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Il crimine individuale di aggressione nella riforma dello statuto della Corte Penale Internazionale

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INDICE

INTRODUZIONE

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CAPITOLO PRIMO

L’ATTO DI AGGRESSIONE STATALE E IL CRIMINE DI AGGRESSIONE INDIVIDUALE: DUE VOLTI DELLA STESSA

MEDAGLIA

1.1. I crimini internazionali e le origini del crimine di aggressione 9 1.2. L’atto di aggressione quale illecito dello Stato 17 1.2.1. La risoluzione n. 3314 (XXIX) del 1974 dell’Assemblea

Generale delle Nazioni Unite: linee guida per l’identificazione

delle ipotesi di aggressione 23 1.3. Il crimine di aggressione commesso dall’individuo 27 1.3.1. L’istituzione dei tribunali militari internazionali di Norimberga

e di Tokyo 40 1.3.2. L’ “incompetenza” dei tribunali penali internazionali ad hoc per

la ex Jugoslavia e per il Ruanda relativa al crimine di aggressione 46 1.3.3. L’art. 16 del Progetto di codice dei crimini contro la pace e la

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sicurezza dell’umanità e la relazione biunivoca tra crimine e atto 50 1.4. L’elaborazione di una definizione del crimine di aggressione nello

Statuto della Corte Penale Internazionale 53 1.4.1. L’art. 5 dello Statuto di Roma 57 1.4.2. Il lavoro della commissione preparatoria per la Corte Penale

Internazionale 59 1.5. Il gruppo di lavoro speciale sul crimine di aggressione 63

CAPITOLO SECONDO

IL CAMMINO VERSO KAMPALA

2.1. La Conferenza di Kampala 73 2.2. I temi trattati 75

2.3. Gli emendamenti e l’impatto dello Statuto di Roma 76 2.4. La definizione di aggressione. L’art. 8bis par. 1: la definizione

del crimine di aggressione imputabile all’individuo. L’art. 8bis par. 2:

la definizione dell’atto di aggressione da parte dello Stato 77

CAPITOLO TERZO

LE CONDIZIONI PER L’ESERCIZIO DELLA GIURISDIZIONE

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3.2. Il referral da parte degli Stati e il referral proprio motu da parte

del Procuratore della CPI: l’art. 15 bis 87 3.3. Il referral da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite:

l’art. 15 ter 90 3.4. L’esclusione della responsabilità prevista dall’art. 15 bis paragrafo 4 93 3.5. Le more dell’entrata in vigore 96 3.6. La relazione tra il Consiglio di Sicurezza e la Corte Penale Internazionale 98 3.7. La responsabilità dell’individuo: il Leadership Crime 104

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Il crimine di aggressione tra compromesso politico e ridotta forza persuasiva 107

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Introduzione

Il presente lavoro ha lo scopo di tracciare un’analisi dell’evoluzione del regime giuridico del crimine di aggressione in relazione agli emendamenti allo Statuto della Corte penale internazionale (C.p.i.) adottati alla prima Conferenza di revisione dello Statuto di Roma tenutosi a Kampala nel 2010.

Il crimine di aggressione ha una storia complessa per quanto riguarda la formazione della sua fattispecie, a tal punto che la sua definizione è stata qualificata come uno dei temi più controversi nel diritto internazionale fin dal tempo della Società delle Nazioni. Le motivazioni si ricollegano al fatto che, nel diritto internazionale generale, fino alla Prima guerra mondiale, l’aggressione era considerata come uno strumento legittimo di risoluzione delle controversie tra gli Stati. Malgrado i cambiamenti storici, gli stermini del secondo conflitto mondiale e il conseguente ripudio della guerra e di ogni altro strumento di violenza da parte della comunità internazionale, la repressione del crimine di aggressione è rimasta in sospeso per un lungo periodo. Né la storica sentenza del Tribunale di Norimberga, che ha sancito la possibilità di attribuire all’individuo-organo una responsabilità per il crimine di aggressione, né la Risoluzione 3314 dell’ONU del 14 dicembre 1974 sull’aggressione degli Stati, hanno permesso di giungere ad una definizione generalmente condivisa del crimine che potesse permetterne la repressione. Le resistenze verso la codificazione di uno strumento che individuasse la fattispecie del crimine individuale di aggressione sono da individuare nel fatto che in questa maniera si andrebbe ad intaccare la sfera della sovranità degli Stati, che solo questi possono decidere di limitare mediante la stipulazione di trattati internazionali.

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Inoltre, la materia relativa all’aggressione ha la sua influenza anche nell’ambito delle competenze del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, attribuitegli dal capitolo VII della Carta relativo all’azione rispetto alle minacce alla pace, alle violazioni della pace ed agli atti di aggressione.

Questo è oggettivamente il punto più problematico delle discussioni che riguardano l’inclusione dello stesso nella giurisdizione della C.p.i.

Quest’analisi inizia con il delineare la distinzione tra atto di aggressione come illecito dello Stato e crimine di aggressione commesso dall’individuo visti come due volti della stessa medaglia, analizzando la risoluzione 3314 (XXIX) del 1974 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, l’istituzione dei tribunali militari internazionali di Norimberga e di Tokyo e dei tribunali penali ad hoc per i crimini commessi nell’ex Jugoslavia e in Ruanda e l’art.16 del Progetto di codice dei crimini contro la pace e la sicurezza dell’umanità. All’interno dello stesso capitolo si tratterà dell’elaborazione della definizione del crimine di aggressione, prendendo in esame l’art.5 dello Statuto di Roma, in cui si stabiliva che la Corte penale potesse esercitare la sua giurisdizione sul crimine di aggressione soltanto dopo una futura decisione degli Stati Parti. A seguito della chiusura della Conferenza di Roma, gli sforzi nel cercare di trovare un accordo generalmente condiviso sulla definizione dell’aggressione e sulle condizioni di esercizio della giurisdizione sono stati compiuti, in un primo tempo, all’interno della Commissione preparatoria per l’attuazione dello Statuto di Roma. Questa, non riuscendo a pervenire a un risultato finale, decise di affidare i lavori ad una commissione tecnica specifica che aveva il solo scopo di vagliare le problematiche relative all’aggressione: lo Special Working

Group on the Crime of Aggression. Tale gruppo, dopo un lavoro di ben cinque anni,

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comprendeva i punti di accordo raggiunti dalle diverse delegazioni partecipanti, ma anche quei punti in cui un consenso non si era potuto trovare, in particolare con riguardo al ruolo che avrebbe dovuto svolgere il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nell’ambito della determinazione dell’esistenza di un atto di aggressione commesso da uno Stato. Lo Special Working Group ha lasciato il compito di sciogliere i nodi più delicati agli stessi Stati Parti che, a otto anni dall’entrata in vigore dello Statuto di Roma, si sono riuniti per la prima Conferenza di revisione a Kampala, in Uganda, dal 31 maggio all’11 giugno 2010.

Il secondo capitolo tratta del cammino compiuto verso la Conferenza di Kampala, nell’ambito della quale lo Statuto è stato emendato a maggioranza, approvando tre nuovi articoli: l’art.8 bis, par 1 e 2, l’art.15 bis e 15 ter. Nel primo articolo si pone la distinzione tra paragrafo 1 in cui viene definito il crimine di aggressione imputabile all’individuo, e paragrafo 2 in cui viene definito l’atto di aggressione da parte dello Stato. Viene così a istituirsi, tra i due piani, una relazione biunivoca molto complessa.

Nel terzo capitolo vengono poi esaminate le condizioni per l’esercizio della giurisdizione da parte della Corte penale internazionale, analizzando gli artt. 15 bis e 15 ter. In particolare, il primo articolo si riferisce al rinvio (referral) di un caso alla Corte penale internazionale da parte degli Stati Parti e del Procuratore della Corte; invece, il secondo articolo si riferisce alla questione controversa del rinvio da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. All’interno del medesimo capitolo viene posta l’attenzione anche sulla relazione intercorrente tra il Consiglio di Sicurezza e la Corte penale internazionale e sulla responsabilità individuale.

