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ISTITUTO PER LA STORIA DELLA RESISTENZA E DELLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA IN PROVINCIA DI ASTI
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Mappe del ‘900: Rimini 22-24 novembre 2001
Tullio Rapone
Sono stati tanti i docenti che hanno partecipato a questa full immersion di storia contemporanea nata con il considerevole apporto di un grosso marchio dell'editoria scolastica (Paravia-Bruno Mondadori) e dell'ente locale, in questo caso il Comune e la Provincia di Rimini e la Regione Emilia Romagna.
Dopo tanti anni è stata anche un'occasione di incontro per una generazione, certo non più giovanissima, che si era incontrata all'inizio degli anni '80 quando uscirono due testi che rappresentarono una vera e propria svolta nella didattica della storia e dell'italiano: il manuale di storia di Guarracino-Revelli-Ortoleva e la ancora più celebre antologia di italiano Il materiale e l'immaginario a cura di Lidia De Federicis. Due testi entrambi casualmente con la copertina grigia, progettati all'inizio solo per i licei. Spontaneamente si formarono però gruppi di insegnanti che ne curarono l'applicazione anche negli altri ordini di scuola fino a quando non uscirono apposite edizioni.
Da quegli anni molto è cambiato e nessuno trova più strano se, un po' dappertutto, ci sia qualche data in meno e qualche storia del cioccolato in più. Stavolta bisognava interrogarsi su cosa significa fare storia ai tempi di Bin Laden. All'appello la risposta c'è stata, vivendo come una sorta di liberazione il fatto che finalmente si tornasse a parlare di contenuti e che, una volta tanto prove strutturate, verifiche sommative ecc. sarebbero state messe da parte. Alla fine tutti sono rimasti complessivamente soddisfatti, nonostante la spesa sostenuta e certo non insignificante se rapportata a quello che è lo stipendio medio di un insegnante. Ulteriore prova, se ancora ce ne fosse bisogno, che l'aggiornamento è ancora qualcosa di personale e non quel diritto-dovere di cui tanto si parla.
Il momento clou sono state le sessioni mattutine, tutte seguite con grande interesse. Nel primo giorno sono state affrontate le tematiche che portano a parlare di storia della globalizzazione, o meglio dell'ultima globalizzazione, quella targata made in Usa come ha subito specificato Mario Salvati nel suo intervento. Quel liberismo che ha in Milton Friedman il suo maggiore esponente e che è stato fatto proprio dalle ultime amministrazioni americane, anche se non sono mancate ramificazioni europee. Sulle conseguenze di questa politica che dice addio a Keynes si è soffermato Marcello Flores analizzando in particolare l'aumento della conflittualità nelle periferie del mondo e le motivazioni che spingono Usa ed Europa ad intervenire o meno. Sulle difficoltà della classe operaia a far sentire la sua voce per frenare le contraddizioni della globalizzazione (che non sia davvero più centrale l'operaio?) ha riflettuto Giovanni Gozzini che ha invitato ad interrogarsi sul perché gli investimenti si dirigano dove non c'è bisogno. Marco Revelli è invece partito dalla diversa disponibilità di telefoni cellulari (speculare alla diversa disponibilità di calorie alimentari) per denunciare il differente livello
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di accesso alla tecnologia e giungere poi alla conclusione che il nostro modello di consumo non è esportabile.
La seconda giornata ha visto affrontato in seduta plenaria il tema del revisionismo. Claudio Pavone nella sua introduzione ha fatto un rigoroso excursus del significato del termine partendo da Bernstein. Sottolineando inoltre la valenza positiva che il termine può avere come nel caso della critica di Gramsci al Risorgimento. Non solo la ripresa della consueta polemica sulla guerra di Liberazione che dovrebbe essere chiamata guerra civile, ma anche per esempio le autocritiche all'interno delle nazioni. Dagli storici giapponesi che senza tanti peli sulla lingua denunciano le atrocità dell'invasione della Cina con un impressionante supporto fotografico, alla storiografia israeliana che, con Benny Morris in testa, dice che in fondo quando venne fondato lo Stato di Israele le ragioni non stavano tutte da una sola parte. Infine la definitiva fine del mito del colonialismo buono degli italiani dopo le testimonianze delle stragi nei balcani oppure su quello che accadde ad Addis Abeba dopo un fallito attentato al maresciallo Graziani. Vale la pena, afferma Pavone, usare ancora il termine revisionismo di fronte alla complessità che ha assunto il termine ? Gli ha risposto Giovanni Sabbatucci affermativamente, a condizione di essere consapevoli della genericità del termine, auspicando, nel contempo, che la palla ritorni agli storici affinché ci siano più ricerche originali. Proprio sul ruolo svolto dai mass media sul termine revisionismo si è soffermato Tommaso Detti, che ha rilevato come questo sia coinciso con il progressivo spostamento a destra dell'elettorato, con lo scopo di denigrare la Resistenza vista come fenomeno minoritario. Il revisionismo come impalcatura sovrastrutturale quindi, per colpire la tradizione azionista e comunista e giustificare il moderatismo elettoralmente vincente. Poco c’è da aspettarsi, se questa è la realtà, da una cultura di destra che ai libri preferisce gli articoli di giornale ha affermato, concludendo, Alberto De Bernardi.
