellule che si trovano ad una distanza di oltre 70 µm dai vasi sanguigni non ricevono sufficienti quantità di ossigeno e queste masse periferiche si vengono a trovare in condizioni di ipossia stabile che, per questo motivo, viene definita ipossia cronica, poiché dovuta appunto alla limitazione diffusiva per la particolare geometria tumorale.

• Anemia causata dal tumore stesso o da terapie correlate che portano ad una ridotta capacità di trasporto di ossigeno (ipossia anemica).

Figura 23. Ipossia diffusione-limitata e perfusione-limitata

Le zone ipossiche costituiscono un ostacolo per la cura dei tumori, poiché costituiscono gli strati più resistenti alle chemioterapie e alle radioterapie.

I chemioterapici, vengono somministrati per via endovenosa e trasportati dal flusso ematico, quindi per raggiungere il bersaglio, come abbiamo visto per l’ossigeno, devono diffondere dal vaso sanguino fino agli strati cellulari più esterni, così la concentrazione del farmaco diminuisce rapidamente all’aumentare della distanza dal capillare (Figura 24). Ne consegue che le cellule più vicine ai vasi risentono dell’azione citotossica dei farmaci antitumorali, ma le cellule più lontane, che coincidono appunto con quelle ipossiche, sono raggiunte da concentrazioni di chemioterapici troppo basse e perciò i farmaci non riescono a esercitare il loro effetto citotossico. Per comprendere i motivi della chemioresistenza,

(19)

19 bisogna anche considerare che le cellule ipossiche periferiche, oltre ad essere raggiunte da concentrazioni molto basse di farmaci, sono anche cellule con un tasso di proliferazione più basso rispetto alle cellule tumorali più vicine ai vasi, mentre la maggior parte dei farmaci antitumorali hanno come loro bersaglio le cellule ad elevata proliferazione. La resistenza ai chemioterapici è anche dovuta al fatto che l’ipossia causa una “up-regulation” dei geni coinvolti nella resistenza ai farmaci.6

Figura 24.8 Relazione tra distanza dai vasi sanguigni, proliferazione, concentrazione di O2 e

concentrazione di farmaco. Nel grafico a destra si vede la relazione tra la frazione di cellule che sopravvivono all’azione del chemioterapico all’aumentare della distanza dal vaso.

Le cellule ipossiche sono anche più resistenti alle radioterapie poiché le radiazioni, per esercitare il loro effetto citotossico, producendo un danno permanente tramite la formazione di radicali, hanno bisogno della presenza dell’O2 nella cellula.

In condizioni normali, in ogni cellula è presente una piccola quantità di H2O2 che è formata da acqua ed ossigeno ad opera dell’enzima perossido dismutasi. La quantità di H2O2 dipenderà dalla quantità di ossigeno presente nella cellula. L’acqua ossigenata presenta un legame singolo ossigeno-ossigeno che, quando viene colpito dalle radiazioni ionizzanti, come i raggi X, subisce una scissione omolitica che porta alla formazione di due radicali ossidrilici (HO) citotossici (Figura 25). Le cellule ipossiche, avendo una bassa concentrazione di ossigeno, avranno anche una bassa concentrazione di H2O2 così che l’effetto citotossico sarà ridotto.

(20)

20

Figura 25. Meccanismo della formazione dei radicali ossidrilici citotossici.

I radicali HO• portano alla formazione di ulteriori radicali a carico delle basi nucleiche del DNA. Se è presente ossigeno, questo si lega al DNA danneggiato creando dei perossidi organici stabili che difficilmente vengono riparati e che portano alla rottura delle catene di DNA con conseguente morte cellulare. Invece, in assenza di ossigeno, le basi nucleiche danneggiate possono essere corrette ad opera di composti contenenti gruppi tiolici (RSH) perciò l’effetto citotossico non viene raggiunto (Figura 26).

(21)

21

Profarmaci attivati dall’ipossia

Tenendo conto delle caratteristiche peculiari dei tumori solidi, sono nate alternative ai chemioterapici classici. Infatti, le zone ipossiche sono quelle più resistenti alle terapie antitumorali, ma la bassa concentrazione di O2 può anche essere sfruttata per la progettazione di profarmaci ipossi-selettivi. Un profarmaco ipossi-selettivo ideale dovrebbe possedere 3 porzioni distinte:

 Una porzione “interruttore” (trigger) sensibile all’ambiente riducente esterno. Questa porzione, che nei tessuti ossigenati si trova nella sua forma ossidata e quindi “inattiva”, quando raggiunge una zona tumorale ipossica è in grado di ridursi e convertirsi nella forma attiva.

 Una porzione “effettrice”, ossia la porzione che una volta attivata svolge l’azione citotossica.

