• Non ci sono risultati.

F N Meno numerosi ma più unitiAleppo, la forza dei cristiani

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "F N Meno numerosi ma più unitiAleppo, la forza dei cristiani"

Copied!
1
0
0

Testo completo

(1)

uori è pieno di guardie armate che pattugliano nel buio. Dentro la sala è fredda. Ma per un paio d’ore gli spiriti sono più lievi e i sorrisi più frequenti. Krikor Bedros XX Ghaboyan, dal 2015 patriarca di Cilicia degli Armeni, nativo di Aleppo ma insediato a Beirut, non era ancora riuscito a tornare nella città natale sconvolta da quattro anni di battaglia. Ora ce l’ha fatta e per celebrare ha voluto incontrare tutti gli esponenti delle Chiese cristiane di Aleppo, tra i quali sei vescovi cattolici, tre ortodossi e i

rappresentanti di due Chiese protestanti. Non è un’occasione solo formale, però. Si tratta anche di riconoscere, e tutti i presenti lo fanno, che la guerra ha cambiato, se non le menti, almeno certi usi e costumi. Le Chiese cristiane si sono strette l’una all’altra, partecipi di un comune destino e di una sola preoccupazione, quella per la gente in pericolo.

E il loro atteggiamento è stato notato e apprezzato.

Dal gran muftì di Aleppo, Mahmud Akkam, ai fedeli musulmani qualunque che spesso, in questi anni, hanno trovato in chiese, parrocchie e conventi un’oasi di speranza e aiuto immediato.

a domanda che ora tutti si fanno, in questa Aleppo dove il mormorio dei discorsi di pace fatica a superare il frastuono dei combattimenti ancora in corso, è semplice e drammatica insieme:

durerà? Questo stato d’animo sopravvivrà alle difficoltà oggettive, ai rancori, ai rimescolamenti che questa guerra brutale ha portato con sé? Com’è già successo in Iraq, i primi a essere interpellati dalla sfida sono proprio i cristiani. Molti se ne sono andati. Ancora pochi sono quelli che, sfollati in città più sicure, stanno tornando. È presto per fare un bilancio ma il quadro ha tinte fosche. Si parla di due terzi dei cristiani fuggiti lontano da qui. Monsignor Antoine Audo, gesuita, vescovo caldeo cattolico di Aleppo, aleppino per nascita e discendente di una famiglia irachena che ha dato alla Chiesa caldea illustrissimi esponenti, sintetizza così: «Prima della guerra, Aleppo era una città ricca, dove non mancava nulla. Ora i ricchi se ne sono andati, la classe media è diventata povera e i poveri sono diventati miserabili». E poi i giovani scappati per non andare al fronte, i professionisti emigrati per ritrovare il benessere perduto, i tecnici che non hanno più potuto lavorare. Come i suoi compagni di fede in tutto il Medio Oriente, monsignor Audo non teme la sparizione dei cristiani di Siria ma «la riduzione a una comunità troppo piccola e debole per esercitare una qualche influenza. Per dare un senso alla nostra presenza dobbiamo poter disporre di parrocchie, scuole, istituti. E mi creda, se noi siamo qui e contiamo qualcosa, facciamo un grande servizio sia all’islam sia all’Occidente. All’islam perché possiamo fargli apprezzare i valori positivi della modernità. All’Occidente perché, senza questa nostra mediazione, avrà sempre problemi a trovare una giusta relazione con l’islam».