Sempre in primo piano il rapporto attualità storiografia nella terza ed ultima giornata dei lavori, quando si è parlato dell'Italia nel '900. Giovanni De Luna ha incentrato buona parte del suo intervento su quella che è stata (o non è stata) l'identità nazionale analizzando il fenomeno televisivo, in particolare riflettendo su quello che è stato negli ultimi anni, quello che è stato definito il ventennio a colori. Stefano Pivato ha invitato a confrontarsi sulla musica ed i nuovi linguaggi dei giovani, ricordando il ruolo che l'opera lirica ebbe sulla nascente identità nazionale. Ancora più originale Paul Ginsborg. Ha svolto il suo intervento dal punto di vista del cambiamento dei consumi. Tra frigoriferi, lavatrici, auto, motorini, vacanze, ecc. è uscito fuori lo spaccato di un 'Italia ormai a pieno titolo nel regno dell'opulenza pur con contraddizioni non secondarie. Quanto potrà durare tutto ciò ? Questo l'interrogativo, ma anche l'auspicio, fra i molti partrecipanti, che la ricerca storica possa essere strumento di riflessione, magari anche contributo alla risoluzione, dei drammi del nostro tempo.
Non vorremmo che il nostro fosse soltanto un resoconto, ma, tenuto conto della possibilità di ripetere l'iniziativa, ci permettiamo di proporre alcuni suggerimenti: 1) Seguire tutto il programma del convegno è stato molto faticoso. Per quanto si
trattasse di discenti fortemente motivati, mettere altri seminari al pomeriggio ha significato un vero e proprio tour de force che ha concesso poco all'appendice culturale (mostre e musei) e conviviale che gli organizzatori avevano approntato.
2) Meglio sarebbe stato se nel pomeriggio fosse avvenuto un confronto fra i docenti sia sulla trasposizione didattica degli argomenti affrontati al mattino
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che sui contenuti. E' vero che i docenti hanno l'abitudine di trasformarsi in controrelatori più che porre quesiti, ma da più parti è stato auspicato un ruolo meno passivo.
3) C'è stata al convegno una consistente presenza di alunni delle classi quinte. Ma è davvero possibile un corso di aggiornamento che vada bene agli uni e agli altri? Probabilmente sì, ma tutto va strutturato in maniera diversa. Alcuni gruppi di lavoro sono risultati per loro solo un esercizio di sonnolenza, altri li hanno visti invece partecipi e attenti. Mi riferisco in particolare al gruppo sull'olocausto, dove la relatrice, Alessandra Minerbi, quando ha visto che la sua platea era praticamente costituita solo da studenti, ha svolto il suo interessante intervento decodificando brillantemente tutta una terminologia (negazionismo, intenzionalismo,ecc.) che altrimenti sarebbe risultata ostica per un adolescente.
4) Il problema più sentito è stato proprio quello della capacità di comunicazione dei relatori. In quello che è alla fine un corso di aggiornamento per insegnanti, non sempre vi è stata sintonia fra competenza storica e coinvolgimento dell'uditorio. Gli storici con un buon rapporto con i media si sono rivelati i più efficaci. Una marcia in più che alla fine si è fatta sentire; Marco Revelli ha parlato in un'ora proibitiva eppure ha avuto uno degli applausi più lunghi, De Luna e Ginsborg hanno dimostrato che rigore storico e humor possono andare assolutamente d'accordo anche se gli argomenti sono tutt'altro che allegri 5) In alcune regioni, anche se forse solo casualmente, questa iniziativa ha avuto
una ricaduta locale che riteniamo vada ripresa. A Torino, per esempio, si è svolta pochi giorni dopo una giornata di lavoro su iniziativa dell'Irre Piemonte e dell'Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea dal significativo titolo: Insegnare la contemporaneità che, per il taglio prettamente didattico, è stato una sorta di completamento del convegno di Rimini. Molto interessante, in particolare, il gruppo coordinato da Alberto Cavaglion in cui sono stati portati significativi apporti a proposito di ciò che va detto e ciò che non va detto agli studenti e ai bambini degli orrori del '900. 6) Se con il prossimo contratto della scuola sarà possibile essere rimborsati delle
spese sostenute per l'aggiornamento, occasioni come questo convegno sono destinate positivamente a riproporsi. Tanta acqua è passata da quando uscirono i testi di Guarracino e De Federicis. Anni per i docenti di mortificazione morale ed economica. Anni anche di divisione. Rimini, fortunatamente, ha avuto un altro merito: quello di riuscire a far incontrare chi ha sostenuto il progetto di Riforma della scuola Berlinguer-De Mauro e chi l'ha fieramente avversato, chi si è fatto paladino degli aumenti ai «capaci e meritevoli» e chi invece ha sottolineato l'egualitarismo. Ci auguriamo che questa riscoperta tensione didattica riesca a trasmettere agli studenti il meglio degli uni e degli altri.