In questo modo, il crimine di aggressione, dopo numerose difficoltà, è entrato a far parte dei crimini rientranti sotto la giurisdizione della Corte. L’unica nota negativa

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introdotta dagli emendamenti alla Conferenza sono state le due condizioni che hanno limitato l’importante traguardo raggiunto: da una parte è necessario che gli Stati accettino la giurisdizione della Corte sull’aggressione per essere indagati e, d’altra parte, i tempi di attesa sono molto lunghi in quanto l’effettiva giurisdizione sarà attuata subordinatamente ad una decisione che sarà presa soltanto nel 2017 dall’Assemblea degli Stati Parti.

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Tutti i sogni possono diventare realtà solo se abbiamo il coraggio di inseguirli. Walt Disney

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CAPITOLO PRIMO

L’ATTO DI AGGRESSIONE STATALE E IL CRIMINE DI

AGGRESSIONE INDIVIDUALE: DUE VOLTI DELLA STESSA

MEDAGLIA

1.1. I crimini internazionali e le origini del crimine di aggressione

Le gravi violazioni delle norme del diritto internazionale poste a protezione di valori e di “beni” ritenuti dall’ordinamento della comunità internazionale meritevoli di una tutela particolare costituiscono “crimini internazionali”1 o “crimini contro il diritto internazionale”, in quanto la norma penale rilevante promana direttamente da un trattato concluso secondo il diritto internazionale consuetudinario ed è dotata di efficacia vincolante sugli individui, senza l’interposizione di norme interne.

Si tratta di un ambito che, venendo ad investire una sfera di valori, diritti ed interessi che appaiono particolarmente importanti per l’intera comunità internazionale, viene a collocarsi in una posizione del tutto peculiare. Ciò che accade è che viene a configurarsi, oltre ed accanto alla tradizionale responsabilità internazionale degli Stati2, anche una responsabilità individuale, cioè una

1SPERDUTI, Crimini internazionali, in Enciclopedia del diritto, vol. XI, Milano, 1962, 337;

RONZITTI, Crimini internazionali, in Enciclopedia giuridica Treccani, vol.X, Roma, 1988; FRANCIONI, Crimini Internazionali, in Digesto delle discipline pubblicistiche, vol. IV, 464, Torino, 1989; BASSIOUNI-NANDA, A Treatise on International Criminal Law, Springfield, 1973; GLASER, Droit international penal conventionnel, American Society of International Law, Bruxelles, 1970-78; ASCENSIO-DECAUX-PELLET, Droit international penal, Editions A. Pedone, Paris, 2000.

2In generale, sui crimini internazionali come categoria a sé stante nell’ambito dell’illecito

internazionale nella comunità internazionale contemporanea, cfr. GIULIANO-SCOVAZZI-TREVES, Diritto internazionale, Giuffré, 1991.

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responsabilità personale in capo agli individui autori delle violazioni. Gli anni ’90 infatti, hanno visto concretizzarsi l’idea di definire una serie di regole sulla responsabilità penale individuale a livello internazionale e di dotare la comunità mondiale di una Corte penale per giudicare gli autori di crimini di diritto internazionale (crimina iuris gentium). Non è di facile accettazione per una comunità essenzialmente di Stati sovrani, gelosi custodi del loro domaine rèservé, la configurazione di una categoria di violazioni denominata “crimini internazionali”, rappresentata come dotata di una tale connotazione di gravità da determinare la punibilità da parte dell’intera comunità internazionale3. E’, dunque, un ambito “di frontiera”, alla confluenza di sfere differenti e, spesso, divergenti, dal momento che sono in gioco i tradizionali limiti della comunità internazionale (società anorganica, priva di organi centralizzati deputati alla produzione di norme giuridiche, alla loro esecuzione e alla loro attuazione giudiziaria)4, l’altrettanto tradizionale pretesa ad una competenza giurisdizionale esclusiva da parte degli Stati, l’obbligo del rispetto del divieto di ingerenza negli affari interni dello Stato, l’esclusività del rapporto che lega lo Stato ai cittadini sudditi.

Peraltro, già nel passato, si era manifestata la spinta a considerare talune violazioni del diritto per mezzo di individui come caratterizzate da un tale grado di gravità da giustificare il riconoscimento dell’allargamento del titolo giurisdizionale al di là dei confini dello Stato, adombrando i profili di una sorta di giurisdizione universale. E’ soprattutto successivamente alle due grandi guerre mondiali (e, in maniera particolare, dopo la seconda), con la loro scia di abusi, di violenze, di orrori perpetrati su una scala quantitativamente e qualitativamente senza precedenti, che si

3Sulla comunità internazionale come entità sociale composta essenzialmente di Stati sovrani. 4CANSACCHI, Istituzioni di diritto internazionale pubblico, Giappichelli, Torino, 1979;

MONACO, Manuale di diritto internazionale pubblico, Utet Giuridica, Torino, 1971,3; ROUSSEAU, Droit International public, vol. I, Sirey, Paris, 1970.

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è avvertita nell’ordinamento internazionale, la spinta ad una produzione normativa e ad uno sviluppo di istituti giuridici nel campo dei “crimini internazionali” dell’individuo. La persona umana, al centro della preoccupazione, da questo momento in poi, viene, quindi, ad essere presa in considerazione come vittima centrale (e indifesa) delle violazioni più gravi e brutali. L’individuo umano, la persona, viene ritenuta il valore, il bene della comunità internazionale da proteggere perché appare come vittima di “nuove fattispecie criminose di rilevanza internazionale”5, come il genocidio, la tortura, i crimini di guerra, la presa di ostaggi e così via.

In riferimento ai crimini appare, con contorni piuttosto netti, una categoria nella quale spiccano i caratteri della singolare gravità delle lesioni prodotte e della riconosciuta universalità dei valori, dei beni oggetto di tutela. Si è quindi in presenza di un corpus di principi e norme che costituiscono una sorta di “ordine pubblico internazionale”, la cui lesione configurerebbe un crimine. Questi crimini considerati finora sono, dunque, comportamenti di individui che il diritto internazionale esplicitamente “criminalizza” con proprie norme, le quali si aggiungono, eventualmente sovrapponendosi, a quelle degli ordinamenti interni. L’accordo di Londra del 1945, istitutivo del Tribunale di Norimberga, identificava tre categorie di crimini:

- crimini contro la pace (guerra di aggressione); - crimini contro l’umanità, tra cui il genocidio; - crimini di guerra.

5 Così FRANCIONI, op.cit.,466.

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Tale distinzione è confermata dagli statuti dei Tribunali penali internazionali per i crimini nell’ex Jugoslavia e in Ruanda, entrambi istituiti dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

La prima categoria di crimini elencata presenta stretti collegamenti con i generali problemi dello jus ad bellum6, del rapporto tra soggetti internazionali (in primis gli

Stati) e uso della forza, del rapporto tra mantenimento della pace, uso legittimo della forza e organizzazione internazionale, tra diritto internazionale “comune” e diritto delle Nazioni Unite. Insomma, la categoria dei crimini contro la pace si rinviene nel generale “diritto internazionale di guerra” ai confini con il diritto internazionale “di pace”. I crimini contro la pace sono atti e fatti compiuti da uno o più stati con lo scopo di scatenare eventi bellici, o colpevolmente non evitando che un siffatto esito possa derivarne. Possono consistere in diverse tipologie di atti, riconducibili in modo sintetico a qualsiasi forma di preparazione o coordinamento di azioni belliche, ovvero dichiarazioni di guerra non giustificate. La Risoluzione 95/I dell’Assemblea Generale dell’Onu dell’11 dicembre 1946, oltre a confermare i principi di diritto internazionale riconosciuti dallo Statuto e dalla sentenza del Tribunale di Norimberga7, invita la Commissione incaricata della codificazione del diritto internazionale “a considerare come questione di importanza capitale i progetti tendenti a formulare nel quadro di una codificazione generale dei crimini

contro la pace e la sicurezza dell’umanità o nel quadro di un codice di diritto

criminale internazionale, i principi riconosciuti dallo Statuto del Tribunale di Norimberga e dalla sentenza dello stesso Tribunale”. Nel 1947, poi, l’Assemblea Generale ha adottato la Risoluzione 177/II del 21 novembre, nella quale ha chiesto

6 Su questi temi, RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, parte I, Giappichelli, 2006. 7

GENESIO, Un impegno per l’avvenire: la risoluzione ONU del 1946, in UNGARI-PIETROSANTI MALINTOPPI, 1998.

