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4.5 Differenze socio-economiche nelle aspettative di vita e unicità dei coefficienti di trasformazione

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Academic year: 2022

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4.5 Differenze socio-economiche nelle aspettative di vita e unicità dei coeffi- cienti di trasformazione

4.5.1 Mortalità differenziale e sistema previdenziale

Negli ultimi decenni i progressi della ricerca scientifica, la copertura sanitaria universale, con- giuntamente a un generalizzato aumento del tenore di vita e a un miglioramento degli stili di vi- ta e della prevenzione hanno condotto in Italia a un rapido aumento della longevità della popo- lazione: dagli anni Sessanta ad oggi la vita media si è accresciuta di ben 11 anni e la speranza di vita alla nascita è attualmente pari a 78,9 anni per gli uomini e 84,2 per le donne438.

A partire dalla «riforma Dini» del 1995, che ha introdotto il metodo di calcolo contributivo, la longevità media della popolazione è divenuta un elemento cardine del sistema previdenziale:

da una parte, l’importo della pensione contributiva è legato, mediante i coefficienti di trasfor- mazione, all’aspettativa di vita residua al momento del pensionamento; dall’altra tali coefficienti vengono periodicamente aggiornati (ogni due anni in base alla riforma del 2011) per tener conto della variazione dei tassi di longevità. Nello specifico, i coefficienti di trasformazione vengono calcolati sulla base dell’aspettativa di vita media della popolazione (senza differenziare per ge- nere) all’età di pensionamento, incorporando nel calcolo la probabilità media di lasciare in ere- dità al coniuge o ad altri congiunti la pensione di reversibilità. In aggiunta, le riforme approvate tra il 2010 e il 2011 hanno stabilito che tutti i requisiti anagrafici e contributivi di accesso al pensionamento vadano automaticamente aggiornati in funzione degli aumenti medi della spe- ranza di vita a 65 anni.

Come ricordato nel paragrafo 4.3.4 il sistema contributivo, essendo basato su meccanismi di neutralità attuariale – si riceve di pensione esattamente il frutto di quanto si è risparmiato in con- tributi e l’importo della rendita unitaria dipende dal numero di anni in cui ci si attende di riceve- re la prestazione – è generalmente ritenuto un sistema equo. Il concetto di equità attuariale non va però assolutamente confuso con le accezioni «sostanziali» di equità e di eguaglianza di op- portunità, che dovrebbero invece ispirare le politiche sociali. Da una parte, infatti, come eviden- ziato nel paragrafo 4.3.2, chi ritiene che la previdenza debba basarsi unicamente su un rigido meccanismo di contro-prestazione sta implicitamente accettando come immodificabile qualsiasi diseguaglianza che si crea nel mercato del lavoro. Dall’altra, nel sistema contributivo ci si riferi- sce unicamente all’aspettativa di vita media, senza che venga presa in considerazione ogni for- ma di scostamento da essa. Laddove una maggiore o minore longevità non fosse frutto del caso, ma dipendesse in modo causale da una serie di caratteristiche degli individui, il sistema previ- denziale finirebbe per generare una redistribuzione sistematica da chi è meno dotato di tali ca- ratteristiche verso chi ne è invece più dotato.

Ogni sistema pensionistico tende, per definizione, a redistribuire da chi vive di meno a chi vive più a lungo. Tale forma di redistribuzione diviene però regressiva, e particolarmente fasti-

438 Cfr. Comitato di Politica Economica 2012.

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diosa da un punto di vista etico, quando a vivere sistematicamente più a lungo sono gli individui più abbienti, quelli che provengono da un miglior contesto socio-economico439.

