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Gli infiniti infiniti di Cantor e l’ipotesi del continuo

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La Matematica e l’infinito

Gli infiniti infiniti di Cantor e l’ipotesi del continuo

Appunti e complementi per gli studenti

Franco Fusier - 2007

(2)

Franco Fusier Rev. 10/2007 – Pag. 2

Indice

1. La Matematica e l’infinito... 3

1.1 Introduzione ... 3

1.2 Contare o confrontare? ... 4

1.3 Il paradiso di Cantor... 10

1.3.1 Introduzione ... 10

1.3.2 ÆRichiami sulle “relazioni d’equivalenza” ... 11

1.3.3 ÆRichiami sulle “relazioni d’ordine” ... 11

1.3.4 Non numerabilità di ... 12

1.3.5 Alcune proprietà dei numeri cardinali... 14

1.4 ÆUn insieme curioso: la “Polvere di Cantor” ... 17

1.4.1 ÆPremessa: costruiamo un nuovo insieme infinito ... 17

1.4.2 ÆLa Polvere di Cantor... 18

1.5 Cenni sulla crisi dei fondamenti della matematica... 20

1.6 L’ipotesi del continuo (Kurt Gödel e Paul J. Cohen)... 21

Nota

La lettura dei paragrafi contrassegnati con Æ può essere rimandata, senza precludere la

comprensione delle parti successive.

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Franco Fusier Rev. 10/2007 – Pag. 3

1. La Matematica e l’infinito

Il confine tra matematica e filosofia non è sempre ben netto e definito; a volte le due discipline tendono a fondersi, soprattutto quando gli oggetti di studio sono temi riguardanti l’essenza di ciò che non è tangibile dall’uomo, cose la cui natura non può essere appurata osservando con gli occhi o toccando con mano, ma che possono essere solo percepite, spesso neanche appieno, dalla mente umana. Non è un caso che molti grandi pensatori della storia siano ricordati come pietre miliari ed esempi da seguire sia dai matematici che dai filosofi.

Tutto ciò non deve stupire, dato che entrambe le discipline sono naturali evoluzioni del pensiero umano, sono manifestazioni della volontà dell’uomo di capire ciò che accade attorno a sé. Più ci si spinge oltre e più questa comprensione risulta difficile, poiché diminuiscono le capacità umane di verificare l’ortodossia delle proprie idee; addirittura, la possibilità di trovare risposte certe viene meno quando si cerca di comprendere la natura di ciò che non è contabile o misurabile, non ha inizio né fine, insomma è infinito…

1.1 Introduzione

Accostare Infinito e Matematica può sembrare collegamento azzardato. L'Infinito, come pure il suo corrispondente temporale, l'Eterno, sembra un tema adeguato per la Religione, la Filosofia o la Letteratura, ma forse non per la scienza positiva. Meno che mai per la più positiva delle scienze e cioè la Matematica.

Del resto, l'Infinito (in-definito, in-determinato) è, per sua stessa etimologia e natura, ed anche per la comune opinione, ciò che sfugge ad ogni possibile classificazione e misura, mentre la Matematica tende a (e pretende di) classificare e misurare ogni oggetto che esamina.

Il concetto di infinito è causa di paradossi e antinomie (contraddizioni), soprattutto quando si crede di poter estendere automaticamente ad esso nozioni e proprietà valide per grandezze finite. Negli Elementi di Euclide (libro I, Nozione comune VIII) si trova l’affermazione “il tutto è maggiore della parte”, che verrà superata da Cantor. Anche Galileo si scontra con i paradossi dell’infinito: i quadrati “perfetti”, i quadrati dei numeri naturali, sono tanti quanti sono i numeri naturali. Quando si tratta di insiemi infiniti l’affermazione “il tutto è maggiore della parte” non è più valida; tale affermazione, anzi, può essere usata per definire un insieme infinito, come farà Richard Dedekind (1831–1916) alla fine dell’Ottocento.

Dunque, l'Infinito sembrerebbe argomento da Matematica.

In effetti, secondo una visione che risale ai tempi dell'antica Grecia e che si è mantenuta radicata nei secoli fin quasi ai nostri giorni, la Matematica è la scienza dei numeri naturali 0, 1, 2, ..., semmai allargata a quegli insiemi numerici - gli interi e i razionali - che ai naturali sono direttamente collegati. Pitagora sosteneva che il numero (naturale) è la base di tutto. Oltre due millenni dopo, Leopold Kronecker (1832-1891) ribadiva che gli interi positivi sono i soli numeri creati da Dio a voler significare che trattare altri contesti non standard, come quello dei reali, era quasi sacrilego.

Georg Cantor

Leopold Kroneker

(4)

Franco Fusier Rev. 10/2007 – Pag. 4

Dunque la Matematica va a combaciare, in questa prospettiva, con l'Aritmetica dei numeri 0, 1, 2, ...: tutti rigorosamente finiti per natura e rappresentazione (a differenza dei reali, che scomodano allineamenti decimali senza limiti e confini).

Si confermerebbe così che non c'è spazio comune per Matematica e Infinito. Eppure, a smentire tutte queste pur ragionevoli premesse, va detto che la Matematica è stata capace nella sua storia più recente di intuire, accarezzare ed anche misurare l'Infinito, fin quasi a sognare di dominarlo completamente.

1.2 Contare o confrontare?

Si deve, innanzitutto, parzialmente correggere quanto detto in precedenza. In effetti, riflettendo con maggiore profondità, dobbiamo riconoscere che l'Infinito non è un tema intrinsecamente estraneo alla Matematica. Gli stessi numeri naturali 0, 1, 2, ... sono sì ciascuno singolarmente finito, ma costituiscono complessivamente un insieme infinito. La loro successione si svolge senza limitazioni in una strada senza fine. Tuttavia, come già Aristotele osservava, bisogna esercitare un po' di attenzione quando si parla di infinito e distinguere la sua forma potenziale da quella attuale: la prima è umanamente accessibile, la seconda no.

In altre parole, possiamo certamente convenire che ci sono successioni senza termine di oggetti matematici, quali i numeri naturali, ed abbracciarne con la nostra percezione porzioni comunque grandi (l'infinito potenziale di cui sopra); ma, quanto ad afferrarne la totalità ed ad identificarla completamente come singolo ente (l'infinito attuale), ebbene, questo è un altro discorso, inaccessibile ai limiti della nostra mente umana.

Particolarmente chiare sono, a questo proposito, le parole di G.

Cantor: “Si presenta spesso il caso che vengano confusi tra di loro (…)i concetti di infinito potenziale e di infinito attuale, malgrado la differenza essenziale. (…) Il primo denota una grandezza variabile finita,che cresce al di là di ogni limite finito; il secondo ha come suo significato un quanto costante, fisso in sé, tuttavia posto al di là di ogni grandezza finita.”.

Per dirla in latino e dare così maggiore autorità alla citazione: infinitum actu non datur.

Questo era il pensiero di Aristotele e, come tutti sappiamo, si trattava di opinione autorevole, non solo ai tempi dell'antica Grecia ma nei lunghi secoli successivi. Del resto, ancora nel 1831 (due millenni dopo Aristotele), colui che è comunemente riconosciuto come il più grande dei matematici, e cioè Gauss, si esprimeva quasi negli stessi termini del suo illustre predecessore. In una lettera al suo allievo Schumacher, scriveva: “io devo protestare veementemente contro l'uso dell'infinito come qualcosa di definito: questo non è permesso in Matematica. L'infinito è solo un modo di dire, ed intende un limite cui certi rapporti possono approssimarsi vicino quanto vogliono”.

Del resto, nei secoli da Aristotele a Gauss, vari spunti avevano introdotto in Matematica l'esigenza di studiare e definire l'infinito e, se è per questo, anche il suo inverso matematico (l'infinitesimo) nelle loro forme potenziali. Ad esempio, la necessità di garantire adeguate basi teoriche allo studio delle grandezze fisiche (come la velocità, la accelerazione e così via) aveva indotto già nel secolo diciassettesimo (e forse anche prima) Newton, Leibniz ed altri a

Galileo Galilei

(5)

Franco Fusier Rev. 10/2007 – Pag. 5

fondare - con qualche imprecisione, qualche vaghezza e molte polemiche - il calcolo differenziale, il relativo studio delle derivate e, appunto, l'uso degli infinitesimi.

