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9. VARIABILI CASUALI 9.1 Definizione di variabile casuale

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Academic year: 2021

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9. VARIABILI CASUALI

9.1 Definizione di variabile casuale

In molte situazioni reali l’interesse è rivolto non tanto agli eventi che possono verificarsi nel corso di un esperimento, quanto al valore numerico assunto dalla variabile di interesse sulle unità statistiche considerate.

Per esempio, nel caso di un esperimento che consiste nel lancio di due dadi, si può voler conoscere il punteggio totale realizzato oppure il valore massimo fra i due risultati. In un’indagine sulle famiglie si può essere interessati a rilevare il numero dei componenti, il numero di automobili possedute o il reddito mensile, mentre nei controlli di qualità si può voler conoscere il numero di elementi difettosi estratti oppure la loro durata di funzionamento.

In situazioni di questo tipo, quindi, non interessa tanto conoscere l’evento elementare che si è verificato, ma il valore assunto da una variabile associata a quell’evento.

Infatti le indagini reali hanno spesso lo scopo di conoscere le caratteristiche di una variabile in una popolazione e quello che interessa in questi casi è la determinazione assunta da tale variabile sulle unità statistiche selezionate.

Data una popolazione composta da N elementi, ciascuno identificato con un numero intero da 1 a N, si consideri la prova che consiste nell’estrarre un suo elemento in modo casuale allo scopo di rilevare il valore assunto dalla variabile di interesse Z su quell’unità.

Per esempio, considerate le N=14 città metropolitane in Italia, di cui sono elencate in ordine alfabetico le sigle nella prima riga tabella 9.1.1, mentre la seconda riga riporta il numero di comuni corrispondenti, si consideri l’esperimento che consiste nel selezionare una città in modo casuale utilizzando un meccanismo di sorteggio che assegna ad ogni unità la stessa probabilità di essere estratta.

Tabella 9.1.1

Aree metropolitane italiane e numero di comuni corrispondenti

Città metropolitana BA BO CA CT FI GE ME MI NA PA RC RM TO VE Numero di comuni 41 55 17 58 42 67 108 134 92 82 97 121 316 44 Numero progressivo assegnato 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14

(2)

Per effettuare l’estrazione si può assegnare un numero progressivo a ciascuna città, così come indicato nella terza riga della tabella 9.1.1, e procedere poi a selezionare in modo casuale un numero fra tutti gli interi compresi nell’intervallo [1, 14].

I possibili risultati della prova, che corrispondono ai 14 eventi elementari i “estrazione della i-esima città” (i = 1, 2, ..., 14), possono essere descritti in modo equivalente mediante il valore zi di Z rilevato sull’unità estratta. Come si vede dalla tabella, per esempio, dire che si è verificato l’evento 2 “estrazione dell’area metropolitana 2”, corrispondente a Bologna, equivale a dire che il valore di Z sull’unità estratta è risultato pari a 55, così come dire che si è verificato l’evento  12 “estrazione dell’area metropolitana 12”, corrispondente a Roma, equivale a dire che il valore di Z sull’unità estratta è risultato pari a 121.

Se si indica con X la variabile “numero di comuni della città estratta”, risulta evidente come, in una prova, la X potrà assumere solo uno dei valori della variabile Z.

I risultati della prova possono essere quindi descritti sia mediante i 14 eventi elementari i, sia utilizzando la variabile X, che assume il valore xi quando viene estratta l’i-esima unità (i = 1, 2, ..., 14). Mediante questa associazione fra eventi elementari e valori della X, dire che in una prova si verifica l’evento i

equivale a dire che in quella stessa prova la variabile X assume il valore xi.

L’evento i può essere identificato anche con la notazione X = xi e la probabilità che la variabile X assuma un valore uguale a xi corrisponde alla probabilità che si verifichi l’evento i.

I possibili risultati della prova e le corrispondenti probabilità possono essere quindi descritti in modo equivalente mediante una tabella che riporta nella prima colonna i possibili valori xi di X (come al solito elencati in ordine crescente) e nella seconda colonna le probabilità p(xi) associate a ciascuno di questi valori.

