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Capitolo 3 L'analisi della governance europea

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Capitolo 3

L'analisi della governance europea

3.1. Premessa

Nei capitoli precedenti si è parlato del modello multi-level governance (da ora in avanti MLG), spingendo il discorso fino ad analizzare i primi momenti della politica di coesione e facendo tesoro della lezione di metodo impartita da Hooghe e Marks, due grandi teorici della logica multi-livello.

Il modello di MLG si presenta come una specifica declinazione del concetto di governance che, negli ultimi decenni, si è fatto spazio, causando un “accantonamento progressivo”1 del termine governo, oggi utilizzato essenzialmente per parlare dell'esecutivo nazionale. Piattoni definisce la governance come

“l'insieme (talvolta piuttosto differenziato) dei processi attraversi i quali, nelle democrazie contemporanee, vengono prese decisioni autoritative aventi valenza generale, caratterizzate dalla decisiva compartecipazione di attori non istituzionali ai processi decisionali ed attuativi. Beninteso, le istituzioni governative detengono ancora poteri determinanti. Ciononostante, esse da sole non riescono (più) a mobilitare quelle risorse che consentono di decidere ed incidere”2.

Il passaggio “teorico” da governo a governance segna la nascita di un forte contrasto con la situazione che si aveva in precedenza, in cui le istituzioni governative (i ministeri e l'apparato burocratico centrale) erano in grado di decidere ed attuare le decisioni prese autonomamente; oggi tale meccanismo non sarebbe più possibile, a causa dell'insorgere di una notevole interdipendenza tra i livelli istituzionali, evidente soprattutto, ed in modo eclatante, nella realizzazione della politica regionale europea.

In particolare, differenziandosi dal concetto di governance3, la MLG4 si riferisce

1 Questa espressione è ripresa da un articolo di Piattoni S. “La governance multi-livello: sfide analitiche, empiriche, normative” in Rivista italiana di scienza politica, 3/2005, Il Mulino.

2 Pag. 418, op.cit.

3 Del concetto di governance si sono stratificate nel tempo molteplici definizioni: Marks e Hooghes l'hanno definita “la presa di decisioni vincolanti nella dimensione pubblica”; Jachtenfuchs “l'abilità di prendere decisioni collettivamente vincolanti”; Rhodes “un mutamento del significato di governo (government) o più semplicemente “ il nuovo metodo con cui la società viene governata”.

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all'intero sistema decisionale europeo, dove l'accento è posto sulla partecipazione ai processi da parte delle istituzioni di governo di diversa scala territoriale5.

E' opportuno però approfondire il concetto di governance europea, così come emerge dall'omonimo Libro bianco6, pubblicato dalla Commissione nel 2001.

L'idea di tale documento fu lanciata nel 2000, presentandola come un impegno ad una riflessione sulla governance che, nelle affermazioni della Commissione, diventava la priorità strategica da perseguire nella realizzazione dell'azione europea.

In realtà, per molti mesi successivi alla sua uscita, il Libro bianco apparse come un'iniziativa “oscura e incomprensibile”7, non ben giudicata in vari articoli di riviste provenienti da tutta Europa, e in particolare dal Regno Unito e dalla Francia. Addirittura si riteneva che fosse una dimostrazione di come la Commissione avesse perso il contatto con le realtà nazionali.

Comunque, nel dibattito politico che si sviluppò durante il 2000, cominciarono ad accrescersi le aspettative nei confronti del documento e iniziò ad accumularsi la credibilità dell'iniziativa.

L'intento originario della Commissione fu quello di chiarire il suo ruolo rispetto a tutti gli altri attori, attraverso la definizione di un'ipotesi di decentramento crescente della sua azione e dunque attraverso una “riallocazione” dei suoi compiti, acquisiti e moltiplicatisi nel tempo.

Secondo molti, la questione non era definire un nuovo sistema che dettasse il modo migliore possibile di governare l'Europa, rimettendo in discussione la divisione dei poteri; per altri si trattava di una razionalizzazione degli assetti, al fine di garantire certe facoltà alla Comunità europea8.

E' inevitabile pensare che il Libro bianco sia stato prodotto anche tenendo di conto processi decisionali che non potremmo appropriatamente descrivere, e forse nemmeno opportunamente concepire, con altri concetti”, pag.424, Piattoni, op. cit.

5 “Viene spontaneo chiedersi, allora, quanti livelli debbano essere necessariamente coinvolti nel processo decisionale affinché abbia senso parlare di governance multi-livello, se ne bastino due o ce ne vogliano almeno tre, e come esattamente tali livelli debbano essere intesi. Sembrerebbe infatti che, talvolta, il concetto di livello venga esteso analiticamente fino a ricomprendere non solo “livelli di governo istituzionale”, che tradizionalmente avremmo concepito come gerarchicamente ordinati o quanto meno innestati gli uni negli altri, ma più in generale come “livelli decisionali non centrali” quindi anche “laterali” o addirittura “esterni””, pag.419, op. cit.

6 Commissione europea, “La governance europea. Un libro bianco”, COM(2001)428 def.

7 CPMR, “White paper on European Governance. Enhancing Democracy in the European Union. Contributions of the Conference of Peripheral Maritime Regions of Europe”, December 2000-March 2001.

8 Il dibattito circa la governance europea coinvolse tutti gli Stati membri. Il ministro tedesco per gli Affari Esteri riassunse il dibattito dicendo che si trattava della questione politica di “what should we be doing together and who should be doing what in Europe?”, al di là di ogni sforzo di razionalizzazione.

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l'allargamento, programmato per il 2004, considerando le nuove problematiche di coesione economica, sociale e territoriale che si sarebbero dovute fronteggiare: così, a maggior ragione, la politica di coesione veniva a richiedere una valorizzazione del ruolo regionale e locale, che rappresentano il principale canale attraverso il quale la prossimità è assicurata.

3.2. Il concetto di governance

Nel sito dell'Unione europea9 si legge che “la governance è l'insieme delle regole, delle procedure e delle pratiche in riferimento alle modalità con cui i poteri sono esercitati in seno alla Comunità europea. Ispirandosi al dibattito lanciato dal Libro bianco – segue la definizione ritrovata nel sito internet – l'obiettivo è l'adozione di nuove forme di governance che avvicinino ulteriormente l'Unione ai cittadini europei, la rendano più efficace nella sua azione, rinforzino la democrazia in Europa e consolidino la legittimità delle sue istituzioni10”. Tutto ciò sarebbe dunque finalizzato all'elaborazione e alla messa in pratica di politiche migliori e più coerenti con gli obiettivi specifici, che esse si prefiggano, nonché con gli obiettivi generali comunitari.

Come in effetti si capisce dalla definizione ufficiale di governance, si avverte la necessità di supplire, in qualche modo, alle carenze delle istituzioni europee, in termini di legittimità politica; questo, secondo gli studiosi dei processi decisionali europei, verrebbe confermato dai risultati dei referendum sulla ratifica del Trattato costituzionale, che avrebbero fatto emergere in modo chiaro la distanza europea dai cittadini, non sufficientemente connessi alle decisioni prese a Bruxelles; nel Libro bianco a tal proposito si legge che

“l'Unione è spesso percepita come qualcosa di troppo lontano e, allo stesso tempo, troppo invadente”11.

Ciò va connesso all'annoso problema del deficit democratico, che caratterizza l'azione dell'Unione europea e a cui il Libro bianco cerca di rispondere; il tentativo è approvvigionarsi la legittimità attraverso l'avvicinamento del cittadino alle istituzioni. Così si prefigurano varie vie per ricongiungersi all'individuo, fonte diretta di sovranità:

9 Si veda il sito web http://europa.eu.int/

10 Si tratta di una traduzione del testo: ''Le débat sur la gouvernance européenne, lancé par la Commission dans son livre blanc de juillet 2001, concerne l'ensemble des règles, des procédures et des pratiques ayant trait à la manière dont les pouvoirs sont exercés au sein de l'Union européenne. L'objectif consiste à adopter de nouvelles formes de gouvernance qui rapprochent davantage l'Union des citoyens européens, la rendent plus efficace, renforcent la démocratie en Europe et consolident la légitimité de ses institutions''.

