Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
D
IPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICI E CULTURALIC ORSO DI L AUREA M AGISTRALE IN
Languages for communication in international enterprises and organizations
Die Manipulation der Sprache in der deutschsprachigen Presse:
Fallstudie zum Thema Migration
La Manipolazione del linguaggio nella stampa di lingua tedesca:
Case study sul tema dell’immigrazione
Prova finale di:
Sara Belletti Relatore:
Antonie Hornung
Correlatore:
Vincenzo Gannuscio
Anno Accademico 2017/2018
Die vorliegende Arbeit thematisiert die Rolle der Sprache als Instrument der Medienkommunikation. Schwerpunkt der Analyse ist es, den medialen Einfluss auf die politische Einstellung in der Gesellschaft zu untersuchen. Quellen dieser Untersuchung sind wissenschaftliche Werke, Projekte und Artikel. Die Arbeit gliedert sich in vier Teile und endet mit einem historischen Vergleich der Datenlage.
Das erste Kapitel widmet sich den wissenschaftlichen und terminologischen Definitionen in der Medienkommunikation laut Maletzke. Die Spieler der Medienkommunikation sind Kommunikator, Aussage, Medium und Rezipienten. Medien verwenden bestimmte Effekte, um Einfluss auf das Publikum auszuüben: Framing, Agenda-Setting und Priming.
Der Einfluss durch Sprache fängt mit Framing an, wenn bestimmte anwendbare Frames oder Schemata durch Erfahrung entstehen und uns helfen, Informationen zu bewerten und einzuordnen. Der Agenda-Setting-Effekt bestimmt zunächst die Gewichtung eines Themas in den Medien: Je mehr sie den Schwerpunkt auf ein Thema legen, desto großer ist die öffentliche Anerkennung, die das Thema bekommt. Wenn einen Frame aktiviert wird und einen Urteil angefordert wird, wird eine Anregung stimuliert. Das ist „accessibility-effect“ oder Priming.
Langfristig werden Bewertungen, Entscheidungen und Klassifizierungen im kognitiven Netzwerk des Rezipients beeinflusst.
Im zweiten Kapitel wird der Einfluss der Medien auf der Ebene der Wortwahl thematisiert. Es werden Plastikwörter von Uwe Pörksen beschrieben, die ohne eine klare Definition und neutral erscheinen und sich an den Kontext anpassen. Schlagwörter sind inflatorische und prägnante Begriffe, die politische oder gesellschaftliche Einstellungen unterstützen, wie „Umweltschutz“
oder „Lügenpresse“. Auch Metaphern, Stereotypen, Euphemismen, Neologismen und Leerformeln können einen starken Einfluss ausüben.
Im dritten Kapitel wird das Thema Migration in der Presse behandelt, welches zur Zeit im Mittelpunkt des öffentlichen Interesses steht. Die ersten Untersuchungen wurden in den 30er Jahren in Amerika veröffentlicht und begannen in Deutschland in den 70er Jahren mit Delgado.
Alle dargelegten Untersuchungen zeigen, dass sich die Berichterstattung über Ausländer einer besonders negativen und rassistischen Sprache bedient. Kriminalität, Negativität, Risiko, Stereotypisierung und Objektivierung von Ausländern sind die häufigsten Merkmale, die ein verzerrtes Bild und einen wertenden Frame begünstigen. Dabei muss man jedoch Rahmenbedingungen wie Kritikvermögen, Bildung, Bezugsgruppe, Alter und anderes
berücksichtigen. Einige exemplarische Wörter wie „Asylant“, „Gastarbeiter“ und
„Flüchtlingswelle“ werden anschließend untersucht.
Das letzte Kapitel widmet sich der aktuellen Berichterstattung über Migration in der deutschsprachigen Presse. Die Analyse legt den Schwerpunkt auf eine Textsammlung von zehn Kommentaren aus dem Jahr 2018, dessen Text und Sprache diskutiert werden. Daraus folgt, dass sich die meisten Artikel auf die Kriminalität der Asylbewerber, einige auf die finanziellen Auswirkungen und nur einer direkt auf Fremdenfeindlichkeit beziehen. Die Flüchtlingskrise wird aus einer Perspektive der Notwehr und der Dringlichkeit gerechtfertigt und fast kein Artikel enthält positive Argumente. In der Untersuchung von Titeln und Untertiteln in den Nachrichten von Dezember geht ebenfalls hervor, dass hier am meisten wertende Begriffe verwendet werden, mit einer kleinen Verringerung der Artikel des Bereichs Kriminalität.
Daraus kann man schließen, dass auch wenn in der heutigen Berichterstattung das Thema besser im Hinblick auf die Sprache als im 20 Jahrhundert behandelt wird, einige diskriminierende Trends im Kontext und in der Sprachanalyse noch zu bemerken sind. Abschließend werden Empfehlungen für Journalisten, Politiker, Wissenschaftler und Leser für eine faire Meinungsbildung aufgezeigt.
Il presente lavoro affronta il tema del ruolo della lingua in quanto strumento della comunicazione dei media. Esso si concentra sull’analisi dell’influenza dei media sull’opinione pubblica in merito alla politica. Le fonti della ricerca si basano su opere, progetti e articoli. Essa si suddivide in quattro parti e si conclude con un confronto tra i dati forniti dagli esperti e gli attuali dati.
Il primo capitolo è dedicato alla definizione del termine comunicazione dei media secondo Maletzke e al loro ruolo nell’influenza dell’opinione pubblica. Gli attori della comunicazione sono comunicatore, messaggio, mezzo e destinatari. I media utilizzano specifici effetti per esercitare un influsso sul pubblico: framing, agenda-setting e priming. Il processo che permette alla lingua di avere un impatto ha inizio dal framing, quando precisi schemi di intepretazione applicabili alla realtà formatisi attraverso l’esperienza ci aiutano a valutare e collocare le informazioni. Successivamente l’agenda setting rende un determinato tema più saliente rispetto ad altri: maggiore è l’attenzione dei media su un evento, maggiore sarà l’interesse del pubblico riguardo ad esso. Quando un frame viene attivato e un giudizio viene richiesto, si instaura uno stimolo. Questo è definito “accessibility effect” o priming. A lungo andare valutazioni, decisioni e classificazioni vengono influenzate nella rete cognitiva del recipiente.
Nel secondo capitolo viene discussa nel dettaglio l’influenza dei media sul piano della scelta lessicale. Per prime le parole di plastica di Uwe Pörksen, le quali appaiono prive di una chiara definizione e neutrali e si adattano al contesto in cui si trovano. Gli slogan o parole d’ordine sono invece termini inflazionistici, concisi e densi di significato, che sostengono opinioni politico-sociali, come ad esempio “difesa ambientale” o “fake news”. Anche metafore, stereotipi, eufemismi, neologismi e formule vuote possono influenzare il pubblico.
Nel terzo capitolo viene trattato il tema dell’immigrazione nella stampa, che è oggi all’ordine del giorno. I primi studi vengono svolti negli anni 30 in America e successivamente negli anni 70 in Germania con Delgado. Tutti gli studi esposti sono concordi sul fatto che sui quotidiani venga utilizzato un linguaggio negativo o razzista in merito agli stranieri. Criminalità, negatività, rischio, stereotipi e oggettivazione dello straniero sono gli elementi più ricorrenti, i quali incoraggiano un’immagine distorta e un frame specifico. Inoltre bisogna tuttavia tenere in considerazione fattori relativi al destinatario, tra i quali capacità critica, istruzione, gruppo.
Alcuni esempi di espressioni analizzate sono “Asylant”, “Gastarbeiter” e “Flüchtlingswelle”.
L’ultimo capitolo si occupa delle attuali notizie sull’immigrazione nella stampa di lingua tedesca. L’analisi si focalizza su una raccolta di dieci commenti dell’anno 2018, dei quali viene
discusso testo e lingua. Ne consegue che la maggiorparte degli articoli trattano la criminalità dei richiedenti asilo, alcuni le conseguenze finanziarie e solo uno si riferisce direttamente alla xenofobia. La crisi migratoria viene giustificata da una prospettiva di autodifesa ed emergenza e quasi nessun articolo contiene argomenti positivi. Nell’analisi di titoli e sottotitoli nelle notizie del mese di Dicembre risulta che vengano utilizzati nella maggiorparte termini negativi, con una leggera diminuzione di articoli sul tema della criminalità.
Ne consegue quindi che, anche se oggigiorno le notizie utilizzano una lingua più appropriata, il contesto in cui si parla degli stranieri rivela tendenze di discriminazione. In conclusione vengono riportati consigli per giornalisti, politici, studiosi e lettori allo scopo di creare una più giusta formazione dell’opinione pubblica.
This study deals with the topic of language as an instrument of media communication. The aim of the analysis is to determine media influence on public opinion regarding politics based on books, researches and articles. The study is divided into four chapters and it includes a final comparison between the data provided and the current results.
The first chapter begins with Maletzke’s definition of media communication and a discussion about the influence of media on public opinion. The communication process consists of the communicator, message, medium and recipients. Moreover, the media uses specific effects to influence the public: framing, agenda-setting and priming. The process starts with the framing effect, when interpretation schemata are applied to reality through experience and help us place and assess information. Agenda-setting helps facts become significantly more salient than others: the more the focus of the media on a matter, the more the interest of the public in the topic. When a frame is activated and a judgment is requested, the public is exposed to a stimulus. This process is called “accessibility effect” or priming. Therefore in the long-term assessments, decisions and classifications are influenced in the recipients' cognition.