nche monsignor George Abu Khazen, francescano, amministratore apostolico di Aleppo dei latini, sottolinea la piccola ma importante breccia che certi valori, normali nella cultura cristiana ma non in quella musulmana, complice l’impatto sconvolgente della guerra civile, hanno aperto nella società siriana. «Per la prima volta – ricorda – abbiamo sentito il gran muftì della Siria, Ahmad Badreddine Hassoun, parlare di Stato

laico e di distribuzione dei poteri alle autorità locali». E Badreddine è l’uomo che nel 2012 ha pubblicamente perdonati i terroristi, già catturati, che avevano ammazzato suo figlio Sariah, una feroce ritorsione per le posizioni lealiste e filo-Assad del padre. Questi sono i principi e le attese. Ma nei quartieri e sulle strade che cosa registra il

sismografo della speranza? La brutalità di questo conflitto senza quartiere ha precipitato Aleppo in un esperimento sociale con pochi uguali. I cristiani, indeboliti dalla diaspora e delusi dalla modesta solidarietà raccolta in un Occidente che avrebbe voluto vederli schierati contro il governo di

Damasco e non ha nemmeno provato a intendere le loro ragioni, hanno comunque saputo dialogare con tutti, ma oggi sono alla prova di una realtà tutta nuova. La fuga davanti ai ribelli e ai jihadisti di quattro anni fa, e oggi lo spostamento massiccio a Ovest della popolazione che abitava nei quartieri Est ridotti in macerie, sta cambiando la fisionomia dei loro quartieri.

ivere in un quartiere cristiano, per un cristiano, voleva dire godere di un ambiente conosciuto, protetto da abitudini, costumi e anche riti comuni.

Un modo per sentirsi più sicuri, anche in una città dove convivevano 23 gruppi etnico-religiosi diversi.

Ora le cose stanno cambiando e molti musulmani si stanno trasferendo, o stanno arrivando, in quei quartieri. Diffidenza e disponibilità s’incrociano, ma questo, per Aleppo, è comunque un clima da dopoguerra in cui tutti sono ancora traumatizzati.

Che succederà se e quando le cose torneranno alla normalità, magari anche nel pregiudizio e

nell’invidia? Come sempre il bisogno rema contro. Il primo ministro Imad Khamis è arrivato ad Aleppo insieme con sei ministri e ha incontrato gli esponenti delle Chiesa cristiane. A loro ha detto chiaramente che la priorità è la ricostruzione delle strutture produttive, per dare lavoro alla gente e rimettere in piedi la città. Alle chiese, scuole, mense, orfanotrofi, ospedali e case per anziani distrutte da missili e bombe si penserà dopo, appena possibile.

omprensibile ma... quando? Si capisce, dunque, la preoccupazione di monsignor Audo: niente strutture, comunità più debole. E viceversa. Ma anche i musulmani hanno problemi non da poco.

Per quanto sia convinzione comune che la guerra sia stata anche e soprattutto il frutto di ingerenze esterne tese a distruggere la Siria, nessuno può negare che da anni siriani uccidono altri siriani, in un fiume di violenza che ancora non è arginato.

Questo divide gli animi e via via spacca vecchie amicizie, rapporti di colleganza o vicinato, persino le famiglie. Ad Aleppo, poi, ci sono quattro anni di separazione forzata da rimontare. Come avranno vissuto coloro che erano rimasti a Est? Che cosa avranno dovuto fare per sopravvivere nei quartieri dominati da ribelli e jihadisti? Chi sono, in realtà, queste centinaia di migliaia di persone che, con la vittoria dell’esercito regolare e dei russi, ora devono essere assistite o integrate nel tessuto urbano e sociale, anch’esso lacerato, di Aleppo Ovest?

uona tutto molto ingeneroso ma anche

inevitabile. Basma è un’infermiera. Ha un fratello nell’esercito e un altro fratello bloccato a Deir Ezzor, città della Siria da quattro anni assediata dall’Isis.

«Nel mio palazzo – racconta – è venuta a vivere una famiglia uscita da Aleppo Est. Dicono di aver sofferto molto, di essere ora aiutati dai parenti dell’Ovest. Il padre sostiene di aver avuto un negozio di souvenir non lontano dalla Cittadella. Però fanno tante domande: che cosa fate, che cosa succedeva qui da voi... Non mi fido, ho troppa paura. E se questi hanno ancor simpatia per i ribelli? Se

denunciano mio fratello ai jihadisti di Deir Ezzor? O vanno a dire in giro che mio fratello fa i soldato?».