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tra questi possibili percorsi dobbiamo, in primo luogo, annoverare le autorità regionali e locali, ma anche i gruppi di interesse economico e sociale. Va poi tenuta di conto la possibilità di contatto diretto del singolo coi decisori comunitari, attraverso l'informazione che deve essere tempestiva e continua12, così da promuovere effetti di

coinvolgimento13.

E' opportuno riferire, a proposito della necessità di comunicare al cittadino l'azione europea per avvicinarlo all'Unione, che il regolamento comunitario recante le disposizioni generali sui fondi strutturali per il periodo 2007-2013 dice:

“Lo Stato membro e l'autorità di gestione del programma operativo forniscono informazioni circa i programmi cofinanziati e le operazioni e li pubblicizzano. Le informazioni sono destinate ai cittadini dell'Unione europea e ai beneficiari allo scopo di valorizzare il ruolo della Comunità e garantire la trasparenza dell'intervento dei Fondi”14.

In definitiva, il primo passo per sanare il deficit democratico consiste nel far intendere alla cittadinanza europea che l'Unione non è solo fonte di politiche svantaggiose, ma anche di grandi opportunità; solo così si potrà infatti sviluppare un senso di appartenenza e quindi un'identità europea.

Proprio per fare ciò, e in appoggio al Libro Bianco, si decise nel 2005 di rispondere ai risultati fallimentari di alcuni referendum sulla ratificazione del Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa15: venne dunque pubblicato il c.d. Piano D per la democrazia, il dialogo e il dibattito16, finalizzato a rinvigorire la democrazia europea ed a costituire

una piattaforma informativa per i cittadini, nonché alcuni strumenti per partecipare al processo decisionale ed al progetto europeo.

12 “La garanzia della partecipazione dei cittadini all'Unione si lega, inoltre, anche al ruolo assolto da due 'elementi' tipici del mondo contemporaneo, ossia dell'informatica e dell'opinione degli esperti. Nel primo caso, l'esistenza di una pluralità di reti, dovuta soprattutto ai processi di interdipendenza globale, non solo svilupperebbe il sentimento di appartenenza dei cittadini all'Unione, ma porrebbe in collegamento le imprese, le comunità, i centri di ricerca e le autorità regionale e locali, consentendo la formazione di un pluralismo delle idee e gettando persino un 'ponte' verso i paesi interessati all'adesione e verso il mondo intero”, S. Mangiameli, op.cit.

13 “La Commissione fornirà informazioni on line, regolarmente aggiornate, sull'elaborazione delle politiche, in tutte le fasi del processo decisionale”, p.4 del Libro bianco, op.cit.

14 Art.69 del Reg.(CE) n.1083/2006.

15 A tal proposito, va ricordato l'esito negativo registrato in Francia e in Olanda.

16 Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle Regioni - “Il contributo della Commissione al periodo di riflessione e oltre: Un Piano D per la democrazia, il dialogo e il dibattito”, COM (2005) 494 definitivo.

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La necessità di tale iniziativa, volta alla promozione del dibattito17 in tutta Europa, fu

avvertita in seguito ad un sondaggio dell'Eurobarometro18, che annunciava, in modo

preoccupante, un calo costante del gradimento pubblico nei confronti dell'Unione. L'unica possibilità si ritenne essere il coinvolgimento del cittadino nel dibattito al fine di diffondere la consapevolezza del valore aggiunto, garantito dall'Europa.

Così è probabilmente vero che, come hanno sottolineato taluni specialisti della scienza politica europea, “la Commissione ha inteso, con il suo Libro bianco, rafforzare le basi della propria legittimità attraverso un riesame ed una riforma dei meccanismi tradizionali di decisione che fondano il cosiddetto metodo comunitario19”20 .

E cosa si propone di fare? La risposta che si dà è sintetizzata dal termine 'decentramento' che, nel Libro Bianco, viene presentato come “una maggiore partecipazione e apertura”, che la Commissione determinerà attraverso una più stretta interazione con le autorità regionali e locali e con la società civile. E così si dice che

“Ciò è compito degli Stati membri, ma la Commissione da parte sua:

- instaurerà un dialogo più sistematico con i rappresentanti delle autorità regionali e locali, tramite associazioni nazionali ed europee, sin dalla prima fase dell'elaborazione delle politiche21; - introdurrà maggiore flessibilità nelle modalità esecutive della normativa comunitaria, in modo da tenere conto delle specificità regionali e locali;

17 Il dibattito, secondo il Piano D, dovrà incentrarsi principalmente sullo sviluppo economico e sociale dell'Europa, sui sentimenti nei confronti dell'Europa e i compiti dell'Unione, sulle frontiere dell'Europa e il suo ruolo nel mondo.

18 I risultati del sondaggio sono consultabili nel sito web http://europa.eu.int/comm/public_opinion/archives/ eb/eb63/eb63_en.htm

19 Il metodo comunitario è un concetto spesso utilizzato in ambito europeo e che si contrappone al metodo governativo; esso è volto ad assicurare un trattamento equo di tutti gli Stati membri, dal più grande al più piccolo, e consente di conciliare interessi diversi attraverso due filtri successivi: il filtro dell'interesse generale dell'Unione, a livello della Commissione; il filtro della rappresentanza democratica degli interessi nazionali, a livello del Consiglio e del Parlamento europeo, che sono gli organi legislativi dell'Unione. Il metodo si basa sul fatto che la Commissione presenta le proposte legislative e la sua indipendenza rafforza la sua capacità di dare esecuzione alle politiche; gli atti legislativi e di bilancio sono approvati dal Consiglio dei ministri (che rappresenta gli Stati membri) e dal Parlamento europeo (che rappresenta i cittadini). L'introduzione della votazione a maggioranza qualificata in seno al Consiglio è un elemento fondamentale ai fini dell'efficacia del metodo. Infine la Corte di giustizia garantisce il rispetto del principio di legalità.

20 p.167, “La governance europea: dal libro bianco della Commissione al Trattato Costituzionale”, Ponzo P., in Il diritto dell'Unione europea, 1/2006.

21 Per esempio, la Commissione ha concluso accordi con il Comitato economico e sociale europeo e con il Comitato delle Regioni al fine di valorizzare il ruolo di questi ultimi nel processo decisionale, mediante rapporti o pareri consultivi che i due Comitati adotterebbero a monte della proposta legislativa.

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- definirà e renderà pubblici criteri di qualità (standard minimi) da rispettare nelle consultazioni sulle politiche dell'Unione europea22;

- istituirà accordi di partenariato che vadano oltre gli standard minimi, in determinati settori, nei quali la Commissione stessa s'impegnerà a procedere ad altre consultazioni in cambio di maggiori garanzie di apertura e rappresentatività delle organizzazioni consultate”23.

Così, conformemente ai principi del documento in questione, la Commissione ha ampliato i contatti diretti con tutti gli stakeholders, in riferimento alle iniziative legislative, autoimponendosi norme da rispettare, come la durata minima di otto settimane per le consultazioni e il rendere conto dei risultati da esse scaturiti, con feedback informativi verso i vari portatori di interesse24.

Si può per altro rintracciare, nel sistema richiamato dal Libro bianco, l'idea che l'incremento della legittimità del livello sovranazionale sia in connessione con il decentramento e dunque con il rafforzamento dei livelli sub-nazionali; si tratta di un'ipotesi che viene dal passato, cioè dal pensiero neo-funzionalista degli anni '90, da cui il modello MLG prende spunto25.

Non sono poi certo mancate le critiche da parte di chi lamenta che la Commissione privilegerebbe la democrazia partecipativa rispetto alla democrazia rappresentativa, di cui il Parlamento europeo si ritiene garante; secondo questi, la Commissione sarebbe

22 “La cultura della consultazione va basata invece su un codice di condotta comprendente criteri qualitativi minimi (standard), incentrati su argomenti, tempi, persone e modi della consultazione”, p.18, Libro bianco, op.cit.

23 p.5, Libro bianco, op.cit.