The second chapter analyzes media influence from a linguistic perspective. Taking Uwe Pörksen’s plastic words for instance, which are neutral expressions without an unambiguous definition, adapt to the context, whereas slogans are inflationary, brief and incisive expressions that support sociopolitical opinions, such as “environmentalism” or “fake news”. Metaphors, stereotypes, euphemisms, neologisms and empty formula are also examples of the key role and influence of media on our society.
The third chapter explores the controversial topic of immigration in the press. The first studies are conducted in the 1930’s in the USA and later in the 1970’s in Germany thanks to Delgado.
All researchers agree that the language of the press regarding refugees shows negative or racist expressions. Crime, negativity, risk, stereotypes and objectification of foreigners are the most common elements, that encourage a distorted picture and a specific frame. Moreover, factors regarding the recipients such as critical faculties, education, peer group, age and others must be taken into consideration. Some analyzed examples are “Asylant”, “Gastarbeiter” and
“Flüchtlingswelle”.
The following chapter presents the latest reports on immigration in the German-language press.
The study focuses on a group of ten op-ed articles during the year 2018 and discusses their text and language. As a result, most of the articles deal with applicants for asylum, some of them address the financial consequences and only one criticizes xenophobia. The refugee crisis is
linked to a self-defense and emergency perspective and almost no article contains positive points. A further analysis performed in December shows that headings and subheadings in the press make use of many negative expressions, even though it is possible to notice a slight reduction of articles about crimes.
Therefore, it can be concluded that, although news uses a more appropriate language nowadays in comparison to the previous century, the press still reports about foreigners and refugees in a perspective of discrimination. The study concludes with discussing advices for journalists, politicians, researchers and readers with the aim of promoting a fair public opinion formation.
Inhaltsverzeichnis
Einleitung... 1
1. Massen- und Medienkommunikation... 3
1.1 Effekte der Medienkommunikation... 5
1.1.1 Framing... 6
1.1.2 Agenda-Setting... 11
1.1.3 Priming... 13
2. Sprachmanipulation auf der Ebene der Wörter... 17
2.1 Plastikwörter... 17
2.2 Schlagwörter... 21
2.3 Metaphern... 22
2.4 Stereotype... 24
2.5 Euphemismen... 25
2.6 Neologismen... 26
2.7 Leerformeln... 27
3. Sprachmanipulation zum Thema Migration in der deutschsprachigen Presse... 29
3.1 Bisherige Untersuchungen... 29
3.1.1 Inhaltliche Merkmale der Berichterstattung... 34
3.1.2 Wirkungen der Darstellung der Ausländer... 36
3.2 Wörterbuch der Presse zum Thema Migration... 39
4. Fallstudie Migration: Kommentare in der deutschsprachigen Presse... 43
4.1 Ziel und Gegenstand der Analyse... 43
4.2 Text- und Sprachanalyse... 51
4.3 Bemerkungen... 70
5. Schlussfolgerungen... 77
5.1 Aktuelle Untersuchungen... 80
5.2 Empfehlungen... 85
6. Literaturverzeichnis... 91
7. Seitenverzeichnis... 97
1 Einleitung
Stiamo perdendo la misura, il peso, il valore della parola. Le parole sono pietre, le parole possono trasformarsi in pallottole. Bisogna pesare ogni parola che si dice e soprattutto far cessare questo vento dell’odio che è veramente atroce. Lo si sente palpabile intorno a noi (Camilleri 28.10.2018).
Wir leben in einer Zeit, in der das Bewusstsein für Maß, Gewicht und den Wert jedes einzelnen Wortes verloren gehen. Wörter sind wie Steine; Wörter können sich in Kugeln verwandeln. Man muss jedes Wort abwägen, ehe man es ausspricht, und vor allem dieser Welle des Hasses ein Ende setzen, die wirklich schrecklich und überall zu spüren ist (Übersetzt durch die Verf.in).
Sprache ist zweifellos ein facettenreiches Phänomen. Anlass zur vorliegenden sprachlichen, gesellschaftlichen und politischen Analyse des faszinierenden Themas der Sprache gab die eingangs zitierte, höchst aktuelle Bemerkung Andrea Camilleris im italienischen Fernsehen.
Um keinen falschen Schneeballeffekt hervorzurufen, muss man die Wörter mit Bedacht abwägen, um eine klare Darlegung des zu Sagenden zu bieten. Leider wird die Grenze des Sagbaren heute immer mehr in missverständliche und gefährliche Bereiche verschoben. So liest man z.B. das belastete Wort „Umvolkung“, wenn Populisten über Flüchtlingsbewegungen sprechen. Was im heutigen Szenario passiert ist, dass politische Figuren auf emotionale Geschichten setzen, nicht auf Fakten. Als Konsequenz liest man in Zeitungen über Ideen und gesellschaftlichen Urteile, die die Meinungsbildung beeinflussen. Auch wenn Inhalte schwach sind, kann die Sprache stark sein. Wie man seinen eigenen Standpunkt klarstellt ist ein grundlegendes Element.
Die vorliegende Studie geht von der Annahme aus, dass die Persuasion zweckmäßige linguistiche Methoden verwendet. Durch die Untersuchung wurden Einblicke über das Thema der Manipulation der Medien geleistet. Schwerpunkt der vorliegenden Analyse ist es, den medialen Einfluss auf die politische und gesellschaftlichen Einstellung des Publikums zu untersuchen. Die Arbeit gliedert sich in vier Teilen und der erste Teil widmet sich der terminologischen und teoretischen Klärung. Nach einem ersten Überblick über Massenkommunikation und Medieneffekte, wird hier versucht, die Frage zu beantworten, in welchem Ausmaß Sprache die Einstellung zur Gesellscaft und Politik beeinflussen kann. Der
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politische Diskurs hat in der Tat in den letzten Jahren eine Veränderung vollzogen, nicht inhaltliche, sondern sprachliche. Begriffe wie „Lügenpresse“, „Systemmedien“ oder
„Überfremdung“ werden – ohne Anführungszeichen – gebraucht, und nicht nur von Rechtspopulisten. Im Fokus des zweiten Kapitels steht eben eine Analyse der Medienmanipulation auf der Ebene der Wörter. Verschiedene Wörter und Begriffe der öffentlichen Kommunikation werden in der Praxis und mit Beispiele verglichen und beschrieben. Darauf aufbauend, wird im dritten Kapitel ein heutzutage viel umstrittenes Thema der Presse behandelt: Immigration. Das Kapitel befasst sich mit der bisherigen Untersuchungen zum Bild der Migranten in der deutschsprachigen Presse. Im Folgenden wird der sprachliche Inhalt im Bezug auf Migranten analysiert und die vorhersehbaren Wirkungen in den Einstellungen der Menschen dargestellt. Schließlich wird eine empirische Fallstudie mit gegenwärtigen Artikeln über Migranten in der deutschsprachigen Presse durchgeführt und eine Text- und Sprachanalyse entwickelt. Basis der letzten Überlegungen sind die vorliegenden Theorien zum Thema.
Das Interesse an Sprache in der politischen Diskussion ergibt sich daraus, dass die übertragene Verwendung von Sprache in Bezug auf umstrittene Themen sich besonders gut eignet, diese in einer bestimmten parteiischen Perspektive erscheinen zu lassen, der Situation angemessen das jeweilige Publikum zu unterhalten und Einstellungen zu ändern. Die Sprache hat mehr und mehr Einfluss im Laufe der Zeit gewonnen, weil alle heutezutage Zugang zu News und Informationen haben und die Art und Weise, um mehr Menschen zubeeinflussen, ist immer vielfältiger. Die Wirkung der Wortwahl findet man nicht nur in Wahlkämpfen, sondern tagtäglich in der Wahrnehmung der Welt. Psychologen und Hirnforscher sind einig, dass Worte unser Denken prägen. Die offene Frage ist, in welchem Maße?
Medien bieten eine Orientierung in der heutigen Informationsflut, aber die Kontrollfunktion ist sehr stark. Die gezielte und oft verdeckte politische Korrektheit ist eine Bodrohnung und unser Rettungsanker ist die Kenntnis. Journalismus kann insbesondere ein kritischer Spiegel beschränkter und voreingenommener Haltungen sein. Mangel an Feingefühl oder Tendenz zur Senstationsmache können ein verzerrtes Bild der Lage geben. Bürger, besonders junge Generationen, haben die Aufgabe und das Recht, für sich selbst eine fassbare, transparente und nicht provozierende oder beleidigende Darstellung der Sachverhalte zu fordern.
3 1. Massen- und Medienkommunikation
Im Folgenden Kapitel fokussiert man sich auf einige Aspekte, die die Besonderheiten von Medienkommunikation ausmachen, die erhebliche Auswirkungen auf die Sprache haben.
Massenkommunikation ist ein Begriff, der in der Publizistikwissenschaft im Anschluss an Maletzkes Definition von 1963 eingegrenzt wurde. Sie erfüllt die folgenden fünf Punkte:
• öffentlich: allgemein zugänglich, für jeden erreichbar.