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alla Commissione del diritto internazionale “di preparare un progetto di codice di crimini contro la pace e la sicurezza dell’umanità”8. Finora, quindi, alla categoria dei crimini contro la pace, oltre ad alcune risoluzioni, è dedicata una serie di progetti; tuttavia, una compiuta sistemazione normativa è in evoluzione.

Riguardo alla seconda categoria, la nozione giuridica di crimini contro l’umanità, nella accezione comunemente accolta, ha un’origine più recente di quella di crimini di guerra. In prima approssimazione, la locuzione “crimini contro l’umanità” sta a designare taluni gravi fatti di violenza commessi su larga scala da individui, organi dello Stato o no, contro altri individui, per uno scopo essenzialmente politico, ideologico, razziale, nazionale, etnico o religioso9. Una prima qualificazione autonoma di queste fattispecie è conseguenza delle particolari atrocità commesse nel corso della seconda guerra mondiale e prima dello scoppio di questa. La nozione, poi, si è allargata, venendo a comprendere anche fattispecie prima configurate separatamente, quali il crimine di genocidio e quello di apartheid. Negli strumenti più recenti, poi, il genocidio è stato configurato come categoria autonoma, seppure strettamente correlata con i crimini contro l’umanità.

L’art. 6,2º comma dello Statuto del Tribunale Militare Internazionale di Norimberga, dedica la lettera c) ai crimini contro l’umanità, con la seguente elencazione, da intendersi, come quella relativa ai crimini di guerra, come meramente esemplificativa e non “chiusa”: l’omicidio volontario, lo sterminio, la riduzione in schiavitù, la deportazione e ogni altro atto inumano commesso ai danni di una qualsiasi popolazione civile, prima o durante la guerra; persecuzioni per motivi politici, razziali o religioso, “sempreché tali atti o persecuzioni – abbiano

8 Testo della Risoluzione in DJONOVICH, United Nations Resolutions, Series I, General Assembly,

vol. I, Dobbs Ferry, 1973.

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BASSIOUNI, Crimes against humanity in international criminal law, M. Nijhoff, Dordrecht, 1999, 282 ss.

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costituito o meno una violazione del diritto interno del paese in cui sono stati commessi – siano stati perpetrati nell’esecuzione di uno dei crimini rientranti nella competenza del Tribunale, o in connessione con uno di siffatti crimini”.

Una lettura superficiale di questa norma potrebbe portare a ritenere che la qualificazione dei crimini contro l’umanità fosse intesa come indipendente, cioè non direttamente correlata, dalla esistenza di un conflitto armato, dalla realtà di una guerra. E’ però, poi, la stessa norma ad inserire i crimini di cui tratta nel loro naturale contesto di collocazione nel generale sistema di punizione dei gravi delitti commessi in occasione dello scatenamento e della conduzione della seconda guerra mondiale. Ratione personae, in via generale si ritiene che l’imputabilità di crimini contro l’umanità presenti gli stessi caratteri di quella dei crimini di guerra. I criminali in questione possono, infatti, essere sia organi dello Stato che privati, sia militari che civili. In realtà, secondo lo Statuto del Tribunale di Norimberga, erano sottoposti a giudizio coloro che avevano agito “per conto dei paesi europei dell’Asse”(art.6,1º comma). Lo Statuto di Tokyo, invece, non presentava alcuna limitazione in proposito, anticipando una concezione alquanto estesa, che si manifesterà in altri strumenti successivi.

Caratteri distintivi dei crimini contro l’umanità – che, quindi, differenziano la categoria delle ordinarie violazioni di diritto penale comune negli ordinamenti degli Stati membri – sono:

- la gravità, che è il tratto che caratterizza i crimini contro l’umanità, e li differenzia da singole fattispecie criminose largamente conosciute negli ordinamenti penali degli Stati;

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- la commissione su larga scala, questo significa che sono presi in considerazione fatti compiuti in una misura molto rilevante, non fatti isolati, singoli comportamenti;

- la concertazione, che è elemento essenziale, scaturito dalla sentenza del Tribunale Militare Internazionale di Norimberga, “dell’esecuzione di un complotto o piano concertato”, finalizzato allo scatenamento e alla conduzione di una guerra di aggressione;

- l’elemento soggettivo della motivazione (movente), che si collega necessariamente alla intenzionalità, carattere generale che permea tutto l’impianto concettuale del sistema normativo di Norimberga.

Per quanto riguarda la terza e ultima categoria, circa la nozione di crimini di guerra, si può ritenere -in una prima approssimazione- che si tratti di tutte le violazioni gravi del diritto dell’Aja e di quello di Ginevra10. In particolare, il dettato normativo del sistema delle convenzioni multilaterali vigenti, il patrimonio della consolidata consuetudine internazionale e la ormai cospicua giurisprudenza consentono di offrire una elencazione indicativa: omicidio, tortura e trattamenti disumani e degradanti; esperimenti biologici e medici; presa ed esecuzione di ostaggi; deportazione di popolazione civile; illecita intenzione di civili; saccheggio; distruzioni inutili; arruolamenti forzati; atti contro i beni culturali e poi ancora attacchi contro la popolazione civile, attacchi indiscriminati, attacchi contro località non difese e contro le persone “fuori combattimento”, uso di armi vietate.

Lo Statuto del Tribunale Militare Internazionale di Norimberga affrontava in modo alquanto generale il problema di dare una definizione approfondita dei crimini,

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McCORMACK-SIMPSON , The law of war crimes. National and international approaches, the Hague-Boston-London, M. Nijhoff, 1997; LAMBERTI-ZANARDI-VENTURINI, Crimini di

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limitandosi, invece, a percorrere la forse più semplice strada della elencazione delle fattispecie criminose, i cui autori la costituenda giurisdizione internazionale avrebbe dovuto “processare e punire”. La categoria dei crimini di guerra è collocata al centro della costruzione dell’art.6. Si trattava di processare e punire gli autori delle grandi, sistematiche e generalizzate pratiche di comportamenti tenuti dai nazisti nel corso del secondo conflitto mondiale in violazione delle norme del diritto bellico. La differenziazione, quindi, tra i crimini contro la pace e crimini di guerra appare netta e di agevole determinazione. Se ci si ricollega alle categorie classiche del diritto internazionale, i primi concernono essenzialmente lo jus ad

bellum, mentre i secondi sono relativi alle violazioni dello jus in bello.

E’, invece, controversa nello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale la qualificazione del crimine di “aggressione”. D’altra parte, era difficile accettare il principio della punibilità degli autori dei crimini di guerra e di quelli contro l’umanità lasciando, invece, impuniti gli “architetti” dei conflitti nell’ambito dei quali quei crimini erano commessi11. La competenza della Corte è stata accettata senza, tuttavia, che sia resa effettiva. Una vera e propria definizione del crimine di aggressione dovrà essere incorporata nello Statuto sotto forma di emendamento, soggetto a ratifica da parte degli Stati contraenti. E’, dunque, per ora una semplice competenza di principio, la cui compiuta realizzazione è condizionata ai risultati di negoziati futuri.

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1.2. L’atto di aggressione quale illecito dello Stato

L’aggressione è suscettibile di essere analizzata sotto due diverse − seppur strettamente connesse – qualificazioni giuridiche: essa rappresenta, infatti, un atto illecito dello Stato che ne determina la responsabilità internazionale e un crimine dell’individuo che comporta la sua responsabilità penale personale.