La X così definita viene detta variabile casuale (v.c.) o variabile aleatoria, dove gli aggettivi “casuale” e

“aleatoria” derivano dalla circostanza che il valore assunto da X non è noto a priori, ma è il risultato di un esperimento casuale, ossia dipende da quale evento elementare si è realizzato nella prova, mentre l’insieme delle coppie di valori [xi, p(xi)] definisce la distribuzione di probabilità della v.c. X.

(3)

Tabella 9.1.2

Distribuzione di probabilità della variabile X

x p(x)

17 1/14

41 1/14

42 1/14

44 1/14

55 1/14

58 1/14

67 1/14

82 1/14

92 1/14

97 1/14

108 1/14

121 1/14

134 1/14

316 1/14

1.0

Va osservato che, in generale, esistono più unità della popolazione che presentano uno stesso valore della variabile di interesse. In questi casi non c’è una corrispondenza biunivoca fra eventi elementari e valori assunti dalla v.c. per cui il valore della X non identifica in modo univoco l’evento.

Se, per esempio, esistono 5 eventi elementari i (i = 1, 2, ..., 5) ed agli eventi 1 ed 2 è associato uno stesso valore x1 della X, mentre a 3, 4 e 5 è associato il valore x2, facendo riferimento ai soli valori della X si stanno in pratica considerando i due eventi composti

A = (1 2) B = (3 4 5).

La probabilità associata ai due valori della X sarà in questo caso

P(X = x1) = P(A) = P(1) + P(2)

P(X = x2) = P(B) = P(3) + P(4) + P(5)

ottenuta come somma delle probabilità degli eventi elementari ai quali è associato uno stesso valore di X.

In questo caso la v.c. non identifica in modo univoco l’evento corrispondente ma, così come nella statistica descrittiva si aveva solo l’interesse a conoscere la distribuzione di frequenza della variabile oggetto di studio, in occasione di un esperimento casuale si è generalmente interessati a conoscere la distribuzione di probabilità della X.

(4)

Le considerazioni fatte finora a proposito di una v.c. possono essere estese in modo da comprendere situazioni più generali. In alcune situazioni, infatti, la v.c. associata ad un esperimento assume valori che vengono fissati in modo arbitrario, come quando si effettua un’indagine per rilevare il grado di soddisfazione per un determinato prodotto o servizio.

Per esempio, nel caso di giudizi espressi mediante le modalità ordinate: insufficiente, sufficiente, buono, ottimo, si potrebbe utilizzare una v.c. X che assume rispettivamente i valori -1, 0, 1 e 2, ma si potrebbe anche scegliere una quaterna di valori diversi.

In ogni caso i valori assunti dalla X dipendono sempre da quali eventi sì sono verificati, ossia da quali giudizi sono stati espressi dalle unità selezionate nel corso dell’indagine.

In modo analogo, se si considera un esperimento che consiste nel lancio di una moneta, si può definire la v.c. X che assume valore 0 se è apparsa la faccia “testa” e valore 1 se è apparsa la faccia “croce”, ma si potrebbe invece attribuire valore 1 al verificarsi dell’evento “testa” e valore 0 al verificarsi dell’evento

“croce”.

Considerato lo spazio di probabilità (, A, P) costituito dallo spazio fondamentale , dalla classe degli eventi A e dalla misura di probabilità P, una v.c. X è una funzione definita su  che associa a ogni evento elementare i un unico valore reale X(i)=xi che rappresenta una determinazione della v.c. X.

In realtà, quindi, una v.c. non è una vera e propria “variabile” ma è una “funzione” e la sua definizione è schematizzata nella successiva figura 9.1.1.

Ad ogni evento elementare i contenuto in  è associato, tramite la funzione X, un valore reale xi = X(i) che è il valore che la v.c. assume al verificarsi di i.

In questo modo, al posto dello spazio campionario Ω, in genere complesso, si ottiene uno spazio campionario più semplice, che costituisce il campo di variazione Ωx della X.