La letteratura recente è concorde nell’evidenziare proprio come la longevità sia nettamente minore per chi proviene da uno status socio-economico più svantaggiato, indipendentemente dalla variabile considerata per individuare tale status (ad esempio, il reddito, la classe occupa- zionale, il titolo di studio)440. Il sistema contributivo, basandosi sull’aspettativa di vita media, potrebbe quindi determinare ingenti flussi redistributivi dai meno abbienti a favore dei più ab- bienti. In presenza di fenomeni di mortalità differenziale, il principio dell’equità attuariale dei sistemi previdenziali non sarebbe quindi garantito a meno dell’introduzione di meccanismi compensativi appannaggio dei soggetti ai quali, a causa di particolari determinanti socio- economiche, sono associate a minori probabilità di vivere a lungo.

Una redistribuzione regressiva potrebbe d’altro canto discendere anche dall’incremento so- stanziale delle età pensionabili per gli iscritti ai regimi retributivo e misto stabilito dalla riforma del 2011. In tali regimi l’esistenza di pensioni di anzianità, che avvantaggiavano in termini at- tuariali chi si pensionava prima comportando un forte disincentivo alla prosecuzione dell’attività441, contribuiva a compensare gli effetti regressivi della mortalità differenziale, dal momento che molto spesso erano i lavoratori meno abbienti e con minore vita attesa a ritirarsi a età molto precoci (avendo sovente iniziato a lavorare molto giovani). In altri termini, nel retribu- tivo si fronteggiavano due forze di segno opposto: l’uscita anticipata favoriva i meno abbienti a fronte dello svantaggio derivante dalla loro minore longevità relativa. L’aver stabilito, invece, un’età di uscita sostanzialmente unica farà sì che i flussi redistributivi del sistema previdenziale connessi alla mortalità differenziale dipendano unicamente dalla diversa longevità ed è dunque presumibile che avvantaggino – in termini di ricchezza pensionistica goduta nell’intera vita – chi ha uno status socio-economico più agiato.

Come evidenziato di recente in un documentato articolo tratto da The Economist, aumentare l’età pensionabile per far fronte alle criticità dei sistemi previdenziali non appare una politica imparziale, dato che in tutti i paesi occidentali i più abbienti tendono a vivere più dei poveri. La preoccupazione viene inoltre acuita dal fatto che negli anni recenti tale divario appare aumenta- to in tutti i paesi in cui si dispone di dati affidabili ed esiste evidenza che l’innalzamento dell’età pensionabile possa ulteriormente ampliare tale divario, riducendo l’aspettativa di vita di chi svolge lavori più faticosi e pericolosi.

Il tema della mortalità differenziale appare dunque cruciale e andrebbe portato al centro del dibattito scientifico e di policy. L’obiettivo di questo lavoro è quello di portare nuova evidenza empirica su questo tema, in relazione al caso italiano, facendo uso del nuovo dataset longitudi- nale AD-SILC, che ben si presta a tale scopo. Dopo aver brevemente ricordato i principali con- tributi presenti in letteratura (vedi paragrafo 4.5.2) e aver descritto metodologia e dati

439 In tutte le società sviluppate le donne sono caratterizzate da una vita attesa più lunga degli uomini. In Italia, il si- stema contributivo, basandosi su coefficienti di trasformazione non differenziati per genere, pagherà dunque pensioni in termini attuariali più vantaggiose alle donne che agli uomini. Una forma di redistribuzione dagli uomini alle donne per via del sistema previdenziale appare d’altronde giustificabile come forma di risarcimento (parziale ed ex post) per le molteplici discriminazioni occupazionali e salariali di genere tuttora presenti nel mercato del lavoro.

440 Cfr. Rosolia 2012.

441 Cfr. Raitano 2012d.

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dell’analisi empirica (paragrafo 4.5.3), si presentano i risultati di una stima originale micro- econometrica sul legame fra una serie di caratteristiche socio-economiche individuali e la pro- babilità di sopravvivenza nel corso del tempo (paragrafo 4.5.4).

