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Il ruolo degli investitori istituzionali alla luce della direttiva 2017/828

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Alessandra Dacc` o

Il ruolo degli investitori istituzionali alla luce della direttiva 2017/828

(doi: 10.1433/95011)

Analisi Giuridica dell’Economia (ISSN 1720-951X) Fascicolo 2, dicembre 2019

Ente di afferenza:

Universit` a degli studi di Milano Bicocca (unibicocca)

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517

Analisi Giuridica dell’Economia -

2/2019

Alessandra Daccò

Il ruolo degli investitori istituzionali alla luce della direttiva 2017/828

1.

La recente introduzione nel nostro ordinamento della Direttiva 2017/828 (che ha modificato la Direttiva 2007/36 per quanto riguarda l’incorag- giamento dell’impegno a lungo termine degli azionisti) ha sollevato nuovi e interessanti interrogativi su quale debba essere il ruolo degli investitori istituzionali qualora detengano titoli di società quotate.

La suddetta Direttiva impone agli investitori istituzionali – come avremo modo di vedere in seguito – stringenti doveri di monitoraggio, coinvolgi- mento e comunicazione al pubblico

1

; doveri spesso posti a tutela di una molteplicità di interessi e relativi pure a profili non strettamente legati ai dati economici e finanziari delle società partecipate. L’attenzione viene riposta non solo con riferimento all’andamento economico-finanziario delle società, ma, pure, ad aspetti più ampi legati all’impatto generale che l’attività delle società può avere nei confronti dei terzi

2

.

Il presente scritto riproduce la relazione tenuta al convegno di Porretta Terme il 16 e 17 maggio 2019, e prende spunto da diverse considerazioni svolte nell’ambito di una ricerca più estesa, relativa al ruolo degli investitori nella governance delle società quotate. La ricerca è in pubblicazione nel volume Il Testo Unico Finanziario, II: Mercati ed emittenti, a cura di Mario Cera e Gaetano Presti, Bologna, Zanichelli.

1

Per un cenno alla rilevante responsabilizzazione, da parte della Direttiva 2017/828, del ruolo assunto dagli investitori istituzionali, v., ad es., Cera, Assetti proprietari delle banche italiane e «interessi» societari: problemi e questioni, in La banca nel nuovo ordinamento europeo: luci e ombre, a cura di Montalenti, Notari, Milano, 2018, pp. 179 s.

2

Come segnala Montalenti, Investitori istituzionali e amministratori nelle società quotate:

problemi e proposte, in «ODC», 2016, p. 4; Id., L’interesse sociale: una sintesi, in «Riv. soc.»,

2018, pp. 313 s., il diritto europeo è nettamente orientato non solo verso una prospettiva

long term ma, anche, nel senso di una limitazione delle strategie profit oriented ad opera

degli interessi degli stakeholders: una valorizzazione dell’interesse dell’impresa in chiave,

appunto, di neo-istituzionalismo debole.

(3)

Prima, però, di soffermarci sul menzionato recente intervento normativo e sull’impatto sistematico che lo stesso potrà certamente determinare, occorre dedicare alcune brevi osservazioni sull’attuale situazione e sul ruolo che gli investitori istituzionali (rectius, alcuni di questi) hanno ricoperto con riferimento alle società quotate italiane

3

.

2.

Negli ultimi anni vi è stato un ampio «utilizzo» dell’assemblea intesa come luogo ove i soci (in verità alcuni di questi), spesso consigliati da c.d. proxy advisors

4

, hanno potuto dimostrare con il voto il proprio dissenso o, comun- que, porsi in una posizione distinta/antagonista rispetto al management