(5)

Figura 9.1.1

Definizione di variabile casuale

Esempio 9.1.1

Considerato l’esperimento che consiste nel lancio di un dado ed indicato con i l’evento “uscita della faccia contrassegnata con i punti”, lo spazio fondamentale è  = {1, 2, 3, 4, 5, 6}. Se X è una v.c. tale che X(i) = i (con i = 1, 2, …, 6), allora il campo di variazione Ωx della X è costituito da tutti i numeri interi compresi nell’intervallo [1, 6].

Analogamente a quanto visto per una variabile statistica, una v.c. è completamente definita quando si conoscono tutti i possibili valori che la variabile può assumere e la probabilità corrispondente, ossia quando si conosce la sua distribuzione di probabilità. La generica P(X = xi), ossia la probabilità associata all’i-esimo valore xi = X(i) della X deriva dalla probabilità P(i) associata all’evento elementare i.

Una v.c. X è una funzione che associa a ogni evento elementare i di  un valore reale X(i)=xi con una probabilità p(xi) = P(X = xi) che corrisponde alla probabilità associata all’evento i.

Le stesse considerazioni valgono se, invece dei singoli eventi elementari, si considera un evento composto E di Ω. In questo caso, dato che E è costituito da un insieme di eventi elementari, si otterrà un insieme di numeri reali per la v.c. X e la probabilità corrispondente sarà data dalla somma delle probabilità assegnate ai singoli eventi elementari che costituiscono E.

(6)

9.2 Variabili casuali discrete

Il ricorso a una v.c. per descrivere i risultati di un esperimento è del tutto naturale quando si effettua un’indagine campionaria per rilevare il numero di componenti delle famiglie di una certa regione, il numero di dipendenti delle aziende di un certo settore, il numero dei musei presenti nei diversi comuni o, più in generale, una qualche caratteristica quantitativa dei componenti di una collettività.

In questo caso all’evento i “estrazione della i-esima unità statistica” è associato il valore che la variabile presa in esame assume sull’i-esima unità, ma è evidente che a più eventi i può corrispondere uno stesso valore della v.c. X, dato che più unità della popolazione possono presentare uno stesso valore della variabile oggetto di studio.

Se la variabile di interesse Z nella popolazione può assumere k determinazioni diverse, la distribuzione di probabilità di una v.c. X “valore di Z sull’unità estratta” è descritta mediante una tabella analoga alla 9.1.3 che ha la stessa struttura della distribuzione di frequenza di una variabile statistica. La medesima distribuzione resta valida anche in quei casi in cui si attribuiscono arbitrariamente k valori diversi alla v.c.

X associata all’esperimento.

Tabella 9.2.1

Esempio di distribuzione di probabilità x probabilità

x1 p(x1) x2 p(x2)

. .

xj p(xj)

. .

xk p(xk) 1.0 In ogni caso valgono necessariamente le seguenti condizioni

P(X = xj) = p(xj) ≥ 0 j = 1, 2, …, k

 

1

1

k j

xj

p

Quella riportata nella tabella 9.2.1 è una generica distribuzione di probabilità o funzione di probabilità (f.p.) di una variabile casuale discreta, cioè una funzione che concentra masse di probabilità in corrispondenza dei k valori xj (con j = 1, 2, …, k) della X, mentre altrove è sempre uguale a zero. Per questo motivo la funzione di probabilità viene anche detta funzione di massa.

(7)

Se una v.c. X è di tipo discreto il suo campo di variazione è costituito da un insieme numerabile di valori

x = {x1, x 2, }, ordinati in modo crescente, a ognuno dei quali è associata una probabilità

  

xj P X xj

xj x

p     .

L’insieme dei valori p(xj) costituisce la funzione di probabilità di X che consente di assegnare una probabilità a qualsiasi sottoinsieme B di x. Questa probabilità corrisponde alla somma delle probabilità associate ai singoli valori che appartengono a B, ossia

   

x

xj

xj

p B

X

P

Se si considera l’intero campo di variazione risulta ovviamente

 

1

x xj

j

x px

X

P . 9.2.1

La rappresentazione grafica della distribuzione di probabilità relativa a una v.c. discreta viene effettuata mediante un diagramma ad aste, già analizzato a proposito di una variabile statistica quantitativa discreta.