4.5.2 Rassegna della letteratura

La differenziazione dell’aspettativa di vita a seconda delle condizioni socio-economiche indivi- duali emerge evidente in tutti i paesi in cui sono stati condotti studi in tal senso, sebbene non siano ancora ben chiari i meccanismi mediante i quali un migliore status socio-economico si traduce in maggiore vita attesa (fra i possibili meccanismi un elenco non esaustivo include: ac- cesso a migliori cure mediche, maggiore prevenzione, migliori stili di vita, minore stress, mino- re esposizione a rischi e fattori patogeni).

Molta dell’evidenza empirica si riferisce agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna, anche grazie all’ampia disponibilità di micro-dati che legano informazioni su mortalità e stato di salute alle caratteristiche socio-economiche individuali (ad esempio, reddito da lavoro e da pensione, man- sione svolta, istruzione). Per l’Italia la mancanza di dataset longitudinali di lunga durata che consentano di ricavare tali informazioni ha complicato la possibilità di condurre stime dettaglia- te; l’evidenza empirica ricavata mediante i dati a disposizione è ad ogni modo concorde nell’evidenziare il forte condizionamento dello status socio-economico sulla longevità indivi- duale.

Per gli Stati Uniti le stime più recenti mostrano divari molto ampi442: l’aspettativa di vita a 50 anni è infatti pari a 28,7 anni per un bianco laureato a fronte di soli 20,9 anni per i neri con al più un diploma secondario superiore. Simili divari emergono in relazione all’aspettativa di vita in buona salute (quella da cui dipendono domanda e offerta di lavoro e, dunque, la possibilità di posporre l’età di ritiro): a 50 anni un uomo appartenente al quartile più ricco ha un’aspettativa di vita priva di disabilità pari a 23 anni, mentre tale valore scende a 14 anni per chi appartiene al quartile più povero.

Differenze molto ampie si osservano anche nel Regno Unito, nonostante la presenza del Na- tional Health System dovrebbe garantire a tutti cure mediche adeguate, eliminando dunque una causa di differenziazione per censo che potrebbe emergere negli Stati Uniti. Therborn443 rileva come i divari di longevità fra i diversi quartieri di Londra siano gli stessi che si osservano in media fra chi vive nel Regno Unito e in Myanmar: chi vive nell’agiato quartiere di Chelsea- Kensington vive in media 17 anni di più di chi abita in alcuni sobborghi periferici. Analogamen- te, altri studi segnalano come a 65 anni i dirigenti abbiano un’aspettativa di vita di 3,5 anni in più rispetto agli operai e che tali divari persistano tra i loro figli444 : attualmente l’aspettativa di vita alla nascita dei figli di manager e degli operai è, rispettivamente, pari a 80,4 e a 74,6 anni.

Nonostante un incremento generalizzato nella longevità, i divari socio-economici sembrano inoltre essersi acuiti recentemente. Il processo di allungamento della vita media appare, infatti,

442 Cfr. Munnell et al. 2008.

443 Cfr. Therborn 2013.

444 Cfr. Office for National Statistics 2011.

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tutt’altro che uniforme e riguarda i soggetti in maniera differenziata, in base alle diverse caratte- ristiche individuali. Gli studi più dettagliati disponibili per il Regno Unito445 segnalano che il divario nella speranza di vita alla nascita fra i maschi figli di dirigenti e operai è passato da 4,9 anni degli anni Ottanta a 6,2 anni all’inizio del XXI secolo. Similmente, fra le donne occupate negli ultimi decenni il maggior incremento dell’aspettativa di vita ha interessato chi ha un’occupazione dirigenziale (+3,7 anni) mentre fra chi lavora nei servizi a minor qualifica l’incremento dell’aspettativa di vita è risultato di gran lunga inferiore (+1,9 anni).

Nonostante la carenza di dati che incrocino informazioni socio-economiche individuali e di mortalità, le analisi esistenti confermano anche per l’Italia l’esistenza di ampie e diffuse disu- guaglianze nella speranza di vita e nel rischio di mortalità lungo le principali dimensioni socio demografiche446.