3

L’atteggiamento da parte della dottrina e finanche del legislatore nei confronti degli inve- stitori istituzionali – soci di società quotate è stato oggetto negli ultimi anni di una profonda trasformazione. Limitandoci al nostro Paese è sufficiente ricordare che: i) da una iniziale (parziale) avversione e conseguente proposta, certamente provocatoria, di Guido Rossi volta a negare il diritto di voto agli investitori istituzionali (Rossi, Niente voto ai fondi, intervista a cura di Turani, in «la Repubblica», Supplemento Affari e finanza, 7 novembre 1986;

contra, però, Weigmann, I fondi mobiliari come azionisti, in «Riv. soc.», 1987, pp. 1089 s.; Allegri, Il fondo comune come azionista: l’esercizio del diritto di voto, in «Riv. soc.», 1988, p. 790 s.); ii) si è passati ad un accentuato interesse che ha indotto il legislatore ad attribuire un significativo ruolo ai soci c.d. qualificati: è sufficiente pensare a tutte quelle norme introdotte nel 1998 nel TUIF poste chiaramente a tutela delle minoranze qualificate, e, soprattutto, indirizzate ad incentivare l’esercizio del diritto di voto da parte di queste;

iii) per poi arrivare però, anche a fronte della importante crisi economica sviluppatasi dal 2008 in poi, ad un acceso dibattito in ordine al ruolo svolto dagli investitori istituzionali (troppo passivo da parte di alcuni ed eccessivamente attivo in relazione ad altri). Come è noto, molteplici sono state le critiche avanzate nei confronti dei fondi più speculativi, il cui attivismo, a volte eccessivamente orientato al breve periodo, potrebbe – secondo diversi Autori – produrre effetti negativi per le società partecipate. La letteratura sul punto è assai vasta e non perviene a conclusioni univoche. Per un quadro dei diversi orientamenti v., ad es., Croci, Shareholder activism. Azionisti, investitori istituzionali e hedge fund, Milano, 2011, passim; Erede, Sandrelli, Attivismo dei soci e investimento short term: note critiche sul ruolo degli investitori professionali a margine del dibattito europeo sulla corporate governance, in «Riv. soc.», 2013, pp. 931 s.; Belcredi, Enriques, Institutional Investor Activism in a Context of Concentrated Ownership and High Private Benefits of Control:

The Case of Italy, in Research Handbook on Shareholder Power, Glos, 2015, pp. 383 s.;

iv) fino a giungere ai giorni nostri ove è in atto una profonda rivisitazione del problema e si ipotizzano appositi strumenti per potenziare l’attivismo (un certo tipo però di attivismo) da parte degli investitori istituzionali, prima con l’emanazione di principi di stewardship e, poi, con l’adozione e successiva attuazione della Direttiva 2017/828 di cui nel testo.

4

V., ad es., Belcredi et al., Proxy Advisors and Shareholder Engagement, in «Quaderni di finanza Consob», 2015, pp. 1 ss.; Maugeri, Proxy advisors, esercizio del voto e doveri

«fiduciari» del gestore, in «ODC», 2016, pp. 1 s.; e, soprattutto, Balp, I consulenti di voto,

2017, Milano, passim.

(4)

Il ruolo degli investitori istituzionali alla luce della direttiva 2017/828

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e al socio di riferimento (anche attraverso la scelta di amministratori e sindaci di minoranza), senza però dare una compiuta spiegazione delle motivazioni sottese ai voti espressi in assemblea (da qui l’importanza della previsione, ora imposta dalla citata Direttiva 2017/828, della necessità di dare annualmente al pubblico una spiegazione dei voti più significativi espressi in assemblea).

Alcuni dati (limitandoci ad una indagine sulle società quotate italiane) dimostrano quanto ora indicato.

Se è vero che circa il 30% delle società quotate conta almeno un investi- tore istituzionale nell’azionariato rilevante e che, in totale, gli investitori istituzionali detengono partecipazioni significative in più di 60 società quotate, con una quota media di capitale detenuta circa dell’8% e con una presenza crescente di investitori esteri e in diminuzione di quelli italiani, è opportuno ricordare