L'obiettivo era quello di descrivere in termini matematici rigorosi il comportamento di una funzione quando il suo argomento si avvicina indefinitamente ad un punto, o supera ogni barriera verso l'infinito. Proprio all'epoca di Gauss, l'opera di Cauchy e Weierstrass aveva

prodotto (neanche due secoli dopo Newton) una adeguata risposta al problema e una rigorosa introduzione teorica a questo argomento così delicato, tramite la metodologia epsilon-delta che consente la definizione rigorosa del concetto di limite e che si rivela un approccio elegante e profondo all'infinito potenziale in Matematica.

Ma che si può dire degli infiniti attuali? Negli stessi secoli, menti autorevoli avevano tentato di avventurarsi in questa zona proibita, avvertendone però le anomalie e concludendo che forse era il caso di lasciar perdere: è questo il caso di Galileo Galilei e di alcune sue riflessioni contenute nell'opera Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze del 1638 e note con il nome di Paradosso di Galileo.

9 2 1 0

3 2 1 0 N

2

N

Galileo considera i numeri naturali 0, 1, 2, 3 ... ed osserva che l'insieme (infinito) dei loro quadrati 0, 1, 4, 9, ... è certamente più piccolo e, pur tuttavia, contiene tanti elementi quanti erano i numeri di partenza, perché ad ogni numero corrisponde in modo biunivoco il suo quadrato. Galileo conclude:

SALV. Io non veggo che ad altra decisione si possa venire, che a dire, infiniti essere tutti i numeri, infiniti i quadrati, infinite le loro radici, né la moltitudine de' quadrati esser minore di quella di tutti i numeri, né questa maggior di quella, ed in ultima conclusione, gli attributi di eguale maggiore e minore non aver luogo ne gl'infiniti, ma solo nelle quantità terminate. E però quando il Sig. Simplicio mi propone più linee diseguali, e mi domanda come possa essere che nelle maggiori non siano più punti che nelle minori, io gli rispondo che non ve ne sono né più né manco né altrettanti, ma in ciascheduna infiniti: o veramente se io gli rispondessi, i punti nell'una esser quanti sono i numeri quadrati, in un'altra maggiore quanti tutti i numeri, in quella piccolina quanti sono i numeri cubi, non potrei io avergli dato sodisfazione col porne più in una che nell'altra, e pure in ciascheduna infiniti? E questo è quanto alla prima difficoltà.

SAGR. Fermate in grazia, e concedetemi che io aggiunga al detto sin qui un pensiero, che pur ora mi giugne: e questo è, che, stanti le cose dette sin qui, parmi che non solamente non si possa dire, un infinito esser maggiore d'un altro infinito, ma né anco che e' sia maggior d'un finito, perché se 'l numero infinito fusse maggiore, v. g., del millione, ne seguirebbe, che passando dal millione ad altri e ad altri continuamente maggiori, si camminasse verso l'infinito; il che non è: anzi, per l'opposito a quanto maggiori numeri facciamo passaggio, tanto più ci discostiamo dal numero infinito; perché ne i numeri, quanto più si pigliano grandi, sempre più e più rari sono i numeri quadrati in esso contenuti; ma nel numero infinito i quadrati non possono esser manco che tutti i numeri, come pur ora si è concluso; adunque l'andar verso numeri sempre maggiori e maggiori è un discostarsi dal numero infinito.”.

Augustin Louis

Cauchy

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Franco Fusier Rev. 10/2007 – Pag. 6

Le riflessioni di Galileo contengono, magari solo in germe, suggerimenti stimolanti su come potremmo cercare di misurare l'infinito. In effetti, non possiamo contare né i numeri naturali, né i loro quadrati (infiniti sono gli uni, infiniti sono gli altri); pur tuttavia, possiamo confrontarli e stabilire rigorosamente che gli uni sono tanti quanti gli altri, perché c'è una corrispondenza biunivoca tra i loro insiemi.

Appare quindi logico affermare che:

Definizione: due insiemi A e B si dicono equicardinali o equipotenti se fra i loro elementi si può stabilire una corrispondenza biunivoca, vale a dire, se ad ogni elemento di A si può associare uno e un solo elemento di B.

Questa definizione di equivalenza, o, come si dice oggi, di equipotenza, è nella sua semplicità ed apparente banalità, una grande scoperta infatti grazie a questa definizione, estesa da Cantor anche agli insiemi infiniti, fu possibile risolvere i paradossi che avevano fermato Galilei.

Si può inoltre estendere il nostro ragionamento affermando:

Definizione: un insieme S si chiama infinito se è equipotente ad una sua parte propria; nel caso opposto si chiama finito.

Questa definizione apparsa nel quinto paragrafo del libro Il finito e l'infinito di Dedekind , capovolge un modo di pensare millenario: si era sempre definito l'infinito a partire dal finito, come non-finito; ora invece è il finito ad essere non-infinito.

Riesaminiamo i paradossi di Galileo.

Primo Paradosso: una parte può essere uguale al tutto purché non vi siano ambiguità nel significato che si dà alla parola 'uguale': se per uguale infatti si intende identico (per colore, per forma,...) allora certamente una parte non potrà mai essere uguale al tutto, perché il tutto contiene necessariamente qualche elemento che nella parte, proprio perché parte, non sta. Ma se per uguale si intende equipotente nel senso della definizione di Cantor sopra riportata, cioè uguale per numero, allora questo è possibile. E' possibile perciò che una parte sia uguale per numero al tutto, ma solo nel caso che gli insiemi siano infiniti: questa è infatti una caratteristica degli insiemi infiniti.

Secondo Paradosso: i punti dello spazio sono tanti quanti quelli di un segmento piccolo a piacere.

Questo paradosso può essere risolto, come vedremo in seguito, costruendo una relazione di equipotenza opportuna tra i punti dello spazio e i punti del segmento.

Dunque, all'infinito possiamo, se non contare, confrontare e decidere se due insiemi

sono o no ugualmente numerosi. L'idea è brillante e sottile ed induce alla tentazione di

approfondire. Pur tuttavia, c'è una obiezione che sorge abbastanza spontaneamente: ne vale

realmente la pena? In effetti, si potrebbe sostenere che gli insiemi infiniti sono tutti, appunto,

infiniti, e come tali hanno forzatamente lo stesso numero (infinito) di elementi. È dunque

inutile soffermarsi in questo genere di confronti, l'infinito appiattisce tutto. L'esempio dei

numeri e dei quadrati (i secondi apparentemente molto minori dei primi) sembra confermarlo.

(7)

Franco Fusier Rev. 10/2007 – Pag. 7

C'è un altro famoso argomento che corrobora questa impressione e va sotto il nome di Albergo di Hilbert. Si tratta, infatti, di un esempio che David Hilbert (1862-1943) adoperava per divulgare presso i non addetti ai lavori le sottigliezze di questa analisi dell'infinito. Lo ricordiamo brevemente. Gli alberghi di questo mondo sono tutti finiti.

Supponiamo allora di avere un albergo completo, in cui ogni stanza N ha già il suo ospite N. Se ad un'ora della notte arriva un nuovo cliente in cerca di sistemazione, il portiere dovrà dichiarargli con rammarico di non poterlo ospitare ed indirizzarlo ad altro ricovero. Ma ammettiamo per un attimo che l'albergo sia costituito da infinite stanze.

Gli ospiti che lo popolano sono anch'essi infiniti e lo riempiono completamente. Abbiamo dunque il problema di trovare un posto libero, per far questo sistemiamo:

• l'ospite 0 nella camera 1,

• l'ospite 1 nella camera 2, ...

• l'ospite N nella camera N+1, ...

• e liberiamo la camera 0".

Il tutto è lecito perché l'albergo è infinito. Dunque, ogni nuovo ospite trova il suo posto.