Sono sentimenti diffusi, che solo la pace e il tempo potranno stemperare. Il problema è che la pace non c’è ancora e il tempo non basta mai. Per ricostruire la Siria bisognerà ricostruire gli animi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

S C V

A L

F

3

Sabato

28 Gennaio 2017 @ Oggi in Cina (e non solo) si festeggia il Capodanno: guarda I D E E

le fotografie delle incredibili illuminazioni delle città cinesi www.avvenire.it

di Fulvio Scaglione di Raffaele Calabrò*

on occorrono nozioni scientifiche o di bioetica per capire che il testo adottato dalla Commissione Affari Sociali della Camera sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat), e del quale è iniziata la discussione sugli emendamenti, ha come unica finalità la possibilità di sospendere idratazione e alimentazione artificiale, che equivale all’introduzione dell’eutanasia passiva nel nostro Paese. È forte la sensazione che i sostenitori di questo testo siano mossi principalmente dal desiderio di intestarsi la vittoria ideologica della libertà assoluta di un soggetto di scegliere anche come e quando morire, imponendo al Servizio sanitario nazionale di assisterlo nel suicidio. Si vuole così riuscire laddove altri colleghi hanno fallito nelle precedenti legislature. Di questo e di nient’altro si tratta.

Ciò spiega le enormi lacune di un testo scarno,

contraddittorio e farraginoso.

Basti pensare che vi si sancisce la possibilità di sospendere idratazione e alimentazione assistite, dimenticando di indicare quali debbano essere le condizioni cliniche e, quindi, quando inizi l’efficacia delle Dat. Si precisa cosa si può sospendere ma non da quando, e neppure in quale stato patologico. Invece mi pare pacifico che le Dat si debbano applicare solo in presenza di una situazione clinica di incapacità permanente, dunque in una condizione di "stato vegetativo", per evitare il rischio – altissimo – che al paziente temporaneamente incapace di comunicare con il personale medico venga sospesa una cura salvavita. Nel testo del disegno di legge non ci si è soffermati sulla funzione di idratazione e alimentazione, ignorando che si tratta di forme di sostegno vitale necessarie e fisiologicamente indirizzate al nutrimento e ad alleviare le sofferenze del soggetto in stato terminale.

Ciò che conta pare solo la libertà di poterne fare a meno.

Quella in discussione è una proposta di legge privata persino delle sue finalità e di ogni principio. Eppure si tratta di legiferare in materia di «fine vita», di un momento

dell’esistenza cioè in cui maggiormente si manifesta la fragilità dell’essere umano.

Negli articoli del progetto il fine vita diventa un affare privato, sul quale si decide in un’epoca antecedente senza

contemplare i cambiamenti nel frattempo intervenuti nella medicina, svilendo le figure del medico e del fiduciario ridotti a meri esecutori di volontà di morte già stabilite.

Ma si può chiedere a un medico di attenersi rigidamente alle Dat e di ignorare il progresso scientifico nel periodo successivo alla loro sottoscrizione? Gli si può chiedere di non agire secondo scienza e coscienza, restando inerme dinanzi all’evoluzione di una patologia che potrebbe essere contrastata, senza neppure la possibilità di proporre alternative?

Analogamente, non ha più senso un fiduciario che la proposta di legge ingabbia nelle disposizioni espresse dal paziente, senza poter

dialogare con il medico quando lo rappresenta.

L’articolato non è neanche al passo con i tempi, ignorando quanto i farmaci innovativi stiano cambiando la medicina.

Si pensi a ciò che è accaduto in àmbito oncologico negli ultimi 5 anni, con l’arrivo di farmaci che non provocano più effetti collaterali e garantiscono alti tassi di guarigione: eppure, in presenza di una Dat in cui un soggetto ha espresso il rifiuto a ogni trattamento sanitario oncologico, perché riferito ai vecchi farmaci chemioterapici, davanti a un paziente privo di coscienza il medico non potrebbe proporre l’alternativa del farmaco innovativo «se non in presenza di motivate e documentabili possibilità di poter conseguire concretamente miglioramento nelle condizioni di vita», come si legge nel ddl. Ma in

medicina non sempre tutto si può documentare.