Costa e Maccheroni447 confermano la forte correlazione fra titolo di studio e longevità e se- gnalano, inoltre, come i divari fra individui più e meno istruiti si siano ampliati a partire dagli anni Ottanta. Cannari e D’Alessio448, attraverso i dati dell’Indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d’Italia, mostrano come la probabilità di sopravvivere a distanza di due anni (il pe- riodo intercorrente tra rilevazioni successive dell’Indagine) risulti maggiore per i più istruiti e per chi percepisce redditi più elevati. Costa et al.449, utilizzando dati amministrativi di fonte INPS, mostrano che ai soggetti che arrivano alla pensione dopo carriere di lavoro subordinato e a basso reddito si associa un’aspettativa di vita significativamente inferiore rispetto alla media e che i rischi di mortalità precoce sono particolarmente elevati per chi ha lavorato in passato nell’industria estrattiva o nei trasporti. Peracchi e Perotti450 fanno uso dei dati ISFOL-PLUS che rilevano l’auto-dichiarazione degli individui sulla probabilità soggettiva di sopravvivere in di- verse età – considerata in letteratura un ottimo predittore della longevità effettiva – e rilevano come tale probabilità sia significativamente maggiore per chi svolge attività lavorative stabili e ben remunerate.

4.5.3 Dati e metodologia

La stima del legame fra caratteristiche socio-economiche individuali e mortalità in Italia viene condotta facendo uso del dataset AD-SILC451, recentemente costruito incrociando le informa- zioni campionarie derivanti dall’indagine IT-SILC dell’ISTAT con quelle amministrative gestite dall’INPS, in cui sono riportate le storie lavorative di un ampio campione della popolazione re- sidente in Italia dal momento dell’ingresso nel mercato del lavoro fino al termine del 2010.

445 Cfr. Office for National Statistics 2011

446 Cfr. Rosolia 2012

447 Cfr. Costa 2009 e Maccheroni 2008.

448 Cfr. Cannari e D’Alessio 2004.

449 Cfr. Costa et al. 2010.

450 Cfr. Peracchi e Perotti 2009.

451 Il dataset AD-SILC è stato sviluppato nell’ambito di un progetto di ricerca europeo coordinato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze dalla Fondazione Giacomo Brodolini. I principali risultati di questo progetto di ricerca sono reperibili al sito www.tdymm.eu.

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La stima della mortalità differenziale necessita della disponibilità di micro-dati a carattere longitudinale, che raccolgano informazioni dettagliate sulle caratteristiche individuali e registri- no la «sopravvivenza» degli individui in diversi punti nel tempo. Fino alla recente costruzione di AD-SILC, un dataset con simili caratteristiche non era disponibile in Italia. Gli archivi am- ministrativi gestiti dall’INPS registrano infatti informazioni dettagliate sulla storia lavorativa dell’universo dei lavoratori italiani sin dall’inizio della loro attività, ma non rilevano il titolo di studio. Al contrario, le indagini campionarie panel registrano molteplici caratteristiche indivi- duali, ma osservano gli stessi lavoratori per un numero di anni abbastanza limitato e soffrono di problemi di attrition che possono notevolmente complicare la registrazione di chi decede nel pe- riodo di osservazione.

AD-SILC è stato sviluppato incrociando dati amministrativi e campionari, così consentendo di superare i limiti delle singole fonti dati da cui trae origine. Nello specifico, tale dataset è stato costruito identificando il campione di individui intervistati nella wave del 2005 dell’indagine IT- SILC (la versione italiana dell’European Union Survey on Income and Living Conditions - EU- SILC) e incrociando, per questi individui, le informazioni rilevate in tale indagine con quelle reperibili negli archivi amministrativi dell’INPS e nei Casellari degli Attivi e dei Pensionati452. In questo modo alle informazioni di survey si è aggiunta una gran mole di informazioni, di fonte amministrativa, relativa all’intera storia lavorativa individuale dal momento dell’ingresso nel mercato del lavoro sino a fine 2010.