 Un linker che deve avere la capacità di trasmettere l’attivazione alla porzione effettrice.

Tra i principali gruppi che svolgono il ruolo di porzione interruttore ci sono: gruppi nitro aromatici, chinonici, N-ossidi e solfossidi. Questi sono gruppi organici che possono essere ridotti e, grazie alla redistribuzione elettronica che ne deriva, si vengono a formare specie elettrofile reattive o radicali liberi.9

Un esempio di meccanismo d’attivazione di un profarmaco selettivo per le zone ipossiche è rappresentato da una riduzione monoelettronica, catalizzata da reduttasi, che provoca la trasformazione del profarmaco inattivo in specie radicalica, la quale genera infine il vero farmaco citotossico (Figura 27).

(22)

22 Se la riduzione avviene in cellule ossigenate, si assiste ad un processo di detossificazione, infatti si può avere il ritrasferimento dell’elettrone spaiato dal farmaco attivo all’ossigeno molecolare con la formazione dello ione superossido, il quale viene poi trasformato dall’enzima superossido dismutasi in H2O2, e del profarmaco di partenza. Invece, nelle cellule ipossiche, il radicale formato in seguito alla riduzione del profarmaco può causare un effetto citotossico, agendo come farmaco vero e proprio.

Un profarmaco di questo tipo è la tirapazamina (TPZ) (Figura 28), il cui meccanismo di attivazione prevede la riduzione monoelettronica da parte di una reduttasi a formare il radicale TPZ•. Questo radicale, in presenza di ossigeno, viene nuovamente ossidato a dare la forma inattiva della TPZ. Nelle cellule ipossiche, invece, il radicale TPZ• ha un emivita più lunga e questo fa sì che possa subire un decadimento spontaneo formando quelle che sono le vere specie citotossiche. Il radicale TPZ• può infatti: rilasciare un radicale ossidrilico (HO•) per scissione omolitica del legame N-OH o perdere H2O e formare il radicale BTZ•. I radicali HO• e BTZ• sono i veri agenti citotossici, poichè provocano un danno a livello dell’enzima Topoisomerasi II (l’enzima che determina un aumento o una diminuzione del grado di superavvolgimento del DNA, svolgendo un ruolo fondamentale nella replicazione di questo acido nucleico), portando ad una rottura del doppio filamento di DNA e conseguente morte cellulare.

Figura 28.6 Meccanismo d’attivazione della Tirapazamina.

In generale, questi profarmaci non sono capaci, una volta attivati, di uscire dalle cellule ipossiche in cui sono stati generati. È sorto quindi un grande interesse nella progettazione di profarmaci che possano diffondere dalla cellula di origine, generando un effetto

bystander, così da estendere l’effetto citotossico non solo alle cellule ipossiche ma anche a

quelle adiacenti.

È importante considerare che, sebbene l’ipossia sia una tipica caratteristica dei tumori solidi, nell’organismo umano esistono tessuti come fegato, midollo osseo, cute, testicoli,

(23)

23 retina e cartilagini che presentano fisiologicamente una moderata ipossia. Questo comporta che, per ottenere una migliore selettività e diminuire il rischio di effetti secondari indesiderati, i profarmaci dovrebbero attivarsi a valori di pO2 molto bassi. Questo comporterebbe una migliore selettività nei confronti del tumore, ma anche un’azione limitata alle zone più esterne del tumore dove è presente un’ipossia più marcata. Il profarmaco ideale dovrebbe quindi contenere una zona interruttore, che si attiva solo in presenza di pO2 molto basse e una porzione effettrice, che può dare un effetto bystander, permettendo di eliminare le cellule adiacenti radioresistenti caratterizzate da una più alta concentrazione di ossigeno.

Dalla necessità di ottenere profarmaci con queste caratteristiche sono nati composti come SN23862 (Figura 29), una mostarda azotata che viene attivata attraverso una riduzione monoelettronica ad opera di reduttasi sul gruppo nitro in posizione 2. Tale evento causa un cambiamento nella distribuzione elettronica nell’anello aromatico, aumentando la reattività della parte alchilante. SN23862 viene rapidamente inibita da concentrazioni molto basse di ossigeno. Oltretutto studi recenti hanno confermato il suo effetto bystander.6

(24)

24

L’EFFETTO WARBURG E IL FENOTIPO GLICOLITICO

Una caratteristica comune dei tumori ipossici è un alterato metabolismo del glucosio. Infatti, la maggior parte dell’energia necessaria alla cellula, in condizioni normali di pressione di ossigeno, è prodotta a livello mitocondriale con il processo della fosforilazione ossidativa (OXPHOS). Questo processo è dipendente dalla presenza di ossigeno, così se i livelli di pO2 sono elevati, il processo della glicolisi è inibito; mentre se si verifica una riduzione dei livelli di pO2, la produzione di ATP avviene grazie al processo glicolitico (“effetto Pasteur” pag. 10).