5

che:

i) la stagione assembleare 2018 ha registrato i valori massimi di parteci- pazione alle assemblee. È intervenuto in media il 70% del capitale sociale, mentre gli investitori istituzionali hanno rappresentato circa il 20% del capitale, di cui solo quelli esteri circa il 18% (% che sale a circa il 30% se si considera il capitale presente in assemblea);

ii) sono state presentate (sempre nella stagione 2018) 83 liste per l’elezione dei candidati di minoranza in 60 società quotate e il numero totale dei candidati eletti da tali liste è stato pari a 99;

iii) per quanto riguarda in particolare il voto sulle politiche di remunera- zione, gli investitori istituzionali hanno espresso voti contrari o astenuti con circa il 40% delle azioni complessivamente detenute dagli stessi, raggiun- gendo il valore più elevato dalla prima introduzione del c.d. say-on-pay;

iv) infine, vi è stato un ampio coinvolgimento di alcuni soci (sul punto si tornerà anche nel prosieguo) su aspetti rilevanti delle società quotate, attraverso dialoghi riservati tra investitori istituzionali e società emittente

6

, dialoghi che, come vedremo, sono pure incentivati dalla nuova Direttiva.

5

I dati citati nel testo sono tratti dal Rapporto 2018 sulla corporate governance delle società quotate italiane.

6

V., recentemente, Strampelli, Engagement degli investitori istituzionali e colloqui riservati

con gli emittenti, in «Banca, borsa, tit. cred.», 2018, I, pp. 393 s., il quale si sofferma prin-

cipalmente sull’importanza del dialogo tra investitori istituzionali e società emittente. Sul

dialogo tra amministratori e (particolari) soci e, soprattutto, sulla diffusione a questi ultimi

di informazioni selettive cfr., pure, Mosca, Comunicazione selettiva dagli amministratori agli

azionisti e presidi a tutela del mercato, in «Riv. soc.», 2018, pp. 29 s.; Montalenti, Socio

di controllo, investitori istituzionali, gruppi di società: i flussi informativi, in «RDS», 2018,

(5)

3.

Come si evince dai dati ora richiamati, gli investitori istituzionali hanno dimostrato una certa propensione ad intervenire in assemblea, anche se non tutti gli investitori istituzionali presentano lo stesso grado di interesse e di coinvolgimento nelle società «partecipate» e ovviamente il coinvolgimento può dipendere anche dall’entità dell’investimento effettuato che, se supera un certo ammontare, rende certamente più difficile l’utilizzo dell’opposto strumento dell’exit.

Proprio sotto il profilo c.d. partecipativo, una distinzione può essere ravvi- sata a seconda del soggetto: di norma, si ritiene che i fondi chiusi, a fronte dei loro tratti caratterizzanti, siano interessati più di quelli aperti ad un intervento; così come i fondi speculativi più di quelli ordinari

7

. Una seconda differenza può riguardare la nazionalità degli investitori istituzionali: è stato sottolineato

8

come sia atteggiamento diffuso per gli investitori istituzionali essere più attivi nei paesi stranieri che nel paese di appartenenza (e l’assunto è certamente confermato dai dati supra richiamati), dove essi assumono un atteggiamento di maggiore fedeltà nei confronti del management. Ed una differenza (in merito alla partecipazione) può derivare anche in con- siderazione delle materie oggetto di decisione assembleare: non tutte le materie oggetto di deliberazioni assembleare trovano l’interesse (e, quindi, inducono alla partecipazione attiva) di tutti gli investitori istituzionali.

Il coinvolgimento dei soci c.d. qualificati potrà poi aumentare qualora le competenze assembleari verranno estese: è in atto, come è noto, un ampio dibattito (non solo in Europa)

9

volto ad estendere le competenze dell’assemblea. Si pensi, per fare un esempio recente, alla citata Direttiva 2017/828 che ritiene opportuno un coinvolgimento (maggiore) dei soci in ordine alla remunerazione degli amministratori, così che il nuovo art.

pp. 13 s.; Alvaro, Maugeri, Strampelli, Investitori istituzionali, governo societario e codici di stewardship. Problemi e prospettive, in «Quaderni giuridici Consob», 2019, pp. 48 s.