• indirekt: mit räumlicher und/oder zeitlicher Distanz.
• technische Verbreitungsmittel: Medien, Informationsträger, -kanäle.
• einseitig: keine Wechselrede / kein Rollentausch.
• disperses Publikum: räumlich / zeitlich verstreut, unorganisiert
In Massenkommunikation ist die „Masse“ nicht gestaltlos, sondern ein Publikum mit unterschiedlichen Interessen und Erfahrungen. Das Medium ist als „Vermittler“ von Kommunikation verstanden. Außerdem ist das Medium weit mehr als nur ein Mittel zur Informationsvermittlung: Es ist ein Einfluss der Gesellschaft und der Menschen.
In der Kommunikationswissenschaft ist der Text selbst das „Produkt“ und er muss in Relation zu Faktoren des Kommunikationstyps betrachtet werden. Laut dem Linguisten Harald Burger sind die Spieler der Medienkommunikation die folgenden (vgl. Burger 2005: 5):
Der Kommunikator oder Sender (K) produziert eine Aussage (A) durch Stoffauswahl und Gestaltung. Die Aussage (A) wird durch ein Medium (M) zum Rezipienten (R) geleitet. Im Journalismus können die Namen der Journalisten erscheinen oder nicht. Man muss betonen, dass was der Journalist schreibt und sein Stil hängt teilweise von der Redaktion ab. Jede Redaktion gibt den Eindruck sprachlicher Uniformität. Die Kommunikatoren oder die Redakteure bekommen einen Eindruck ihrer Rezipienten, bauen ihre Texte auf und bevorzugen eine spezifische Sprache unter Berücksichtigung aller Elemente.
Schwierig zu bestimmen ist die Rolle der Rezipienten, d.h mit wem der Kommunikator eigentlich kommuniziert. In der Publizistik werden die Rezipienten als „disperses Publikum“
charakterisiert, weil es räumlich und zeitlich weit verstreut ist.
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Die Wahl der Aussage entscheidet sich aufgrund kultureller, historischer und sozialer Einschätzungen. Heutzutage nähern sich die Themen der Zeitung dem Publikum an. Unten wird das Feldschema der Massenkommunikation von Gerhard Maletzke gezeigt (vgl. Assmann 2006).
In den 40er Jahren des 19. Jahrhunderts kann man einen Wandel im Journalismus ansetzen: Der Beginn der Meinungspresse aufgrund der 1841 Lockerung der preußischen Zensurgesetzgebung. Der Kommentar wird eine eigene Textsorte. Es gibt eine Reihe von Textsorten in der Publizistik: Meldung, Bericht, Reportage und Kommentar, der für die vorliegende Analyse besonders interessant ist. Er ist nämlich eine kritische Stellungnahme zu einem aktuellen Ereignis oder Thema, was entscheidend für die Analyse der Sprache wirkt. Die wichtigste Merkmale der Kommentare konnten als folgende analysiert werden:
- Der Kommentar ist eine „unselbständige“ Textsorte, komplementär zum Bericht, setzt die dort gegebene Information weitgehend voraus.
- Er ist von einem gekennzeichneten Autor verantwortet.
- Es wird eine subjektive Sicht erfordert.
- Wertungen sind mit der Emotionalisierung verbunden.
- Die sprachliche Gestaltung ist entsprechend geprägt von Metaphern, Idiomen, etc.
- Die Wertungen werden durch eine argumentative Textstruktur abgestützt.
- Die Argumentation kann in einem eigentlichen Appell münden (vgl. Burger 2005: 215).
5 1.1 Effekte der Medienkommunikation
1997 schreibt der Meinungsforscher Frank Luntz den Bericht „Language of the 21st century“
mit der Aussage „Es ist nicht, was du sagst, es ist, wie du das sagst“ (Luntz 2006). Er erforscht die Sprache der Republikaner und insbesondere Begriffe und Sätze, die die Einstellung des Publikums beeinflussen. Luntz ist der erste Meinungsforscher, der Framing in einer Wahlkampagne benutzt.
Die vorliegende Arbeit behandelt die Frage, wie die Sprache der Journalisten uns beeinflusst und welche sind die wichtigsten Effekte zu analysieren, die absichtlich oder nicht verwendet werden. Medieneffekte können hier nur am Rande behandelt werden, aus diesem Grund widmet sich der erste Teil der drei wichtigsten Effekte, die hier analysiert werden: Framing, Agenda- Setting und Priming.
In Medienstudien spricht man über Medieneffekte als die Beeinflussung der Öffentlichkeit durch die Medien. Die Art und Weise dieser Beeinflussung hängt von Faktoren wie Demographie und Psychologie des Publikums. Bis in die 30er Jahre haben die Medien einen offensichtlichen Einfluss auf Menschen, insbesondere durch die Propaganda des Krieges. In der zweiten Phase in den 50er und 60er Jahren steht die Wirkung des Fernsehens auf das Publikum. Von den 70er Jahren bis zum heute ist das Mediensystem durch eine Ausweitung der Informationsquellen gekennzeichnet und dazu hat sie große Macht gewonnen. Das war möglich dank der Verwendung von medialen Instrumenten: die Medieneffekte. Eine grundlegende Recherche über politische Kommunikation fing 1973 dank Noelle-Neumann an.
Sie war der Meinung, dass die Massenmedien einen erheblichen Einfluss auf die Rezipienten ausüben konnten, indem sie die Meinung „der Mehrheit“ hervorheben und zum Schweigen der abweichenden Minderheiten bringen. Ein Jahr früher hatte das Thema Agenda-Setting dank McCombs und Shaw großen Erfolg. Die Recherche kam im Jahr 2005 mit McQuail zum Ergebnis, dass Priming, Agenda-Setting und Framing stark von Neigung und andere Merkmale des Publikums abhängen. Medieneffekte haben ohne Zweifel einen größeren Einfluss auf unseres Denken.
6 1.1.1 Framing
Das Wort Frame im Bezug auf das Entscheidungsverhalten wurde in den 70er Jahren von den Psychologen Amon Tversky und Daniel Kahneman erkannt. Psychologisch betrachtet, wird das Thema Framing Analysis im Jahr 1974 auch von Erving Goffman eingehend erforscht:
My aim is to try to isolate some of the basic frameworks of understanding available in our society for making sense out of events and to analyze the special vulnerabilities to which these frames of reference are subject. I start with the fact that from an individual's particular point of view, while one thing may momentarily appear to be what is really going on, in fact what is actually happening is plainly a joke, or a dream, or an accident, or a mistake, or a misunderstanding, or a deception, or a theatrical performance, and so forth (Goffman 1974: 10).
Durch primäre Frames meint Goffman Frames, die die erste, originale Interpretation enthalten.
Er behauptet: “A primary framework is one that is seen as rendering what would otherwise be a meaningless aspect of the scene into something that is meaningful” (Goffman 1974: 21). Aus diesem Grund sind Frames so bedeutsam: sie füllen ein Ereignis mit Bedeutung und führen unsere Meinung und unser zukünftiges Verhalten. Unser Urteil ist wichtig nicht nur im Alltagsleben, sondern vor allem in Betrachtung der Politik. Frameanalyse fokussiert sich auf die Tatsache, dass die Medien mit einigen Themen sich auseinandersetzen. Die Interpretation des Publikums ist, wo genau Frames ihre Wirkung zeigen, weil sie die sozialen Bedeutungen strukturieren.
Man konnte Frames durch die Funktion der Maßstäbe beschreiben: Die Medien können zum Beispiel das Asylproblem als Ursache rechter Gewalt sehen. In den letzten Jahren steigt tatsächlich das Interesse an der Beziehung zwischen Politik und Sprache. Der politische Sprachgebrauch vereint Wörter unterschiedlichsten Typs und Prägung. Der Experte der Semantik Dietrich Busse spricht über eine politische Lexik:
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Zählt man zur politischen Lexik nicht nur solche Wörter, die in der Domäne Politik benutzt werden und für diese spezifisch sind, sondern auch solche Wörter, die in dem Sinne selbst zum Gegenstand der politischen Auseinandersetzung werden, dass um ihre Bedeutungen politisch gestritten wird, dann kann im Prinzip fast jedes Wort zu einem Teil des politischen Vokabulärs werden (Niehr et al. 2017: 195).
Er beschreibt die Frame-Analyse als ein „Analysemodell zur Erschließung und Beschreibung des bedeutungsrelevanten Wissens in seiner Gesamtheit“ (Niehr et al. 2017: 195). Laut Busse ist Frame-Semantik insbesondere wichtig, weil manchmal zwei verschiedene, wenn nicht antagonistische entgegensetzte Lesearten, desselben Worts zu völlig gegensätzlichen politischen Konsequenzen führen können. Die linguistische Analyse konnte diese Merkmale nicht erfassen. Frames, oder Wissensrahmen, sind daher geordnete Strukturen aus Begriffs- oder Wissenselementen. Der Linguist und Begründer der Frame-Semantik Charles J. Fillmore erklärt, dass sprachliche Zeichen Frames oder Frames-Komplexe evozieren. Sie aktivieren bei einem Individuum Sektoren von Wissen und ganze Agglomerationen von Wissen. Sie stellen die Interpretation der jeweiligen Zeichen in einen Kontext (vgl. Niehr et al. 2017: 198).