24 Nella presente trattazione si darà spazio alle misure di partecipazione e apertura nella fase decisionale delle politiche che è più connessa con l'analisi del coinvolgimento delle autorità regionali nella fase di programmazione dei fondi strutturali, ma va comunque ricordato come il Libro bianco faccia riferimento anche a metodi di contatto diretto nella fase di implementazione delle politiche decise. Uno di questi, particolarmente degno di nota tra le better implementation per l'applicazione delle leggi europee, è lo strumento innovativo dei contratti tripartiti tra l'Unione europea, gli Stati membri e le autorità territoriali (regionali e locali), finalizzato ad applicare in modo più flessibile le legislazioni europee a forte impatto territoriale. Tra l'altro il Libro bianco dice che “i governi centrali avrebbero un ruolo chiave nel predisporre i contratti e resterebbero responsabili dell'esecuzione, nell'ambito della quale, l'autorità sub-nazionale designata negli stati membri s'impegnerà ad attuare determinate azioni per conseguire obiettivi specifici definiti nella legislazione 'primaria'”, p.13. Tale strumento, secondo la Commissione servirebbe a rafforzare la qualità dell'esecuzione delle politiche, “specializzandole” in base alle esigenze dei contesti locali. Finora però la Commissione ha concluso una sola convenzione tripartita sperimentale con la Regione Lombardia, riguardante la mobilità del trasporto urbano. “Gli altri progetti di convenzione tripartita non trovano l'accordo delle autorità nazionali e/o non presentano un reale valore aggiunto rispetto alle misure tradizionali di applicazione del diritto comunitario”, p173, P. Ponzano, op.cit.

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“accecata” dall'enfasi posta sull'efficacia del sistema decisionale, basato sul concetto di prossimità.

Nel Libro Bianco dunque “il metodo di accrescimento della legittimità era concepito come un processo dal basso verso l'alto (attraverso l'aumento della democrazia partecipata)”26.

Il grande merito di tale documento è l'aver dato un contributo alla redazione del Trattato Costituzionale, dove si scioglie il nodo conflittuale tra democrazia rappresentativa e partecipativa. Infatti la Costituzione europea include entrambi i principi nei suoi articoli: mentre l'art. I-46 dice chiaramente che l'Unione si fonda sulla democrazia rappresentativa, l'art. I-47 converte gli impegni di consultazione, di dialogo e di trasparenza, presi dalla Commissione nel Libro bianco, in obblighi giuridici per tutte le istituzioni comunitarie27, incluso il Consiglio che, finora, ha sostanzialmente ignorato le istanze del documento sulla governance europea.

Inoltre il Trattato costituzionale ha valorizzato la proposta del Libro bianco di rafforzare la dimensione regionale e locale, affrontando la questione della partecipazione delle autorità sub-nazionali all'elaborazione delle politiche comunitarie. Tale riconoscimento si riscontra nel ruolo che la Costituzione affida al Comitato delle Regioni e che riguarda il controllo della sussidiarietà e la valutazione dell'impatto regionale e locale dell'azione legislativa comunitaria28.

Una considerazione che va fatta, a questo punto, è che l'iniziativa della Commissione, formulata con il Libro bianco sulla governance, è valorizzata e accolta nel testo costituzionale che, quando entrerà in vigore, le darà il massimo rango nell'ordinamento comunitario. Nonostante ciò, se la Commissione in questo non troverà appoggio nelle

26 p.173, P. Ponzano, op.cit.

27 In realtà, il Trattato Costituzionale va ben oltre, prevedendo per la prima volta nell'Unione europea l'introduzione di uno strumento di democrazia diretta quale la legge di iniziativa popolare in presenza della richiesta di un milione di cittadini europei, che equivale circa allo 0,2% della popolazione totale dell'Unione.

28 L'art.5 del Protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, allegato al Trattato costituzionale del 29 ottobre 2004, dice “I progetti di atti legislativi europei sono motivati con riguardo al principio di sussidiarietà e di proporzionalità. Ogni progetto di atto legislativo europeo dovrebbe essere accompagnato da una scheda contenente elementi circostanziati che consentano di valutare il rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. Tale scheda dovrebbe fornire elementi che consentano di valutarne l'impatto finanziario e le conseguenze, quando si tratta di una legge quadro europea, sulla regolamentazione che sarà attuata dagli Stati membri, ivi compresa, se del caso, la legislazione regionale. Le ragioni che hanno portato a concludere che un obiettivo dell'Unione può essere conseguito meglio a livello di quest'ultima sono confortate da indicatori qualitativi e, ove possibile, quantitativi. I progetti di atti legislativi europei tengono conto della necessità che gli oneri, siano essi finanziari o amministrativi, che ricadono sull'Unione, sui governi nazionali, sugli enti regionali o locali, sugli operatori economici, sui cittadini, siano il meno gravosi possibile e commisurati all'obiettivo da conseguire”.

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altre istituzioni comunitarie ed anche, e soprattutto, all'interno dei singoli Stati membri, i contenuti del Libro bianco rischiano di rimanere sulla carta, registrando così deboli risultati nella pratica29.

E' dunque la politica di coesione 2007-2013 ad essere un autentico banco di prova per i principi affermati in questo significativo documento, almeno per quanto riguarda quelli che coinvolgano la prospettiva regionale.

3.3. Il Libro Bianco: alcuni contenuti

Per capire il contenuto del documento in esame, bisogna chiarire che lo spirito, mostrato in esso dalla Commissione, è quello di riformare la governance europea, che diventa così un obiettivo strategico primario. Infatti “si tratta di rivedere il modo in cui le cose possono e devono essere fatte”, seguendo le linee guida dell'apertura e della partecipazione, che favoriscono il processo di responsabilizzazione dei vari attori30. Solo così si avranno migliori risultati dalle politiche improntate, poiché l'approccio sopra detto è capace di definire un valore aggiunto alle politiche stesse. E ciò si collega a quanto sostenuto in precedenza, a riguardo della necessità di legittimazione delle istituzioni comunitarie: le azioni svolte, utilizzando gli strumenti definiti dal Libro bianco, risultano più efficaci e danno credibilità all'Unione europea di fronte agli occhi dei cittadini, che dunque sono incentivati ad avvicinarsi.

Il tentativo del Libro del 2001 è stato quello di mitigare la costruzione verticistica delle relazioni in seno all'Unione”31: l'assetto tradizionale delle relazioni tra i vari livelli di governo era decisamente “top-down”, per cui la decisione sovranazionale veniva recepita dagli Stati e attuata da essi o dalle articolazioni sub-nazionali, a seconda della ripartizione delle competenze dettata dall'ordinamento nazionale; questo sistema definiva dinamiche procedenti “per compartimenti stagni”, in base a cui c'era chi decideva e chi eseguiva.

La “buona” governance proposta è quella fondata sui principi di apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza, che dovrebbero attraversare ogni livello di governo (europeo, nazionale, regionale e locale); inoltre tali principi

29 “Il cambiamento richiede l'impegno di tutte le altre istituzioni e, negli Stati membri attuali e futuri, delle amministrazioni centrali, delle regioni, delle città e della società civile. E' soprattutto a loro che si rivolge il Libro bianco...”, p.4, Libro bianco, op.cit.

30 “Il concetto di 'governance' -si legge nel Libro bianco- designa le norme, i processi e i comportamenti che influiscono sul modo in cui le competenze sono esercitate a livello europeo, soprattutto con riferimento ai principi di apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza”. 31 S. Mangiameli, “Il ruolo delle collettività regionali e locali nella governance europea”,

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interagirebbero tra loro, sulla base della proporzionalità e della sussidiarietà, che costituiscono il quadro in cui prende forma tale modello di governance. Secondo la proporzionalità e la sussidiarietà, infatti,

“dalla prima elaborazione di una politica fino alla sua esecuzione, la scelta del livello al quale intervenire (dal livello comunitario a quello locale) e degli strumenti da utilizzare deve essere proporzionata agli obiettivi perseguiti. Ciò significa che quando si avvia un'iniziativa è fondamentale verificare sistematicamente se un'azione pubblica è veramente necessaria, se il livello europeo è quello opportuno e se le misure proposte sono proporzionate agli obiettivi”32.