Per uscire dalla metafora ed usare termini matematici, quanto l'argomento di Hilbert sottolinea è che un insieme infinito, come quello dei naturali, possa avere tanti elementi quanti un suo sottoinsieme proprio, come quello che se ne ottiene dimenticando 0. La funzione successore, quella che trasforma ogni naturale N in N+1 è una corrispondenza biunivoca tra i naturali e i naturali maggiori di 0; togliere l'elemento 0 non diminuisce il numero complessivo dei punti rimanenti.

Altri esempi storici sostengono il nostro assunto sulla apparente piattezza dell'infinito.

Ad esempio, nella sua opera postuma Paradossi dell'infinito (Paradoxien des Unendlichen), Bolzano (1781-1848) osservava come il segmento chiuso [ ] 0 ; 5 della retta reale ha tanti punti quanto l'evidentemente più grande intervallo [ ] 0 ; 12 , la corrispondenza biunivoca tra i due essendo stabilita dalla funzione che trasforma ogni x nei suoi dodici quinti.

La svolta fondamentale e decisiva all'intera questione fu data Georg Cantor (1845- 1918). Lo spunto che lo condusse ad approfondire il tema fu lo sviluppo in serie di Fourier delle funzioni e l'unicità dei relativi coefficienti. La sua analisi lo portò ad individuare e classificare alcuni insiemi di reali che non soddisfacevano questo risultato di unicità e, conseguentemente, a valutare quanto "piccoli" e trascurabili fossero questi controesempi a confronto dell'intera collezione dei reali. Prendendo spunto da questa problematica, Cantor considerò varie coppie di sottoinsiemi infiniti della retta reale (e non solo) cercando possibili corrispondenza biunivoche.

Karl Weierstrass

(8)

Franco Fusier Rev. 10/2007 – Pag. 8

Ad esempio, osservò che ci sono tanti punti nell'intera retta quanti nel segmento aperto ] [ 0 ; 1 (che pure è per altri aspetti enormemente più piccolo). La precedente osservazione di Bolzano ed un minimo di trigonometria ci aiutano infatti a definire una corrispondenza biunivoca: ] [ 0 ; 1 è in corrispondenza biunivoca con l'intervallo aperto ] π / 2 ; π / 2 [ tramite la funzione definita da

) 2

( x = x π − π

f , che prima allarga, al modo di Bolzano, ] [ 0 ; 1 a ] [ 0 ; π , e poi trasla quest'ultimo segmento di − π / 2 portandolo come richiesto su ] − π / 2 ; π / 2 [ . A questo punto, ci ricordiamo che la funzione tangente, ristretta all'intervallo ] − π / 2 ; π / 2 [ , ne determina una corrispondenza biunivoca con l'intero .

Opportune manipolazioni provano poi che il segmento aperto ] [ 0 ; 1 è in corrispondenza con il segmento chiuso [ ] 0 ; 1 , o anche con [ [ 0 ; 1 , ] ] 0 ; 1 e, in definitiva, con ogni intervallo chiuso, aperto o semiaperto dell'intera retta. Altrettanto vale per l'intero insieme .

Altri casi furono esplorati da Cantor. Ne elenchiamo alcuni particolarmente significativi. L'insieme dei naturali 0, 1, 2, ... si potrebbe valutare ad occhio come la metà dell'insieme di tutti gli interi ...-2, -1, 0, 1, 2, ...; ma sono infiniti entrambi, ed in effetti è possibile determinare una corrispondenza biunivoca f che li collega. Basta osservare che i naturali, a loro volta, si suddividono a metà tra pari 0, 2, 4, ... e dispari 1, 3, 5, ... e dunque trasformare gli interi non negativi nei primi e quelli negativi nei secondi: in termini rigorosi, porre per ogni x naturale:

⎪ ⎩

⎪ ⎨

<

=

0 1

2

0 2

) (

x se x

x se x

x f

Lo stesso può dirsi di naturali e razionali : tra i due insiemi c'è una corrispondenza biunivoca. La cosa può sembrare a prima vista strana e sorprendente; si potrebbe osservare che l'usuale ordine dei naturali ha un primo elemento 0 ed è discreto (ogni elemento ha un suo immediato successore, ogni elemento escluso 0 ammette un immediato predecessore) mentre quello dei razionali non ha estremi ed è denso (tra due elementi a<b, c'è sempre un punto intermedio a<c<b), il che lo rende costituzionalmente diverso dal precedente. Come è possibile che una corrispondenza tra e riesca a conciliare queste strutture così diverse? La risposta è semplice: quel che a noi preme non è un isomorfismo d'ordine, che si preoccupi - appunto - di preservare la relazione d'ordine dei due diversi insiemi, ma una semplice corrispondenza biunivoca senza obblighi particolari. Conseguentemente, possiamo riarrangiare i razionali non negativi facendo riferimento alla loro rappresentazione come frazione m/n, con m e n naturali, n ≠ 0 , m e n primi tra loro, e sistemandoli prima secondo m+n e poi, a parità di somma, secondo il loro ordine abituale, ottenendo così in definitiva una successione:

0/1, 1/1, 1/2, 2/1, 1/3, 3/1, 1/4, 2/3, 3/2, 4/1, ...

del tutto analoga a quella dei naturali:

0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, ...

Georg Cantor

(9)

Franco Fusier Rev. 10/2007 – Pag. 9

e quindi disponibile in corrispondenza biunivoca con . Ora, è facile estendere questa funzione tra naturali (cioè interi non negativi) e razionali non negativi, coinvolgendo da un lato tutti gli interi e dall'altro tutti i razionali e concludendo, nuovamente, che gli uni sono tanti quanti gli altri (pur costituendone un sottoinsieme proprio). A questo punto, componiamo la corrispondenza biunivoca appena trovata tra e con quella che già conosciamo tra e ed otteniamo la corrispondenza biunivoca cercata tra e .

Questo fu l'ingegnoso argomento con cui Cantor provò nel 1895, in un articolo sui Mathematische Annalen, che i naturali sono tanti quanti i razionali (in realtà Cantor aveva già raggiunto questa conclusione nel 1874 sul Journal für Mathematik, usando però una dimostrazione diversa e più complicata).

Un altro sorprendente risultato di Cantor collega il quadrato, o anche il cubo, con il suo lato: l'uno e l'altro hanno lo stesso "numero" di punti. Il teorema fu provato nel 1877 e suscitò incredulità e smarrimento tra i matematici dell'epoca. Lo stesso Cantor ne rimase in un certo senso sorpreso e lo commentò in una lettera a Dedekind con le parole: "lo vedo, ma non lo credo". La ragione di tanto stupore è facile da capire: il risultato sembra confondere curve, superfici e volumi e dunque enti geometrici di dimensione 1, 2 e 3 abolendo ogni distinzione al riguardo e, in definitiva, minando le basi stesse della Geometria. Ma si trattava (e si tratta) solo di un'impressione superficiale, comprensibile in tempi che non avevano ancora sviluppato compiutamente il concetto di spazio topologico. Come Dedekind osservò lucidamente, le biiezioni di Cantor sono - appunto - solo biiezioni e non hanno né pretendono di avere quel requisito di continuità che, se sussistesse, andrebbe a contraddire tante assodate certezze. Segmento, quadrato, cubo hanno lo stesso numero di punti, ma non sono per questo tra loro omeomorfi

1

.

Ciò premesso, vediamo quale argomento fu usato da Cantor per provare il suo risultato.

Assumiamo per semplicità che il lato sia il segmento unitario [ ] 0 ; 1 , così il quadrato corrisponde al prodotto cartesiano [ ] [ ] 0 ; 1 × 0 ; 1 e dunque ha vertici (0, 0), (0, 1), (1, 0) e (1, 1) (il cubo viene determinato in modo analogo). Facciamo poi riferimento alla rappresentazione decimale dei numeri reali e, conseguentemente, scriviamo ogni r in [ ] 0 ; 1 nella forma 0, r

0

r

1

r

2

... r

n

... dove r

i

(per i naturale) è una cifra tra 0 e 9; ricordiamo che anche 1 ammette una tale decomposizione, come 0,9999... .