Eine gründliche Recherche über Frames in der Politik wurde von Sprach- und Kognitionswissenschaftlehrerin Elisabeth Wehling kürzlich durchgeführt. „Ein Frame ist ein Deutungsrahmen. Unser Gehirn hat davon sehr viele, die durch unsere Erfahrung mit der Welt entstanden sind, und sie helfen, Ereignisse zu bewerten und einzuordnen. Aktiviert werden sie durch Wörter” (Brost/Pinzler 2016). Laut Elisabeth Wehling beeinflusst Sprache unsere Wahrnehmung der Welt, sie trägt nicht nur Informationen, sondern eine Reihe von implizite Bewertungen. Wenn man ein Wort begreifen muss, aktiviert das Gehirn einen Deutungsrahmen, in der kognitiven Wissenschaft Frame genannt. Das Gehirn speichert Informationen, die in seiner Erfahrungswelt simultan auftreten, als Teile eines Frames ab.
Außerdem aktiviert unser Gehirn ein Bouquet semantisch angegliederter Ideen (Vögelhaus → Holz, Kraft). In der Politik passiert es manchmal, dass sich Frames politisch instrumentalisieren lassen.
Unser Gehirn aktiviert Frames durch Sprache: Informationen bieten eine Bedeutung, indem sie Informationen im Verhältnis zu unseren körperlichen Erfahrungen einordnen. Nicht alle Erfahrungen sind einbezogen: Frames sind selektiv, sie heben nur einige Informationen hervor.
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Sie leiten somit unser Denken und Handeln an, ohne dass wir es wissen (vgl. Wehling 2016:
17).
Insbesondere gilt diese Frameanalyse für die Politik, die die Arena ist, wo man kollidierende Weltsichten und Wertvorstellungen finden kann. Genau in dieser Situationen heben Frames bestimmte Gegebenheiten und andere nicht hervor. Hierzu nutzt Wehling das Beispiel des Begriffs „Schirm“, der Menschen von Gefährdungen von außen schützt. Unter den Begriff Euro-Rettungsschirm versteht man die Maßnahmen, die die Zahlungsfähigkeit gefährdeter Mitgliedstaaten sichern, trotzdem sieht man keine menschlichen Akteure als Gefährdung vor (vgl. Wehling 2016: 43). Verursacher und Verantwortung werden ausgeblendet. Kein Hinweis auf die Banken, die die Finanzkrise ursprünglich ausgelöst hatten. Dieses Phänomen heißt in der Kognitionswissenschaft Metaphoric Mapping: wir binden abstrakte Ideen an körperliche Erfahrungen (vgl. Wehling 2016: 68). Warum ist es im Besonderen relevant in der Politik? Weil politische Ideen immer abstrakt sind und sie lehnen immer einige Informationen ab, die Frames sein können. Metaphern dienen als Teil ideologischer Frames und machen abstrakte Ideen maximal bedeutungsvoll, weil sie mit der direkten Welterfahrung verbunden sind. Diese Metaphern sind „konzeptuelle Metaphern“, die ganz automatisch ohne unser Zutun unser Denken strukturieren. Das ist der Grund darum, dass Frames politische Gegebenheiten interpretieren, ohne dass wir es merken. Was passiert ist, dass das Publikum lieber eine Bedeutung oder Nuance bevorzugt als die andere. Politiker und Journalisten nutzen diese Fähigkeit, trotzdem es dringlich ist, dass in sozialen und politischen Diskursen man diejenigen Frames nutzt, die der eigenen Weltsicht gerecht werden, um die Transparenz zu garantieren.
Elisabeth Wehling analysiert einige augenfällige metaphorische Frames. Der Begriff
„Islamophobie“ wurde erstmals in den 1990er-Jahren und durch den linkspolitischen Thinktank Runnymede Trust in England geprägt und er ist seit 2015 täglich in unserem Sprachgebrauch.
Hier einige Beispiele:
Kann man wirklich behaupten, die öffentliche Meinung sei […] islamophob?«, fragt beispielsweise Zeit Online im Januar 2015 und weiter heißt es: »Allgemein nimmt man ja an, dass gerade die Abstiegsängste der Mittelschichten […] Islamophobie verursachen« (NEUBAUER in Zeit Online, 8.1.2015). Bei taz.de liest sich im selben Monat, »Islamophobie« sei leider »in allen Schichten vertreten« (WIERTH in taz.de, 18.1.2015), und in der Frankfurter Rundschau wird über »Deutschlands bekanntesten Islamophoben« diskutiert (BOMMARIUS in
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Frankfurter Rundschau, 21.1.2015), während Berichte über fundamentalistische Christen schon 2007 titeln:
»Islamophob – und stolz darauf (MENDE in Qantara.de, 26.9.2007) (Wehling 2016: 155).
Wenn man auf Google Islamophobie suchte, konnte man 170.000 Ergebnisse finden. Der Frame der Islamophobie wurde in unserem Gehirn eingebracht. Da es eine Phobie ist, vermeidet man sie. Es geht um eine klinische Angststörung, die gefährlich für unsere Interpretation der Welt sein kann.
Ein anderes brennendes Thema besteht in der Flüchtlingskrise: Flüchtlinge sind Menschen, die sich aufgrund externer Umstände, wie beispielweise wirtschaftlicher und politischer Zwänge, Naturkatastrophen oder gewaltätiger Auseinandersetzungen, wie Krieg, auf eine Flucht begeben haben. Das Thema ist unter dem Eindruck der ansteigenden Flüchtlingszahlen und der Pegida-Proteste aufgelebt. In diesem Fall findet man die Metapher „das Boot ist voll“, wie in diesem Artikel. „Die Flüchtlingszahlen liegen jetzt bei circa 200.000 und sie werden steigen.
Gibt es eine Grenze? Wann ist das grüne Boot voll?« Kretschmann: »Das Boot ist nie voll.«“
(Geis/Lau 2014). Die Metapher des Boots vermittelt die Idee etwas kleineres, weniger stabiles als ein Schiff. Aus diesem Grund bringen Flüchtlinge unser Land in Gefahr, weil sie zu viele sind. Das gleiche passiert mit Wörtern wie „Flüchtlingswelle“, „Flüchtlingsflut“ und
„Flüchtlings-Tsunami“. Wir werden zu Opfern der Naturgewalt.
Eine ähnliche Metapher findet man im Frame „Klimaschutz“: Es geht nicht mehr um Menschen, trotzdem gibt es eine Gefahr für Menschen, weil sie Schutz brauchen. Trotzdem weiß man nicht, ob das Klima Opfer oder Gefahr ist und ob die Menschen den Klimawandel verursacht haben: Der Mensch wird als eigentlicher Schadensverursacher ausgeblendet.
Die Liste könnte weitergehen, diese sind nur einige Begriffe, die am meisten auffallend sind.
Informationen in der Presse enthalten Weltsichten und die sprachliche Wiederholung von Frames, egal ob sie verneint oder bejaht werden, lässt sie in unserem Gehirn in gesellschaftlichen und politischen Common Sense werden.
Eine bahnbrechende Analyse des Frames wurde kürzlich vom kognitiven Wissenschaftler George Lakoff durchgeführt. Erstmals im Jahr 1980 veröffentlichtes Lakoffs und Johnsons
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Buch Metaphors we live by kann als Auslöser des bis heute anhaltenden Booms in der linguistischen Metapherntheorie angesehen werden. Lakoff sieht die Sprache al Metaphersystem im politischen Verhalten und in der Gesellschaft. Er ist in der amerikanischen Politik engagiert und er vertritt die These, dass man durch Metaphern denkt und von denen beratet wird.
“Framing is about getting language that fits your worldview. It is not just language. The ideas are primary - and the language carries those ideas, evokes those ideas” (Lakoff 2004: 6), unterstreicht Lakoff. In seinem Buch Don’t think of an elephant! schlägt er vor, dass Demokraten die gleichen Metaphern oder Frames der Konservativen benutzten, die im Kopf der Bürger die konservative Vorstellung der Gesellschaft unterstützen. Je mehr man einen Frame verneint, desto stärker wird ihn. „Steuererleichterung“ zum Beispiel kombiniert zwei Frames, Steuer und Erleichterung, in der Erleichterung von einer Belastung wie Steuer etwas unangenehm in Gedächtnis ruft. Die Idee ist, dass je mehr man den Frame Steuererleichterung wiederholt, desto mehr gewinnt er an Bedeutung im Kopf.
Frame Analyse führt George Lakoff und Mark Johnsen im Jahr 1980 zur Metapheranalyse:
The essence of metaphor is under-standing and experiencing one kind of thing in terms of another. It is not that arguments are a subspecies of war. Arguments and wars are different kinds of things—verbal discourse and armed conflict—and the actions performed are different kinds of actions. But ARGUMENT is partially structured, understood, performed, and talked about in terms of WAR. The concept is metaphorically structured, the activity is metaphorically structured, and, consequently, the language is metaphorically structured. Moreover, this is the ordinary way of having an argument and talking about one. The normal way for us to talk about attacking a position is to use the words "attack a position." (Lakoff 1980: 6).