Ad esempio, la rappresentazione grafica della distribuzione riportata nella tabella 9.2.2 assume la forma riportata nella figura 9.2.1 in cui ad ogni valore assunto dalla variabile è associato un segmento verticale di altezza proporzionale alla probabilità corrispondente.

Tabella 9.2.2

Esempio di distribuzione di probabilità x probabilità

1 0.2

2 0.3

3 0.4

4 0.1

1.0

(8)

Figura 9.2.1

Rappresentazione grafica della distribuzione di probabilità riportata nella tabella 9.2.2

Una qualsiasi v.c. discreta X può essere descritta in modo equivalente anche mediante la corrispondente funzione di ripartizione (f.r.)

  

 



x x

p x

X P x F

x x

j

j

9.2.2

definita su tutto l’asse reale, che in corrispondenza di un qualsiasi valore x fornisce la probabilità che in una prova la v.c. X assume un valore inferiore o uguale a x, dato che è pari alla somma delle probabilità associate a tutti i valori xj inferiori o uguali a x.

Per esempio, la f.r. corrispondente alla distribuzione di probabilità riportata nella tabella 9.2.2 assume la forma seguente





4 1

4 3 9 . 0

3 2 5 . 0

2 1 2 . 0

1 0

) (

x x x x x

x F

e la sua rappresentazione grafica è 0

0,1 0,2 0,3 0,4 0,5

0 1 2 3 4

probabilità

X

(9)

Figura 9.2.2

Rappresentazione grafica della funzione di ripartizione della tabella 9.2.2

La f.r. F(x) di una v.c. X assegna la probabilità a tutti gli intervalli (, x] della X ed è definita su tutto l’asse reale, ossia anche per eventuali valori esterni al campo di variazione della variabile. Se, per esempio, la v.c. X è definita nel campo di variazione x = [x1, xk] la sua f.r. è comunque definita nell’intervallo (-∞, +∞): per un qualsiasi valore x < x1 la F(x) sarà pari a zero, mentre per un qualsiasi valore x ≥ xk si avrà F(x) = 1.

La funzione di ripartizione F(x) relativa a una v.c. discreta X presenta le seguenti proprietà:

- è definita su tutto l’asse reale

- assume valori compresi fra zero ed uno e, in particolare, F(∞) = 0 e F(∞) = 1

- è non decrescente e costante a tratti per cui, fissato un valore x1 < x2, risulta F(x2) ≥ F(x1) - nei punti di salto è continua a destra

La differenza F(xb)F(xa) fra i valori della f.r. calcolata in due punti qualsiasi xa e xb, con xa  xb, corrisponde quindi alla probabilità che la X assuma in una prova un valore compreso nell'intervallo (xa, xb]. Si ha cioè

F(xb) F(xa) = P(X ≤ xb)  P(X ≤ xa) = P(xa < X ≤ xb).

0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1

0 1 2 3 4 5 6

F(x)

X

(10)

Esempio 9.2.1

Data un’urna contenente 7 palline nere e 3 palline bianche, si consideri un esperimento che consiste nell’estrarre 2 palline con ripetizione e si indichi con X la v.c. “Numero di palline bianche estratte”. Si determinino la f.p. e la f.r. di X e si disegnino i due grafici corrispondenti

x probabilità

0 0.7×0.7 = 0.49

1 0.7×0.3 + 0.3×0.7 = 0.42

2 0.3×0.3 = 0.09

1.00





2 1

2 1 91 . 0

1 0 49 . 0

0 0

) (

x x x x x

F

0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6

0 1 2 3

probabilità

X

0 0,2 0,4 0,6 0,8 1

-1 0 1 2 3 4

F(x)

X

(11)

Nota

In alcune circostanze, i possibili eventi elementari connessi con un esperimento costituiscono una infinità numerabile ed in questi casi una v.c. X associata agli eventi potrebbe assumere una infinità numerabile di valori xi

(per i = 1,2, …). Data per esempio un’urna contenente palline bianche e nere e un esperimento che consiste nell’estrazione con ripetizione di palline, la v.c. X “numero di estrazioni necessarie per estrarre la prima pallina nera” può assumere l’infinità numerabile di valori 1, 2, 3, ...