Questa rappresentazione decimale non è sempre unica, ma l'unico motivo di ambiguità è quello già osservato a proposito di 1=0,999...; infatti due decomposizioni decimali corrispondono allo stesso numero se e solo se una è della forma 0,r

0

r

1

... r

n

con r

n

≠ 0 (dopo di che si stabilizza uniformemente a 0) e l'altra 0,r

0

r

1

... (r

n

-1)9999...: ad esempio, 0,5 = 0,49999... . Così, possiamo convenire di fare comunque costante riferimento ad una delle due rappresentazioni, magari alla seconda. A questo punto, l'idea per una corrispondenza biunivoca tra [ ] [ ] 0 ; 1 × 0 ; 1 e [ ] 0 ; 1 è, tutto sommato, semplice: associamo alla coppia ( ) r, s di reali in [ ] 0 ; 1 , r = 0,r

0

r

1

r

2

..., s =0,s

0

s

1

s

2

... , il numero 0,r

0

s

0

r

1

s

1

r

2

s

2

... che riproduce, con le cifre di posto pari, la rappresentazione di r e, con quelle di posto dispari, la rappresentazione di s. Messa in questi termini, la corrispondenza è ancora rozza e necessita di qualche raffinamento; ma, sistemati alcuni dettagli, l'idea funziona e stabilisce la corrispondenza biunivoca richiesta tra quadrato e lato. Allo stesso modo si procede per cubo e

1

Informalmente, due spazi sono omeomorfi se possono essere deformati l'uno nell'altro senza "strappi",

"sovrapposizioni" o "incollature".

(10)

Franco Fusier Rev. 10/2007 – Pag. 10

lato. Anzi lo stesso ragionamento può essere adoperato per provare che la retta ha tanti punti quanti il piano

2

o lo spazio tridimensionale

3

.

Questi, ed altri esempi, confermano l'impressione superficiale accennata qualche capoverso fa: tutti gli insiemi infiniti sembrerebbero avere lo stesso numero di elementi, appunto perché infiniti. Aggiungere o togliere un elemento, o due elementi, o anche più elementi, non ne altera il numero complessivo. Dunque, non vale la pena di discutere sull'argomento, di usare sofismi per distinguere il contare e il confrontare e tentare un'improbabile misurazione di un infinito che non vuole essere misurato.

Semmai le precedenti osservazioni possono servirci per dare una definizione matematica precisa e convincente di quel che è un insieme infinito e, come abbiamo visto, accogliendo la proposta avanzata da Dedekind nel 1888 (nell'opera Il finito e l'infinito), chiamare un insieme A infinito quando può essere messo in corrispondenza biunivoca con un suo qualche sottoinsieme proprio: condizione, questa, che non può certo essere soddisfatta nei contesti finiti, ma che costantemente registriamo non appena ne andiamo al di fuori. Ma quanto a cercare più possibili livelli di infinito, tutto lascia presagire che sia fatica inutile.

Eppure... eppure le cose in Matematica non sempre sono così evidenti e intuitive. Ad esempio, sempre per rimanere sul tema di come definire l'infinito, Cantor propose (rispetto a Dedekind) un approccio formalmente diverso, che chiama un insieme A infinito quando non è possibile metterlo in corrispondenza biunivoca con alcun insieme della forma { 0 ; 1 ; 2 ; 3 ; … ; n }

con n naturale

2

. Ad occhio, le due definizioni - quella di Dedekind e quella di Cantor - sembrano entrambe adeguate e tra loro equivalenti. Per dimostrare l'equivalenza delle due definizioni è invece indispensabile il cosiddetto assioma della scelta.

Così, anche a proposito di certe sensazioni sulla presunta piattezza di tutti gli insiemi infiniti, c'è da andare prudenti. E infatti nel 1874...

1.3 Il paradiso di Cantor

1.3.1 Introduzione

"Dopo Kant ha acquistato cittadinanza tra i filosofi la falsa idea che il limite ideale del finito sia l'assoluto, mentre in verità tale limite può venir pensato solo come transfinito [...] e precisamente come il minimo di tutti i transfiniti..." (G. Cantor 1885).

Come abbiamo visto, l'idea dominante fino a Cantor era stata infatti che se l'infinito esiste allora è unico, è l'assoluto oltre il quale non si può andare. Cantor dimostrò invece (1874) che non tutti gli infiniti sono uguali e ci sono più possibili modi di essere "infinito";

esistono cioè infiniti più grandi e infiniti più piccoli.

2

Cioè un insieme A si dice infinito se ogni suo sottoinsieme finito è un sottoinsieme proprio.

3 / 1 1 / 2 2 / 1 1 / 1 0

2 2

1 1

0

16 9

4 1

0

4 3

2 1

0

2

Q Z N

N

(11)

Franco Fusier Rev. 10/2007 – Pag. 11

1.3.2 ÆRichiami sulle “relazioni d’equivalenza”

Relazione di equivalenza ⇔ classificare gli elementi di un insieme e suddividerli in classi di equivalenza.

In matematica una proposizione è una affermazione di cui si possa dire in modo incondizionato se è vera o falsa. Una affermazione la cui verità o falsità dipende dal valore assunto dalle variabili in essa contenute è detta proposizione aperta.

Una proposizione aperta è costituita da un predicato P e da una o più variabili x, y, ...;

pertanto la indichiamo con P(x,y,...).

Consideriamo la proposizione aperta P(x,y) a due variabili; se x assume valori nell'insieme A e la variabile y nell'insieme B, diciamo che P(x,y) è definita sul prodotto cartesiano A× . B

Definizione

Siano A e B due insiemi non vuoti e P(x,y) una proposizione aperta definita sul prodotto cartesiano A× . Si dice che P(x,y) individua una relazione da A in B. B

Sia ( a ; b ) ∈ A × B ,

• se P(a,b) è una proposizione vera, diremo che "a è in relazione con b" e scriveremo aℜ b ;

• se P(a,b) è una proposizione falsa, diremo che "a non è in relazione con b" e scriveremo aℜ . b

Data una proposizione aperta P(x,y) definita su A × , si dice insieme soluzione di B P(x,y) l'insieme delle coppie ordinate (a,b) per le quali P(a,b) è vera.

Definizione

Sia S un insieme non vuoto.

Una relazione ℜ su S si dice d'equivalenza se sono verificate le seguenti tre proprietá:

1) 1. aℜa , per ogni a∈S (proprietá riflessiva);

2) 2. a,b∈S , aℜb ⇒ bℜa (proprietá simmetrica);

3) 3. a,b,c∈S , aℜb e bℜc ⇒ aℜc (proprietà transitiva).

Di solito una relazione d'equivalenza si denota con uno dei simboli ~ , ≅, ≈ e due elementi di S che sono in relazione si dicono equivalenti.

Sia ℜ una relazione di equivalenza in un insieme S non vuoto. Scriveremo a≅ b invece di aℜb e diremo che "a è equivalente a b".

Per ogni elemento a∈S consideriamo il sottoinsieme di S costituito da tutti gli elementi di S che sono equivalenti all'elemento a. Si dice Classe di equivalenza di a rispetto ad ℜ C

a

= {x∈A: x≅ a} = [a].

1.3.3 ÆRichiami sulle “relazioni d’ordine”

Relazione d'ordine ⇔ ordinare gli elementi di un insieme

In matematica, una relazione binaria ℜ entro un insieme S, cioè un sottoinsieme di

{ a b a S b S }

S

S × = ( ; ) ∈ , ∈ , si dice relazione d'ordine (entro S) se soddisfa le seguenti tre

proprietà:

(12)

Franco Fusier Rev. 10/2007 – Pag. 12

• riflessiva: per ogni aS vale aℜ a ;

• antisimmetrica: per ogni a , bS se aℜ b e bℜ a , allora a = b ;

• transitiva: per ogni a , b , cS se vale aℜ b e bℜ c , allora vale anche aℜ c .

Le relazioni d'ordine si indicano tradizionalmente con il più familiare simbolo " ≤ " (è da notare che in questo caso il simbolo " ≤ " può denotare relazioni d'ordine differenti da quella che denota nell'ambito dell'insieme dei numeri reali o di suoi sottoinsiemi).