Lakoff trägt zur Idee bei, dass das Denken metaphorisch ist. In unserem Alltagsleben weiß man zum Beispiel, dass Zeit Geld ist. Die Ausdrücke waste time, spare time, save time, spend time, loose time, budget your time gehören zum metaphorischen Konzept der Zeit als Geld. Man betrachtet die Zeit als eine begrenzte Ressource, deshalb lebt man mit diesem Konzept und erinnert sich immer daran. Alle diese unbewussten Gedanken sind Teil unserer Natur und es lohnt sich zu untersuchen, wie sie unser Verhalten festlegen.
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In diesem Zusammenhang führen vor kurzem Chong und Druckman eine Studie über Framing durch. Sie behaupten, dass Framing einen stärkeren Effekt auf kenntnisreichere Menschen hat, weil die im Frame enthaltene Überlegungen schon im Gedächtnis sein müssen. Framing braucht das Wissen. Trotzdem können sich schwache Frames auch als Bumerang erweisen, weil sie in die Gegenrichtung des Frames gehen. Außerdem je mehr man mehrmals denselben Frame sieht, desto mehr sind die Überlegungen über den Frame. Es ist selbstverständlich, dass stärke Frames einen größeren Einfluss haben werden. (vgl. Chong/Druckman 2007: 110).
1.1.2 Agenda-Setting
Eine der wichtigsten Untersuchungen zum Thema Massenmedien betrifft die Agenda-Setting Theorie. Die Gewichtung eines Themas in den Medien wird vom Agenda-Setting-Effekt beeinflusst, indem die Bedeutung, die die Rezipienten dem Objekt zuschreiben, verändert wird.
Die erste Studie stammt aus dem Jahr 1922 dank Walter Lippman, der den Grundstein für die Beziehung zwischen News und persönliches Verständnis des Publikums ist. Eine neuere Analyse von Maxwell McCombs und Donald Shaw im Jahr 1968 wirft neues Licht auf die Manipulation der Medien und zum Schluss gelangt, dass je mehr sie den Schwerpunkt auf ein Thema legen, desto großer die öffentliche Anerkennung ist, die das Thema bekommt. Sie untersuchen in der sogenannten Chapel-Hill-Studie den US-Präsidentschaftswahlkampf 1968, indem sie die Berichterstattung mit der Entscheidung der Wähler vergleichen.
Der Einfluss der Medien kann die Agenda des Staats beeinflussen und die Aufmerksamkeit auf einige gewählte Themen fokussieren. „Medien beeinflussen nicht, wie Menschen denken, sondern worüber sie nachdenken“ (McCombs/Shaw 1972: 177). Über einen Zeitraum einer Woche oder einem Monat werden einige Nachrichten betont und andere nicht oft oder gar nicht erwähnt. Das ist die Richtung, die McCombs und Shaw anhand der 1968 Wahlkampagne vorschlagen. Die Wähler hatten nämlich für wichtigste Themen der Kampagne gehalten, die die Medien hervorgehoben hatten. Zwei sind die Folge dazu: Die Presse filtert und gestaltet die Wahrheit um und einige Themen werden als wichtiger wahrgenommen. Agenda-Setting Forschung begann seither eine Reihe von Studien über den Einfluss der Medien auf die
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öffentliche Agenda. Vier Jahre später während der 1972 amerikanischen Wahlkampagne wurde dieselbe Untersuchung wiederholt. Seit dieser ersten Studie haben mehr als 300 Hundert veröffentlichte Studien diesen Einfluss behandelt. Im Jahr 1973 führt Ray Funkhouser eine nationale Studie im Laufe der 60er Jahre durch. Er entdeckt, dass der Vietnamkrieg, etnische Beziehungen und innere Unruhen in der öffentlichen Meinung und in der Agenda vorkommen, während Armut und Frauenrechte fast abwesend sind. Daraus ergibt sich, dass es eine Beziehung zwischen öffentliche Meinung und Agenda gibt: Auf einer Skala von 1 bis 100 bestand ein Zusammenhang von 78 (Glasser/Salmon 1995: 283). Im Jahr 1981 fokussieren sich James Winter und Chaim Eyal auf ein einziges Thema, die Bürgerrechte und später erforscht Eaton die Korrelation von elf Themen auf die Medien. 1991 vergleichen Brosius und Kepplinger in Deutschland die Fernsehen-Agenda und die Meinungsbefragung. Verschiedene Forschungen wurden betrieben, um zu zeigen, wie die Medien einen entscheidenden Einfluss einbringen.
Die Perspektive der Agenda-Setting spielt eine wichtige Rolle, wenn man über menschliche Psychologie spricht. Die Berichterstattung zeigt was die Journalisten für wichtig halten und wer prominent ist. Diese Theorie kommt von der Tatsache, dass man Orientierung braucht. Um die Gesellschaft zu verstehen, braucht man eine Reihe von Informationen und einen Überblick über das Thema. Je mehr wir wissen, desto besser entscheiden wir. Außerdem beeinflusst Agenda- setting am meisten diejenige, die ständig Anreize und Impulse brauchen.
Die Agenda-Setting Theorie folgt verschiedene Modelle:
- Kumulationsmodell: je mehr das Thema erscheint, desto höher ist das Problembewusstsein des Publikums.
- Schwellenmodell: ein Mindestmaß muss an Berichterstattung erreicht werden, sonst wird das Thema nicht veröffentlicht.
- Beschleunigungsmodell: das Publikum reagiert sehr schnell und intensiv auf die Themen.
- Trägheitsmodell: ab einem bestimmten Grad nimmt das Thema zu.
- Echomodell: ein Thema verbleibt länger im Kopf des Publikums als in der Medienagenda.
- Spiegelungsmodell: das Publikum bestimmt die Agenda.
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Eine Untersuchung von Lutz Erbring, Edie Goldenberg und Arthur Miller im Jahr 1980 betont auch vier Wirkungskonzepte, die den Grad des Agenda Settings erklären:
- Inhaltswirkungen: wenn der Rezipient für das Thema schon sensibilisiert ist, zeigt er stärker Thematisierungseffekte.
- Nutzungswirkungen: wenn ein Thema neu ist und der Rezipient bereits sensibilisiert ist, ist die Wirkung größer. Wenn das Thema schon eingeführt wurde und der Rezipient noch nicht sensibilisiert ist, ist die Wirkung dasselbe.
- Bindungswirkungen: der Effekt der Resonanz des Themas ist bei Nutzung eines einzigen Mediums erhöht.
- Kontextwirkungen: die direkt erfahrene Umwelt hat einen größeren Einfluss beim Publikum als der Einfluss der Medien.
Es ist von wesentlicher Bedeutung zu betonen, dass auch wenn die Medien eine wichtige Rolle zur Erreichung des öffentlichen Konsens spielen, der Einfluss der Medien eine Grenze hat.
Auch wenn ein Thema prominent ist, wenn es vom Publikum nicht aufgenommen wird, wird es ihm nicht interessieren (vgl. McCombs 1997: 437).
1.1.3 Priming
In der Kognitionspsychologie wird Priming als ein Verfahren bezeichnet, in dem ohne Absicht das Aussetzen einem Reiz einen anschließenden Reiz auslöst. Eine Idee aktiviert ein semantisches Netzwerk im Gehirn. Viele Studien stellten dar, dass Agenda-Setting nicht der einzige grundlegende Effekt der Medien ist. Oft haben Meschen keine genaue Kenntnis der politischen Fragen und Priming geht von dieser Prämisse aus, indem Medien etwas auferksam zu Lasten etwas anderes machen. Diese Theorie wird von Peters, Iyengar und Kender im Jahr 1982 vorgebracht.
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Priming wird oft als Teil des Agenda-Setting Prozesses verstanden, weil die beide auf das Gedächtnis zurückgreifen. In beiden Fällen greifen Menschen Informationen auf, die leicht und schnell zugänglich sind. Das Agenda-Setting Prozess macht einige News auffäliger, während Priming später nach der Nachricht in Aktion tritt, wenn man Beurteilungen über ein Thema macht, das verbunden mit dem ersten ist. Die Folge davon ist, dass Medien die Ansicht beeinflussen, oft wenn man über politschen Kandidaten und Fragen dazu Stellung nimmt (vgl.
Scheufele/Tewksbury 2007: 11). Der Unterschied zwischen Priming und Framing wird tiefgehend im Jahr 1995 von Price und Tewksbury erforscht. Framing wird als „applicability- effect“ bezeichnet, weil das Thema als Schlüsselreize fungiert und jene Schemata aktiviert, die mit den Reizen übereinstimmen. Infolgedessen hängt es von der Anwendbarkeit der Schemata ab. Andererseits bleibt ein Schema im Gehirn und, wenn aktiviert wird und einen Urteil angefordert wird, wird eine Anregung stimuliert. Das ist „accessibility-effect“ oder Priming.
Anwendbarkeit betrifft das Fitting von Information und Schema, während Zugänglichkeit die Aktivationspotenzial ist, die temporär oder dauerhaft sein kann. „When particular constructs become subject to routine activation and use over time, via applicability and accessibility, then there is certainly the potential for long-term and perhaps cumulative effects” (Price/Tewksbury 1995: 45), beurteilen Price und Tewksbury.