All’inizio del ‘900, Otto Warburg notò che le cellule tumorali mostravano un aumento dell’ attività glicolitica, evidenziata da un aumento nella produzione del lattato, anche in presenza di adeguati livelli di ossigeno. Questo fenomeno viene definito glicolisi aerobica o “effetto Warburg” (Figura 31). Come vediamo dalla Figura 31, il consumo di glucosio aumenta nelle cellule MCF-7 di tumore al seno non invasive, passando da condizioni di normossia a condizioni di ipossia, (P, effetto Pasteur, Figura 30), e lo stesso fenomeno si verifica nelle cellule metastatiche MDA-MB-231. Inoltre, si osserva un aumento del consumo di glucosio, indice di un’elevata attività glicolitica, passando dalle cellule tumorali non invasive in condizioni di normossia a quelle invasive sempre in condizioni di normossia (W, effetto Warburg).

Figura 30.2 Confronto tra la velocità di consumo del glucosio in cellule di tumore al seno non-invasive

(MCF-7) e metastatiche (MDA-MB-231). P: effetto Pasteur; W: effetto Warburg.

La prima spiegazione al fenomeno della glicolisi aerobica fu data dallo stesso Warburg, ipotizzando che lo shift alla glicolisi aerobica fosse dovuto ad un danno irreversibile ai mitocondri. L’ipotesi all’inizio era avvalorata dal fatto che molti tumori presentavano una

(25)

25 diminuita espressione dell’ATP-sintasi, un complesso proteico fondamentale per l’OXPHOS, ed anche mutazioni mitocondriali erano state osservate in molte cellule tumorali. Ad esempio, la mutazione del gene p53 poteva innescare l’effetto Warburg, questo perché p53 risulta coinvolto nell’attività del complesso del citocromo c ossidasi, fondamentale per la respirazione cellulare. Studi successivi dimostrarono però che l’inibizione della glicolisi in cellule tumorali portava ad un conseguente aumento della fosforilazione ossidativa. Inoltre l’effetto Warburg è stato osservato anche in alcune cellule sane in stato di proliferazione, che quindi non possono avere un danno irreversibile nel processo di OXPHOS.10 Queste considerazioni hanno supportato l’idea che lo shift glicolitico non sia dovuto a danni mitocondriali, ma rappresenti invece un vantaggio per la crescita tumorale.

Infatti l’evoluzione tumorale può essere considerato come un processo darwiniano, dove è l’ambiente in cui si vengono a trovare le cellule a dare la spinta per la selezione di un fenotipo maligno, il quale assicura alle cellule tumorali la sopravvivenza (Figura31).

Figura 31.2 Modello dell’evoluzione tumorale.

Il processo di carcinogenesi inizia dal tessuto normale, tramite una iniziazione a stato iperplastico, che diventa poi una neoplasia interstiziale, la quale evolverà in seguito nel carcinoma in situ. La proliferazione di cellule normali è controllata da vari fattori tra cui il contatto con le cellule vicine, la matrice extracellulare (ECM) e la presenza di fattori di crescita. Il primo step da superare per la proliferazione tumorale è proprio questo, in

(26)

26 quanto in questa prima fase la disponibilità di substrati come ossigeno e glucosio non è limitante. Una volta superati questi fattori di controllo, l’altro ostacolo per lo sviluppo tumorale è rappresentato dal diminuire della disponibilità di ossigeno. Come è stato detto precedentemente, all’inizio il tumore cresce in un ambiente non vascolarizzato e, a causa della veloce proliferazione, si creano velocemente aree ipossiche. A questo punto, solo le cellule che cambiano il loro metabolismo e passano alla glicolisi aerobica sopravvivono. Il cambiamento metabolico però, non è solo un adattamento transiente, infatti anche in condizioni di normossia le cellule continuano a sfruttare la glicolisi come fonte per la produzione di energia. Questo dimostra che lo shift metabolico è collegato a veri e propri cambiamenti genetici. Ci sono vari motivi per cui la produzione di ATP attraverso la glicolisi rappresenta un vantaggio nella crescita tumorale:11

1) la massa tumorale è costituita da cellule in rapida proliferazione, che necessitano di elevate quantità di ATP e la glicolisi rappresenta il modo più veloce per produrre energia in grandi quantità;

2) grazie alla glicolisi aerobica, la cellula può sopravvivere a condizioni di ossigenazione variabile. Le fluttuazioni nella concentrazione di O2 sono comuni e sono dovute, in genere, a meccanismi fisiologici, come la variazione del flusso sanguigno e della motilità vasale o a rimodellazioni dei vasi sanguigni promossi dal tumore (regressione vasale, angiogenesi). Diversamente, le cellule che si affidano solo alla OXPHOS per la produzione di energia possono essere gravemente danneggiate da queste fluttuazioni;