Una relazione d'ordine si dice anche ordine (che può però essere confuso con un ordine totale) o ordine parziale. La coppia ( ) S ; ≤ costituita da un insieme e da una relazione d'ordine su di esso si dice insieme parzialmente ordinato, o anche semplicemente insieme ordinato (che può però essere confuso con un insieme totalmente ordinato).

Un insieme parzialmente ordinato si dice totalmente ordinato se per ogni a , bS vale b

a ≤ oppure ba .

1.3.4 Non numerabilità di

Si può vedere come molti insiemi che sembrano più grandi dei numeri naturali sono in realtà numerabili, ma non ogni insieme infinito è numerabile.

In particolare, i punti della retta reale non sono tanti quanti i numeri naturali . Non c'è corrispondenza biunivoca possibile tra i due insiemi. Dimostrando quest'ultima affermazione il 12 Dicembre 1873 Cantor fece fare un passo avanti al pensiero matematico e filosofico e provò l'esistenza dell'infinito attuale transfinito, sempre accrescibile, non assoluto.

La pubblicazione della dimostrazione di questa sorprendente novità avvenne, dopo aver atteso il parere e i suggerimenti di Dedekind, nel 1874. Ma la prova più famosa - quella che oggi viene comunemente citata nei manuali di Teoria degli insiemi e che usa l'argomento comunemente chiamato diagonalizzazione - è successiva di qualche anno e risale al 1891.

Vale dunque il seguente Teorema (Cantor, 1874)

Non c'è corrispondenza biunivoca possibile tra l'insieme dei reali e l'insieme dei naturali.

Ripercorriamo la seconda dimostrazione di Cantor, quella del 1891. La prima osservazione è che, siccome già sappiamo che e l'intervallo aperto ] [ 0 ; 1 sono in

corrispondenza biunivoca, ci basta escludere qualunque corrispondenza biunivoca tra quest'ultimo e . Prendiamo allora una qualunque funzione f da N a ] [ 0 ; 1 e mostriamo che non può essere biiettiva, anzi mostriamo di più e proviamo che non può essere neppure semplicemente suriettiva.

Per ottenere questo risultato, facciamo di nuovo riferimento alla rappresentazione decimale dei reali r già descritta qualche riga fa. In questo caso, però, ci restringiamo a

] [ 0 ; 1

r (così trascuriamo 0=0,00... e 1=0,99...). Per ogni n naturale, il reale

] [ 0 ; 1

) ( n

f ammette la sua rappresentazione decimale, che è anche unica se eliminiamo i marginali motivi di ambiguità sopra ricordati. Costruiamo allora un nuovo numero reale

] [ 0 ; 1

r ∈ diverso da tutti gli f (n ) , e quindi esterno alla immagine di f, nel modo seguente: la

cifra di posto 0 dello sviluppo decimale di r è diversa da quella di f ( 0 ) , la cifra di posto 1 è

differente da quella di f ( 1 ) , la cifra di posto n da quella corrispondente in f (n ) , e così via. Il

(13)

Franco Fusier Rev. 10/2007 – Pag. 13

nostro r può essere esplicitamente costruito, e risulta diverso da ogni f (n ) perché differisce da esso nella cifra n-esima dello sviluppo decimale unico.

Allora r non può appartenere all'immagine di f e f non è suriettiva. In poche parole è impossibile ospitare nell'Albergo di Hilbert tutti i numeri reali.

Quindi, ci sono almeno due maniere distinte di essere infiniti, quella dei naturali (e, se è per questo, anche degli interi, dei razionali e così via) e quella dei reali (e di ] [ 0 ; 1 e di ogni intervallo o semiretta di ). Risultato sorprendente e quasi scandaloso, se riflettiamo al contesto storico in cui maturava (la citazione di Gauss sul divieto di trattare l'infinito attuale in Matematica risaliva a pochi anni prima).

Cantor riuscì presto a generalizzare ulteriormente il risultato precedente e provare che c'è addirittura un'infinità di modi diversi di essere infinito. Infatti, come risulta da un suo teorema del 1883 (poi perfezionato in una più semplice dimostrazione del 1892), nessun insieme A può essere in corrispondenza biunivoca con l'insieme P (A ) dei suoi sottoinsiemi

3

.

Ora, la disparità di elementi tra un insieme e l'insieme delle sue parti è risultato ben noto nei contesti finiti: una semplice e classica applicazione del principio di induzione, spesso utilizzata nei testi di Matematica proprio ad esemplificare il principio stesso, mostra che, se A ammette un numero finito n di elementi, allora A ha 2 sottoinsiemi

n 4

.

La novità del risultato di Cantor è che la cosa si trasferisce anche ai casi infiniti. Così, ad esempio, il "numero" dei naturali è differente da quello degli insiemi di naturali e poi da quello degli insiemi di insiemi di naturali e così via, in un procedimento senza fine che produce infiniti sempre nuovi. Chi poi è interessato a conoscere a quale livello di questa costruzione si incontrano i reali sarà contento di sapere che essi sono tanti quanti i sottoinsiemi dei naturali: teorema che richiede una qualche fatica, ma ha una sua convincente dimostrazione

Teorema (Cantor, 1883)

Per nessun insieme A ci può essere una corrispondenza biunivoca da A su P(A).

3

Il cosiddetto ‘Assioma dell’insieme delle parti’ di Zermelo-Fraenkel stabilisce l’esistenza dell’insieme delle parti di qualunque insieme.

4

In matematica, dato un insieme S, l'insieme delle parti di S, scritto P (S ) o 2

S

, è l'insieme di tutti i sottoinsiemi di S. Questa collezione di insiemi viene anche detta insieme potenza di S. Per esempio, se S è l'insieme { a ; b ; c } , allora la lista completa dei suoi sottoinsiemi risulta: φ , { } a , { } b , { } c , { } a; b ,

{ } a; c , { } b; c , { a ; b ; c } ≡ S . Pertanto l'insieme delle parti di S è

{ } { } { } { } { } { } { a b c a b b c a c S }

S

P ( ) = φ ; , , , ; , ; ; ; ;

È immediato verificare che, per ogni insieme costituito da un numero finito di elementi, se

) (S card

n = , allora card ( P ( S ) ) = 2

n

.

(14)

Franco Fusier Rev. 10/2007 – Pag. 14

La dimostrazione ripete in un contesto più generale l'argomento della diagonalizzazione.

Infatti, dati un qualunque insieme A e il suo insieme potenza P ( A ) (contenente tutti e soli i sottoinsiemi di A) non può esistere una corrispondenza suriettiva (e conseguentemente neppure biunivoca) tra A e P ( A ) . Per dimostrarlo si ragiona per assurdo :

• supponiamo per assurdo che f : AP ( A ) sia una corrispondenza biunivoca;

• costruiamo un nuovo sottoinsieme B di A in maniera che questo non possa essere nessuno degli insiemi f(a) aA : il modo più semplice è quello di dire che per ogni a il nuovo sottoinsieme B contiene a se e solo se af (a ) , ovvero B = { aA af (a ) } , che equivale a dire aBaf (a ) ;

• il sottoinsieme B non è vuoto, in quanto in P (A ) esistono insiemi costituiti, a loro volta, da insiemi aventi tutti almeno due elementi;

• per come abbiamo definito B questo non può essere un insieme f(a) per nessun aA , infatti se c'è un bA per cui B = f (b ) avremmo ) bB = f ( b ) ⇔ bf ( b , che è una contraddizione.

Si ha quindi: card ( A ) < card ( P ( A ))) .

Visto che gli insiemi infiniti non sono tutti in corrispondenza biunivoca tra loro, ha senso classificarli proprio tramite il "numero" dei loro elementi. A questo fine, Cantor sviluppò la teoria dei numeri cardinali. In essa, si considera nella collezione di tutti gli insiemi (finiti e infiniti) la relazione che ne accomuna due, A e B, se e solo se A e B sono in

corrispondenza biunivoca tra loro. Si verifica che questa relazione è di equivalenza e, come tale, determina una partizione degli insiemi in classi: A e B si trovano nella stessa classe se e solo se c'è una corrispondenza biunivoca tra loro e quindi, in conclusione, se e solo se hanno, appunto, lo stesso "numero" di elementi. Le classi di equivalenza vengono chiamati numeri cardinali.