Se si indica con la probabilità del successo, 1 rappresenta la probabilità di insuccesso, e la f.p. di X, ossia la probabilità che la prima pallina nera venga estratta dopo x prove, corrisponde a

P(X = x) = (1)x-1 x = 1, 2, …

per cui, per esempio, la probabilità che il successo si ottenga nella prime tre prove sarà data dalla somma P(X =1) + P(X =2) + P(X =3) = F(3) = + (1) + (1)2.

(12)

9.3 Variabili casuali continue

In alcune situazioni la v.c. X associata agli eventi elementari può assumere una infinità più che numerabile di valori in una determinata prova, come quando si rileva la durata di funzionamento di un certo macchinario, la resistenza di un materiale, la quantità di un gas disciolto nell’acqua. Le variabili considerate in questi esempi sono di tipo continuo, dato che i loro possibili valori possono essere messi in corrispondenza con tutti i punti di un intervallo.

Una v.c. X si dice continua quando il suo campo di variazione x è costituito da un’infinità non numerabile di punti.

In questi casi la probabilità non può essere assegnata ai singoli valori della variabile X, ma a intervalli di valori, dato che P(X = x) è sempre pari a zero, anche se il valore x di X non corrisponde a un evento impossibile.

La probabilità di una v.c. X continua è assegnata a intervalli del tipo (, x] mediante la f.r. F(x) che presenta le seguenti proprietà:

- è definita su tutto l’asse reale

- assume valori compresi fra zero ed uno e, in particolare, F(∞) = 0 e F(∞) = 1 - è non decrescente per cui, fissato un valore x1 < x2, risulta F(x2) ≥ F(x1)

Se la variabile non concentra masse di probabilità in alcun punto, come accade in generale e nei casi che verranno considerati in seguito, la f.r. risulta assolutamente continua e derivabile quasi ovunque.

Si consideri, per esempio, un esperimento che consiste nel fissare in modo casuale un punto all'interno di un cerchio di raggio unitario. Facendo riferimento a tutti i punti geometrici compresi nel cerchio, la probabilità che in una prova si ottenga un punto particolare è pari a zero. Considerata la v.c. X “distanza del punto dal centro del cerchio”, i valori di questa variabile possono essere messi in corrispondenza con tutti i punti di un segmento di lunghezza unitaria e costituiscono quindi un’infinità più che numerabile, per cui la probabilità P(X = x), con 0  x  1, è ancora uguale a zero.

Se si ipotizza che l’esperimento avvenga in modo tale che il punto ha una stessa probabilità di cadere in due qualsiasi aree della stessa ampiezza del cerchio unitario, è però possibile determinare la probabilità che in una prova la X assuma un valore inferiore o uguale a x, ossia è possibile attribuire la probabilità a tutti gli intervalli del tipo (0, x]. Questa probabilità P(X  x) corrisponde alla probabilità che il punto cada all’interno del cerchio di raggio x.

(13)

Dato che l’area del cerchio di raggio x è uguale a x2 mentre l’area complessiva del cerchio di raggio unitario è uguale a , risulta

 

2 x2

π πx x X

P   

per cui la f.r. della v.c. X assume la forma

 



. x x x

x x

F

1 1

1 0

0 0

2

In seguito, per semplicità, si utilizzerà la notazione

F(x) = x2 per 0 ≤ x ≤ 1 9.3.1

che implicitamente assegna alla F(x) un valore pari a zero per tutti i valori inferiori all’estremo inferiore del campo di variazione della variabile e un valore pari a 1 per tutti i valori superiori all’estremo superiore del medesimo intervallo.

Dalla 9.3.1 si ottiene la probabilità che la X sia compresa in qualsiasi intervallo (x, x+x]

P(x ≤ X ≤ x+x) = F(x+x)  F(x)

e, per x che tende a zero, dal limite

) ) ( ( ) lim (

0 f x

x x F x x F

x

si ricava la funzione di densità di probabilità (f.d.) f(x) della v.c. X che associa all’intervallo infinitesimo (x, x+x] la densità di probabilità corrispondente.