I due profili sono stati affrontati compiutamente soltanto alla conclusione della seconda guerra mondiale, le cui dimensioni e terribili conseguenze hanno determinato una duplice risposta da parte della comunità internazionale: il divieto del ricorso alla forza armata formulato nella Carta delle Nazioni Unite e la sanzione penale degli individui che si erano resi responsabili di atti di aggressione, realizzata attraverso l’istituzione dei Tribunali di Norimberga e Tokyo.

Sebbene l’atto di aggressione quale illecito dello Stato e il crimine di aggressione commesso dall’individuo non siano altro che “due facce della stessa medaglia”, il loro accertamento e la valutazione delle conseguenze giuridiche che producono, avvengono su piani diversi da parte di soggetti distinti, e pertanto, la loro definizione ha seguito percorsi differenti.

Analizzando il primo aspetto in questo paragrafo, si può affermare che l’aggressione commessa da uno Stato ai danni di un altro Stato in violazione di trattati internazionali (come i trattati bilaterali o multilaterali di alleanza, il Patto della Società delle Nazioni del 1919, o ancora il Patto di Parigi del 1928) era proibita dal diritto internazionale, nelle relazioni tra Stati, già prima della Seconda guerra mondiale. Ne discende che, già a quel tempo, compiendo un atto di aggressione, lo Stato commetteva un atto illecito internazionale implicante il sorgere della propria responsabilità a livello internazionale.

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Ponendo lo sguardo ancora indietro, la Prima guerra mondiale è stata l’ultima guerra dello jus publicum europaeum o, più precisamente, ebbe inizio come una guerra regolamentata dal diritto internazionale moderno europeo. Il potenziale distruttivo dei nuovi strumenti di guerra impressionò profondamente la popolazione civile, la cui esposizione ai rischi della guerra era stata - seppur parzialmente - limitata nel corso degli ultimi tre secoli, e che adesso si riscopriva irreparabilmente vulnerabile. Nel 1918 ancora prima dell’apertura dei lavori della Conferenza di pace, Lloyd George, Primo ministro britannico propose l’istituzione di un’apposita commissione con il compito di esaminare la questione della responsabilità della guerra: la Commission on the responsability of the autors of the War and on

Enforcement of Penalties. Il parere della commissione presentava chiari elementi di

rottura con l’ordinamento internazionale dello jus publicum europaeum. La Germania veniva cosi considerata responsabile della guerra, per aver violato non solo le leggi e le consuetudini belliche, ma anche “the laws of humanity” e “the clear dictates of humanity”. Veniva dunque prefigurata la possibilità di addebitare ad uno Stato la responsabilità per aver infranto non una norma pattizia o consuetudinaria, ma una non meglio definita “legge dell’umanità”, la cui violazione peraltro non necessitava dell’acquisizione dei relativi elementi probatori.

Infatti prima della costituzione delle Nazioni Unite, gli Stati godevano della più ampia libertà di ricorrere alla forza (jus ad bellum che si ha quando uno Stato può muovere guerra ad un altro Stato), sia a protezione di un proprio diritto che a tutela di un semplice interesse. Gli Stati potevano ricorrere alla guerra senza che occorresse un titolo giuridico, ed essa era ammessa come uno strumento di soluzione delle controversie internazionali.

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Sarà così la Carta dell’ONU, all’art.2 par. 4 a vietare l’uso e la minaccia della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di uno Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite. Questa visione restrittiva ha ottenuto il sostegno della Corte Internazionale di Giustizia in un caso certamente molto significativo: quello delle attività militari e paramilitari in Nicaragua, deciso in modo definitivo nel 1986. Nei primi anni '80, il governo americano venne accusato dal Nicaragua, di aver usato contro di lui la forza armata diretta, disseminando mine nelle acque territoriali nicaraguensi, violando palesemente il diritto internazionale consuetudinario e causando danni alle navi mercantili del Nicaragua e di altri Stati. Gli U.S.A. erano anche accusati di aver attaccato i porti, le installazioni petrolifere e le basi navali e inoltre di aver fornito assistenza logistica ai ribelli anti-sandinisti (i c.d.contras).

Gli Stati Uniti, dal canto loro, sostenevano che le operazioni militari intraprese nei confronti del Nicaragua fossero assolutamente lecite, in quanto svolte sulla base della legittima difesa collettiva riconosciuta dal diritto internazionale generale e dalla Carta delle Nazioni Unite ed inoltre che il loro intervento era stato richiesto dai tre Stati latino-americani che erano rimasti vittima di un attacco nicaraguense: El Salvador, il Costa Rica e l'Honduras. La Corte stabilì innanzitutto che le manovre militari condotte dagli U.S.A. in Nicaragua erano di per sé illecite, in quanto costituivano una violazione del principio che vieta l'uso della forza. Tale infrazione riguardava, in primo luogo, l'assistenza prestata ai contras, che rientra a pieno titolo in quelle attività che, secondo la Risoluzione n. 3314 del 1974 sulla definizione di aggressione, sarebbero riconducibili all'aggressione indiretta, compiuta con l'organizzazione di gruppi armati o il loro semplice sostegno.

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A questo punto, bisogna però verificare se questi atti, che di per sé costituirebbero un'aggressione, possano essere giustificati dalla necessità di proteggere i confini propri o altrui da un attacco armato. Per concludere : "the United States was lawfully exercising its right of collective self-defense, it must first be found that Nicaragua engaged in an armed attack against El Salvador, Honduras or Costa Rica".

La Corte sembra, già in questo passaggio, sottolineare che per poter giustificare l'intervento per legittima difesa è necessario trovarsi di fronte ad un attacco armato già sferrato ("engaged", nel testo inglese). È quindi chiaro che la Corte prende in considerazione solamente la legittima difesa, come risposta ad un attacco già lanciato. Dopo aver fatto questa prima considerazione, la Corte, valutando le singole incursioni nicaraguesi nei territori degli Stati, per ponderare il ricorso statunitense alla legittima difesa, dichiarò che "...there are however considerations which justify the Court in finding that neither these incursions, nor the alleged supply of arms to the opposition in El Salvador, may be relied on as justifying the exercise of the right of collective self-defense (da parte degli U.S.A.)". La manovra statunitense era ancora più ingiustificata dal momento che la Corte non ritenne nemmeno esistente l'assenso degli Stati direttamente investiti delle presunte illegittime incursioni nicaraguensi.

La Corte si espresse affermando che "...has seen no evidence that the conduct of those States was consistent wich such a situation, either at the time when the United States first embarked on the activities which were allegedly justified by self-defense, or indeed for a long period subsequently". La Corte evidenziò che l'intervento americano era stato esercitato in un momento anteriore all'effettiva richiesta dei Paesi direttamente coinvolti dalle presunte incursioni del Nicaragua e

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che quindi non fosse giustificabile. La Corte esprime questa presa di posizione nel paragrafo 195, laddove si legge che "a State cannot itself determine and declare that another State had been victim of an attack and go to its assistance unasked". Di più: la Corte, in alcuni passaggi fondamentali, statuisce che la difesa può essere esercitata solamente quando l'attacco armato che la legittima è già stato sferrato. Nel 1986 la Corte internazionale di giustizia ha statuito che il divieto di uso della forza ha ormai rango di norma di diritto internazionale generale e che l’aggressione è oggetto di un divieto di jus cogens, di diritto imperativo.

L’ordinamento delle Nazioni Unite prevede due eccezioni al divieto.

Una è quella dell’art.51 della Carta dell’ONU che conferma il diritto “naturale” - di natura consuetudinaria – alla legittima difesa, individuale o collettiva, nel caso in cui si verifichi un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionali. Le misure adottate dagli Stati membri nell’esercizio della legittima difesa devono essere immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza e possono essere mantenute soltanto finché il Consiglio non prenda le decisioni necessarie per ristabilire la pace. La legittima difesa, però, può esercitarsi solo in caso di attacco armato in atto, sferrato da forze regolari attraverso una frontiera internazionale o attraverso l’invio di bande armate sul territorio di un altro stato, quando tale operazione , per la sua ampiezza, configuri un’aggressione armata. L’azione militare deve inoltre rispettare i parametri della necessità e della proporzionalità. L’art.51 della Carta dell’ONU e la corrispondente norma di diritto consuetudinario vietano pertanto un’occupazione militare prolungata e l’annessione del territorio allo Stato autore dell’attacco.