Tra di loro compaiono tutti i naturali (che possono essere identificati con i cardinali degli insiemi finiti) ma anche nuovi numeri infiniti, quali ℵ (aleph con zero), simbolo che Cantor propose nel

0

1893 a denotare il cardinale di (aleph è la prima lettera dell'alfabeto ebraico) oppure il cardinale di (che Cantor chiamò il continuo e la sua cardinalità è indicata con una c gotica minuscola, che sta appunto per «continuo», anche se oggi giorno si preferisce rappresentarlo con 2

0

, visto che i reali sono tanti quanti i sottoinsiemi degli naturali e che, almeno nei contesti finiti, n elementi producono n sottoinsiemi).

2

1.3.5 Alcune proprietà dei numeri cardinali

I numeri cardinali si possono sommare, moltiplicare, ordinare proprio come i naturali, anzi estendendo opportunamente le definizioni che queste operazioni e relazioni hanno in . Ad esempio, se a e b sono i cardinali degli insiemi A e B rispettivamente, si pone ab se e solo se c'è un'immersione (una funzione iniettiva) di A in B. È facile vedere che questa definizione è ben posta, in altre parole dipende solamente da a e b e non dalla conseguente scelta di A e B, che potrebbe non essere unica. Di più, la nuova relazione estende ovviamente l'ordine di : infatti, è una semplice constatazione di calcolo combinatorio osservare che due naturali n, m soddisfano n ≤ se e solo se gli insiemi con n elementi si possono immergere m in quelli con m elementi.

Richard Dedekind

(15)

Franco Fusier Rev. 10/2007 – Pag. 15

Pur tuttavia, il nuovo contesto infinito rivendica talora la sua specificità. Alcune proprietà, che per insiemi e numeri finiti paiono ovvie, non si estendono automaticamente ai cardinali infiniti. Ad esempio, non è affatto semplice provare che l'ordine dei cardinali soddisfa in generale la proprietà antisimmetrica, il fatto cioè che due cardinali a e b, per cui vale tanto ab quanto ab , siano uguali (ovvero, per dirla in termini più elementari, che due insiemi A e B l'uno immergibile nell'altro sono in corrispondenza biunivoca tra loro).

Anche se la proprietà è ben nota nel contesto ristretto dei naturali ed intuitivamente convincente, in generale non è facile provarla nell'ambito esteso dei cardinali, tanto è vero che il relativo risultato costituisce un teorema non banale, di genesi travagliata e di varia paternità (attribuito com'è a Cantor, Bernstein, Schröder).

Se poi consideriamo l'altra ovvia proprietà dell'ordine di N, la sua linearità (il fatto cioè che, tra due numeri naturali n e m, ce n'è sempre uno più piccolo e uno più grande) e pretendiamo di trasferirla così come è a cardinali arbitrari (ad intendere che, comunque dati due insiemi A e B, si può immergere A in B oppure B in A), ci troviamo di fronte a sorprese anche maggiori: non più teoremi complicati, ma proposizioni dibattute e delicate quali l'Assioma della Scelta (di cui, appunto, la linearità dell'ordine cardinale è una possibile formulazione)

5

.

Osserviamo che a questo punto possiamo costruire una successione infinità di cardinali transfiniti

2

0

, 2

20

, 2

220

… ecc.

ognuno dei quali è maggiore del precedente, cioè

20

0 2 0 2

2

< 2

< 2

<…

5

Siano M e N due insiemi qualsiasi, si pone, per maggiore compattezza, M = card (M ) e )

(N card

N = . Si può introdurre la seguente relazione fra numeri cardinali:

N

M se e solo se esiste una funzione iniettiva f : M → N;

inoltre si pone

N

M < se MN e MN .

La relazione “ ≤ ”soddisfa evidentemente la proprietà riflessiva (un insieme è in corrispondenza biunivoca con se stesso) e la transitiva (la composizione di due funzioni iniettive, se possibile, è ancora iniettiva).

La dimostrazione della proprietà antisimmetrica, non è di Cantor, ma di Bernstein che la espose nel 1897 (in realtà era già nota a Dedekind dal 1887, ma da lui non fu mai pubblicata):

se MN e NM allora M = N .

A questo punto possiamo affermare che ≤ è una relazione d’ordine parziale su un qualunque insieme di cardinali.

Una questione che Cantor lasciò aperta fu quella di sapere se due cardinali qualsiasi siano sempre confrontabili, cioè se dati due cardinali a, b valga una delle tre relazioni (Legge di tricotomia):

a < b, b < a, a = b.

Egli infatti stabilì che la legge di tricotomia è valida per cardinali di insiemi bene ordinati, ma non riuscì a dimostrarlo nel caso generale.

La risposta (positiva) alla domanda fu data da E. Zermelo dapprima nel 1904 e poi, con una diversa

dimostrazione, nel 1908. Egli provò, usando l’assioma della scelta, che ogni insieme può essere bene ordinato

(questo teorema è noto come teorema del buon ordinamento).

(16)

Franco Fusier Rev. 10/2007 – Pag. 16

Sappiano inoltre che i cardinali transfiniti possono essere ordinati

3

2 1

0

< ℵ < ℵ < ℵ ℵ

Negli anni 1895–97 Cantor mise a punto un’aritmetica dei numeri transfiniti, con regole per sommarli, moltiplicarli, elevarli ad una potenza, come, per esempio:

1 1 0

+ ℵ = ℵ

ℵ ℵ

1

⋅ ℵ

3

= ℵ

3

2 ℵ

1

= ℵ

1

.

Dunque l'ordine dei cardinali, così come per altri versi la loro aritmetica (somma e prodotto), ha le sue peculiarità, le sue difficoltà, i suoi problemi. Ma approfondire questa teoria ci porterebbe lontano. Non possiamo però fare a meno di citare un'altra questione famosa e dibattuta a proposito dei cardinali e del loro ordine, uno di quei problemi che non si possono dimenticare: l'Ipotesi del Continuo.

L’ipotesi del continuo riguarda ancora reali e naturali. Una volta stabilito che i primi non sono altrettanto numerosi quanto i secondi, Cantor si chiese che cosa poteva dirsi dei sottoinsiemi infiniti di : alcuni, come i razionali, sono in corrispondenza biunivoca con , altri, come ]0, 1[, con l'intero . Ebbene, ci sono altri casi possibili e, dunque, livelli di infinito intermedi tra e ?

Con altri termini, sappiamo che c = 2

0

e che ℵ

1

è il successivo immediato di ℵ . Da

0

ciò allora segue immediatamente che ℵ

1

≤ c, possiamo però dire che

1

= 2

0

= c?

6

Cantor presuppose di no, senza però riuscire a trovare una dimostrazione. Hilbert inserì la questione al primo posto nella celebre lista di 23 problemi aperti di Matematica, da lui proposta al Congresso Internazionale di Parigi la mattina del 8 agosto 1900. La congettura di Cantor fu chiamata, appunto, Ipotesi del Continuo. Ancor oggi, oltre un secolo dopo la sua proposizione, non trova una risposta definitiva (ammesso che possa averla).

Torniamo comunque ai numeri infiniti e consideriamo il tema delle reazioni alle scoperte di Cantor. Come si può facilmente immaginare, studiare l'infinito attuale, toccarlo, maneggiarlo, misurarlo non poteva essere esercizio tranquillo ed indolore. Intanto, la questione aveva risvolti religiosi. Come è stato accennato all'inizio, l'Infinito sembrava argomento più da teologi e filosofi che da matematici.

Cantor, che era credente e si occupava anche di teologia, cercò di approfondire la questione, dedicandovisi tra il 1885 e 1888 e giungendo a distinguere due possibili infiniti attuali: nella sua visione il primo, che chiamò Assoluto, ha la I maiuscola, si applica solo a Dio, è tema della religione e non può essere umanamente percepito e accostato per via scientifica; l'altro, che battezzò Transfinito per sottolinearne la differenza rispetto al precedente e tenerlo alla dovuta distanza, è appunto l'infinito della Matematica, l'oggetto delle sue ricerche, sul quale si può lavorare e disquisire senza con questo pretendere di misurare il Paradiso con i suoi angeli.