7

M. Stella Richter jr, L’esercizio del voto con gli strumenti finanziari gestiti, in Tratt.

dei contr., diretto da Rescigno e Gabrielli, I contratti del mercato finanziario, a cura di Gabrielli, Lener, I, Torino, 2011, p. 795, nota 3; Cossu, L’attivismo degli investitori non istituzionali in Italia, in «Banca, borsa tit. cred.», 2017, I, pp. 408 s.

8

Bruno, Il ruolo dell’assemblea di SpA nella corporate governance, Padova, 2012, p. 231.

9

Per gli USA si vedano, oltre agli scritti di Bebchuck, The Case for Increasing Shareholder

Power, in «Harv. L. Rev.», 2005, pp. 118 s.; Id., The Myth that Insulating Boards Serves

Long-Term Value, in «Col. L. Rev.», 2013, pp. 1637 s., la ricostruzione da ultimo compiuta

da Thompson, The Power of Shareholders in the United States, in Research Handbook on

Shareholder Power, cit., pp. 441 s.

(6)

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123-ter del TUIF estende il voto alle due sezioni della relazione sulla re- munerazione e sui compensi corrisposti.

4.

Per comprendere appieno l’impatto – certamente importante, non privo però, come vedremo, di rilevanti conseguenze ancora tutte da approfon- dire – che la nuova Direttiva potrà avere, è necessario vedere quale è (o forse è meglio dire era) la prevalente opinione in merito ai poteri/doveri che caratterizzano l’operato degli investitori istituzionali e, soprattutto, gli interessi cui tali poteri/doveri risultano funzionalizzati.

Si è più volte affermato che gli investitori istituzionali (il discorso riguarda ovviamente quelli che gestiscono un portafoglio nell’interesse altrui) in- trattengano dei doveri fiduciari nei confronti dei soggetti nell’interesse dei quali detengono le azioni

10

. Essi svolgono la funzione di gestori di interessi altrui e devono agire appunto nell’interesse di questi e nel rispetto dei do- veri fiduciari: duty of care e duty of loyalty. Non a caso si è parlato della creazione di (nuovi) costi di agenzia, generati da una possibile divergenza di interessi tra investitori istituzionali e beneficial owners

11

.

Con riferimento ai titoli presenti in portafoglio, e in particolare con riferi- mento al voto, si è lungo discusso se fosse o meno configurabile un dovere di voto in capo agli investitori istituzionali: la tesi prevalente sostiene che l’esercizio del diritto di voto non sia (per gli investitori istituzionali) il libero contenuto di una prerogativa, ma divenga l’oggetto di un potere in senso tecnico, funzionalizzato alla tutela degli interessi dei partecipanti al fondo

12

. Viene così affermato che «la scelta del legislatore non è nel senso della privazione del diritto del voto, ma del limite e della funzionalizzazione del

10

Come osserva Bordiga, Partecipazione degli investitori istituzionali alla SpA e doveri fiduciari, in «Riv. soc.», 2013, p. 203, nota 2, la qualificazione in termini «fiduciari» dei doveri degli investitori istituzionali nei confronti dei propri clienti è comune in letteratura:

cfr., per tutti, Ginevra, La partecipazione fiduciaria in SpA, ed. provv., Torino, 2012, pp.

160 s.; Id., Il problema della responsabilità fiduciaria degli intermediari finanziari, in Efficienza del mercato e nuova intermediazione, a cura di Ginevra, Torino, 2019, pp. 99 s.

11

Il rinvio è necessariamente agli scritti di Gilson, Gordon, The Agency Costs of Agency Capitalism: Activist Investors and the Revaluation of Governance Rights, in «Col. L. Rev.», 2013, pp. 863 s.; Id., Agency Capitalism: Further Implications of Equity Intermediation, in Research Handbook on Shareholder Power, cit., pp. 32 s.

12

M. Stella Richter jr, L’esercizio del voto con gli strumenti finanziari gestiti, cit., pp. 799 s.

(7)

suo esercizio all’interesse dei partecipanti»

13

. In altre parole, si ritiene che il referente di tale potere/dovere non possa essere rinvenuto nell’interesse della società partecipata ad un efficiente monitoraggio dell’azione dei suoi amministratori, bensì, solo, nell’interesse dei partecipanti al fondo ad una efficiente gestione del loro investimento

14

.