In definitiva, ci si propone di sostituire il modello lineare, secondo cui le politiche sono adottate ed imposte dall'alto, con modelli circolari e di retroazione, alimentati da una rete di attori che partecipano attivamente.

La struttura proposta nel 2001, in realtà, risponderebbe ad una situazione spontaneamente creatasi nel tempo; si tratta di un nuovo sistema di relazioni che si sono andate complicando, tra i livelli di governo. Ciò si sarebbe verificato a causa del fatto che “l'attività dell'Unione ha finito per scavalcare il ruolo intermediario dello Stato ed è giunta, progressivamente, ad accostarsi agli ulteriori livelli di governo di cui si compone ciascun Stato membro, di modo che le collettività locali sono divenute responsabili della mancata attuazione di molte politiche dell'Unione, come ad esempio nel caso dell'agricoltura, dei fondi strutturali o dell'ambiente”33. Si tratta ovviamente di una

responsabilità regionale e locale indiretta, poiché del cattivo esercizio della propria competenza risulta responsabile lo Stato; rimane però “innegabile che ad un crescente intreccio delle relazioni verticali tra tutti i livelli di governo dovrebbe corrispondere un maggior coinvolgimento dei livelli stessi”34.

Si può aggiungere che le istanze del Libro bianco vogliono dire ciò che si può fare in direzione della MLG, pur rimanendo nel limite del rispetto delle costituzioni nazionali, a cui peraltro va aggiunto l'atteggiamento restio di molti esecutivi nazionali nell'accordare una piena e attiva partecipazione alle politiche comunitarie.

32 p.11, Libro bianco, op.cit. 33 S. Mangiameli, op.cit. 34 S. Mangiameli, opcit.

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Nel testo infatti, al paragrafo intitolato “Arrivare ai cittadini tramite la democrazia regionale e locale”, si parte dal presupposto che, al momento della stesura del documento, il modo di operare dell'Unione non consenta “un'adeguata interazione in un partenariato a più livelli, nel quale i governi nazionali facciano partecipare appieno le loro regioni e le loro città all'elaborazione della politica europea”. Si prosegue dicendo che, a fronte delle accresciute responsabilità, il loro ruolo di tramite eletto e, dunque, rappresentativo non venga sfruttato come dovrebbe.

I punti che emergono sono innanzitutto il fatto che si focalizzi nel livello nazionale la responsabilità e il compito di far partecipare le regioni, come deve continuare ad essere, e poi la consapevolezza, espressa nel testo, che il coinvolgimento delle autorità regionali non sia adeguato. Da quest'ultima considerazione deriva l'affermazione forte con cui si dispone che

“ogni Stato membro dovrà prevedere opportuni dispositivi di ampia consultazione quando si tratta sia di prendere le decisioni dell'Unione, sia di attuare politiche comunitarie a dimensione territoriale”35.

Non è solo questione di dare il giusto peso ad un attore rilevante, ma nelle parole della Commissione c'è anche l'invito, rivolto agli Stati, di sfruttare meglio le competenze e l'esperienza pratica delle autorità regionali e locali.

Ricollegandosi alla citazione sopra menzionata, è poi d'obbligo ricordare quanto sia forte l'impronta territoriale della politica di coesione e quanto sia rilevante la frase sopra riportata, nell'analisi di tale politica. Quello che va detto è che, sebbene l'istanza partecipativa sia espressa in forma d'obbligo a carico degli Stati, le disposizioni previste in questa tipologia di documenti non gode della caratteristica di obbligatorietà, equivalendo piuttosto ad una raccomandazione, che la Commissione produce per contribuire al dibattito sulla governance. Dunque, in seguito al Libro bianco, resta determinante l'arbitrarietà dei governi centrali nel decidere il grado di coinvolgimento regionale.

Nasce così la questione per cui ci si chiede se, in tema di politica regionale per il periodo che si accinge ad iniziare, siano entrati in gioco meccanismi che, a livello comunitario, siano riusciti a far sì che la partecipazione regionale abbia visto dei miglioramenti. Ovviamente l'unica ipotesi plausibile è quella di meccanismi che solo

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indirettamente porterebbero gli Stati ad autoimporsi la valorizzazione del ruolo sub-nazionale in fase di policy making, poiché l'ordinamento interno ad uno Stato è un tema che rientra nell'ambito della sovranità nazionale. Seppur si ritornerà in seguito su questo tema, sostanzialmente si può dire che il regolamento recante disposizioni generali sui fondi strutturali non rende ottimisti in questo senso ed anzi, come si vedrà, sembra quasi che si sia compiuto un passo indietro.

Ma d'altronde come si legge nel documento esaminato “l'Unione non può elaborare né attuare le politiche come se fosse un governo nazionale: deve invece costruire partenariati e affidarsi a tutta una varietà di interlocutori”.

Tornando ai dettami del Libro bianco, si dispone che i tempi, previsti per il processo comunitario decisionale, devono essere tali da consentire agli Stati di prendere “in considerazione le esperienze regionali e di trarne insegnamento”.

In sostanza, l'Europa che emerge dal testo del Libro bianco è un entità in piena evoluzione, strutturata su diversi livelli di governo, in cui le parti contribuiscono secondo le proprie capacità e competenze. Si tratta dunque, secondo la Commissione, di una governance su più livelli, in cui però vanno ancora definiti chiaramente i principi che regolano la ripartizione delle competenze; occorre poi far sì che tali compiti siano interrelati e non divisi, poiché si ritiene che solo la non esclusività permetta di garantire la bontà della policy.

La constatazione generale, emergente dall'analisi fin qui fatta, è che si possa parlare di governance europea strutturata su più livelli, indirizzata dal Libro bianco verso il modello della MLG, però non ancora realizzato a pieno.

E' importante puntualizzare come la lezione di metodo data dalla Commissione, nel 2001, propenda per questo modello, ribadendo però costantemente che spetta agli Stati membri dare il definitivo giro di volta in tal senso.

3.4. Il Libro bianco: alcune osservazioni

Alcune interessanti osservazioni sul Libro bianco sono state fatte dalla Conferenza permanente delle regioni marittime (CPMR, Conference of Peripheral Maritime Regions), che è ormai diventato uno dei maggiori interlocutori delle istituzioni europee, esercitando grande influenza, in particolar modo sulla Commissione36.

Va fatto riferimento ad un contributo che il CPRM ha dato, sedimentandolo a partire dal

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1999, quando cominciò a prefigurarsi l'idea di realizzare un Libro bianco sulla governance; i lavori, poi inviati all'allora Presidente della Commissione Romano Prodi, seguirono fino all'agosto del 2001, quando il documento della Commissione fu pubblicato ufficialmente. Sono ormai molti anni che la Commissione europea riconosce l'esistenza dell'associazionismo interregionale, di cui il CPRM fa parte, considerando tali entità come attori operanti nell'arena europea, capaci di servire come utile interfaccia tra i livelli nazionali e regionali. Dobbiamo infatti pensare che l'opinione dei cittadini viene aggregata più facilmente a livello regionale e che le singole regioni dimostrano la tendenza a riunirsi in pool regionali, al fine di rafforzare la propria posizione; queste forme di associazionismo sub-nazionale nascono tra regioni di uno stesso Stato, ma anche tra regioni di Paesi diversi che presentano problematiche o peculiarità simili37.

Dunque la CPRM, essendo una organizzazione interregionale di livello europeo38, assume un'ottica strettamente regionale e dà alcuni spunti su come inserire il livello sub-statale nella governance europea, affinché si vengano a creare opportunità per uno sviluppo più bilanciato tra gli attori, all'interno dell'Unione europea.

