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Attori del cambiamento

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Academic year: 2021

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Attori del cambiamento

Antonio Alizzi, docente di Management per l’editoria all’Università di Verona, ci racconta la sua storia

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el fumetto di Hugo Pratt Una ballata del mare salato Pan- dora chiede a Corto Maltese: «E lei crede veramente che questa fortuna sfacciata le durerà per sempre?».

«E come no, mia cara.

Quando ero bambino mi accorsi di non ave-

re la linea della fortuna disegnata sulla mano e allora presi il rasoio di mio padre e zac, me ne feci una come volevo».

Tracciare la propria linea del destino, così come la voleva, è stato quello che Antonio Alizzi ha fatto finora: da un angolo della Sicilia a Milano, passando per Verona do- ve, all’Università, da 4 anni insegna Ma- nagement per l’editoria.

Antonio, raccontaci di te.

Sono nato nel 1982 in Germania ma ho radici siciliane. I mie genitori – che sono partiti giovanissimi in cerca di fortuna – mi hanno insegnato a essere intrapren- dente nella vita e, quando serve, a correg- gere la rotta.

In che senso?

Racconto un aneddoto che mi sembra esemplare. Frequentavo la seconda me- dia e un giorno ci spiegarono il teorema di Pitagora. Mi ero convinto, tornato a casa, di aver trovato un altro modo per calco- lare l’area del triangolo. Così presi carta e penna e scrissi tre lettere: al Ministro dell’Istruzione e alle università di Bolo- gna e Messina. Ricevetti due risposte. Il Ministro, per primo, mi scrisse: “Caro An- tonio, ho letto con interesse la tua lettera ma non tutto mi convince”. Poi, ancora:

“Ricorda sempre che le scoperte, anche le più importanti, nascono in un gruppo. Il

sapere è frutto di lavoro comune”. Fu un insegnamento che mi colpì profondamen- te e ancora oggi cerco di condividerlo con chi lavora con me. Poi arrivò anche la ri- sposta di un professore di Bologna: “Caro Antonio, ti ringrazio molto per la lettera che mi hai inviato. Il tuo ragionamento fi- la fino a un certo punto: una formula, per essere valida, deve essere universale, cioè valere sempre, mentre quella che tu pro- poni vale solo per alcuni triangoli”. Fui intraprendente, come i miei genitori, ma quello scambio di lettere mi ha fatto rive- dere il mio modo di essere, correggere la rotta insomma.

Parliamo della tua infanzia sici- liana?

Sono cresciuto in un medio comune si- ciliano, un contesto in cui le opportu- nità sono distribuite per classe sociale e le esperienze – come gli sbocchi profes- sionali – passano di padre in figlio. Non accettavo questa logica. E pur essendo un bambino socievole e curioso, non manca- vo di dirlo. Piano piano, forse anche per questo, la fiducia degli altri nei miei con- fronti aumentava. Non so se questa sia la leadership ma ho capito che non esiste le- adership senza responsabilità verso gli al- tri. La sfida è stata esprimere questa con- sapevolezza nell’angolo di Sicilia in cui mi

Università degli Studi di Verona

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trovavo e che ho riaffermato iscrivendomi al liceo classico, l’istituzione “per eccel- lenza” delle famiglie benestanti.

Come hai vissuto quegli anni?

Sono stati anni, ancora una volta, di ap- prendimento e di superamento di certi pregiudizi. Un’occasione per “leggere”

dietro le etichette e per “rivedere”. La seconda liceo è stato un momento signi- ficativo: sono stato eletto rappresentate d’istituto, della consulta provinciale e del- la classe. Ho compreso che la strada da fare, assieme agli altri, era ancora lunga.

L’esperienza e l’esempio dei miei genitori – una casalinga e un operaio – non sareb- bero stati un limite ma un punto di forza.

Affetti importanti?

La mia famiglia, anzitutto. Ricordo anche la professoressa di storia e filosofia del li- ceo, Giuseppina Freni, che mi persuase a proseguire gli studi fuori regione. La mia passione per il giornalismo, infatti, mi aveva creato qualche disagio: un pezzo su un capomafia locale aveva mandato in tilt i miei affetti. Altra persona decisiva è sta- ta la signora Curatolo. Fu lei ad inviare la mia candidatura a Villa Nazareth, un’as- sociazione romana che sostiene univer- sitari nel loro percorso. Fui uno dei nove studenti selezionati e, a Villa Nazareth, ho avuto l’onore di conoscere il cardinale Achille Silvestrini. Di “don Achille” non potrò dimenticare la severità, la tenerez- za e la profonda cura per ciascuno di noi.