3) il principale prodotto finale della glicolisi aerobica è l’acido lattico. Questo può essere internalizzato dalle cellule sane circostanti, che possono trasformarlo in piruvato o per usarlo nella loro fosforilazione ossidativa o per essere espulso nuovamente ed andare a rifornire le cellule tumorali vicine. Si crea così un “microecosistema” dove la crescita tumorale è favorita dalle stesse cellule circostanti;

4) le cellule tumorali possono metabolizzare il glucosio attraverso la via del pentoso fosfato, portando alla produzione di NADPH, che ha una doppia azione: rappresenta un ulteriore difesa della cellula contro i chemioterapici e rappresenta anche un punto di partenza per la sintesi degli acidi grassi;

5) le cellule in rapida proliferazione non necessitano solo di ATP per la loro crescita, ma anche di building blocks come acidi nucleici, proteine e lipidi. Quindi la glicolisi aerobica, per le cellule tumorali, non rappresenta solo una fonte di energia, ma anche un punto di partenza per molte reazioni anaboliche. Il ribosio-5-fosfato, che deriva dal fosfato, è utilizzato per la sintesi degli acidi nucleici. Lo stesso glucosio-6-fosfato con la 3-fosfogliceraldeide, il fosfoenolpiruvato e il piruvato sono precursori per la

(27)

27 sintesi di vari amminoacidi. I trigliceridi e i fosfolipidi sono invece sintetizzati a partire dal diidrossiacetone fosfato. Per aumentare la capacità biosintetica, le cellule tumorali esprimono una particolare isoforma della piruvato chinasi, la PKM2. Questa particolare isoforma può oscillare da uno stato tetramerico (ad alta attività) ad uno dimerico (a bassa attività). La forma dimerica di questo enzima porta ad un accumulo degli intermedi glicolitici, che possono quindi essere deviati verso altri processi sintetici.

Una delle conseguenze principali della variazione del metabolismo nelle cellule tumorali è l’accumulo di acido lattico che, a pH fisiologico, si trova nella forma deprotonata. Questo porta ad una notevole acidificazione dell’ambiente extracellulare. Le cellule sane, se esposte per lungo tempo ad un ambiente acido, vanno incontro a morte cellulare. Invece, le cellule tumorali ipossiche mostrano un meccanismo di adattamento ad un ambiente acido, che si verifica attraverso la resistenza all’apoptosi o attraverso l’up-regulation dei trasportatori di membrana, così da mantenere stabile il pH cellulare. L’ambiente acido rappresenta quindi un forte meccanismo di selezione tumorale, che porta all’aumento delle possibili mutazioni genetiche, con un conseguente aumento dell’invasività tumorale.

Le cellule dello strato ipossico più esterno, nonostante il passaggio al fenotipo glicolitico, risentono dello scarso apporto di O2 e nutrienti. Così queste cellule iniziano a presentare una maggiore motilità, che è strettamente legata alla capacità metastatica tumorale. La motilità è favorita dall’acidificazione dell’ambiente extracellulare, che causa sia la morte delle cellule sane vicine, favorendo l’invasione dell’ambiente circostante, sia una degradazione della matrice extracellulare (ECM), che facilita l’ingresso nel torrente sanguigno. Le cellule che riescono a raggiungere il lume vasale si riversano quindi nel flusso sanguigno e possono andare a creare dei focolai tumorali secondari, le metastasi. Nonostante le cellule metastatiche trovino un microambiente più favorevole, con ossigeno e nutrienti sufficienti, mantengono le caratteristiche acquisite durante l’evoluzione nel tumore primario, tra cui principalemte il fenotipo glicolitico. Questa è un’ulteriore dimostrazione che il fenotipo glicolitico deriva inizialmente da un fenomeno adattativo, ma che successivamente è seguito da una serie di cambiamenti genetici permanenti.

Sebbene la glicolisi aerobica non sia una caratteristica applicabile a tutti i tipi di tumori, il significativo aumento dell’uptake di glucosio può essere sfruttato per evidenziare la presenza di tumori primari o metastasi, come avviene nella tomografia ad emissione di positroni combinata con la tomografia computerizzata (PET/CT), che usa come marcatore l’analogo del glucosio 2-(18F)-fluoro-2-desossi-D-glucosio (FdG) (Figura 32). La sensibilità e la specificità di questa tecnica vanno intorno al 90%; la sensibilità è dovuta al

(28)

28 fatto che la FdG-PET ha difficoltà nell’evidenziare lesioni più piccole di 0.8 cm3, mentre la specificità è data dal fatto che ci sono anche altre cellule sane che possono accumulare il FdG.