Ai nostri fini, ciò che più conta è che gli archivi amministrativi registrano – oltre alle princi- pali caratteristiche time invariant (genere, anno di nascita, titolo di studio), a quelle relative al momento dell’intervista (il reddito familiare) e alla storia lavorativa pregressa453 – la data di morte per chi, intervistato dall’ISTAT nel 2005, decede fra il momento dell’intervista e la fine del 2010.

Il dataset AD-SILC è dunque un panel retrospettivo, composto da circa 1,2 milioni di osser- vazioni relative a 43.388 individui registrati almeno una volta negli archivi amministrativi. Nel- lo specifico, di seguito verranno condotte stime sulle determinanti della probabilità di decesso per il sottocampione di 9.645 individui che avevano almeno 60 anni di età nel 2005; fra questi si osservano 1.319 decessi nel corso dei 5 anni successivi.

Per studiare il legame fra rischio di decesso e caratteristiche individuali, nel presente lavoro si segue l’approccio di stima semiparametrico basato sul proportional hazard regression, noto come modello di regressione di Cox454. Tale modello è caratterizzato da diverse peculiarità: non ha l’intercetta, il tempo di sopravvivenza non segue una particolare distribuzione di probabilità e non vengono fatte assunzioni sulla forma della baseline hazard function. L’assunzione implicita consiste nel fatto che due individui con le stesse covariate hanno la stessa hazard function. Tut-

452 La procedura di merge è stata effettuata da INPS e ISTAT (ambedue membri del Sistan) mediante i codici fiscali registrati sia in IT-SILC che negli archivi amministrativi. Una volta unite le informazioni provenienti dalle due fonti, i dati sono stati opportunamente resi anonimi per ragioni di privacy.

453 Settore di attività e dimensione d’impresa sono rilevati a partire dal 1987. Non si dispone dunque di tale informa- zione per chi si è ritirato prima di tale data. Per tale motivo nelle stime del paragrafo 4.5.4 non si sono inserite fra le covariate tali variabili.

454 Per dettagli su tale metodologia cfr. Allison 2010; Cox e Oakes 1984.

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tavia, tale semplificazione è irrealistica, perché assume che le caratteristiche individuali non os- servate non abbiano impatto sui rischi di mortalità.

Per attenuare tale restrizione e tener conto dell’eterogeneità individuale non osservata e dell’effetto di eventuali variabili omesse, al modello di Cox è stata aggiunta la componente ran- dom effect, in modo da catturare l’eccesso di rischio (frailty) individuale. L’idea alla base di tale correzione è che differenti individui abbiano differenti frailty e un eccesso di tale rischio sia causa di una riduzione del tempo all’evento, a parità delle altre variabili esplicative (ovvero sia causa di una più precoce mortalità).

4.5.4 Risultati delle stime

Nella tabella 4.18 sono riportate le stime ottenute nell’analisi. I parametri corrispondono all’esponenziale del coefficiente stimato e sono interpretabili come l’effetto moltiplicativo dell'hazard (che varia quindi fra 0 e +∞). Un valore superiore all’unità indica che la covariata esercita un impatto positivo sulla probabilità dell’evento stimato (in questo caso sul rischio di decesso), un valore compreso fra 0 e 1 segnala che tale covariata riduce il rischio relativo di ac- cadimento dell’evento. Ad esempio, l’hazard ratio del sesso confronta la funzione hazard per i maschi con quella delle femmine, al netto dell’effetto di tutte le altre covariate e della eteroge- neità non osservata. Qualora il coefficiente stimato fosse superiore all’unità, i maschi presente- rebbero una probabilità di sopravvivenza minore delle donne.