Priming-Effekte sind umso stärker, je häufiger und je kürzlich Priming erfolgt. Insofern kann man sagen, dass das Thema in den Medien als Prime fungiert, der die mit dem Thema verküpften Urteilskriterien zugänglich macht. Spätere Urteile in Bezug auf dasselbe Thema wurden schon „geprimet“. Die Korrelation zwischen einem Urteil und das Thema wird vom Prime verdreht. Langfristig werden Bewertungen, Entscheidungen und Klassifizierungen im kognitiven Netzwerk des Rezipients beeinflusst. Kumulative Berichterstattung ist eine Bedingung der Medienwirkung, wie Noelle-Neumann betont. Priming bietet einen Kontext, der dem Publikum zur Interpretation der politischen Fragen hilft. Allerdings hat Priming auch eine Wirkung auf anderen Themen außer der Wahlkampf, wie zum Beispiel das Umweltbewusstsein, das manchmal keine dringende Angelegenheit der Politik sind.
Der Prozess der Rolle der Sprache fängt nämlich von Frames an, die bestimmen, welche Schemata anwendbar sind (Framing). Durch kumulative Berichterstattung werden diese
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Schemata mehrmals aktiviert und im Folge der Zeit werden Aktivationsmustern durch Priming angewandt. Im Fall eines Urteils sind sie dann vom Gedächtnis leicht zugänglich.
Insofern arbeiten diese Effekte zusammen, auch wenn die Aufmerksamkeit auf die News wichtiger für die Durchführung des Framing-Effekts als des Agenda-Setting Effekts ist.
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2. Sprachmanipulation auf die Ebene der Wörter
Man kann durch die Sprache viel erzielen. Man kann negative Informationen verschleiern und darauf ein gutes Licht werfen, wie wenn man 93% fettfrei anstatt 7% Fett sagt. Einige Informationen könnten leicht vergessen werden, weil sie in einier strategischen Position sind.
Unsere Sprache ist eine der Instrumente der Manipulation. Sprache ist das Medium der Politik, ohne die Politik kein wertvolles Instrument hätte. Aus diesem Grund ist Sprachgebrauch in der Presse oft ein zur Diskussion stehendes Problem und Gegestand heftiger Kritik. Es ist ein Thema, das uns jeden Tag betrifft und das Auswirkungen auf den Alltag hat.
Im vorliegenden Kapitel der Unteruchung wird der Aspekt von Wortwahl, verbundenen Begriffsinhalt und gesallschaftspolitische Gegebenheit diskutiert. Im Fokus steht der politische Wortschatz, nicht unbedingt im Sinne der Begriffe betreffend die deutsche Politik, sondern auch Wörter ohne politische Relevanz. In spezifischen Kontexten, wie in Kommentaren, erhalten einige alltägliche Ausdrucksformen eine zusätzliche Bedeutung. Es versteht sich von selbst, dass Wörter in Krisenzeiten wie zum Beispiel in der Zeit des Nationalsozialismus einen bestimmten historischen Gebrauch erhalten. Dennoch sind auch alltägliche wissenschaftliche und gesellschaftliche Wörter von großer Bedeutung und sollen in Erwägung gezogen werden.
2.1 Plastikwörter
Es ist ihm zuerst die Erkenntnis eines Notstandes aufgegangen, der so weit reicht als jetzt überhaupt die Zivilisation die Völker verknüpft: überall ist hier die Sprache erkrankt, und auf der ganzen menschlichen Entwicklung laster der Druck dieser ungeheuerlichen Krankheit (Nietzsche 1876: 23).
Uwe Pörksen, Sprachwissenschaftler und emeritierter Professor für Deutsche Sprache und Ältere Literatur in Freiburg, blickt auf diese Richtung zurück und beschäftigt sich mit dem so genannten Totalitarismus der Sprache. Er behauptet, dass es eine internationale Gruppe von Wörter gibt, die aseptisch, neutral und objektiv sind und die von der Wissenschaft herkommen.
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Wörter, die angeblich neutral scheinen, trotzdem bringen die Sprache zum Verlust von Bedeutung. Kommunikation, Sexualität, Energie, Austausch, Information, Struktur, Strategie, Produktion. Diese sind Wörter, die in den Massenmedien verwendet werden und unser tägliches Leben prägen. Sie sind keine „Schlagwörter“ oder „Slogans“, die später betrachtet werden. Es geht um ein internationales Modul. Pörksens Idee war ursprünglich für den Begriff Legowörter, zusammensetzbare Wörter wie Lego, die infinite Synonyme haben. In der Linguistik sind sie konnotative Stereotype, etwa dreißig Wörter, die man in unserer alltäglichen Sprache finden kann und die äußerlich den Begriffen der Wissenschaft ähneln, aber die keine genau definierte Bedeutung haben. Diese Begriffe des Universalcodes sind strahlkräftige Stereotype, Allerweltswörter, die für alle beliebigen Begriffe eingesetzt werden können.
Pörksen beschreibt sie als Amöben: Sie sind klein, transparent und flüchtig. Diese Wörter sind tatsächlich äußerst formbar, wie Plastik. Transformation ist das Stichwort für die Plastikwörter, weil sie an den Kontext sich anpassen. Laut Pörksen spricht man über über eine Kategorie von Wörter, die die dreißig folgenden Kriterien hat (vgl. Pörksen 2011: 62-64):
1. Es gibt keine klare Definition des Wortes.
2. Sie sind Stereotypen.
3. Sie kommen aus der Wissenschaft.
4. Sie kommen aus einem anderen Feld und sind Metaphern.
5. Sie sind eine Brücke zwischen Wissenschaft und Alltagsleben.
6. Sie können in vielen Bereichen verwendet werden.
7. Sie verdrängen die Synonyme.
8. Sie verdrängen alte und mehr spezifische Wörter.
9. Sie ersetzen die Ruhe.
10. Sie verbinden verschiedenen Erfahrungen.
11. Sie haben keinen Inhalt.
12. Sie haben vage Konzepte.
13. Sie sind nicht geschichtlich.
14. Sie wandeln die Geschichte in einem Forschungslabor um.
15. Sie betreffen nicht die Moral.
16. Sie haben Ton und Aura.
17. Sie betonen eine Kenntnis.
18. Sie haben eine Funktion.
19. Sie sind Idealisierungen.
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21. Sie haben einen Befehlston.
22. Sie können eine Mehrheit werden.
23. Sie geben Prestige.
24. Sie verursachen Ruhe.
25. Sie führen zur Hilfe der Experten.
26. Sie können neue Wörter hervorbringen.
27. Sie machen die davor benutzten Vokabeln zu alt.
28. Sie sind neu.
29. Sie gehören zu einem internationalen Kodex.
30. Sie haben keinen Ton.
Die Wörter, die zu dieser Gruppe gehören, sind Entwicklung, Wachstum, Sexualität, Information, Beziehung, Kommunikation, Produktion, Konsum, Energie, Partner, Management, Service, Fortschritt, Planung, System, Identität, Modernisierung, System, Funktion und andere.
In unserer Zeit nehmen diese und andere Wörter neue Bedeutungen an, weil die historischen Bedingungen diese konnotative Stereotypen begünstigen. Laut der Propaganda in der Zeit der Diktaturen musste man nur einige Wörter benutzten und das Regime beschloss, welche Wörter und mit welcher positiven oder negativen Bedeutung in der Zeitungen erscheinen konnten. Die Gesellschaft unserer Zeit vermeidet diese Verwendung der Sprache, trotzdem können linguistische Gewohnheiten in einigen Kontexten wieder vorkommen. Aus diesem Grund ist die Transformation der Sprache durch diese Wörter unmerklich: Das Lexikon ist dasselbe, trotzdem ändert sich mit Kontexten, die sich durchsetzen. Außerdem, teilt Pörksen die Meinung, dass wenn man Plastikwörter verwendet, ist man ein Sklave der Wörter, weil man die Illusion hat, eine große Menge von Wissenschaft und Erfahrungen zu beherrschen. In der Tat kommen diese Wörter aus Experten, die auch linguistisch autoritär sind, weil sie die Antworte verschiedener Fragen haben. Diese Experten der Plastikwörter werden als „Anwälte des Fortschritts“ beschrieben und wer dieselbe Sprache nicht verwendet, ist nun obsolet. Die wissenschaftliche Sprache, die die Alltagssprache beeinflusst, hat drei Merkmale:
- Das Prestige, weil die Wörter alt sind.
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- Die Unzugänglichkeit, weil viele nicht einfach zu verstehen sind.
- Die Möglichkeit, die fachlich spezialisierte Sprache nachzuahmen.
Die Angleichung der Alltagssprache an die wissenschaftliche Sprache ist bekannt als
„Mathematisierung der Alltagssprache“:
- Abstraktion: Wie die Mathematik sind Plastikwörter abstrakt.
- Universalität: Sie haben keine geografische und historische Dimension, sie sind universell.
- Quantifizierbarkeit: Sie erscheinen in Form von Statistiken und Zahlen, sie sind messbar.
- Multiplikation: Sie bilden unbegrenzte Verbindungen in der Sätzen.
- Reduzierung: Nur sehr wenige Wörter sind Plastikwörter, die unendlich kombiniert werden können.
- Geometrie: Sie stehen oft zusammen mit Prozentsätze und Noten (vgl. Pörksen 2011:
162).