Figura 32.2 PET FdG di un paziente con linfoma : i linfonodi mediastinali (freccia porpora) e sovraclavicolari (freccia verde) evidenziano un elevato uptake dell’FdG da parte del tumore. Anche la

vescica (freccia gialla) mostra un’alta attività di uptake a causa dell’escrezione del radionucleotide.

I meccanismi molecolari e l’espressione genica

Negli ultimi anni i meccanismi che stanno alla base dello shift metabolico delle cellule tumorali ipossiche sono stati molto studiati (Figura 33).11,12, 13

Figura 33.11 Cambiamento del metabolismo cellulare in cellule tumorali.

L’attivazione, in condizioni di ipossia, del fattore di trascrizione HIF-1 (Hypoxia-Inducible Factor), è la causa di molte caratteristiche tipiche del fenotipo glicolitico. L’HIF-1 è un eterodimero costituito da due subunità: una subunità β costitutivamente espressa; ed

(29)

29 una subunità α sensibile alla concentrazione di ossigeno. In condizioni fisiologiche di pO2, la subunità α viene idrossilata ad opera degli enzimi PHD1-3 (Prolil idrossilasi 1-3). L’HIF-1α idrossilata viene poi riconosciuto dalla proteina von Hippel Lindau (VHL ubiquitin ligasi) che ne causa la degradazione proteosomica. La stabilizzazione dell’HIF-1α è principalmente dovuta a situazioni di ipossia, ma può anche essere causata dalla mutazione di alcuni enzimi del ciclo di Krebs come la fumarato idratasi (FH) e la succinato deidrogenasi (SDH). La mutazione di questi enzimi causa un accumulo di succinato, che va quindi ad inibire l’azione della PHD stabilizzando di conseguenza l’HIF-1α. La PHD, infatti, necessita dell’α-chetoglutarato e ossigeno per promuovere l’idrossilazione, con una conseguente produzione di succinato. La subunità α, stabilizzata, entra nel nucleo e si lega alla subunità β promuovendo la trascrizione di tutta una serie di geni, che codificano per un’ampia serie di proteine.

Tra i geni che vengono trascritti, sono presenti quelli necessari per promuovere la glicolisi e la conseguente trasformazione del piruvato in lattato. Questo si traduce in una up-regulation del trasportatore del glucosio (GLUT1), delle esochinasi 1 e 2 (HK1 e HK2), che catalizzano il primo step della glicolisi e della lattato deidrogenasi A (LDH-A). Inoltre l’HIF-1 provoca una riduzione della trasformazione del piruvato in Acetil-CoA ad opera della piruvato deidrogenasi (PDH), tale enzima viene infatti inibito tramite una fosforilazione ad opera della PDH-kinasi 1 (PDK1), la cui trascrizione è aumentata proprio a causa dell’HIF-1. Nelle cellule tumorali spesso è presente una iperpolarizzazione della membrana mitocondriale, che è a sua volta collegata ad una diminuzione dei canali del K+ voltaggio-dipendenti (Kv): questo costituisce un meccanismo essenziale per la sopravvivenza delle cellule tumorali, in quanto previene l’attivazione di fattori proapoptotici. L’enzima PDK1 HIF-1-dipendente può essere considerato un valido target nel trattamento dei tumori ipossici. Infatti l’inibizione della PDK1 (per esempio con l’acido dicloroacetico, DCA) e quindi l’attivazione della PDH, con il conseguente ripristino del ciclo di Krebs, diminuisce l’iperpolarizzazione della membrana mitocondriale, conducendo la cellula tumorale a morte. L’HIF-1, in collaborazione con un altro oncogene, il Myc, promuove anche la sovraepressione del fattore di crescita vascolare endoteliale (VEGF), che stimola una elevata attività angiogenica.

Un requisito indispensabile per la crescita tumorale è la continua stimolazione a proliferare. Nelle cellule normali, questa stimolazione è data dai fattori di crescita che, attivando i recettori tirosin kinasici, innescano due diverse vie kinasiche di trasduzione del segnale, che sono ERK (Extracellular signal-regulated kinase) e PI3K (Phosphatidylinositol 3-kinase). La mutazione a vari livelli di una di queste vie può portare

(30)

30 alla formazione del tumore. Queste vie sono anche implicate nei processi metabolici tumorali, in particolare attraverso l’attivazione del sistema PI3K/Akt. Akt, un gene che codifica per enzimi appartenenti alla famiglia delle protein kinasi specifiche per serina e treonina, è un oncogene che promuove la sovraespressione del trasportatore GLUT1 e l’aumento della traslocazione del trasportatore GLUT4 dalle vescicole intracellulari sulla membrana cellulare.