Quello in corso di discussione sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento è un testo che qualcuno vorrebbe inviare frettolosamente in Aula anche se non è condiviso da Area popolare, partito che è componente essenziale della maggioranza di governo, e anche se spacca il Paese, che in questo momento ha tutt’altre priorità sulle quali sono indispensabili condivisione e unità. La proposta di legge così formulata non avrà mai il mio voto favorevole, come quello di molti altri colleghi. Vale la pena mettere a rischio la maggioranza di governo per una battaglia ideologica di pochi o, come alcuni insinuano, è proprio questo il secondo fine?

*capogruppo di Area Popolare in Commissione Affari Sociali della Camera

© RIPRODUZIONE RISERVATA

N

Sul fine vita un testo lacunoso e ideologico

SI RISCHIA L’EUTANASIA NON CI ARRENDEREMO

In chiese, parrocchie e conventi un’oasi di speranza e aiuto immediato sotto le bombe

che non smettevano di cadere. Oggi, tuttavia, molti sono distrutti. E tanti fedeli se ne sono andati. Ancora pochi sono quelli

che, sfollati in città più sicure, stanno tornando. È presto per fare un bilancio, il quadro però ha tinte fosche. Si parla di due

terzi dei cristiani fuggiti, forse per sempre

Padre Ibrahim celebra Messa per i ragazzi ad Aleppo (foto: Scaglione)

UDIENZA

Il Papa ricorda le sofferenze e i religiosi rapiti in Siria

Il Papa ha ricordato le vittime «specialmente bambini, malati e anziani», dei conflitti, in particolare in Medio Oriente. Lo ha fatto nell’udienza ai membri della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse Orientali. Davanti a loro ha anche condannato l’«estremismo fondamentalista« e la

«facile manipolazione e istigazione all’odio». «E noi cosa aspettiamo?», ha chiesto a proposito della testimonianza di unità dei cristiani data dai martiri.

«Molti di voi – ha detto Francesco – appartengono a Chiese che assistono quotidianamente

all’imperversare della violenza e ad atti terribili, perpetrati dall’estremismo fondamentalista. Siamo consapevoli – ha proseguito – che situazioni di così tragica sofferenza si radicano più facilmente in contesti di povertà, ingiustizia ed esclusione sociale, dovute anche all’instabilità generata da interessi di parte, spesso esterni, e da conflitti precedenti, che hanno prodotto condizioni di vita miserevoli, deserti culturali e spirituali nei quali è facile manipolare e istigare all’odio. Ogni giorno – ha ribadito ancora il Papa – le vostre Chiese sono vicine alla sofferenza, chiamate a seminare concordia e a ricostruire pazientemente la speranza». «Queste sofferenze sono le nostre sofferenze», ha concluso Bergoglio prima di ricordare i rapiti, gli ostaggi e le persone rese schiave dai conflitti. Tra gli altri, non si hanno più notizie dei due vescovi ortodossi Youhanna Ibrahim e Pauls Yazigi, rapiti in Siria ad aprile 2013, e di padre Paolo Dall’Oglio, rapito nel luglio 2013.

REPORTAGE DALLA CITTÀ ASSEDIATA PER QUATTRO ANNI

Meno numerosi ma più uniti Aleppo, la forza dei cristiani

Dialogo anche con i musulmani. Ma tante incognite

l voto, al voto» è, almeno in ap- parenza, lo slogan più popolare tra le forze politiche dopo la sentenza della Corte Costituzionale sull’Itali- cum. E così nei giorni successivi al d- day si è registrata una giostra impaz- zita di incontri riservati, da sinistra a destra passando per i CinqueStelle, con l’obiettivo di progettare super-li- ste che annullino l’effetto dell’elimi- nazione del ballottaggio a opera della Corte Costituzionale, consentendo di raggiungere il premio di maggioranza

alla Camera.