Le stime sono condotte attraverso 3 modelli, che differiscono fra loro per il numero di cova- riate incluse, dato che nel secondo e terzo modello sono, rispettivamente, inclusi fra i regressori anche il logaritmo reddito familiare annuo disponibile equivalente registrato nell’anno prece- dente l’intervista e un indicatore della continuità della carriera lavorativa pregressa, costruito mediante il rapporto fra le settimane lavorate nel corso della carriera e le settimane intercorse fra l’entrata in attività e il momento del pensionamento.

Come atteso, in tutti i modelli si conferma come gli uomini abbiano una sopravvivenza signi- ficativamente minore delle donne e come i rischi di decesso aumentino al crescere dell’età (la relazione fra età e mortalità appare lineare dato che il coefficiente dell’età al quadrato non è sta- tisticamente significativo).

Ciò che più interessa è però valutare la relazione fra caratteristiche socio-economiche indivi- duali e sopravvivenza. Tutti i modelli stimati confermano come il titolo di studio sia significati- vamente associato a un minor rischio di decedere nel periodo di osservazione e la significatività dell’istruzione, seppur attenuata, si mantiene anche quando si inseriscono nella stima altre cova- riate (tipo di carriera e reddito) legate al titolo di studio. Inserendo nella stima il reddito familia- re (modello 2) si segnala, inoltre, come un contesto socio-economico più agiato sia significati- vamente associato a una minore mortalità. Infine, a parità di istruzione e reddito familiare, aver sperimentato una carriera meno frammentata (e presumibilmente meno stressante) è associata a una maggiore sopravvivenza.

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Tab. 4.18 - Stima della probabilità di decesso per caratteristiche individuali1. Modello di regressione di Cox con Gamma Frailty.

Modello 1 Modello 2 Modello 3

Coefficiente P value Coefficiente P value Coefficiente P value

Uomo 1.600 0.000 1.601 0.000 1.952 0.000

Età 1.029 0.009 1.030 0.000 1.078 0.001

Etàal quadrato 1.000 0.310 1.000 0.280 1.000 0.150

Licenza media2 0.572 0.000 0.591 0.000 0.532 0.000

Secondaria superiore2 0.631 0.000 0.679 0.000 0.596 0.000

Laurea2 0.719 0.040 0.815 0.099 0.568 0.006

Reddito familiare nel 2004 0.854 0.001 0.878 0.042

Continuità attività lavorativa3 0.590 0.000

Dimensione campionaria 9.645 9.645 9.645

Decessi osservati 1.319 1.319 1.319

Note: 1campione di 9.645 individui, nati prima del 1946, intervistati nel 2005 e seguiti fino al termine del 2010; 2modalità di riferimento «Al più diploma di licenza elementare»; 3continuità dell’attività misurata co- me percentuale di settimane trascorse lavorando (anziché in CIG, disoccupazione o inattività) dall’ingresso in attività fino al pensionamento

Fonte: elaborazioni su dati AD-SILC

In conclusione, i risultati qui presentati confermano ampiamente l’esistenza di fenomeni di mortalità differenziale, ovvero di rischi di mortalità legati alle caratteristiche socio-economiche individuali e segnalano, se mai ve ne fosse stato bisogno, la necessità di portare al centro del di- battito pubblico la consapevolezza dell’esistenza di un’ulteriore grave forma di diseguaglianza fra individui, quella nella speranza di vita, e di valutare con attenzione come correggere le nor- me dell’attuale sistema previdenziale italiano per evitare che la diseguaglianza nella vita attesa amplifichi ulteriormente le diseguaglianze dei redditi da pensione percepiti dagli individui nel corso della loro vita.

4.6. Effetti macroeconomici di breve-medio periodo della riforma del mercato del lavoro e di quella pensionistica

4.6.1 Introduzione

Con la L. n. 92 del 28 giugno 2012, il disegno di legge di riforma del mercato del lavoro presentato il 23 marzo scorso dalla ministra Elsa Fornero ha assunto forza di legge. L’intervento si pone obiettivi molteplici, che nel DDL vengono così riassunti: «…realizzare un mercato del lavoro dinamico,

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