È già stato spiegato come la glicolisi aerobica provochi un’acidificazione dell’ambiente extracellulare per l’elevata produzione di acido lattico e la conseguente estrusione di protoni. Questa avviene grazie all’azione di vari trasportatori di membrana, come gli scambiatori Na+/H+, attivati da fattori di crescita, ipossia e pH bassi e le pompe protoniche come i V-type H+ ATPasi e F1F0 ATPasi. Quest’ultime in genere sono espresse nelle membrana mitocondriale, dove partecipano alla fosforilazione ossidativa, ma nelle cellule tumorali sono espressi anche a livello della membrana cellulare. Nei tumori si riscontra anche una sovraespressione HIF-1-dipendente dei trasportatori MCT4. L’MCT è un trasportatore che cotrasporta fuori dalla cellula un protone con una molecola di lattato, così ché quest’ultimo non raggiunga mai alte concentrazioni intracellulari. L’HIF-1 promuove anche l’espressione delle isoforme 9 e 12 dell’anidrasi carbonica (CA9 e CA12). Questi enzimi transmembrana promuovono l’idratazione della CO2 extrcellulare, generando H+ e HCO3−. Il bicarbonato viene subito catturato da un trasportatore anionico associato all’anidrasi, così da avere non solo un aumento dell’acidità extracellulare, ma anche un mantenimento del giusto pH intracellulare. L’acidificazione dell’ambiente extracellulare promuove i processi di invasione e metastasi tumorale, a cui contribuiscono anche alcuni enzimi come le metalloproteasi pH-dipendenti o enzimi HIF-1 -dipendenti come la lisil ossidasi (LOX). Quest’ultimo è un enzima Cu2+-dipendente appartenente alla classe delle ossidoreduttasi, che favorisce la formazione di legami crociati tra l’elastina ed il collagene della matrice extracellulare favorendo la metastatizzazione.

Molte delle proteine sopracitate possono essere considerate dei “markers” tumorali endogeni strettamente legati all’ipossia, in quanto tale proteine risultano sovraespresse in tessuti con una scarsa concentrazione di O2. L’ossigeno però non è l’unico fattore che regola la loro espressione, in quanto un fattore fondamentale è risultato essere anche il pH cellulare, che di solito nei tumori assume valori minori rispetto al pH fisiologico, in un range compreso tra 6.1 e 7.4.

Sono quindi stati portati avanti studi14 per approfondire l’andamento dell’espressione

genica di CA9, GLUT-1, LDH-A e della LOX al variare della concentrazione di ossigeno e del pH in diverse linee cellulari tumorali (Figura 34).

(31)

31

Figura 34.14 Espressione dell’mRNA di CA9, GLUT-1, LDH-A e LOX nelle cellule SiHa e in quelle FaDuDD, a diverse concentrazioni di O2 e a diversi valori di pH.

(32)

32 Gli esperimenti sono stati condotti esponendo, per 24 ore cellule provenienti dal carcinoma a cellule squamose della cervice uterina umana (SiHa) e cellule del carcinoma a cellule squamose della faringe umana (FaDuDD), a varie concentrazioni di O2 e a vari gradi di acidosi, misurandone poi i livelli di mRNA relativi alle singole proteine. I risultati ottenuti in ogni misurazione vengono poi messi a confronto con i livelli di mRNA a concentrazioni di ossigeno atmosferico (21%).

Dai grafici si evidenzia che l’espressione genica di CA9, in entrambe le linee cellulari a pH fisiologico (7.5), è aumentata di circa 100 volte passando dalle condizioni di normossia (21%) a concentrazioni di ipossia (1% di O2) e resta all’incirca al solito livello tra 0.01 e 0% di O2. Una lieve acidosi (pH 7.0 e 6.7) non va ad influenzare l’andamento appena visto, infatti le curve relative a tali pH ricalcano quella a pH 7.5. In cellule SiHa, a pH 6.5, non si sono verificati cambiamenti importanti nell’andamento dell’espressione proteica, nonostante all’1% di O2 si raggiunga il valore massimo di espressione di CA9 relativo a questa linea cellulare. Invece, nella stessa linea cellulare a pH 6.3, l’andamento dell’espressione genica di CA9 cambia drasticamente: i livelli di mRNA subiscono un brusco aumento in corrispondenza dell’1% di O2 raggiungendo valori simili a quelli a pH 7.5, mentre i livelli di espressione sono molto più bassi a concentrazioni di O2 pari allo 0% e allo 0.01%. In cellule FaDuDD, valori di pH 6.5 hanno dato una risposta intermedia, mentre a pH 6.3 si è verificato un aumento ancora più limitato di mRNA.