5.

Ora però la situazione sembra dover cambiare in forza, come si è detto, dell’emanazione della Direttiva 2017/828, la quale richiede che i soci investitori istituzionali adottino (o comunichino perché non lo fanno) una politica di impegno (engagement policy).

Viene, quindi, ravvisato un dovere di «impegnarsi» (engagement) che si esplica principalmente (nuovo art. 124-quinquies del TUIF) nel: i) monitoraggio delle società partecipate su questioni rilevanti, compresa la strategia, i risultati finanziari e non finanziari nonché i rischi, la struttura del capitale, l’impatto sociale e ambientale e il governo societario; ii) nel dialogo con le società partecipate e con i pertinenti portatori di interesse; e iii) nell’esercizio del diritto di voto e degli altri diritti connessi alle azioni.

Da qui appunto l’interrogativo su quale sia effettivamente il ruolo che si intende ora attribuire agli investitori istituzionali e se sia configurabile in capo agli stessi un dovere di attivarsi (salvo comunicare una diversa decisione e spiegare le ragioni di tale scelta) e, soprattutto, se tale dovere sia stato previsto anche a tutela di interessi ulteriori rispetto a quelli dei partecipanti al fondo.

Nella citata Direttiva vi sono diversi riferimenti che sembrano poter essere letti nel senso di voler attribuire un ruolo diciamo «sociale» agli investi- tori istituzionali, a tutela di un interesse «più ampio» (della società, degli altri soci, degli stakeholders, del mercato e della comunità in generale):

si afferma, infatti, che «un impegno efficace e sostenibile degli azionisti costituisce uno dei pilastri del modello di governo societario delle società quotate, basato su un sistema di pesi e contrappesi tra i diversi organi e i diversi portatori di interesse. Il maggior coinvolgimento degli azionisti nel governo societario delle società rappresenta una delle leve che possono contribuire a migliorare i risultati finanziari e non finanziari della società, anche per quanto riguarda i fattori ambientali, sociali e di governo. […]

13

Lener, in questo fascicolo.

14

Maugeri, Proxy advisors, esercizio del voto e doveri «fiduciari» del gestore, cit., pp. 1 s.

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Gli investitori istituzionali e gestori di attivi sono spesso azionisti impor- tanti delle società quotate e di conseguenza possono svolgere un ruolo di rilievo nel governo societario di queste ultime, ma anche, più in generale, per quanto riguarda la loro strategia e i loro risultati a lungo termine».

Tale conclusione non sarebbe d’altra parte nuova nel diritto dei mercati finanziari: in diverse previsioni normative si fa già espresso riferimento al fatto che, nello svolgimento del servizio di gestione collettiva del rispar- mio, i gestori debbano operare con diligenza, correttezza e trasparenza nell’interesse dei partecipanti al fondo e dell’integrità dei mercati (v. art.

35-decies TUIF). In proposito, è stato segnalato che, nel momento in cui si impone agli investitori istituzionali di operare per l’integrità del merca- to, si sancisce la funzionalizzazione dell’attività degli stessi alla tutela di interessi generali ulteriori rispetto a quelli degli investitori

15

. Vi è pertanto un interesse pubblicistico, un interesse collettivo che trascende quello dei singoli investitori e che sottende esigenze di ordine pubblico di cui l’inve- stitore istituzionale è chiamato ad essere il custode

16

.

6.