La funzione di densità f(x) di una v.c. continua X definita in x = (a, b) presenta le seguenti proprietà:

 f(x) ≥ 0 per ∞ < x < +∞

(14)

b

 

a

dx x

f 1

 

x

 

a

dt t f x

F 9.3.2

2

  

2

 

1

1

x X P x X P dx x f

x

x

per x1 < x2

In generale, la distribuzione di probabilità di una v.c. continua può essere descritta mediante la F(x) o mediante la corrispondente f(x), dato che da una di queste due funzioni si può sempre ottenere l’altra: nota la f(x), la F(x) corrispondente si ottiene mediante la 9.3.2, mentre la f(x) si ottiene dalla F(x) attraverso l’operazione di derivazione

   

dx x x dF

f  . 9.3.3

Per esempio, nel caso della f.r. descritta dalla 9.3.1, la f.d. corrispondente è data da



  

altrove

x f(x) x

0

1 0 2

che può essere indicata anche mediante la notazione semplificata

f(x) = 2x per 0 ≤ x ≤ 1

che assegna implicitamente alla f(x) un valore pari a zero per qualsiasi valore esterno all’intervallo specificato.

Esempio 9.3.1

Data una v.c. continua X con f.r.

1 1 per ) 1 2( ) 1

(xx3  x

F

la f.d. corrispondente è

1 1 2 per

) 3

(xx2  x

f

(15)

Esempio 9.3.2

Data una v.c. continua X con f.d.

1 0 per ) 1 ( 20 )

(xx3xx

f

la f.r. corrispondente si ottiene dal seguente integrale

5 5 4

4

0 5 4

0 4 3 0

3 5 4

5 20 4

5 20 4 20

) 1 (

20 t t x x x x

dt t t dt t t

x x x





 

 





 

e assume quindi la forma

1 0 per 4 5 )

(xx4x5xF

Esempio 9.3.3

Data una v.c. continua X con f.d.

5 2 3 per ) 1

(x  x

f

determinare la probabilità che X assuma un valore compreso nell’intervallo (3, 4].

La f.r. si ottiene da

  

2

3 1 3 1 3 1

2 2

x dtt x x e corrisponde quindi a

  

2

per2 5 3

1   

x x

x F

per cui risulta

       

3 2 1 3 3 2 1 3 4 3 1

4 F     

F

(16)

9.4 Valori caratteristici

Le distribuzioni di probabilità delle variabili casuali sono analoghe alle distribuzioni di frequenza delle variabili statistiche e anche la loro descrizione viene effettuata mediante gli stessi indici.

In particolare, considerata una v.c. continua X avente una F(x) continua e crescente nel campo di variazione x, è possibile invertire tale funzione in modo da determinare il quantile xp di ordine p (con 0 <

p < 1) della v.c. X tramite l’uguaglianza

F(x) = p. 9.4.1

Il valore della variabile che soddisfa l’uguaglianza precedente è per definizione il quantile di ordine p di X, in quanto è quel particolare valore della variabile per cui la probabilità di valori inferiori o uguali a xp è esattamente pari a p

P(X ≤ xp) = p.

Esempio 9.4.1

Data una v.c. continua X con f.d.

1 0 per 3

)

(xx2xf

la f.r. corrispondente è

1 0 per )

(xx3xF

per cui il primo quartile è x0.2530.250.6300, mentre la mediana è x0.530.50.7937.

La moda Mx della v.c. X corrisponde al valore più probabile nel caso di una variabile discreta

 

j

x x px

M

x j

argmax

ed al valore a cui è associata la massima densità di probabilità nel caso di una variabile continua. In quest’ultimo caso, quindi, se la moda non coincide con uno degli estremi del campo di variazione x = (a, b) della variabile, Mx è quel valore in corrispondenza del quale la f(x) ha il suo massimo

 

x f Mx argamaxxb

(17)

Nel caso della distribuzione riportata nella tabella 9.2.2 la moda è pari a 3, mentre nella distribuzione dell’esempio 9.2.1 la moda è pari a 0.

Esempio 9.4.2

Considerata la v.c. continua X con f.d.