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L’altra eccezione è rappresentata dal sistema di sicurezza collettiva previsto dal capitolo VII della Carta dell’ONU, che assegna al Consiglio di Sicurezza la competenza esclusiva in materia di mantenimento della pace e della sicurezza, un potere di decisione e un’ampia discrezionalità. All’art.39 si stabilisce che il Consiglio di Sicurezza valuta la situazione che si è determinata e decide quali azioni intraprendere; l’art.40 riguarda le c.d. misure provvisorie; l’art.41 prevede il ricorso a misure “non implicanti l’uso della forza” e infine l’art.42 contempla le misure implicanti l’uso della forza. Il Consiglio di Sicurezza infatti può intraprendere ogni azione navale, aerea o terrestre necessaria al mantenimento della pace o ristabilirla quando si ritiene sia stata violata.

Ma se ne può aggiungere una terza che è quella relativa ad accordi o organizzazioni regionali.

In tema di norme positive in materia di uso della forza si può quindi affermare che il divieto della minaccia e dell’uso della forza, oltre ad essere contenuto nella Carta delle Nazioni Unite, è oggi una norma consuetudinaria di diritto internazionale. Gli Stati possono derogare a tale divieto in base alla norma consuetudinaria che riconosce il diritto di qualunque Stato di ricorrere all’uso della forza per legittima difesa. Oggi, oltre alle altre eccezioni costituite dalla decisione del Consiglio di agire contro uno Stato che ha violato questo divieto e quando questo uso è esercitato dalle organizzazioni regionali dietro autorizzazione del Consiglio, vi è l’ulteriore eccezione al divieto costituita dalla prassi di quest’ultimo decennio di autorizzare il ricorso all’uso della forza concessa dal Consiglio ai singoli Stati.

(23)

1.2.1. La risoluzione n. 3314 (XXIX) del 1974 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite: linee guida per l’identificazione delle ipotesi di aggressione

La risoluzione n. 3314 sulla definizione di aggressione venne adottata dall’Assemblea generale dell’ONU nel 197412 al fine di chiarire un concetto che è richiamato dagli artt. 1 e 39 della Carta13, ma che non è specificato da quest’ultima14. Il testo della risoluzione è il risultato di un compromesso tra due approcci differenti che emersero nel corso di un dibattito che durò circa vent’anni. Il primo di questi approcci è quello definito da Harris come “generale” e dà forma alla definizione contenuta nell’art. 1 che, richiamando l’art. 2, comma 4 della Carta, afferma: “Aggression is the use of armed force by a State against the sovereignty, territorial integrity or political independence of another State, or in any other manner inconsistent with the Charter of the United Nations, as set out in this Definition”.

Il secondo approccio è quello “numerativo” e prevede una lista degli atti che costituiscono aggressione, contenuta nell’art. 3 della risoluzione15.

12

Il testo della risoluzione è reperibile in HARRIS (ed.), Cases and materials on international law, Sweet & Maxwell,2010,p.945 e all’indirizzo web: http://www.un.org/Depts/dhl/resguide/resins.htm. 13

L’art. 1 della Carta recita: “I fini delle Nazioni Unite sono: 1. Mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed a questo fine: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace…”. L’art. 39 recita: “Il Consiglio di Sicurezza accerta l'esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace, o di un atto di aggressione…”.

14

HARRIS (ed.), Cases and materials on international law, Sweet & Maxwell, 2010, p. 949. Sulle ragioni dell’adozione della risoluzione, l’autore afferma che “the Resolution is intended to assist the General Assembly and the Security Council by clarifying a key concept (see its use in Articles 1 and 39) in the United Nations scheme for the manteinance of international peace and security and which (like many others) is left undefined in the text of the Charter”.

15

L’art. 3 recita: “Any of the following acts, regardless of a declaration of war, shall, subject to and in accordance with the provisions of Article 2, qualify as an act of aggression: (a) The invasion or attack by the armed force of a State of the territory of another State, or any military occupation, however temporary, resulting from such invasion or attack, or an annexation by the use of force of the territoryof another State or part thereof; (b) Bombardment by the armed forces of a State against the territory of another State of the use of any weapons by a State against the territory of another State; (c) The blockade of the ports or coasts of a State by the armed forces of another State; (d) An

(24)

L’art. 4 della risoluzione specifica che l’elenco contenuto nell’articolo precedente non è esaustivo e che il Consiglio di Sicurezza può individuare altri atti equivalenti all’aggressione. La definizione di aggressione adottata dall’Assemblea generale è fino ad oggi quella più diffusa e accettata nella comunità internazionale16. In dottrina, si fa però notare che la risoluzione n. 3314 del 1974, poiché ha come scopo principale quello di offrire un testo guida per il Consiglio quando questo deve accertare l’esistenza di una aggressione ai sensi dell’art.39 della Carta, non è utile a definire le implicazioni penali degli atti di aggressione. Su questo punto Dinstein afferma che “it should be borne in mind that aggression may appear in a different light when inspected by the Security Council for political purposes and when a judicial inquiry is made into criminal liability”17.

La risoluzione si limita, all’art. 5, comma 2, solamente a precisare che “a war of aggression is a crime against international peace. Aggression gives rise to international responsibility”18. In questo modo, di tutti gli atti di aggressione elencati nella risoluzione soltanto la guerra di aggressione costituirebbe un crimine perseguibile da un tribunale internazionale che fosse investito del compito di giudicare la responsabilità penale di Stati per i cosiddetti crimini contro la pace;

attack by the armed forces of a State on the land, sea or air forces, or marine and air fleets of another State; (e) The use of Armed forces of one State which are within the territory of another State with the agreement of4 the receiving State, in contravention of the conditions provided for in the agreement or any extension of their presence in such territory beyond the termination of the agreement; (f) The action of a State in allowing its territory, which it has placed at the disposal of another State, to be used by that other State for perpetrating an act of aggression against third State; (g) The sending by or on behalf of a State of armed bands, groups, irregulars or mercenaries, which carry out acts of armed force against another State of such gravity as to amount to the acts listed above, or its substantial involvement there in”.

16

La Definizione è stata citata anche dalla Corte internazionale di giustizia che, con la sentenza del 27 giugno 1986, ha affermato che l’art. 3, lett. g, riflette il diritto internazionale consuetudinario. V.

Attività militari e paramilitari contro il Nicaragua, del 27 giugno 1986, ICJ Reports, p. 100, in

particolare il paragrafo 195.

17

DINSTEIN, War, Aggress ,and self-defence, Cambridge University Press, 2011, p.126.

18

L’art 5, comma 2 richiama il secondo capoverso della Dichiarazione sulle relazioni amichevoli del 1970, in cui si legge: “A war of aggression constitutes a crime against the peace for which there is responsibility under international law”.

(25)

Gilbert osserva che, per analogia, ogni altro atto di aggressione farebbe sorgere la sola responsabilità civile e non già quella penale di chi lo commette19.

Gli strumenti internazionali in tema di responsabilità internazionale per atti di aggressione, adottati dopo la fine della seconda guerra mondiale, sono stati da un lato, l’accordo di Londra concluso l’8 agosto 194520, che nell’art. 6, comma 2 avrebbe indicato come la pianificazione, preparazione e avvio di una guerra di aggressione sono esempio di crimine contro la pace, non modificando quindi quanto disposto dalla risoluzione n. 3314 in materia di responsabilità internazionale per atti di aggressione e successivamente il Tribunale di Norimberga avrebbe poi definito la guerra di aggressione come “il supremo crimine internazionale, …che contiene in sé la somma dei mali di tutti gli altri”21 e dall’altro lato il Progetto di articoli sulla responsabilità dello Stato della Commissione di diritto internazionale dell’ONU, del 1980. L’articolo 19, comma 3 di tale Progetto, alla lettera a) descriveva il divieto dell’aggressione quale “obbligo internazionale di importanza essenziale per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale”. Sembrerebbe dunque che il Progetto, di recente modificato in molte sue parti22, indicasse in ogni forma di aggressione, e non nella sola guerra di aggressione, un crimine internazionale.