37 “As to networking at transnational and inter-regional levels, it occurs de facto, despite the absence of

any appropriate European legal structures. Most of the Regions are involved in inter-regional, national or transnational partnerships and cross-border bilateral or multilateral partnerships within the framework of voluntary agreements or Community programmes. However, they underline the difficulties posed by excessively complex legal structures for cooperation (in the absence of European frameworks) so that Regions tend to concentrate their energy rather more on the operating of the system than on the production of real projects”, pag. 44, “Enhancing Democracy in the European Union. Participation of sub-state levels. Contributions”, CPRM, Dicembre 2000-Marzo 2001. E' interessante a tal proposito puntualizzare come nei nuovi regolamenti sui fondi strutturali nasce il GECT (gruppo europeo di coesione trans-frontaliera), che viene istituito come organismo per facilitare, dal punto di vista giuridico, la cooperazione e dunque il networking interregionale, che dal 2007 viene finanziato sotto l'obiettivo di Cooperazione territoriale europea. Tra l'altro nello stesso documento appena citato troviamo scritto che “With regard to inter-regional, transnational cooperation, the regions highlight two aspects: within the framework of Interreg programmes, the

Regions have become more proactive on a de facto level than it would appear from the official process which requires Member States to do no more than present programmes to the European Commission. Law should adapt to reality and give the regions the place they deserve in the contractualisation procedure. The Regions justifiably emphasise the absence of adequate legal support for programme development, without excessive costs in terms of bureaucratic energy. It seems inconceivable that, after twelve years of experience within the framework of Article 10 of the ERDF and Interreg, the European Commission has not been able to offer Member States and Regions an appropriate legal and financial framework for transnational cooperation”, pag.49. Sempre in riferimento alla nascita del GECT è inevitabile pensare alla grande influenza della CPRM sulle scelte della Commissione, nonché al grande lavoro di studio che questa organizzazione affronta, anticipando le esigenze emergenti.

38 “The CPRM is an inter-regional organisation that brings together 130 European Regions in five Geographical Commissions. It deems that is competent to submit suggestions to the working group on decentralisation, particularly on the two following issues under discussion, which directly concern the role of territorial authorities and their associations whithin the European Union”, p.12, “Enhancing Democracy in the European Union. Participation of sub-state levels. Contributions”, CPRM, Dicembre 2000-Marzo 2001.

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Così il presupposto da cui parte la CPRM è che i modelli di governance tradizionali dell'Ue, fondati su relazioni inter-governamentali, in effetti non possano più sovrapporsi alla complessa realtà, a cui la società di oggi dà luogo. Si condivide dunque l'idea della Commissione, per cui la sfida contemporanea è quella di favorire le interazioni tra i diversi livelli geografici, non solo in riferimento alle autorità pubbliche di governo, ma anche alla dimensione privata39, che dà il proprio contributo per il perseguimento di

obiettivi comuni.

Secondo il gruppo di lavoro della CPRM, infatti, il coinvolgimento degli attori regionali, locali e non-governativi, nel decision making, è l'a priori perché le regole di governance siano accettabili ed efficienti. Ciò è dovuto al fatto che l'efficacia delle politiche comunitarie dipende dal grado di applicazione del principio di sussidiarietà, in tutte le fasi del processo di policy, e per questo si ritiene inoltre opportuno che il principio sia reso più facilmente “leggibile” e riscontrabile, ai fini di una maggiore trasparenza e chiarezza.

Quello che ci si aspetta dunque è che

“the White Paper will represent a further step forward in relation to previous initiatives, will go beyond the isolated identification of consultation instrument, and will envisage the setting up of a veritable European policy of proximity, based on a well-defined strategy that commits all the institutons of the Union”40.

Le richieste avanzate sono quelle di un rafforzamento della decentralizzazione verticale con riguardo alle politiche che producono un forte impatto territoriale, così come quella regionale, ma anche quella ambientale, dei trasporti, della ricerca.

Il decentramento “verticale” sarà attuabile solo con l'uso di strumenti appositamente congegnati per far sì che le regioni siano coinvolte e partecipino attivamente41.

A tal proposito si dice che la successiva riforma della politica regionale42, che

39 Il coinvolgimento del settore privato nelle politiche comunitarie è sempre più enfatizzato; si pensi alla nascita del CESE, oppure alla valorizzazione e il forte accento posto sulla c.d. PPP (public-private partnership), che diventa un punto di forza nei nuovi regolamenti sui fondi strutturali.

40 p.3, “Enhancing Democracy in the European Union. Participation of sub-state levels. Contributions”, CPRM, Dicembre 2000-Marzo 2001.

41 Va sottolineate la consapevolezza che il decentramento non può che assumere approcci diversi a seconda della forma di governo, mutando così dallo Stato federale a quello regionale, a quello unitario.

42 Il testo qui commentato è stato scritto nell'ottobre 2000, dunque parlando di prossima riforma dei fondi strutturali, ci si riferisce proprio alla riforma 2007-2013.

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probabilmente farà leva su quei territori meglio organizzati e più vicini ad un assetto federale, non “potrà permettersi il lusso”43 di non contribuire alla definizione di migliori

forme di governance; si sostiene, poi, che se la politica di coesione dovesse fallire in ciò, correrebbe il grande rischio di continuare ad essere un modello di negoziazione finanziaria tra Stati, con finalità redistributiva, più che costituire la realizzazione di un concreto progetto di convergenza europea. In aggiunta, va considerato l'allargamento che ha portato l'Unione a 15 a diventare, prima, un'Unione a 25 e, dal 1° gennaio 2007, un'Unione a 27, in cui le disparità e gli ostacoli al processo di integrazione sono notevolmente aumentati; da qui la necessità di un rinnovato e grande sforzo per migliorare la governance europea.

Un primo meccanismo di coinvolgimento è quello della consultazione che la Commissione deve strutturare come passo irrinunciabile per le sue iniziative: ciò che si sottolinea però è che in realtà, tali consultazioni, che coinvolgono le autorità regionali e locali, sono condotte seguendo procedure non fissate a priori e quindi in un certo senso istituzionalizzate, ma procedono in base a modalità decise caso per caso; questo fa sì che le consultazioni abbiano un peso troppo variabile da politica a politica e, soprattutto, in base alla propensione della DG competente per la policy in questione.

La richiesta dunque è definire regole precise, tempi44, metodi di lavoro che diano la possibilità di un'effettiva mobilitazione degli attori regionali e locali. E' proprio a tal proposito che il CPMR critica il Libro bianco che, non prevedendo istanze che spingono il sistema europeo in tale direzione, avrebbe tralasciato un aspetto che è fondamentale e irrinunciabile ai fini di un cambiamento strutturale della governance.

Il decentramento decisionale è basato senz'altro sul principio di sussidiarietà, da cui discende direttamente il principio di partnership, che viene rispettato più dalla politica strutturale che da tutte le altre politiche comunitarie, a causa della natura stessa di tale policy45. Dunque è proprio la politica di coesione ad impartire una lezione di metodo

43 Questa è un'espressione tradotta dal testo originale, riportata poiché efficace a livello espressivo. 44 “The efficiency of any consultation indeed depends to a great extent on the deadlines that are set in

order to effectively mobilise the players consulted and on the availability of appropriate lists of bodies to be consulted for each issue concerned”, p. 13, op.cit.

45 Ci sono infatti politiche comunitarie con un forte impatto ambientale che sono negoziate solo dallo Stato e dalla Commissione; è il caso della PAC, della politica dei trasporti, della politica di R&S. Le regioni dunque non partecipano alla fase di decision making, ad eccezione del contributo che possono dare attraverso il Comitato delle Regioni, con tutti i limiti che tale organo presenta, tra cui quello per il quale la funzione che svolge è puramente consultiva. Nel caso dei trasporti, quanto appena detto è stato abbastanza chiaro: basti pensare ai progetti di linea ad alta velocità per il corridoio 5 (Lisbona-Kiev), in cui il mancato coinvolgimento delle regioni interessate ha portato a grandi opposizioni alla realizzazione del progetto europeo fino ad un arresto dei lavori. Basti pensare al movimento “NO

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importante, che dovrebbe essere seguita dalle altre, che invece, troppo spesso, continuano ad essere eccessivamente centralizzate.

La partnership che si instaura nella politica di coesione si concretizza in procedure di consultazione tra Commissione, Stati membri e le autorità rilevanti nazionali, regionale e locali46; ed a questo procedimento consultivo si deve far ricorso continuamente

dall'inizio della preparazione fino all'esecuzione dei contenuti della policy, utilizzando metodi di lavoro che nel tempo hanno rafforzato le azioni intersettoriali ed inter-istituzionali47.