Se così fosse ne deriverebbero, però, almeno tre importanti conseguenze e interrogativi:

i) individuare profili di doverosità con riferimento alla posizione di socio ricoperta da un investitore istituzionale e, soprattutto, prospettare tali profili di doverosità nell’interesse (anche) generale, si pone in contrasto – non solo con quanto genericamente riconosciuto in merito alla posizione di socio: «Il socio agisce nel proprio interesse ed è pienamente legittima,

15

Si veda, ad es., Di Amato, I servizi ed i contratti di investimento, nel Manuale di di- ritto del mercato finanziario, a cura di Amorosino, Milano, 2014, p. 86 e p. 94, il quale segnala come l’attività degli intermediari finanziari abbia una forte inerenza ad interessi di carattere generale, che vanno dalla tutela del risparmio privato a quella del risparmio pubblico, a quella della stabilità del sistema finanziario, a quella dell’efficienza del mercato dei valori mobiliari.

16

Come osserva M. Stella Richter jr, Autonomia statutaria, procedimento deliberativo e potere di voto: divagazioni a margine di un libro recente, in «Giur. comm.», 2018, I, pp.

352 s., dalla legislazione speciale in tema di banche, di intermediari finanziari e di società

di gestione del risparmio emerge il dovere per gli amministratori di contemperare (se non

postergare) l’interesse dei soci con quelli più generali della clientela e dei risparmiatori,

se non anche della collettività.

(9)

oltre che economicamente razionale, una sua apatia»

17

, ma, anche, – con quanto affermato in relazione agli stessi investitori istituzionali, per i quali, come sopra si è detto, si è sempre sostenuto che essi debbano agire nel solo interesse dei loro clienti.

Ravvisare un ruolo «sociale» per gli stessi apre così la strada a nuovi interrogativi: che valore può avere la politica di impegno comunicata al pubblico? Che rilevanza hanno le dichiarazioni ivi contenute, che posso- no anche definire i rapporti tra l’investitore e la società, gli altri soci e gli stakeholders ed enunciare fini e obiettivi generali? Quelle dichiarazioni, una volta conosciute o conoscibili dal pubblico, possono far sorgere dei profili di responsabilità? In particolare che cosa succede se ivi si afferma di voler porre in essere una specifica attività di engagement e poi questo non avviene? Accanto alle sanzioni di cui alla Direttiva (e vedi ora nuovi artt.

193-bis 1 s.) potrà essere prospettata una responsabilità anche nei confronti di altri soggetti (rispetto ai partecipanti al fondo) che possono avere fatto affidamento sulle dichiarazioni rese dall’investitore istituzionale?

ii) Il fatto poi di ravvisare un dovere di engagement e, più precisamente, un dovere di monitorare e di dialogare con la società anche con riferimento ad alcuni aspetti cruciali della vita societaria, quali la strategia, i rischi, la struttura del capitale, come incide in relazione al noto riparto delle competenze tra soci e amministratori? In tal modo non si richiede così ai soci – come recentemente è stato sottolineato oltreoceano da Edward Rock

18

– di fare qualcosa di diverso da quanto di norma è richiesto ai soci di fare? E allora è vero quando si afferma

19

che l’attivismo da parte di alcuni investitori istituzionali è in grado di indebolire (pericolosamente) il ruolo centrale attribuito all’organo amministrativo, cui, come è noto, spetta prendere le decisioni gestorie e conseguentemente assumersene la responsabilità (nei limiti della c.d. business judgment rule); si è parlato (non a caso) del rischio che gli investitori istituzionali «catturino» i ma- nagers della società

20

.

17

Angelici, Principi e problemi, nel Tratt. dir. civ. comm. diretto da Cicu, Messineo, Men- goni, continuato da Schlesinger, Milano, 2012, p. 106, nota 58.

18

Rock, Institutional Investors in Corporate Governance, in The Oxford Handbook of Corporate Law and Governance, New York, 2018, p. 386.

19

Bainbridge, Shareholder Activism and Institutional Investors, in UCLA Law-Econ.

Research Paper, 2005, pp. 1 s.; Id., Investor Activism: Reshaping the Playing Field?, in UCLA Law-Econ. Research Paper, 2008, pp. 1 s.

20

Lener, in questo fascicolo.