Infine mi piace ricordare non una persona ma un’istituzione dove ho trascorso uno dei periodi più belli della mia vita, il Col- legio di Milano

L’Università?

La scelta cadde sulla Cattolica di Milano.

Partire fu una prova dura, specie per la mia famiglia. L’immagine di mia madre che piange davanti all’area aeroportuale

degli imbarchi è tutt’oggi vivida e cara.

Nel 2004 la laurea triennale in Scienze della Comunicazione, poi il biennio in Relazioni Internazionali con una tesi su FusiOrari, una testata digitale che ho fon- dato nel 2005. Passati 8 anni, FusiOrari c’è ancora e 7 dei suoi giovani sono oggi giornalisti.

La passione per il giornalismo?

Tutto cominciò col giornalino del liceo.

Poi La Città, un mensile locale, e le corri- spondenze per Il Corriere del Mezzogior- no. A Milano, infine, FusiOrari.

La tua formazione si chiude con la laurea?

Antonio Alizzi

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No. mentre scrivevo la tesi magistra- le ho frequentato il master in Human Resources del Sole 24 Ore grazie a una borsa di studio. Sempre quell’anno sono stato ammesso al Collegio di Milano, ente di eccellenza cofinanziato dal Ministero dell’Istruzione. Alcuni stage in azienda – Bosch, Mediaset e Camera di Commercio – prima di tornare all’università. Tra il 2007 e il 2010 ho conseguito il dottorato di ricerca in Scienze organizzative e dire- zionali.

Finalmente, Verona.

Dal 2007 al 2009 ho lavorato anche per Aspen Istitute Italia, un noto think tank internazionale dove ho incontrato Fede- rico Testa. Ne è nata una collaborazione con l’Università di Verona dove, da 4 an- ni, insegno Management per l’Editoria all’interno del corso di laurea in Editoria e Giornalismo.

Verona è una realtà viva, un luogo in cui posso affermare di aver trovato senso e forse anche di averlo creato, per me e per alcune persone che ho incontrato.

Cosa fa chi “crea” senso?

Due cose: crede che sia possibile cambia- re se stesso e ciò che lo circonda e prova a fare la sua parte. Lo può fare anticipan- do o confermando la nuova “traiettoria”.

Non tutti, sin da subito, vedono l’oppor-

Antonio Alizzi Università di Verona antonio.alizzi@univr.it

Università degli Studi di Verona

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tunità del cambiamento e chi vi riesce è spesso definito eroe, visionario.

A lungo abbiamo pensato che il cambiamento fosse un “fatto loro”. Non sono d’accordo: il cambiamen- to è per me un fatto plu- rale! Per spiegare queste due facce del cambiamen- to, c’è chi ha parlato del rapporto tra la primizia e il frutto di stagione. In ogni cosa, in effet- ti, qualcuno è “primizia” e qualcun altro è

“frutto di stagione”. La primizia però non è “diversa” rispetto agli altri frutti. Matu- rando prima, infatti, preannuncia l’arrivo copioso degli altri frutti. “Saremo presto in tanti”, è come se dicesse. Tutti insie- me, primizia più frutti di stagione, sono il cambiamento.

Hai un consiglio per i giovani?

Ricordare che una vita è tale solo se, co- me il seminatore del Vangelo, seminia- mo. Una parte del seme cadrà forse sulla strada e marcirà, un’altra parte la man- geranno gli uccelli, un’altra non riuscirà neppure ad attecchire. Ma, prima o poi, il seme trova la terra buona e i frutti sa- ranno ora “il trenta, il sessanta e il cento per uno”. Infine, non bisogna fermarsi e non bisogna stare soli ma coltivare rela- zioni, creare tessuto. È la rete di relazioni che ci salva, quella a cui ci si aggrappa.

La rete può ingabbiare, ma se la creiamo un po’ anche noi, diventa uno schema di protezione lungo cui propagare energia e riceverne.

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