1 0 , ) 1 ( 12 )

(xxx 2x

f

il cui grafico è riportato nella figura successiva

la moda corrisponde al valore di X in cui la derivata prima della f(x) è uguale a zero e la derivata seconda è negativa, per cui risulta

Mx =1/3.

La media aritmetica di una v.c., detta valore atteso1, assume la forma

    

k

j

j j

x x px

X E

1

9.4.2

se X è discreta, mentre è data da

E(X) = x =

 

b

 

a

dx x f

x x X

E  9.4.3

se X è continua e definita nel campo di variazione x = (a, b).

1Il simbolo E è la lettera iniziale del termine inglese Expectation 0,0

0,3 0,6 0,9 1,2 1,5 1,8

0,0 0,2 0,4 0,6 0,8 1,0

(18)

Esempio 9.4.3

Considerato un dado truccato in cui la probabilità associata alle facce contrassegnate con 1 e 3 punti è P(1) = P(3) = 1/3,

mentre alle restanti facce è associata una probabilità P(2) = P(4) = P(5) = P(6) =1/12,

si consideri l’esperimento che consiste nel lancio del dado e la v.c. X che assume valore 0 se il risultato ottenuto nel lancio è pari e il valore 1 se è dispari.

La distribuzione di probabilità della v.c. X è la seguente

x p(x)

0 0.25

1 0.75

1.00 per cui E(X) = 0.75.

Esempio 9.4.4

Data la v.c. continua Y con f.d.

1 3 0

) 1

(  2/3 peryy y

f

il suo valore atteso è

 

0.25

4 1 4

3 3 1 3

1 3

1 1

0 3 / 1 4

0 3 / 1 1

0

3 /

2   



y y dy

y dy y

Y

E .

In generale, i momenti ordinari e centrali di ordine r assumono le forme seguenti se la v.c. X è discreta

    

k

j

j r j rx

r x px

X E

1

      

k

j

j r x j rx

r

x x px

X E

1

e la forma

 

X μ x f

 

xdx

E

b

a r rx

r

,

X

μ

x

  

f xdx E

b

a

r x rx

r

x

  ,

(19)

se la v.c. è invece continua e definita nel campo di variazione x = (a, b).

La varianza di una v.c. X viene di solito indicata con V(X), x2 o più semplicemente 2(quando è evidente che ci si riferisce alla X) e può essere considerata come una misura del grado di incertezza sui risultati dell’esperimento. La sua espressione si ricava facilmente dalle precedenti espressioni dei momenti centrali di ordine r ponendo r = 2 per cui assume la forma

V(X) =

    

k

j

j x j

x x px

1

2

2

se X è discreta e la forma

V(X) =

x

  

f xdx

b

a x

x

2

2

se X è invece continua. Ovviamente, in entrambi i casi, la varianza può essere sempre calcolata come differenza

V(X) = 2x E

 

X2

E

 

X

2

Esempio 9.4.5

Data una v.c. continua X con f.d.

0 2 2 per

) 1

(x   x

f

se ne determini il valore atteso, il secondo momento ordinario e la varianza.

Il valore atteso è x = 1, il secondo momento ordinario è 2x = 4/3 la varianza è x2 = 1/3.

Esempio 9.4.6

Data la v.c. discreta X definita nell’esercizio 9.4.3 se ne determini la varianza.

Il secondo momento ordinario è E(X2) = 0.75

per cui 2 = 0.750.752 = 0.1875

(20)

Esempio 9.4.7

Data la v.c. continua X definita nell’esercizio 9.4.4 se ne determini la varianza.

Il secondo momento ordinario è dato da

 

7

1 7

3 3 1 3

1 3

1 1

0 3 / 7 1

0 3 / 4 1

0

3 / 2 2

2  



y y dy

y dy y

X

E

e quindi

112 9 4 1 7

1 2

2  

 



  .

Le proprietà della media e della varianza analizzate a proposito delle variabili statistiche restano valide anche per le variabili casuali per cui, in particolare, data una v.c. X di valore atteso x e varianza x2 e considerata la v.c.

Y = a + bX

il valore atteso e la varianza risultano rispettivamente pari a

EYy = a + bx, V(Y) =

2yb2

x2

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