19 GILBERT, The Criminal Responsibility of State, p. 360, Cambridge University Press, 1990.

20

L’accordo, concluso tra gli Stati di Francia, Regno Unito, Stati Uniti e Unione Sovietica, recava in allegato la Carta del Tribunale militare internazionale di Norimberga, a cui era conferito il compito di giudicare gli agenti di Stato tedeschi che durante la seconda guerra mondiale avessero compiuto atti rientranti nelle categorie di crimini contro la pace, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Cfr. DINSTEIN, War, Aggression …,cit., p. 118 e SCOVAZZI, Corso di diritto internazionale, parte I, Giuffré, Milano, 2000, p. 78, ss.

21

Trial Of German Major War Criminals, sentenza del 30 settembre 1946 resa dal Tribunale di

Norimberga, reperibile sul sito <http://www.nizkor.org/hweb/imt/tgmwc/judgment/>. Cfr. SCOVAZZI, Corso …, cit., p. 81.

22

Oggi il Progetto, approvato in seconda lettura il 21 agosto del 2000, non include più una definizione di crimine internazionale e non fa esplicito riferimento ad alcun caso di violazione di obblighi internazionali essenziali per la protezione di interessi fondamentali della comunità internazionale. V. oltre, par. 1.2.4.

(26)

Attualmente la questione della definizione di crimine di aggressione è tornata di attualità con gli studi della Commissione di diritto internazionale nell’ambito dei lavori per la competenza della Corte penale internazionale, la cui istituzione è oggetto del trattato concluso a Roma il 17 luglio 1998.

Negli anni successivi dunque i lavori della Commissione preparatoria per l’istituzione della Corte penale avrebbero offerto una definizione più precisa di crimine di aggressione, utile a indicare quali atti siano definibili come illeciti internazionali che fanno sorgere la responsabilità penale di chi li commette.

Si può concludere, ritornando alla Risoluzione n. 3314, che essa innanzitutto, continuava ad inquadrare l’aggressione solo e necessariamente come atto commesso da Stati; in secondo luogo, la formula espressa dall’Assemblea risultava essere una non definizione, poiché non definiva la posizione dello Stato “crimine”, né tanto meno descriveva gli elementi costitutivi della fattispecie. In particolare non parlava di elemento psicologico, se l’intenzione doveva o meno essere considerata come costitutiva dell’atto di aggressione. La Risoluzione dell’Assemblea intendeva meramente facilitare la valutazione del Consiglio di Sicurezza ai fini dell’accertamento dei presupposti di cui al capitolo VII della Carta. E’ quindi evidente che l’impossibilità di trovare una definizione, comprensiva degli elementi necessari a precisarne il contenuto, ha determinato uno stallo nel sistema. Con certezza, però, si può soltanto affermare che l’aggressione costituisce un atto illecito dello Stato di eccezionale gravità, che il suo compimento comporta la responsabilità penale individuale, e che esso è compiuto da individui siti in una posizione di comando all’interno di uno Stato. Ne consegue che l’inclusione di tale atto, qualificato come “crimine dei crimini”, all’interno del testo , è sintomo del

(27)

continuo interesse, nonché della preoccupazione della Comunità Internazionale alla continua ricerca di una sua definizione.

1.3. Il crimine di aggressione commesso dall’individuo

In termini generali, è considerato come un atto di aggressione l’uso della forza armata da parte di uno Stato contro un altro, senza che vi sia l’autorizzazione preliminare del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (art. 42 della Carta), e senza una giustificazione per legittima difesa (art. 51). Questa definizione della Corte Penale Internazionale è ricalcata sulla definizione fornita dalla Risoluzione 3314 dell’ONU che qualifica l’aggressione come l’impiego della forza armata da parte di uno Stato contro la Sovranità, l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di un altro Stato, o in ogni altro modo incompatibile con la Carta delle Nazioni Unite23.

L’aggressione, come più grave violazione del divieto dell’uso della forza nelle relazioni internazionali, è tipicamente un crimine degli Stati. Ma, allo stesso tempo, esso ha la particolarità, proprio a causa della sua gravità, di far sorgere anche la responsabilità personale degli individui. Si configura così su due piani ben distinti tra loro: da una parte, il piano individuale che rende imputabile un individuo-organo, in una posizione di comando, che agendo per uno Stato ha materialmente dato avvio ad un atto di aggressione; dall’altra parte, il piano della responsabilità

23 MARCHISIO, L’ONU, Il Mulino, 2012.

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internazionale dello Stato aggressore24. Date queste premesse, il nodo cruciale per la giustizia penale internazionale è la traslazione dell’aggressione dal punto di vista statale al punto di vista individuale. Il primo riconoscimento25 in questo senso è datato e deriva dalla Carta del Tribunale di Norimberga, in cui si specifica che ogni leader, organizzatore, istigatore o complice che partecipa alla formulazione o all’esecuzione di un piano o di una cospirazione per commettere un crimine internazionale è responsabile per tutti gli atti eseguiti da qualsiasi persona in esecuzione di tale piano26. Dunque, dal 1947 a oggi, per oltre 60 anni, ci si è posti la questione della responsabilità individuale nell’ambito dell’aggressione, questione che è tornata di scottante attualità con la creazione della Corte penale internazionale e la discussa inclusione del crimine di aggressione nell’elenco dei crimini sottoposti alla giurisdizione della Corte27.

Esistono posizioni contrastanti riguardo alla definizione del reato di aggressione nell'ambito giurisdizionale della Corte. Parte del dibattito è centrato sulla necessità di trovare una definizione accettabile per il reato di aggressione. Mentre gli argomenti per comprendere l'aggressione in tale ambito sono basati sull’estrema gravità di questo reato e sulle ripercussioni internazionali che esso comporta, gli

24 CONFORTI, Diritto Internazionale, Editoriale scientifica, Napoli, 2006.

25In quest’ambito è necessario ricordare che nel 1919, Guglielmo II di Hohenzollern, ultimo

imperatore della Germania, fu considerato uno dei principali responsabili materiali della prima guerra mondiale e, a norma dell’art. 227 del Trattato di Versailles, fu accusato di “suprema offesa alle convenzioni internazionali e alla santità dei trattati”. Per questo, il 4 giugno a Parigi, il Consiglio supremo decretava che doveva essere processato. Nel gennaio dell’anno successivo fu chiesta l’estradizione al governo olandese, dove Guglielmo stava trascorrendo il suo esilio. L’Olanda però si rifiutò ripetutamente di concederla limitandosi a farsi dare dall’ex imperatore la promessa, poi mantenuta, di astenersi da qualsiasi attività politica. Il punto però è che si trattò di una pronuncia puramente dichiaratoria, la sentenza non aveva carattere giuridico nella sostanza ma solo nella forma. Per questo non si può affermare che si è trattato del primo tentativo di criminalizzare un individuo colpevole di aggressione. Cfr. SCHABAS, Origins of the Criminalization of Aggression:

How Crimes Against Peace Became the “Supreme International Crime” in The International Criminal Court and the crime of Aggression, Politi and Nesi Ed., 2004, p.21.