GLUT-1 e LDH-A hanno curve con andamenti molto simili tra loro, ma anche con un maggior grado di complessità legato alla variazione di acidità. Nelle cellule SiHa, ai valori di pH 7.5, 7.0 e 6.7, l’mRNA mostra un leggero aumento passando da 21% allo 0.01%, con un livello massimo superiore di 4-5 volte e quello in normossia. Invece a pH 6.5 e 6.3 mostrano un picco all’1% di O2, che risulta maggiore rispetto a quello a pH fisiologico. Nelle cellule FaDuDD il cambiamento di acidità non influenza in modo considerevole l’espressione delle proteine.

L’espressione dell’enzima LOX ha mostrato una andamento crescente a pH 7.5 fino allo 0.01% di O2 in entrambe le linee cellulari, con un livello massimo 10 volte più alto rispetto alle condizioni di normossia. Nelle cellule SiHa si è verificata una situazione simile a quella per CA9 in presenza di pH acidi: l’espressione a pH 6.3 è circa allo stesso livello di quella a pH normale all’1% di O2, invece va diminuendo allo 0.01% e 0% di O2. Nelle cellule FaDuDD i livelli di espressione a pH intermedi, ovvero 6.5, 6.7 e 7.0, si sono mostrati più alti rispetto a quelli presenti a pH acido (6.3) e a pH fisiologico (7.5).

Da questo studi si evince che la variazione del pH può avere una forte influenza sull’espressione di geni indotti dall’ipossia, comunque l’entità dell’espressione genica

(33)

33 varia molto a seconda del gene preso in considerazione, del livello di acidosi e della linea cellulare tumorale. Gli effetti esercitati dal pH variano molto passando dalla soppressione dell’espressione dell’mRNA indotta dall’ipossia, come nel caso di CA9 a pH 6.3, ad una forte induzione dell’espressione genica, come nel caso di GLUT-1 e LDH-A a pH 6.3 e 6.5.14

(34)

34

L’ISOFORMA 5 DELLA LATTATO DEIDROGENASI (LDH-A)

COME NUOVO TARGET ANTITUMORALE

In molti carcinomi è stato osservato un cambiamento della fisiologia mitocondriale ed un’iperpolarizzazione, ossia un aumento del potenziale della membrana mitocondriale (∆ψm).15 Queste alterazioni sono state collegate ad una diminuzione dell’attività OXPHOS nelle cellule tumorali. Per capire la relazione tra l’insorgere del fenotipo glicolitico, essenziale per la crescita tumorale, e il metabolismo mitocondriale, è stato effettuato uno studio,16 nel quale è stata bloccata la conversione del piruvato in lattato tramite una

rimozione stabile per via genetica, tramite shRNA (sequenza di RNA che riduce l’espressione del gene target), dell’LDH-A in cellule di tumore al seno appena formate, nelle quali era stata riscontrata un’elevata dipendenza dal glucosio, un elevato potenziale di membrana mitocondriale e nelle quali l’LDH-A aveva mostrato un’elevata attività (Figura 35).

Figura 35.16 Curve di proliferazione, in condizioni di fisiologiche di O2 (A) e in condizioni di ipossia

(B), .di cellule tumorali Neu4145 (controllo), di cloni in cui è stata soppressa l’espressione dell’LDH-A (L2-5 e L2-10) e di cloni dove dopo l’iniziale soppressione è stata ripristinata la capacità di sintesi dell’LDH-A

(L2-5.c15).

Nell’esperimento è stato preso in esame come linea cellulare di controllo Neu4145. Queste cellule sono state trattate con tre shRNA (L1,L2 e L3) e sono poi stati isolati una serie di cloni che presentavano vari livelli di diminuzione dell’espressione dell’LDH-A. Tra i vari cloni isolati, sono stati scelti l’L2-5 e l’L2-10 che mostravano una diminuzione della quantità di LDH-A rispettivamente del 69% e del 75%. Inoltre l’espressione dell’enzima è strettamente collegata all’attività, infatti negli stessi cloni è stato riscontrato

(35)

35 anche una diminuzione dell’attività rispettivamente del 60% e 70%. In condizioni fisiologiche di ossigeno, la proliferazione delle cellule con una diminuita espressione dell’LDH-A (L2-5 e L2-10) è solo leggermente ritardata rispetto al controllo. Mentre in condizioni di ipossia (0.5% O2), la velocità di proliferazione delle cellule modificate (L2-5 e L2-10) rispetto al controllo è diminuita di circa 100 volte. Per capire se la riduzione della crescita tumorale può essere effettivamente attribuita alla diminuita espressione e quindi all’attività dell’LDH-A, nelle linee cellulari prese in considerazione è stato introdotto il cDNA (DNA complementare nella sequenza di basi ad un determinato mRNA stampo, sintetizzabile in laboratorio grazie all’enzima trascrittasi inversa) corrispondente all’LDH-A umano (L2-5.c15). La proliferazione cellulare anche in condizioni ipossiche torna paragonabile al controllo, confermando che l’attività dell’enzima LDH-A è indispensabile per la crescita di cellule tumorali ipossiche.