“…Avviene un’altra frequente conclusione con lo scambio tra le due forme di infinito attuale, e precisamente quando si mettono insieme il Transfinito e l’Assoluto, mentre questi

6

Vi è anche una generalizzazione dell'ipotesi del continuo (Felix Hausdorff, 1908), denominata ipotesi generalizzata del continuo, che afferma che per ogni cardinale transfinito è esprimibile mediante la relazione

α+

=

α

1

2 .

(17)

Franco Fusier Rev. 10/2007 – Pag. 17

due concetti sono rigorosamente separati, in quanto il primo è relativo ad un infinito attuale, si, ma ancora accrescibile, il secondo a un infinito non accrescibile e pertanto non determinabile matematicamente”

Risolta per questa via (ed anzi con il Nulla Osta delle autorità religiose di Roma) la questione teologica, Cantor doveva ancora superare la diffidenza della comunità scientifica rispetto alle sue nuove teorie matematiche. La sua opera cozzava infatti chiaramente contro il dettato aristotelico e, quel che è forse peggio, contro il parere di matematici illustri, contemporanei o poco precedenti.

Abbiamo già citato l'opinione di Gauss sull'infinito attuale in Matematica (da vietare categoricamente). Anche Kronecker, che pure era stato il maestro di Cantor durante i suoi studi universitari a Berlino, ne rifiutò le scoperte:

"il lavoro di Cantor sui numeri transfiniti e sulla teoria degli insiemi non è Matematica, ma misticismo" ed aggiungeva, come già ricordato, che "i numeri interi positivi sono i soli creati di Dio; tutto il resto è opera dell'uomo e quindi sospetto".

Altri grandi matematici apprezzarono invece l'opera di Cantor e la accolsero con entusiasmo. Del resto, Cantor aveva - per così dire - dischiuso all'uomo l'infinito degli angeli, un paradiso lungamente nascosto e ritenuto inaccessibile per millenni. Così Bertrand Russell scriveva nel 1910: "la soluzione delle difficoltà che in passato circondavano l'infinito matematico è probabilmente la massima conquista che la nostra epoca ha da vantare" e David Hilbert definiva la teoria dei cardinali "un prodotto sbalorditivo del pensiero umano" e commentava: "nessuno riuscirà mai ad cacciarci dal paradiso che Cantor ha creato per noi".

Pur tuttavia, la vita di Cantor dopo la scoperta dell'infinito non fu un paradiso (neppure matematico) ma piuttosto uno di quegli inferni che gli scienziati sanno ben costruire (quando vogliono) per i loro colleghi, lastricato di invidie, polemiche, ostracismi, dispetti.

Cantor non ebbe possibilità di carriera universitaria e rimase confinato nella piccola sede di Halle. Ebbe progressive crisi di depressione, fu ricoverato in clinica psichiatrica e lì, nel 1918, morì.

Nel 1921 David Hilbert affermò: "L’infinito! Nessun altro problema ha mai scosso così profondamente lo spirito umano; nessuna altra idea ha stimolato così proficuamente il suo intelletto; e tuttavia nessun altro concetto ha maggior bisogno di chiarificazione che quello di infinito" e ancora “l’aritmetica transfinita è il prodotto più stupefacente del pensiero matematico, una delle più belle creazioni dell’attività umana nel campo dell’intelligibile”.

1.4 ÆUn insieme curioso: la “Polvere di Cantor”

1.4.1 ÆPremessa: costruiamo un nuovo insieme infinito

Abbiamo già dimostrato (con il metodo diagonale di Cantor) che i numeri reali sono troppi per essere disposti ‘in fila indiana’; si può inoltre provare, con un procedimento quasi identico, che anche gli elementi dell’insieme

Bertand Russell

David Hilbert

(18)

Franco Fusier Rev. 10/2007 – Pag. 18

godono della stessa proprietà.

Osserviamo che appartengono ad E, ad esempio, i numeri: 0,01010101; 0,01100101;

0,100100100 ; 0,1111….

Per comodità pensiamo che le cifre decimali di ogni elemento di E siano infinite e – qualora non lo fossero – poniamo degli zeri in coda.

Ragioniamo per assurdo, supponendo che E sia numerabile; ciò significa che gli elementi di E si possono disporre in fila indiana, secondo lo schema sottostante, in modo che la fila indiana contenga tutti gli elementi di E e senza ripetizioni:

Mediante le cifre decimali disposte lungo la freccia, possiamo costruire il numero

con :

e così via.

Il nuovo numero y è un elemento di E, perché le sue cifre decimali sono solo 0 oppure 1, ma è diverso dal primo elemento di E nella fila indiana, perché ne differisce per la prima cifra decimale; è diverso dal secondo numero, perché ne differisce per la seconda cifra decimale; è diverso dal terzo, perché ne differisce per la terza cifra decimale; e così via.

Essendo diverso da tutti gli elementi di E della “fila indiana”, non potrà stare in questa;

ma ciò è assurdo, perché avevamo supposto che la fila indiana contenesse tutti gli elementi di E e y appartenente E. L’assurdo deriva dall’aver supposto che E sia numerabile. Siamo quindi ancora di fronte ad un tipo di infinito maggiore rispetto al numerabile, ma di quale cardinalità si tratta?

L’insieme E può essere riguardato anche in un altro modo: i suoi elementi non sono altro che tutti e soli i numeri reali dell’intervallo [ ] 0 ; 1 scritti in numerazione binaria. Quindi E è equipotente all’intervallo [ ] 0 ; 1 , quindi la sua cardinalità è quella del continuo.

1.4.2 ÆLa Polvere di Cantor

Lo scopo di Cantor nel proporre (1883) questo strano insieme era di dimostrare che si

può avere un insieme con un numero infinito non numerabile di punti ma di lunghezza nulla.

(19)

Franco Fusier Rev. 10/2007 – Pag. 19

Dato l’intervallo [ ] 0 ; 1 , supponiamo di dividerlo in tre parti uguali e poi di cancellare la parte centrale. Ci restano due intervalli su cui operiamo in modo analogo: dividiamo ognuno di essi in tre parti uguali e poi cancelliamo la parte centrale.

Un importante assioma della geometria ci assicura che è possibile dividere un segmento in un qualsiasi numero di parti uguali: il procedimento sopra descritto potrà essere ripetuto senza limite.

Si procede via via così, ottenendo gli insiemi C

0

, C

1

, C

2

, C

3

, … e la figura limite che resta al termine del procedimento (che in realtà non termina mai, ma possiamo pensare di giungerne alla fine solo idealmente) è un insieme detto polvere di Cantor o insieme ternario di Cantor, un frattale.

Poniamoci adesso questa prima domanda: quanto misura complessivamente ciò è stato cancellato dall’intervallo [ ] 0 ; 1 ?

La lunghezza della figura diventa ogni volta i 2/3 della precedente, infatti ogni volta eliminiamo la terza parte centrale di ognuno dei segmenti. Dopo un numero “infinito” di passi, avremo cancellato intervalli per una misura totale pari a

7

1 3 2 1 3 1 3

2 3 2 3 2 3 1 3 1 3

2 3 2 3

2 3 1 27

8 3 1 9 4 3 1 3 2 3 1 3 1

3 3 2 2 4

3 3 2

2

⎟⎟ ⎠ = + ⋅ =

⎜⎜ ⎞

⎛ + + +

+

= + + + +

= +

⋅ +

⋅ +

⋅ +

Quindi, alla fine del processo di cancellazione, avremo eliminato intervalli di misura complessiva pari a 1. Ma allora la polvere di Cantor, che è ciò che resta dell’intervallo [ ] 0 ; 1 , sarà un insieme di misura 0.

Poniamoci ora una seconda domanda: quanti sono i punti dell’insieme di Cantor?

7

Supponiamo di voler calcolare la seguente somma infinita (serie): = +

22

+

33

+ 3 2 3 2 3

S 2 .