(10)

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In proposito occorre citare un recente caso giurisprudenziale, deciso nel 2018 dalla Corte di Cancelleria del Delaware (Court of Chancery), ove si è riconosciuta la possibilità di ravvisare una responsabilità in capo ad un socio investitore istituzionale attivista per aver indotto gli amministratori della società partecipata ad assumere una decisione (la vendita della stessa società ad un prezzo non congruo) in violazione del duty of care (anche se, poi, nel caso di specie una responsabilità è stata esclusa dato che non è stata data la prova del danno)

21

.

iii) Infine, la sopramenzionata Direttiva impone agli investitori istituzio- nali una particolare attenzione anche agli interessi degli stakeholders, nel momento in cui richiede agli stessi di dialogare con i pertinenti portatori di interesse e di monitorare aspetti quali, ad esempio, l’impatto sociale e ambientale della società partecipata. Il fatto di configurare un dovere di engagement in tal senso fa sorgere, però, un ulteriore interrogativo: se ed in che termini gli amministratori della società debbano tenere conto delle indicazioni in proposito derivanti da tali soci investitori istituzionali.

Come è noto, è tuttora discusso (e i recenti scritti, ad esempio di Portale e di Tombari lo dimostrano)

22

se il c.d. interesse lucrativo o scopo di lucro assuma un ruolo esclusivo o comunque egemone o se, invece, l’organo amministrativo debba o comunque possa contemperarlo con altri interessi posti sullo stesso piano e coinvolti, a vario titolo e causa, nell’impresa azionaria. In altre parole, è possibile chiedersi se e in che termini nelle società quotate il potere gestionale debba, quindi, essere funzionalizzato al perseguimento pure degli interessi degli stakeholders, soprattutto qualora siano gli stessi soci (ovvero alcuni di questi) a richiederlo.

7.

Per concludere vorrei ricordare come i temi oggetto del dibattito attuale fossero già stati ben evidenziati da Disiano Preite in un importante scritto apparso in «Rivista delle società» nel lontano 1993

23

.

Più precisamente Disiano Preite riteneva che:

21

In re PLX Technology Inc. S’holders Litig., C.A. No. 9880-VCL (Del. Ch. Oct. 16, 2018).

22

Portale, Diritto societario tedesco e diritto societario italiano in dialogo, in «Banca, borsa, tit. cred.», 2018, I, pp. 597 s.; Tombari, «Potere» e «interessi» nella grande impresa azionaria, Milano, 2019, passim.

23

Investitori istituzionali e riforma del diritto delle società per azioni, in «Riv. soc.», 1993,

pp. 492 s.

(11)

i) sarebbe stato opportuno ripensare alla funzione societaria, dato che sarebbe stato più coerente, rispetto agli scopi dell’ordinamento e rispetto ai valori della nostra Costituzione, ritenere che gli amministratori non siano vincolati a perseguire esclusivamente la massimizzazione dell’utile societario, ma possano tutelare anche altri interessi: per esempio quelli dei creditori, dei consumatori, dei lavoratori e della collettività. In definitiva, Preite proponeva di incorporare la soddisfazione di esigenze collettive nella stessa funzione sociale.

ii) In secondo luogo, Disiano Preite riteneva che sarebbe stato importante favorire ed incentivare un’attività di sorveglianza e stimolo (anche attra- verso dialoghi ricorrenti) da parte degli investitori istituzionali nei confronti del management (e soprattutto nei confronti dei gruppi di controllo incapaci di assicurare la crescita e modernizzazione dell’impresa), sorveglianza e stimolo che – sempre secondo Preite – avrebbero dovuto riguardare anche l’impatto ambientale dell’attività imprenditoriale e le condizioni di lavoro applicate: gli investitori istituzionali, concludeva Preite, in questo modo sarebbero in grado di far perseguire alla società anche interessi diversi da quelli dei soci.

Considerazioni e richieste che, come si è visto, sembrano ora state accolte dal legislatore comunitario nella nuova Direttiva.

Alessandra Daccò

Dipartimento di Giurisprudenza

Università di Milano-Bicocca

Piazza dell’Ateneo Nuovo 1

20126 Milano

alessandra.dacco@unimib.it

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