La prima conseguenza politica della sentenza, dunque, è deleteria: se si vo- tasse nei prossimi mesi, si materializ- zerebbe una "grande ammucchiata"

di uomini, ideologie e simboli di par- tito. Tutti insieme appassionatamente:

da Pisapia ad Alfano insieme al Pd, da Salvini a Meloni insieme a Forza Italia, e forse perfino da Grillo a de Magistris.

Non sarebbe una bella notizia per la qualità della nostra democrazia. E a quanto è dato di capire non accadrà.

L’effetto delle super-liste sarebbe in- fatti paradossale: mandare al macero la coerenza dei futuri programmi elet- torali e la solidità della maggioranza e del Governo che verranno, senza au- mentare in modo significativo le chan-

ce di raggiungere la "soglia magica"

del 40%, che in un sistema tripolare come quello italiano appare presso- ché irraggiungibile.

In sostanza, se si verificasse questa i- potesi l’Italia sarebbe protagonista di un "unicum assoluto": mettere insie- me l’effetto negativo tipico dei sistemi elettorali proporzionali (l’ingoverna- bilità) con quello tipico dei sistemi maggioritari (l’incoerenza delle coali- zioni), senza poter godere dei vantag- gi che caratterizzano i due diversi mo- delli.

In un sistema di questo tipo, per tace- re delle difficoltà create dalle disar- monie tra la legge elettorale della Ca- mera e quella del Senato, vincere sa- rebbe molto difficile per chiunque. E

governare sarebbe impossibile. Cui prodest? Uno scatto d’orgoglio dei par- titi appare, dunque, vitale per garan- tire agli italiani il "diritto" d’avere un sistema della rappresentanza in grado di rispondere alle loro esigenze e isti- tuzioni in grado di funzionare.

Abbiamo tremendo bisogno di un ac- cordo, il più largo possibile, su una leg- ge alternativa che consenta a chi vin- ce di avere una maggioranza (magari coerente) in entrambi i rami del Par- lamento. Votare in queste condizioni, invece, vorrebbe dire ipotecare pe- santemente la competitività e il futu- ro prossimo del nostro Paese. Nessu- no può permetterselo.

@FFDelzio

© RIPRODUZIONE RISERVATA

A

«

Il «diritto» ad avere istituzioni che funzionano

opzione zero

di Francesco Delzio

L’ospite

Riferimenti

Documenti correlati

-liceo scientifico Galileo Galilei, via San Giacomo, 11 - Verona -istituto professionale Giovanni Giorgi, via Rismondo, 10 - Verona.  è accessibile, su appuntamento, telefonando

Ecco, allora, per Persiani, la necessità di concentrare l'attenzione sul riferimento ai «livelli essenziali delle prestazioni» e «soprattutto, alla necessaria salvaguardia

In più si potrebbe dire che se la diversità del parametro d’urto (e del valore della velocità dei singoli elettroni) contribuisce ad avere una banda larga delle tracce degli

Nel corso degli ultimi due anni i numeri dei profu- ghi interni sono drasticamente diminuiti per raggiun- gere il livello più basso di sempre nel 2019, con 104 mila nuovi

-liceo scientifico Galileo Galilei, via San Giacomo, 11 - Verona -istituto professionale Giovanni Giorgi, via Rismondo, 10 - Verona. • è accessibile, su appuntamento, telefonando

I soci che hanno aderito alle proposte assicurative di ANDI stanno per ricevere per posta i documenti per il rinnovo delle Polizze Assicurative RCP ed INFORTUNI per il

L’organizzazione autonoma, che siede al tavolo delle trattative ma da un po’ di tempo pro- cede da sola nella sua azione sindacale, chiede maggiori risorse per l’aumento stipendia-

Le risorse dedicate a queste materie sono assai modeste: mediamente i comuni italiani investono nell’ambito dei servizi sociali meno di 200 milioni l’anno, cui si possono sommare