26 NUREMBERG TRIAL CHARTER, art. 6 (c).

27In tema di aggressione, vedere in dottrina:CONFORTI, Le Nazioni Unite, Cedam, 2010 e

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argomenti contro la sua inclusione si basano sulla mancanza di una definizione sufficientemente precisa28. Un'altra parte del dibattito si concentra sul ruolo che a tale proposito dovrebbe essere assunto dal Consiglio di Sicurezza. In conformità all'articolo 39 dello Statuto delle Nazioni Unite, infatti, compete al Consiglio di Sicurezza "determinare" l'esistenza di un "atto di aggressione". Di conseguenza, la questione è chiaramente legata al ruolo del Consiglio di Sicurezza nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Kelsen aveva concepito una strategia istituzionale per il raggiungimento della pace, mutuando da Kant sia l’ideale della pace perpetua, sia il modello federalistico, sia infine l’idea di attribuire la soggettività di diritto internazionale anche agli individui e non solo agli Stati29. Egli riteneva che nella situazione del secondo dopoguerra il suo progetto di una "Lega permanente per il mantenimento della pace" avesse buone probabilità di essere accettato dalle grandi potenze uscite vincitrici del conflitto. Il progetto innestava sul vecchio modello della Società delle Nazioni un'importante novità: attribuiva un ruolo centrale alle funzioni giudiziarie rispetto a quelle normative ed esecutive. La ragione principale del fallimento della Società delle Nazioni stava, secondo Kelsen, nel fatto che al vertice dei suoi poteri era stato posto un Consiglio, e cioè una sorta di governo politico mondiale, e non una Corte di giustizia. Nella prospettiva del normativismo kelseniano, questo era stato un grave "errore di costruzione" perché la principale lacuna dell'ordinamento internazionale era proprio l'assenza di un'autorità giudiziaria, neutrale e imparziale. La pace sarebbe stata assicurata soltanto da una Corte di giustizia che dirimesse le controversie internazionali applicando oggettivamente il diritto internazionale e quindi

28 FERENCZ, Getting aggressive about preventing aggression, The Brown Journal of world affairs,

BrownUniversity, 1999.

29KELSEN, Peace through Law, Chapel Hill, The University of North Carolina Press, 1944, pp.

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prescindendo da ogni condizionamento politico30. Un secondo punto premeva a Kelsen, in linea con la concezione kantiana del diritto internazionale come "diritto cosmopolitico" (Weltbürgerrecht): era necessario stabilire la responsabilità penale individuale di chi, avendo svolto attività di governo o diretto operazioni militari, avesse violato il diritto internazionale. La Corte avrebbe dovuto sottoporre a processo i singoli cittadini responsabili di crimini di guerra e gli Stati avrebbero dovuto metterli a sua disposizione31.

Questo internazionalismo giudiziario, sia pure in forme molto diverse da quelle concepite da Kelsen, ispirò l’istituzione del Tribunale internazionale di Norimberga. Per la prima volta nella storia dell’umanità la guerra di aggressione veniva concepita non come un generico illecito internazionale, comportante la responsabilità dello Stato come tale, ma come un vero e proprio “crimine internazionale supremo”32, del quale avrebbero dovuto essere responsabili singoli individui33.

Il Tribunale di Norimberga ritenne gli individui responsabili per i “crimes against peace", che venivano definiti come la "pianificazione, la preparazione, l'inizio di una guerra di aggressione, o di una guerra che viola i trattati internazionali, gli accordi o le promesse formali, o la partecipazione ad un piano comune o una cospirazione"34.

30 Kelsen non nasconde che la difficoltà più grave nasce dall'esigenza di dar vita a una forza di

polizia internazionale, diversa e indipendente dalle forze armate degli Stati, che applichi coercitivamente le sentenze della Corte; si veda KELSEN, Law and Peace in International

Relations, Cambridge (Mass): Harvard University Press, 1948, pp. 145-68.

31

KELESEN, Peace through Law, cit., pp. 87-8 e pp. 71 ss.

32 TAYLOR, The Anatomy of the Nuremberg Trials , Knopf, N.Y., 1992, p. 168. 33

Sulla distinzione fra "delitto" (o "illecito") internazionale e "crimine" internazionale si può vedere il "Progetto di articoli sulla responsabilità internazionale degli Stati", approvato dalla Commissione di diritto internazionale nella sua 48ª sessione (6 maggio-26 luglio 1996). La distinzione manca comunque di riferimenti empirici (art. 19).

34

FERENCZ, Defining International Aggression: The Search for World Peace, N.Y., Oceana Publ., 1975, Vol. 1, Doc. 18, 19, 20 “planning , preparation, initiation, or waging of a war of aggression, or

(31)

In uno dei passi più noti della sentenza conclusiva del processo, la guerra di aggressione viene qualificata come “essenzialmente un male” perché le sue conseguenze non si limitano a colpire i soli Stati belligeranti, ma si estendono negativamente al mondo intero. Pertanto:

“to initiate a war of aggression is not only an international crime; it is the supreme

international crime, differing from other war crimes only in that it contains within

itself the accumulated evil of the whole”.

Nel testo della sentenza di Norimberga e nelle intenzioni dei giudici del Tribunale, la "guerra di aggressione”, come fattispecie principale della categoria dei "crimini contro la pace", sembra dunque chiaramente concettualizzata, anche se enunciata in termini molto generali e senza una specificazione degli elementi soggettivi della condotta criminale35. La guerra di aggressione - una guerra che non sia dunque puramente difensiva - è non solo un crimine internazionale, ma, come abbiamo visto, è "il crimine internazionale supremo" in quanto concentra in sé tutte le conseguenze negative della guerra. Penalmente responsabili di questo "crimine supremo" sono tutti coloro che incitano alla guerra e tutti coloro che la decidono o la combattono in quanto personalmente responsabili.

Si è di fronte ad una guerra come diritto sovrano degli Stati e come rapporto conflittuale fra Stati regolato e limitato dal diritto e quindi legale. E questa nuova nozione, grazie alla risoluzione dell'11 dicembre 1946 dell'Assemblea Generale

a war in violation of international treaties, agreements, or assurances, or participation in a common plan or conspiracy for the accomplishment of any of the foregoing”.

35

GAJA, in The Long Journey Towards Repressing Aggression, in A. Cassese, GAETA, J.R.W.D. Jones (a cura di), The Rome Statute of the International Criminal Court: A Commentary, Oxford: Oxford University Press, 2002, p. 435, sottolinea che la specificazione degli elementi soggettivi è assente anche nella Risoluzione 3314 (XXIX) della Assemblea Generale delle Nazioni Unite, del 1974: "the General Assembly resolution fails to give any indication of essential elements of the crime such as which individuals are criminally liable and what sort of mental element is required for the same purpose"; sul tema degli elementi soggettivi del crimine di aggressione e della distinzione fra "dolo diretto" e "dolo specifico" cfr. A. Cassese, Lineamenti di diritto internazionale penale, Bologna: il Mulino, 2005, pp. 154-6.

(32)

delle Nazioni Unite che ha fatto propri i principi enunciati nello statuto e nella sentenza del Tribunale di Norimberga, può essere considerata oggetto di una norma consuetudinaria. E' un principio valido erga omnes come ogni altro principio che nel 1950 la Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite ha estratto dallo statuto e dalla sentenza del Tribunale36.

La definizione offerta dal Tribunale di Norimberga si concentrava quindi sulla responsabilità individuale piuttosto che sulle norme dei regolamenti del diritto internazionale che proibiscono l'aggressione da parte di uno Stato.

La difficoltà, secondo alcuni, sta nel concepire una definizione praticabile di aggressione che possa essere applicata ad un'ampia varietà di situazioni. La definizione deve infatti essere abbastanza precisa perché gli individui sappiano quali atti sono proibiti; e deve essere ampia a sufficienza per coprire quell'ampia varietà di atti che potrebbero verificarsi nel futuro. Deve inoltre essere in grado di descrivere il grado di violazione della proibizione di usare la forza contenuta nell'Articolo 2 dello Statuto delle Nazioni Unite che dovrebbe costituire il reato di aggressione per il quale gli individui possono essere ritenuti responsabili e puniti. Alcuni Stati37 durante la Conferenza di Roma hanno messo in evidenza che un'esclusione dell'aggressione avrebbe determinato una significativa lacuna nella giurisdizione della Corte.