Die Mathematik ist eine absolute und abstrakte Sprache und unsere Alltagssprache ähnelt der Mathematik und der Wissenschaft. Die Menschen haben sich an die Wissenschaft angepasst, als ob sie Kern des Fortschritts wäre. Trotzdem ist das eigentlich Entwicklung?
Unsere Umgangssprache wird durch den Gebrauch von Plastikwörtern immer mehr technisiert und mathematisiert und dadurch verliert sie nicht nur an Charme und Klang, sondern auch an Durchführbarkeit. Der Effekt der Plastikwörter auf die Medien besteht darin, dass Begriffe wie Konsum, Identität oder Modernisierung eine ganz andere Vorstellung erschaffen und eine Idee der Politik betreiben. Sprachkritisch betrachtet werden Plastikwörter verwendet, um politische Meinungen zu verpacken, zu denen alle Zugang haben und die alle verstehen. Das gängige Problem ist, dass sie ein so großes Feld von Bedeutungen umfassen, dass man jeweils eine eigene Interpretation der Wörter geben dürft. Die Sprache von Politikern und Medien strotzt vor Begriffen, die ebenso abstrakt wie bedeutungsleer sind. Wer diese Wörter verwendet, braucht keinen Verursacher zu nennen und das ist genau die entscheidende Macht der Persuasion. In einem Interview in der „Badische Zeitung“ beschreibt Pörksen die Plastikwörter
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als Leitplanken unserer Politik: Man weiß nicht, ob sie positive oder negative Bedeutungen und Folge hervorbringen. Pörksen ist der Meinung, dass
gute Reden konkret sind, dass sie von Fällen und Beispielen ausgehen, um eine offene Situation erkennbar zu machen, deren Grundriss, ihren Wortgebrauch erklären. Dass auch das Subjekt, der Redner, sich preisgibt und die Grenzen seiner Vorstellungen erklärt. Und dass er einen Satz oder ein paar Sätze findet, die man sich ganz von selbst merkt. (Pörksen in Hupka/Steiner 2016).
2.2 Schlagwörter
Wörter werden Schlagwörter, wenn sie aufgrund der aktuellen politischen Lage in der Öffentlichkeit inflatorisch benutzt werden. Sie sind von Prägnanz und Kürze gekennzeichnet und unterstützen politische oder gesellschaftliche Einstellungen.
„Im heutigen Sprachgebrauch werden mit Schlagwörtern im allgemeinen unreflektiert, sinnentleert bzw. verschwommen gebrauchte, vorwiegend polit. Begriffe bezeichnet“ (Meyers grosses Taschenlexikon 1992: 249). Diese Definition findet man in „Meyers goßes Taschenlexicon“ und sie sind leere und banale Wörter. Schlagwörter enthalten auffällige Inhalte, obwohl sie durch eine hohe Gebrauchsfrequenz ausgezeichnet sind. Sie werden vielmals beide von einer Partei und vom Gegner wiederholt. Aus diesem Grund spricht man auch von Kampfbegriffe und in der Presse werden sie zum zentralen Begriff eines Themas oder können als Symbol für eine besodere politische Situation wahrgenommen werden.
Sie haben nicht mit Ideologiesprache zu tun, die Teil des politischen Wortschatzes ist, aber sie können manchmal als Ideologievokabulär verwendet werden. Beispiele von Schlagwörter sind
„Freiheit“ und „Gerechtigkeit“, Prinzipien wie „Pluralismus“, „Gesundheitsreform“,
„Atomkonsens“ oder „Mediation“. Ein neues und brennendes Schlagwort ist „Umweltschutz“, das seit fast fünfzig Jahren in der Öffentlichkeit diskutiert wurde. Das Wort sagt viel aber auch wenig: Durch Umweltschutz könnte man den Standpunkt vertreten, dass der Betrieb von Atomkraftwerken die CO2-Emission verringert, oder den Gegensatz: Mit Atomkraft weiß man nicht, wie man Atommüll erledigt. Wenn ein Journalist über Umweltschutz spricht, wissen wir als Rezipienten nicht, welche Position er oder sie unterstützt. Daraus ergibt sich, dass
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Schlagwörter Ausdrücke sind, die uns bestimmte Ideen einprägt werden können. Man könnte den eigenen Standpunkt aufwerten „Umweltschutz ist ein brennendes Problem unserer Gesellschaft“ oder die Position des Gegners abwerten „Die Umweltschutz bleibt für die Partei X ein sekundäres Thema“. Ein heutiges Schlagwort ist auch „Lügenpresse“, das eine scharfe Kritik an falscher Presse übt.
Es scheint essenziell zu betonen, dass kein Wort ein Schlagwort per se ist. Was passiert denn?
Journalisten, Politiker und Gruppierungen versuchen, das Wort als eigenes zu verwenden. Das passierte zum Beispiel mit dem Thema des Klimawandels: Als er eine große Bedrohung geworden ist, zeigten auch konservative Kreise Interesse am Thema. In der Tat ist das Schlagwort ein Instrument der politischen Einflussnahme geworden. Dadurch entweder wird die eigene politische Einstellung dargestellt oder der Sprecher setzt sich dem politischen Gegner wider.
2.3 Metaphern
Metaphern zählen zu den ältesten Phänomenen des menschlichen Sprachgebrauchs. George Lakoff und Mark Johnson in den 80er Jahren gelten als Begründer der Metapherntheorie. Laut ihnen werden Konzepte als mentale Gestalten aus Mustern gebildet, die auf unsere körperliche Daseinsform, die Erfahrungen mit der Umwelt und unser kulturelles Umfeld zurückführbar sind. Normalerweise werden komplexere, abstraktere und unmittelbare Erfahrung liegende Konzepte durch nähere Konzepte strukturiert.
Eine Metapher überträgt abstrakte oder nicht klare Konzepte in konkrete Begriffe und bildet sie verständlich ab. Sie wird alltagssprachlich verwendet und sie lenkt Assoziationen und Emotionen. Wenn man, besonders in der Politik, eine Metapher verwendet, gibt man in den meisten Fällen eine kritische Beurteilung ab. Metaphern sind nämlich Sprachbilder. Sie helfen uns in Bereichen zurechtzufinden, in denen wir uns nicht gut auskennen. Man braucht Metaphern, um eine Idee zu verdauen, eine Theorie unterzumauern oder das Bewusstsein von einigen Themen zu schärfen.
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Metaphern beeinflussen den Kontext, in dem man die Nachrichten liest. Eine aktuelle Studie von zwei Psychologen Paul Thibodeau und Lera Boroditsky an der Universität Stanford stellt fest, dass wenn man die Straftaten als Bestie beschreibt, zum Beispiel mit Metaphern wie „die Stadt jagen“, schlägt das Publikum die Gefangennahme vor. Andererseits wenn man sie als Virus bezeichnet, indem man „den Stadtteil plagen“ sagt, stimmt man für Verbesserungsmaßnahmen. Was höchstinteressant im Experiment ist, ist dass nur 3% der Befragten die Metapher als einflussreich erkann. Beide Gruppen gaben denselben Grund für ihre Entscheidung an, d.h. die Statistik im Text, obwohl sie dieselbe für beide war.
Was passiert im Gehirn mit Metaphern besteht darin, dass wir nicht anders können als die zu Grunde liegende Bedeutung eines Ereignisses zu interpretieren. Unzählige Faktoren sind in unserer Interpretation betroffen. Die Kraft liegt in den Assoziationen, die diese Metaphern wecken. Sie sind vermutlich einer der wirksamsten Effekte, weil sie eine konkrete Erfahrung auf ein abstraktes Konzept übertragen. Eine der berühmtesten Metaphern der Politik ist „Krieg gegen den Terror“. Dieser Satz wurde von der Regierung Bush nach dem 11. September geäußert. Laut US-Sprachforscher George Lakoff ist es „ein Sprachmoment von höchster politischer Relevanz“, als er in „Die Zeit Wissen“ vom Juni 2012 erklärt (vgl. Wüstenhagen 2012). Das Verbrechen ist in gewisser Hinsicht einen Krieg geworden, der kurz- und langfristige Folge verursachen wird.
„Metaphern verbergen und heben hervor“ (Wehling/Lakoff 2008: 28), unterstreicht Lakoff, weil einige Informationen nicht ins Konzept passen, während andere bedeutsame Punkte überwertet werden. Highlighting, downsizing und hiding sind eben laut Lakoff und Johnson die Grundeigenschaften der Metaphern: „Sie führen stets dazu, dass manche Aspekte eines metaphorisierten Sachverhalts systematisch in einen toten Winkel verschoben und der Wahrnehmung entzogen werden, während andere systematisch hervorgehoben werden“ (Niehr et al. 2017: 225). Manche Aspekte einer Information können betont, teilweise verdrängt oder gänzlich verschwiegen werden. Außerdem kann man Metaphern anhand ihres Konventionalitätsgrades in kreative, konventionelle und tote Exemplare differenzieren. Tote Metaphern sind wenig geeignet, Einsichten in kollektive Wissensbestände zu eröffnen. Der metaphorische Gehalt ist aus diesem Grund ohne umfangreicheres Spezialwissen nicht
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erkennbar (Stuhlbeine, Flugzeugflügel). Konventionelle Metaphern hingegen hängen von gebräuchlichen Konzepten (Die Zeit läuft ab, seine Theorie hat kein Fundament) und kreative Metaphern stellen den bekannstesten Fall dar, insofern sie semantische und rhetorische Effekte in ungewöhnlicher Weise bewirken, die das Interesse wecken (Diese Daten sind die Ziegelsteine meiner Theorie). Diese letze Satz liegt außerhalb des Bereichs der wörtlichen Sprache und ist Teil der symbolischen Sprache. Beide die Ausdrücke Diese Theorie ist ein Kartenhaus und Seine Theorie hat lange labyrintische Flure sind Beispiele derselben allgemeinen Metapher, die Theorien Gebäude sind (Lakoff/Johnson 1980: 53).