Possiamo procedere, intuitivamente, sfruttando le proprietà della somma infinita e scrivere

⎟⎟ ⎠

⎜⎜ ⎞

⎛ + + +

+

= + + +

=

22 33 22 33

3 2 3 2 3 2 3 2 3 2 3

2 3 2 3 S 2

Ma la quantità compresa dentro la parentesi è identica a quella da cui siamo partiti, pertanto

→ +

= S

S 3

2 3

2 2

3 2 3

1 S = → S =

Insieme ternario di Cantor (“Polvere di Cantor”)

C

0

C

1

C

2

C

3

C

4

0 1/3 2/3 1

C

5

(20)

Franco Fusier Rev. 10/2007 – Pag. 20

Pensiamo di numerare in base 3. Quando da [ ] 0 ; 1 cancelliamo la parte centrale, eliminiamo tutti i numeri scritti nella forma 0,1…, mentre manteniamo quelli scritti nella forma 0,0… e 0,2…

Al secondo passo cancelliamo tutti quelli della forma 0,01… e 0,21…, mentre teniamo tutti quelli della forma 0,00…, 0,02…, 0,20…, 0,22… Analogamente, al terzo passo eliminiamo tutti i numeri con la terza cifra dopo la virgola uguale ad 1, mentre teniamo tutti quelli le cui prime tre cifre dopo la virgola sono solo 0 oppure 2.

Proseguendo via via così, otteniamo che la polvere di Cantor è costituita da tutti i numeri scritti in base 3 nella forma 0,a

1

a

2

a

3

a

4

a

5

…… dove ognuno degli infiniti a

i

è 0 oppure 2, per ogni i = 1, 2, ... n,…

Basta scambiare ogni 2 con un 1 per capire che abbiamo un insieme equipotente all’insieme E incontrato nel paragrafo precedente e quindi la polvere di Cantor ha la potenza del continuo, risultato che sembra paradossale, perché si tratta di un insieme di misura nulla e che non contiene alcun segmento, comunque piccolo lo si pensi.

Un'altra caratteristica interessante di C è il fatto che esso contiene infinite copie di se stesso, in scala ridotta: basta ricordare che già C

n

, come abbiamo più sopra osservato, contiene due copie, in scala ridotta di 1/3, di C

n-1

. Questo fatto implica che l'ingrandimento di una qualunque porzione di C è sempre simile a C, ovvero che, anche se si esamina una porzione infinitamente piccola di C, la complessità di C non diminuisce. E' proprio questa caratteristica che l’insieme “polvere di Cantor” è oggi spesso presentato come uno degli esempi fondamentali di frattale, cioè come un oggetto di quella geometria ideata da Mandelbrot solo nel 1975-80 e che da allora si mostra sempre più utile non solo per descrivere la natura, ma per molteplici applicazioni che vanno dalla scenografia cinematografica allo studio del battito cardiaco.

1.5 Cenni sulla crisi dei fondamenti della matematica

La teoria degli insiemi di Cantor è un indubbio capolavoro e stupisce per la chiarezza con cui tratta quell'orribile infinito che aveva offuscato le migliori menti

8

, per imbrigliarlo in definizioni concise ed eleganti. Essa difettava però proprio nella definizione di partenza, cioè nella definizione di insieme, che era: per insieme si intende un raggruppamento in un tutto di oggetti ben distinti della nostra intuizione o del nostro pensiero.

Ma cos'è un raggruppamento? E un tutto? Un oggetto? Ebbene Cantor non ci dice niente di preciso sui primi due ma dice chiaramente che oggetto è una nozione intuitiva dell'uomo

9

. Dunque la matematica, anche per Georg Cantor, nasce dall'intuizione

10

.

8

Come abbiamo già visto, va sottolineato che un vero e proprio pioniere della teoria degli insiemi fu Galileo; quest’ultimo già 250 anni prima di Cantor aveva notato come l'assioma euclideo "il tutto è maggiore di una sua parte" non può essere applicato agli insiemi infiniti, visto che n n

2

mette in corrispondenza biunivoca i naturali e i loro quadrati.

9

In molte esposizioni il concetto di insieme è considerato primitivo ed intuitivo.

• "primitivo" perché viene introdotto come nozione non derivabile da concetti più elementari,

• "intuitivo" perché viene introdotto come generalizzazione della nozione di insieme finito, concetto a sua

volta introdotto con metafore come quella dell'elenco di identificatori di oggetti o di scatola contenente

oggetti materiali (tendenzialmente omogenei); questa impostazione fa talora riferimento al convincimento

che l'idea di insieme nasca spontaneamente nella nostra mente ed ivi ne sia sepolta.

(21)

Franco Fusier Rev. 10/2007 – Pag. 21

E' strano che proprio la teoria degli insiemi, che sarà una delle principali armi utilizzate contro l'intuizione, era stata costruita dal suo fondatore intorno a una definizione che ricorreva all'intuizione esplicitamente (la nominava addirittura), riconoscendole quindi una esistenza fuori discussione.

Vedremo nel seguito che sarà proprio la natura intuitiva del concetto di insieme a cozzare, a causa dei paradossi che emergeranno, con le pretese di una matematica antiintuitiva. Usando la teoria ingenua degli insiemi è infatti possibile costruire delle antinomie (paradossi), la più famosa delle quali è quella formulata da Bertrand Russell

11

(1902).

In seguito al ritrovamento di queste antinomie si sviluppa una discussione su quali siano i fondamenti della matematica, che va sotto il nome di “crisi dei fondamenti” e nascono dubbi sulla teoria degli insiemi creata da Cantor. Si tentò quindi di dare una base assiomatica alla teoria degli insiemi al fine di renderla coerente. Molti studiosi presentarono vari sistemi, il primo fu il tedesco Ernst Zermelo (1871-1953) che restrinse il concetto di insieme in modo da non includere insiemi paradossali. (vennero banditi per esempio l’insieme di tutti gli insiemi, l’insieme di tutti i cardinali, ecc.) La sua teoria fu poi perfezionata da Abraham Fraenkel

(1891-1965) e allo stato attuale in essa non sono emerse antinomie.

Gli assiomi Zermelo-Fraenkel (ZF) sono gli assiomi standard della teoria assiomatica degli insiemi su cui, insieme con l'assioma di scelta (ZFC), si basa tutta la matematica ordinaria secondo formulazioni moderne.

Non si può non ricordare però, a riprova dell'importanza che l'opera di Cantor ha avuto nella storia, la notissima affermazione che David Hilbert fece nel 1925 (come dice Boyer, "di fronte all'esitazione di anime timide"): "Nessuno ci scaccerà dal paradiso che Cantor ha creato per noi ".

1.6 L’ipotesi del continuo (Kurt Gödel e Paul J. Cohen)

Come abbiamo visto, Cantor ha dimostrato che, oltre l’infinito dei numeri naturali, esiste un secondo livello di infinito, quale è quello dei numeri reali o dei punti di un segmento, che non è equipotente ad aleph-zero ( ) ℵ , ma è di ordine superiore: è l’infinito

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continuo.

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Non si riuscirà mai, anche dopo Cantor, a dare una definizione di insieme che non faccia ricorso a nozioni intuitive.

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L'episodio che aprì ufficialmente la crisi dei fondamenti fu una lettera che il giovane Bertrand Russell spedì a Frege il 16 giugno 1902, proprio mentre si stava ultimando la stampa del II volume dei Grudgesetze der Arithmetik. Russell lo informava di un'antinomia derivabile dal sistema logico della sua opera. L’antinomia di Russell è qui di seguito riportata.

Antinomia di Russell Diciamo un insieme normale se esso non è un elemento di se stesso. Altrimenti lo diremo non normale. Ad esempio l'insieme di tutte le penne è normale, in quanto non è una penna; l'insieme di tutti gli insiemi è non normale, poiché è evidentemente un insieme. Sia A l'insieme di tutti gli insiemi normali. Se A fosse normale allora A non apparterrebbe a se stesso, cioè non sarebbe nell'insieme di tutti gli insiemi normali, quindi sarebbe non normale. Se A fosse non normale apparterrebbe a se stesso, cioè sarebbe nell'insieme di tutti gli insiemi normali, quindi sarebbe normale

Ernst Zermelo

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