Un’altra tesi che ha sostenuto la sua inclusione nello Statuto ed è al tempo stesso una delle principali ragioni avanzate per la creazione della Corte è la seguente:

36 Sul tema:il Progetto di codice sui crimini contro la pace e la sicurezza del genere umano (Draft

Code of Crimes against Peace and Security of Mankind), adottato nel 1996 dalla Commissione per il

diritto internazionale delle Nazioni Unite. La definizione di "aggressione" quale crimine internazionale che questo documento contiene è giudicata deludente da Antonio Cassese, a causa della sua circolarità logica (cfr. A. Cassese, Lineamenti di diritto internazionale penale, cit., p. 149).

37

(33)

ritenere gli individui responsabili dei crimini di guerra o per i crimini contro l'umanità, mentre al tempo stesso si garantisce l'impunità agli architetti del conflitto nel corso del quale si sono verificati tali crimini, non è giustificabile.

Inoltre, ritenere gli individui responsabili per il reato di aggressione può agire come un deterrente, scoraggiando un aggressore dal dare inizio a un conflitto che possa portare a una conflagrazione, in modo che i crimini di guerra ed i crimini contro l'umanità che sono il corollario dei conflitti, possano di conseguenza essere prevenuti. Un altro motivo che ha indotto a inserire questo crimine è che sarebbe stato retrogrado adottare uno Statuto che non comprenda il reato di aggressione 50 anni dopo che a Norimberga un simile comportamento è stato riconosciuto come un crimine internazionale.

Alcuni degli Stati che hanno insistito maggiormente per includere il crimine di aggressione nello Statuto hanno proposto di diminuire l'importanza assunta dalla necessità di una definizione, consentendo che la determinazione di un atto di aggressione venga lasciata nelle mani del Consiglio di Sicurezza. Il problema è rappresentato dal fatto che, se gli Stati commettono aggressioni per le quali gli individui possono essere ritenuti responsabili, allora il Consiglio di Sicurezza dovrebbe determinare se un atto di aggressione sia stato commesso da uno Stato e la Corte dovrebbe decidere se un individuo sia da ritenere responsabile per quell'atto. Questa proposta fa emergere una preoccupazione relativa al coinvolgimento del Consiglio di Sicurezza la quale è stata sentita anche in altri contesti: legare il lavoro della Corte al Consiglio di Sicurezza potrebbe infatti portare ad una politicizzazione della Corte38.

38

(34)

Il problema del crimine di aggressione è che le grandi potenze preferirono evitare di definire questa violazione grave del divieto dell’uso della forza stabilito all’art. 2 della Carta delle Nazioni Unite. Ciò perché esse intendono conservare, in sede di concreta applicazione di quella disposizione, un ampio margine di libertà di azione a titolo sia individuale sia collettivo attraverso il CdS delle Nazioni Unite. La definizione di aggressione è rimasta sospesa, per così dire, in uno stato di “quiescenza”, sia per quanto riguarda la sua qualificazione come illecito dello Stato (da cui discendono la responsabilità internazionale di quest’ultimo, e il diritto dello Stato vittima di agire in legittima difesa individuale e collettiva), sia come crimine internazionale dell’individuo, che implica appunto il sorgere della responsabilità penale individuale del suo autore.

E’ pur vero che nel 1974, con la risoluzione 3314 (XXIX) del 14 dicembre, l’Assemblea Generale ha formalmente adottato una definizione di aggressione39. Tuttavia, la definizione contenuta in questa risoluzione è volutamente incompleta, dal momento che, da un lato, lo stesso art. 4 della risoluzione stabilisce espressamente che la definizione ivi contenuta non ha carattere esaustivo; e che, dall’altro, lascia al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite un’ampia discrezionalità in materia, stabilendo che quest’organo rimane comunque libero di poter qualificare altri atti come atti di aggressione ai sensi della Carta delle Nazioni Unite. Inoltre, la risoluzione non precisa che dalla commissione di atti di aggressione possa discendere sia la responsabilità dello Stato, sia la responsabilità penale individuale del loro autore: l’art. 5(2) si limita soltanto a stabilire che la guerra di aggressione è un crimine contro il diritto internazionale, aggiungendo laconicamente che esso “dà origine alla responsabilità internazionale”.

(35)

Un altro strumento internazionale sprovvisto di efficacia giuridica vincolante che contiene una definizione di aggressione, quale crimine internazionale dell’individuo, è il Progetto di codice sui crimini contro la pace e la sicurezza del genere umano (Draft Code of Crimes against Peace and Security of Mankind), adottato nel 1996 dalla Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite. Questa definizione delude per l’elevato grado di circolarità che la caratterizza. L’art.16 del Progetto di codice dispone infatti che un “l’individuo che, in posizione di vertice o di organizzatore, nell’avvio o scatenamento di un’aggressione commessa da uno Stato, ovvero ordina la commissione di taluno dei summenzionati atti, sarà ritenuto responsabile del crimine di aggressione”40.

Infine, lo Statuto della CPI, se da un lato prevede, all’art.5, il crimine di aggressione tra quelli sui quali la Corte ha giurisdizione, dall’altro precisa che la Corte non potrà esercitare la propria giurisdizione su di un tale crimine fintantoché l’Assemblea degli Stati parte non avrà adottato la norma definitoria del crimine in questione attraverso un emendamento dello Statuto.

Non sorprende dunque, che dal 1946 ad oggi, non sia mai stato celebrato alcun processo, né a livello nazionale né a livello internazionale, per presunti crimini di aggressione, e ciò malgrado il fatto che siano indiscutibilmente numerosi i casi in cui gli Stati hanno compiuto atti di aggressione, e che in relazione ad alcuni di essi lo stesso CdS abbia espressamente riconosciuto la sussistenza di un atto di aggressione da parte di uno Stato41.

40

UN Doc. A/51/332.

41

Il CdS ha qualificato come veri e propri “atti di aggressione” alcune azioni militari o raid compiuti dal Sudafrica e da Israele: si vedano, ad esempio, le risoluzioni 573 del 4 ottobre 1985, sugli attacchi sferrati da Israele contro obiettivi dell’OLP, e 577 del 6 dicembre 1985 , sugli attacchi del Sudafrica contro l’Angola.

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L’oggetto del contendere era se le decisioni del massimo organo delle Nazioni Unite sull’esistenza di un atto di aggressione da parte di uno Stato potessero o dovessero vincolare la corte circa la determinazione della responsabilità individuale per il crimine corrispondente. Il CdS poteva, in altre parole, impedire alla Corte di perseguire presunti casi di aggressione? O invece la Corte era libera di giungere autonomamente a proprie conclusioni sulla sussistenza del crimine di aggressione, indipendentemente dalle deliberazioni del CdS sul corrispondente illecito statale? Come si è detto, la soluzione di compromesso alla fine raggiunta è contenuta nell’art.5(2): tale disposizione subordina l’esercizio della giurisdizione della CPI sul crimine di aggressione all’adozione, da parte dell’Assemblea degli Stati parte, di un apposito emendamento dello Statuto, che contenga la definizione del crimine ed indichi le condizioni in presenza delle quali la Corte può esercitare la propria giurisdizione su di esso.

Bisognerà attendere il 2010, anno in cui l’individuazione di una definizione del crimine di aggressione è stato un passaggio relativamente agevole per la conferenza di Kampala e assai meno condizionato dal compromesso politico che invece chiaramente traspare dalla soluzione adottata in merito alle condizioni per l’esercizio della giurisdizione della corte in materia. I negoziati svoltisi durante la prima Conferenza di revisione dello Statuto hanno portato finalmente all’adozione di importanti emendamenti in materia, quali l’art 8 bis (par 1-2) che sembra restringere significativamente le ipotesi di aggressione suscettibili di essere considerate dalla Corte, sebbene l’esercizio della giurisdizione della Corte sul crimine di aggressione sia il momento rimandato e, anzi, subordinato a una decisione degli Stati Parti, da adottarsi a maggioranza di due terzi dopo il primo gennaio del 2017. La Conferenza di Kampala ha segnato un importante momento

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