In der Politik liefern Metaphern ein grundlegendes Vokabular der Gesellschaft. Beispiele sind Personifikationen wie Inflation als Gegner, politische Entscheidungen als Wagen, Organisationen als Gebäude und Staaten als Schiffen. Sie können drei Funktionen haben: Sie können Darstellungsaufgaben übernehmen oder schwere Gegenstände tabuisieren; zweitens stellen sie eine implizite Handlungsstrategie für politische Probleme bereit; drittens können Metaphern zu Persuasionszwecken eingesetzt werden. Abschließend ist die Rolle der Metaphern so brisant, weil sie Perspektiven so strukturieren, dass sie wünschenswert oder genau das Gegenteil erscheinen (Niehr et al. 2017: 231).
2.4 Stereotype
Walter Lippmann, Journalist, Schriftsteller und Medienkritiker, versteht unter dem Begriff Stereotypen „verfestigte, schematische, objektiv weitgehend unrichtige kognitive Formeln, die zentral entscheidungserleichternde Funktion in Prozessen der Um- und Mitweltbewältigung haben“ (Bergler/Six 1972: 115).
Journalisten vertrauen bewusst und unbewusst auf Stereotype. Die Bilder in ihren Köpfen werden durch Sprache materialisiert und mit den vorhandenen Bildern in unseren Köpfen verknüpft. Oft sind diese Bilder gesellschaftliche Normen wie Geschlechternormen, wie zum Beispiel Männer und Frauen Verhalten. Es geht nicht nur um die klassische „Hausfrau“, sondern auch um Kategorien wie Ethnie, Körper, Alter oder Beruf, wie „Karrierefrau“,
„türkische Putzfrau“ oder „der neue Vater“, der sich an Kindererziehung beteiligt. Stereotype
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kommen vom Urteil und bringen zur Kategorisierung und Attribuierung eines Menschen oder einer Situation.
Man unterscheidet drei Klassen von Stereotypen: Auto-, Hetero- und Metastereotyp.
Heterestereotype tendierien ins Negative, Autostereotype betonen positive Elemente der eigenen Gruppe und Metastereotype stützen sich auf die erwartenden Stereotype, die eine andere Gruppe über uns hat.
2.5 Euphemismen
Euphemismen spielen eine entscheidende Rolle bei Sprachmanipulation. Man verwendet einen Euphemismus, wenn man einen Sachverhalt beschönigend, mildernd oder in verschleiernder Absicht beschreiben will. Die negative affektive Konnotation wird neutralisiert und in eine positive Konnotation umgewandelt. Welche bessere Arena für die Beschönigung von Unannehmlichkeiten als die politische Debatte? Politiker und Journalisten verpacken Inhalte in schöne Worte und alle Euphemismen enthalten angeblich ein Element der bewußten Täuschung. Ein Euphemismus ist zum Beispiel „Kollateralschaden“, der Unwort des Jahres 1999 gekürt wurde. Das Wort hat militärischen Sinne, denn es bezeichnet die verursachten Schaden eines militärischen Einsatzes. Die Idee der Aggression wird durch “kollateral“
herabgemindert, durch dem ein Ereignis en passant erscheint. Ein vielleicht brisanteres Euphemismus ist „entsorgen“ anstatt „wegwerfen“ . Man findet dieses Wort in „Die Zeit“, „Der Spiegel“ und auch in „Neuen Deutschland“. Man kann Abstrakta entsorgen, wie Gesetze oder Reformen, oder die Beseitigung von Abfall bezeichnen. In der Zeit des Nationalsozialismus wurde das Wort „Endlösung“ als Euphemismus für systematische Ermordung der Juden verwendet, ein anderes Beispiel zum Thema.
In der politischen Debatte wird der Euphemismus besonders für die Umgehung von Tabubereichen verwendet, wie Tod, Krieg, Sex oder Krankheit. Ein Fakt kann durch einen Euphemismus verschleiert oder verzerrt werden, wenn der Journalist etwas unangenehm
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vermitteln muss. Die Vermeidung bestimmter Wörter führt zwangsläufig zur Schaffung neuer Wörter. Ein Beispiel dafür wären „Militäreinsatz“ anstatt Krieg und „Libyen-Konflikt“ oder
„Libyen-Einsatz“, die die Schrecken des Krieges in Libyen zu einem Konflikt reduzieren. Der Euphemismus ermöglicht eine Verharmlosung der politischen Situation und vielleicht versucht, die Aufmerksamkeit des Lesers vom Thema des Kriegs abzulenken. Das umstrittene Thema scheint damit vermindert, weil der Schreiber von der Frage sich entfernt. Euphemismen werden oft bewusst gebildet, um unliebsame Ereignisse zu verschleiern. Wenn der richtige sprachliche Kontext vorliegt, kann jeder Satz eine euphemistische Wirkung haben.
2.6 Neologismen
Der Neologismus bezeichnet ein neues Wort, d.h. ein Wort mit einem gewissen Neuheitswert, das im Laufe der Zeit in Gebrauch bleibt. Neologismen werden erforderlich, weil die alten Begriffe nicht dazu sich eignen, den neuen Sachverhalt zu beschreiben. Wenn Wörter von mehreren Sprechern akzeptiert und weiterbenutzt werden und sich so in unserer Sprachgemeinschaft etablieren, werden sie zu Neologismen. Oft in der Politik werden neue Wörter angeboten, weil es immer neue Probleme und verändernde gesellschaftliche Themen gibt. Sie werden von Bachem und Batke im Jahr 1979 als „handliche, kurze Formeln, die geeignet sind, die passende Sachbestimmung, die gruppenspezifische affektive und ethische Bewertung und eventuell einen entsprechenden Appell mitzuliefern“ (Bachem/Battke 1991: 61) beschrieben.
Journalisten können durch einen Neologismus zur Emotionalisierung des Rezipienten und zur Bewertung des Sachverhaltes beitragen, ohne dass der Leser das bemerkt. Besonders im Fall von Tabuthemen wie Sex oder Krieg kann ein Neologismus einige unerwünschte Aspekte verschleiern oder abmildern. Die politische Debatte braucht Wörter, um Ideologien weiterzugeben. Manchmal werden einige Neologismen nur in einem politischen System benutzt. Beispiele von aktuellen Neologismen sind „Komfortzone“, „Riester-Rente“,
„Regenbogenfamilie“, „Bologna-Prozess“, etc. 2016 wird zum Wort des Jahres der
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Neologismus „postfaktisch“: Der Begriff beschreibt eine Zeit unserer Gesellschaft, in der Gefühle zunehmend wichtiger als Fakten werden. Gewöhnlich entstehen Neologismen durch:
- Komposition selbständiger Wörter (Dosenpfand).
- Derivation neuer Wörter aus einem Ursprungswort (Cyberkriminalität).
- Abkürzung (SMS).
- Eindeutschung (downloaden).
- Bedeutungsverlagerung (Ein Zweck war ursprünglich ein Nagel, heute ist es ein Ziel).
2.7 Leerformel
Leerformeln vermeiden jede Art von Pragmatismus und werden eingesetzt, wenn der Journalist auf nichts Genaues festlegen will. Sie gelten als Wörter der Konvention oder Tautologie. Man kann die Inhalte des Wortes nicht überprüfen, trotzdem hat es den Anschein nach etwas Wahres oder Richtiges.
„Wie schon betont, sind die dialektischen Formeln infolge ihrer Unbestimmtheit oder Leerheit mit jedem beliebigen Sachverhalt vereinbar; aus demselben Grunde sind sie es auch mit jedem beliebigen Normgehalt: sie lassen sich zur Rechtfertigung oder Bekämpfung aller nur denkbaren, tatsächlichen oder erwünschten moralisch- politischen Ordnungen und Entscheidungen verwenden“ (Topitsch 1960: 256).
Wörter wie „Demokratie“, „Herrschaft“, „Freiheit“, „Menschenwürde“ oder „Gleichheit“ sind Beispiele von Leerformeln. Wie sollen sie aussehen? Ihre Bedeutung gilt als ideologieneutral, man konnte alles und nichts verstehen. Trotzdem sind sie in der politischen Rede sehr nützlich, weil sie eine emotionale Übereinstimmung zwischen Leser und Sprecher erzeugen. „Frei“ und
„unfrei“ sind relative Vorstellungen mit offenen Grenzen. „Konservativ“ ist heutzutage ein Leerwort und es bezeichnet die Bewahrung von Werten und nicht mehr nur die Verteidigung von Privilegien. Es lässt sich anhand der Betrachtung der heutigen politischen Situation belegen, dass Sprache im ständigen Wandel ist.