Sono stati dunque tali metodi a dar origine, nella passata programmazione, ai Quadri di Sostegno Comunitari (QCS) ed ai Documenti Unici di Programmazione (DOCUP), di cui si tornerà a parlare poiché elementi primari nel periodo 2000-2006, per altro eliminati nell'attuale programmazione per far spazio al nuovo strumento del Quadro di riferimento Strategico Nazionale.

In uno studio48 della CPRM, realizzato per mezzo di un questionario inviato alle autorità regionali e locali, emerge che l'opinione condivisa è che il networking regionale e lo sviluppo della partnership istituzionale siano oggi ritenute conditio sine qua non per la formulazione di strategie di sviluppo territoriale efficaci. Il metodo partenariale proposto dagli intervistati varia in base alla realtà nazionale e culturale di appartenenza: alcune regioni ritengono che debba essere la legge a fissare le modalità di realizzazione del principio, altre hanno fiducia nei meccanismi informali, magari combinati con strumenti istituzionalizzati, altre propongono accordi per la concertazione, caso per caso. In definitiva però, tutte le autorità, che hanno risposto al questionario, vedono TAV” (www.notav.it) che è la chiara dimostrazione della lontananza dei cittadini e dell'opinione pubblica dal progetto in questione, cosa che si sarebbe potuta affrontare con una maggior coinvolgimento delle regioni in fase decisionale, visto che proprio le autorità regionali sono le più vicine alla realtà locale. Nel campo TEN-T infatti gli obiettivi sono stati decisi dalla Commissione con un basso livello di partecipazione regionale, cosa che fa emergere una grande contraddizione nel sistema.

46 La questione si può porre anche in termini della distribuzione di competenze che fino ad oggi ha lasciato grande spazio alla Comunità europea che ha saputo estendere i suoi ambiti di azione; e questo è stato possibile poiché il Trattato sull'Ue non prevede una lista delle competenze comunitarie. Il trattato inoltre non cita espressamente le realtà sub-nazionali, ma nella prassi si è andata accettando l'interpretazione secondo cui là dove si parla di Stati membri ci si riferisce, quando è opportuno, anche alle regioni ed alle altre entità locali.

47 Ciò che ci si chiede nei documenti prodotti dal CRPM è se la governance debba assumere un assetto policentrico per riuscire a definire uno sviluppo più bilanciato dei territori, ritenendo che il modello attuale, al di là degli sforzi finanziari fatti, non sia sufficiente. Come si vede dalle nuove prospettive finanziarie per i prossimi sette anni, le risorse stanziate sono relativamente scarse quindi al fine di sortire effetti consistenti non si può prescindere da una gestione efficiente di tali mezzi; così la risposta a tutto ciò è certamente un nuovo assetto di governance.

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nella partnership un momento irrinunciabile per il policy making.

L'analisi prodotta da tale studio focalizza un assunto importante secondo cui, nonostante sia generalizzata l'opinione che la partnership debba essere la più ampia possibile, restano sostanziali differenze riassumibili con la contrapposizione delle realtà dell'Europa Settentrionale e Meridionale: mentre nel Sud d'Europa il partenariato spesso assume la forma di una concertazione informale ad hoc per ciascuna politica (consultative and informative partnership), al Nord tale metodologia è maggiormente strutturata e istituzionalizzata, prevedendo addirittura, in certi casi, l'uso di internet per l'acquisizione del punto di vista dei singoli cittadini.

Altro risultato interessante che emerge dallo studio in questione riguarda l'opinione divergente tra gli intervistati a proposito dell'interconnessione tra il livello nazionale e sub-nazionale. Da una parte c'è chi sostiene che si rende necessario incrementare il contatto diretto tra l'Unione europea e le regioni, poiché lo Stato rappresenta, ad oggi, un filtro tra i livelli sub-nazionali e Bruxelles: si tratterebbe addirittura, in certi casi, di uno schermo tra questi, tale da interrompere il flusso comunicativo tra il livello sovranazionale ed i territori; d'altra parte poi alcuni (e precisamente in numero inferiore) ritengono che le consultazioni Stato-Regioni, a proposito dei “temi europei”, assicuri una cooperazione effettiva e permanente.

In terzo luogo poi tutti condividono il fatto che la politica regionale sia l'unico esempio di policy in cui la partnership sia adeguatamente implementata, nonostante il fatto che, anche in questo caso, esistano dei limiti e che dunque occorrerebbe potenziarla.

Si ritiene che il singolo Programma Operativo (PO) dia luogo ad un confronto importante tra Stato e Regioni e che sia anche sede di integrazione degli interessi europei con quelli locali. Inevitabilmente il PO richiede procedure ispirate al partenariato, sia in fase di preparazione che di implementazione. Così per molti la politica di coesione è un esempio supremo di applicazione pratica del principio di sussidiarietà.

In seguito alla pubblicazione del Libro Bianco, la CPRM dimostrò grande favore verso tale iniziativa della Commissione, sottolineando gli impegni presi nel documento tra cui quello di assicurare la cooperazione ed il coinvolgimento regionale e locale nella strutturazione delle politiche, attraverso il rafforzamento della partnership tra i diversi livelli di governo.

E così si dimostrò particolare apprezzamento verso un rinnovato coinvolgimento regionale:

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“The use of the regional and local authorities as more active vectors of information for the public on European questions; the establishment, from 2002 of more systematic dialogue with the European and national associations of regional and local authorities, at an early stage in the drafting of policies; the willingness to take account of the territorial impact of EU policies; the announcement of a contractual experimentation designed to take better account of regional and local specifities in implementing legislation and programmes with high territorial impact”49.

Quello che però la CPRM biasimò fin dall'inizio fu la mancanza di misure previste per l'implementazione effettiva delle pratiche di partenariato; a tal proposito la Conferenza ipotizzò la volontà della Commissione di formalizzare maggiormente il contributo di tutti gli attori europei al suo lavoro, lasciando però sullo sfondo una fatiscente partecipazione diretta degli stessi attori al decision making. E' una critica forte e decisa quella della CPRM che, anche in questo caso, anticiperebbe la successiva mancanza di effettività che tutti, in seguito, hanno attribuito al Libro Bianco, documento che col tempo si è rivelato ottimo nei principi, ma poco capace di forzare a intraprendere procedure ispirate alla vera partnership ed al coinvolgimento di tutti gli attori.

3.5. La governance europea: il punto di vista della Commissione

Come dichiarato nel Libro Bianco, la Commissione produsse, prima della fine del 2002, una relazione sui progressi realizzati a proposito della governance50.

Tale relazione riafferma la convinzione della Commissione circa la necessità di disporre di strumenti politici più flessibili e diversificati nell'ambito della legislazione tradizionale e al di fuori di questa.

49 p.3, “Reaction to the European Commission's White Paper”, Secretariat general of the CPRM, settembre 2001.

50 Ciò è stato possibile attraverso una consultazione pubblica sul Libro bianco che si è protratta dal 25 luglio 2001 al 31 marzo 2002. I contributi al dibattito sono stati 260. Alcuni Stati membri e alcune istituzioni europee non hanno dato nessun contributo al dibattito, cosa che ha evidenziato un disequilibri nell'Ue in termini di contributi e ciò conferma le differenze esistenti quanto a cultura e a tradizione della consultazione pubblica. La risposta istituzionale, rilevata dall'indagine, non è stata uniforme anche considerando che i governi di Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Regno Unito e Svezia non hanno formulato pareri scritti, mentre il Parlamento europeo, il CESE e il CdR hanno presentato pareri, mentre il Consiglio e otto governi degli Stati membri si sono astenuti. A proposito delle proposte del Libro bianco relative al tema sul dialogo con i governi regionali e locali, i contributi sono stati davvero numerosi ed il 26% di questi riguardavano la “migliore partecipazione”.