L’inibizione dell’espressione dell’LDH-A in cellule tumorale è risultata essere collegata ad un aumento del consumo di ossigeno ed una diminuzione del potenziale di membrana mitocondriale. In condizioni fisiologiche di ossigenazione, la proliferazione delle cellule tumorali, nonostante la soppressione dell’espressione dell’LDH-A, continua, seppur in maniera minore, probabilmente grazie allo shift del metabolismo dalla glicolisi all’OXPHOS. In condizioni ipossiche, le cellule non possono più sfruttare la glicolisi come fonte di energia, poiché l’LDH-A non è più presente nelle cellule, ma non avendo adeguate quantità di ossigeno non possono passare nemmeno all’OXPHOS, di conseguenza subiscono un forte arresto della proliferazione.

Vista la forte dipendenza della proliferazione tumorale dall’espressione dell’LDH-A, si può pensare che questo enzima rappresenti un nuovo target per il trattamento dei tumori ipossici. L’inibizione dell’enzima porterebbe a mancata rigenerazione del cofattore NAD+, con conseguente blocco della glicolisi e quindi del rifornimento energetico delle cellule tumorali (Figura 36). CH3 C C O O -O Piruvato CH3 HC C O O -OH Lattato CH3 C O S CoA Acetil-CoA cellule tumorali cellule sane glicolisi ciclo di Krebs lattato deidrogenasi NADH + H + NA D+ mancata rigenerazione del cofattore NAD+

mancato rifornimento energetico alle cellule ipossiche

(36)

36 Attualmente tra gli esempi di piccole molecole organiche, che hanno come target enzimi coinvolti nel metabolismo delle cellule tumorali, sono degne di nota molecole come il dicloroacetato (DCA), che agisce inibendo la PDK1; il 3-bromopiruvato, che agisce sulle due isoforme dell’HK. Per quanto riguarda l’LDH-A, non esiste alcuna molecola organica capace di bloccare in modo specifico tale enzima, ma esistono solo metodi genetici per inibire tale enzima, per esempio tramite l’uso di shRNA, come è stato appena descritto (Figura 37).

Figura 37.11 Potenziali target metabolici nel trattamento del cancro.

Possono essere previsti i possibili effetti collaterali dell’inibizione dell’LDH-A sulla base degli effetti provocati dalla deficienza ereditaria di tale enzima. I soggetti che ne sono privi, in condizioni normali, non presentano alcun sintomo, se però sono sottoposti ad un intenso sforzo fisico, mostrano rigidità muscolare accompagnata da mioglobinuria (la presenza di mioglobina nelle urine, causata da un danno al tessuto muscolare con conseguente rilascio nel sangue di enzimi citosolici e proteine muscolari).

Il tentativo di sintesi di composti che agiscano inibendo selettivamente l’isoforma 5 della lattato deidrogenasi (LDH-A), può rappresentare un approccio selettivo nei confronti delle cellule tumorali ipossiche e ben tollerato dall’organismo. Per questo motivo, nel presente lavoro di Tesi sono state sintetizzate molecole, con il fine di ottenere l’inibizione dell’LDH-5, possibilmente in modo selettivo rispetto alle altre isoforme di lattato deidrogenasi, in particolare nei confronti dell’LDH-1.

Figura

Figura 1 .  a) D-Glucosio nella proiezione di Fischer; b) D-glucosio nelle proiezioni di Haworth; c) D-
Figura 2. Le principali vie di utilizzazione del glucosio.
Figura 3. La glicolisi. 1° Fase: fase preparatoria; 2° Fase: fase di recupero energetico.
Figura 5. Secondo step: isomerizzazione del glucosio 6-fosfato a fruttosio 6-fosfato.
+7

Riferimenti

Documenti correlati

The prototype CASPER is based on double laser excitation of water samples in the UV (266 nm) and visible (405 nm) spectral region and a double water filtration in order to detect

Il Genio Civile di Venezia eseguì nel 1874 un rilievo abbastanza accurato e dettagliato della muratura dei fianchi, ma non vedendo nient’altro che una «condizione

Europeana shall publish all Metadata, including the Metadata provided by the Data Provider prior to the Effective Date, under the terms of the CC0 1.0 Universal Public

Dalla lettura di Althusser, dunque, emergono nella riflessione ricoeuriana non solo interrogativi che mettono in questione la possibilità di un discorso

Progetto di Residenza Sociale Assistita e Centro Diurno per anziani, con proposta di Giardino Alzheimer.. TESI

Appendice A: Relazione di calcolo