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Una linea d'azione qui proposta è arrivare ai cittadini tramite la democrazia regionale e locale; per realizzare ciò si dichiara di voler seguire due strade: da una parte rafforzare il Comitato delle Regioni (CdR) nello svolgere un ruolo proattivo nell'esame dell'azione comunitaria, preparando relazioni esplorative preliminari alle proposte della Commissione, per organizzare le pratiche di coinvolgimento delle autorità locali e regionali, nella fase preparatoria del processo decisionale europeo. Del resto il CdR è l'istituzione che, fondata dal Trattato sull'Ue51, rappresenta ufficialmente le regioni e tutte le altre autorità territoriali, in ambito comunitario. “L'esperienza decennale del ruolo assolto dal CdR sul piano istituzionale europeo – dice Mangiameli52 – ha mostrato come il suo specifico rilievo si leghi non tanto all'esercizio delle funzioni ad esso formalmente attribuiti dal trattato, quanto alla sua capacità di porsi, entro il processo di integrazione europea, come interlocutore chiave delle istituzioni comunitarie, in ordine alle problematiche emergenti in sede regionale”. Formalmente il Comitato si presenta come organo consultivo della Comunità e per questo difficilmente potrebbe ritenersi sede istituzionale di rappresentanza unitaria degli interessi regionali presenti all'interno degli Stati membri. D'altra parte poi tale organismo vede molti limiti nel suo funzionamento: primo tra tutti il fatto che i suoi membri siano divisi in gruppi politici, in delegazioni nazionali ed in commissioni tematiche. Ciò infatti, a detta dello stesso Comitato, raramente porta all'espressione collettiva dei livelli regionali e locali. Senza pensare poi alla frammentazione dell'interesse regionale che inevitabilmente è composto da necessità diverse, rispondenti alle peculiarità delle regioni europee. E' vero comunque che, nel corso del tempo, il CdR è riuscito ad influenzare le ulteriori tappe del processo di integrazione europea, “attraverso una paziente attività spiegata spesso al di fuori delle previsioni del Trattato, ponendo all'attenzione dei suoi interlocutori le ragioni che consigliavano di procedere in un senso anziché in un altro”53.

Anche in considerazione di ciò, resta comunque difficile considerare il CdR come

51 Art.263 del Trattato sull'Ue: “E' istituito un Comitato a carattere consultivo composto di rappresentanti delle collettività regionali e locali...I membri del Comitato sono nominati, su proposta dei rispettivi Stati membri, per quattro anni dal Consiglio, che delibera all'unanimità...I membri del Comitato non devono essere vincolati da alcun mandato imperativo. Essi esercitano le loro funzioni in piena indipendenza, nell'interesse generale della Comunità”; art.265: “Il Consiglio o la Commissione consultano il CdR nei casi previsti dal presente trattato e in tutti gli altri casi in cui una di tali due istituzioni lo ritenga opportuno, in particolare nei casi concernenti la cooperazione trans-frontaliera...Il Comitato, qualora lo ritenga utile, può formulare un parere di propria iniziativa”.

52 Tratto da “Il ruolo delle collettività regionali e locali nella governance europea”, Mangiameli S., ISSIRFA, 2005, www.issirfa.org

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strumento pienamente soddisfacente per il contatto diretto tra le regioni e il livello sovranazionale. Qui si inserisce la proposta delle associazioni regionali, nazionali e internazionali, che si candidano come forum di riflessione e di contatto con la Commissione, un canale privilegiato perché più vicino agli attori locali e regionali e, allo stesso tempo, capace di essere rappresentativo anche dell'interesse generale europeo. Un testo prodotto dalla CPRM, contributo alla stesura del Libro Bianco, dice:

“It should be recalled that most European regions have now joined together in associations, either on the basis of their geographical location, or their economic or cultural particularities. These associations act as an interface between the institutions and bodies of the EU on the one hand, and the actual reality on the ground on the other. Despite the absence of a uniform regional level in Europe, the willingness to participate collectively in European affairs is manifested through the formation of crossborder or transnational networks that aim to strengthen exchanges of experiences and express special interests. This highly recognised phenomenon of association that began to develop in the 80’s and 90’s is largely the origin of the major advancements ratified by the Maastricht Treaty”54.

Proprio a tal proposito, del resto, il Libro Bianco aveva già riconosciuto la necessità di rafforzare le relazioni con le autorità regionali e locali attraverso le associazioni nazionali ed europee; è stato dunque elaborato dalla Commissione un documento di lavoro destinato ad identificare le misure per la definizione di un “ponte” verso tali associazioni regionali ed a delineare le condizioni e l'ampiezza di un tale dialogo. D'altra parte invece la Commissione ha chiesto agli Stati membri di esaminare come ottenere una maggiore partecipazione degli operatori regionali nella definizione delle politiche comunitarie, nel pieno rispetto dei loro sistemi costituzionali.

In tale relazione, oltre a ribadire le declinazioni della governance europea, la Commissione afferma l'impossibilità di sfruttare pienamente il potenziale di questa, fino al momento in cui non si determinerà uno sforzo collettivo di tutte le parti, compresi dunque tutti gli Stati membri e le istituzioni europee: “l'agenda della governance europea non può limitarsi al Libro bianco della Commissione. Questo

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infatti rappresentava solo un contributo, adeguato al momento e alle circostanze”55. Si

risponde con tale affermazione alle critiche mosse da coloro che evidenziano una mancanza di effettività del documento che, secondo la Commissione, non può che rappresentare un indirizzo che tutti gli attori europei dovranno contribuire a concretizzare.

Tirando le somme della riflessione scaturita dal Libro Bianco, ciò che emerge è un grande interesse delle autorità regionali e locali verso il tema del dialogo verticale delle istituzioni; la posizione raggiunta è quella che richiede alla Commissione di chiarire la propria volontà a tal proposito, così da manifestare le proprie idee in un'arena di discussione in cui troviamo, da una parte, molti governi nazionali e il Parlamento europeo, scettici di fronte al decentramento (il trattato regolamenta unicamente la

relazione tra le autorità nazionali e le istituzioni europee; la partecipazione delle autorità

sub-nazionali al processo decisionale comunitario è pertanto considerata come un’intrusione nell’organizzazione interna degli Stati membri) e, dall'altra, la maggior parte delle regioni che mostrano vivo interesse verso lo sviluppo di una “sussidiarietà verticale”56.

3.6. La governance ed i fondi strutturali: l'analisi del Comitato delle Regioni

Il Libro Bianco aveva ricercato nell'atteggiamento proattivo del CdR la possibilità di coinvolgere maggiormente le autorità sub-statali, in fase decisionale, invitandolo a produrre studi ed analisi, fin dal momento precedente alla proposta della Commissione, affinché essa venisse elaborata in modo informato delle esigenze delle autorità regionali, rappresentate dal Comitato. In seguito a tale istanza, venne prodotto un protocollo di cooperazione57, nel settembre 2001, tra Commissione e CdR; in base a

questo, il Comitato produce rapporti prospettici, volti ad approfondire l'analisi di problematiche a proposito delle quali il CdR dispone delle informazioni appropriate, provenienti direttamente dai territori interessati.

55 Pag. 31, “Relazione della Commissione sulla Governance europea”, Commissione europea, Lussemburgo, 2003.

56 Si dice infatti che la sussidiarietà verticale dovrebbe essere contemplata necessariamente nel nuovo trattato, per dare più spazio alle regioni nel decision making europeo. Il problema però è la differenza tra gli ordinamenti europei e i diversi gradi di regionalizzazione-federalizzazione previsti; il rischio sarebbe quello di aumentare la disuguaglianza tra le regioni riconosciute costituzionalmente e le altre. 57 Tale protocollo di cooperazione “encourage l'elaboration des documents stratégiquess du Comité des

régions faisant le point sur des sujets que la Commission considère importants”, pag.8, “Rapport de prospective du Comité des régions du 2 juillet 2003 sur le thème Gouvernance et simplification des fonds structurels après 2006”, Comitato delle Regioni, Bruxelles, 2003.

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Così nel 2003, il CdR produsse un rapporto sulle opinioni e sulle necessità delle regioni in vista della proposta58 della Commissione sulla nuova politica strutturale per il post

2006.

In definitiva, ciò segna un'evoluzione del ruolo del Comitato, a cui viene riservato un maggiore spazio nella definizione della politica di coesione 2007-2013.

Tale rapporto59 parte dal presupposto dell'allargamento a dieci nuovi Paesi dell'Est

Europa, la cui entrata nel maggio 2004, avrebbe aggravato i disequilibri territoriali e avrebbe dunque richiesto una riforma della politica di coesione, al fine di mantenerla forte e credibile, nonostante il cambiamento dell'Unione europea, ormai composta da 25 Stati membri.

Tale documento riporta i risultati di un inchiesta condotta dal Comitato tra le Regioni, interpellate sulla politica di coesione e quindi sui cambiamenti che si renderebbero, a loro avviso, necessari nella futura politica strutturale.

Così si esordisce ricordando che

“la politique de cohésion, telle que consacrée dans le Traités, est un instrument destiné à réaliser les principes de solidarité, de coopération et de redistribution, et constitue l'un des pilieres de l'intégration entre le peuples et les territoires de l'Union”60.

D'altra parte il Comitato ricorda come, in ottemperanza al principio di sussidiarietà, occorra coinvolgere maggiormente sia gli Stati che le Regioni nell'elaborazione della politica di coesione, senza per questo ri-nazionalizzarla61. Questa posizione scaturisce dal fatto che tutte le autorità regionali avvertono il bisogno di reimpostare il principio di sussidiarietà e di proporzionalità, ritornando al senso originario di questi e, dunque, superando quella visione del principio volta a valorizzare in particolar modo lo Stato centrale. Per fare ciò, pur tenendo conto degli imprescindibili limiti costituzionali, le regioni reclamano un loro riconoscimento espresso all'interno dei Trattati. La richiesta

58 COM (2004) 492 def. Del 14 luglio 2004

59 Si tratta dunque di un parere del Comitato delle Regioni che l'allora commissario responsabile della politica regionale europea, Barnier, richiese al comitato, focalizzando l'attenzione sulla semplificazione da apportare nel post 2006. Tale posizione fu tenuta di conto dalla Commissione nella scrittura della “Terzo relazione intermedia sulla coesione: verso un nuovo partenariato per la crescita, l'occupazione e la coesione”, COM(2005)192 def. Del 17.5.2005.

60 Pag.12, op.cit.

61 Già a partire dal 1999, all'indomani dell'inizio del periodo di programmazione 2000-2006, sorse il dibattito a proposito della ri-nazionalizzazione della politica strutturale. Per avere più informazioni a riguardo, vedi infra (capitolo 4).

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regionale è dunque quella di poter introdurre nell'art.5 del Trattato sull'Ue un'espressione che contempli l'attore sub-nazionale; attualmente infatti tale articolo, che esprime il principio di sussidiarietà, rammenta esclusivamente gli Stati membri62.

Dato che, in tema di politica strutturale, il livello regionale è oggi ritenuto il più efficace, il principio di sussidiarietà dovrebbe funzionare a partire dalle autorità regionali, tanto più che queste, ormai da tempo, hanno avviato un processo di apprendimento che le rende capaci di presiedere il proprio sviluppo integrato territoriale.

In sintesi, il panorama che emerge è quello delle regioni che, consapevoli del loro ruolo potenziale nella politica di coesione, cercano una conferma del loro status nel principio di sussidiarietà, che più dovrebbe valorizzarle; si confida nel fatto che la sussidiarietà possa permettere un avanzamento regionale nel decision making, superando anche i limiti imposti, in certi casi, dal dettame costituzionale. Infatti ciò che emerge maggiormente è una problematicità63 rilevante in fase decisionale, mentre nella fase esecutiva dei programmi tutte le regioni sono pienamente coinvolte e si ritengono soddisfatte di ciò64.

Interpellata sulla natura della partecipazione regionale alla programmazione dei fondi strutturali, la maggioranza delle regioni ritiene di essere stata coinvolta in tutti gli stadi ed in particolare nell'elaborazione di strategie, nella produzione dei programmi, nonché nella loro esecuzione. Resta però da constatare come diversa sia la percezione di quelle regioni appartenenti agli Stati più centralizzati; in questi casi infatti le autorità sub-nazionali, che posseggono poche competenze istituzionali, auspicano un loro maggior

62 Art.5 Trattato CE: “...Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio di sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario”. 63 Al di là della questione del ruolo regionale in fase decisionale della politica strutturale, che ai fini del

presente lavoro più interessa, sono molti gli spunti di riflessione emergenti dal rapporto del CdR sulle prospettive future della politica di coesione. Uno di questi fu la questione del coordinamento dei fondi strutturali. Addirittura le regioni richiedono che i tre fondi (FESR, FSE, FEOGA) siano in qualche modo integrati, al fine di realizzare politiche coerenti che producano sinergie. La difficoltà infatti che si avvertiva era quella di armonizzare le pratiche amministrative dei tre fondi. A ciò i regolamenti del luglio 2006 hanno risposto con una riduzione a due fondi, eliminando il FEOGA, ora detto FEASR, che va a collocarsi nella politica di sviluppo rurale e dunque nella cosiddetta PAC. D'altra parte però la definizione di programmi mono-fondo, secondo alcuni, frammenterebbe ancora di più l'azione dei fondi, mettendo le regioni in situazione di maggior difficoltà nell'integrare le risorse per la convergenza. Senza pensare poi al fatto che le risorse non sono più trasferibili da programma a programma, cosa che prima era permessa dal QCS. Ciò potrebbe portare ad una perdita di risorse, per questa ridotta flessibilità del finanziamento. In un certo senso, dunque, la semplificazione che è stata prodotta presenta notevoli problematicità che solo in seguito potranno essere valutate.

64 La gestione e il controllo dei programmi è compito chiave delle regioni, visto che la quasi totalità delle regioni europee è coinvolta nella gestione operativa di questi.

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coinvolgimento diretto in tutte le fasi decisionali65.

In considerazione del fatto che la programmazione strutturale ha come finalità lo sviluppo regionale e conformemente all'essenza teorica della sussidiarietà, le regioni dovrebbero essere il centro decisionale più adeguato. La richiesta concreta che viene dunque avanzata nel rapporto è quella di instaurare un partenariato diretto con la Commissione, allo stesso titolo degli Stati membri; in effetti, nel regolamento sui fondi strutturali del '99, il partenariato in cui viene coinvolta l'entità regionale non è in nessun modo una forma privilegiata sulla carta; si tratta di un partenariato non diverso da quello che coinvolge tutti gli altri partner individuati dallo Stato, come i partner economici e sociali: spetta allo Stato centrale decidere in che modo valorizzare le regioni.

Nel documento in esame si propone inoltre che

“la région doit jouer un role plus actif dans la configuration de la nouvelle politique régionale après 2006 en participant à la définition des priorités, à la mise en oeuvre des textes réglementaires, à l'affectation des ressources et à la distribution des taches de gestion et d'administration”66.

Non solo le regioni puntualizzano ciò che si aspettano dal periodo successivo, ma affermano anche la necessità di formalizzare il ruolo della regione e di stabilire, in modo chiaro ed esplicito, le competenze dei tre livelli (sovranazionale, nazionale e sub-nazionale).

Così, citando il rapporto del CdR,

“Il convient dés lors de confirmer la reconnaissance de l'Europe des régions dans le cadre communautaire et d'affirmer la nécessité d'une base juridique claire et non ambigue...le role des régions dans la politique de cohésion doit etre explicitement reconnu et donc inscrit dans le traité”67.

Il richiamo è al Libro Bianco sulla governance europea che, definendo le autorità

65 La situazione vede una generale insoddisfazione nel funzionamento del principio di sussidiarietà che dipende e viene limitato dalla configurazione istituzionale di ciascun Paese. Non a caso le regioni più soddisfatte sono quelle che godono di forti competenze istituzionali.

66 Pag.15, op. cit.; da notare come si puntualizzi il ruolo che le regioni devono avere, diversamente dal periodo in corso al momento della scrittura del rapporto, in ambito di definizione delle priorità nonché nell'assegnazione delle risorse finanziarie. In ognuno di questi compiti infatti la co-responsabilità non può essere unidirezionale nel senso che c'è il supporto delle regioni che devono fornire principalmente le informazioni, ma la decisione spetta o allo Stato membro o alla Commissione. Il partenariato deve far scorrere la responsabilità e la forza decisionale in entrambe le direzioni, dunque anche verso le regioni.

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