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I FONDAMENTI CIVILISTICI E GLI ASPETTI GIURIDICI DELLE CLAUSOLE CONTRATTUALI, IN PARTICOLARE NELLE POLIZZE VITA

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I FONDAMENTI CIVILISTICI E GLI ASPETTI GIURIDICI DELLE CLAUSOLE

CONTRATTUALI, IN PARTICOLARE NELLE POLIZZE VITA

Avv. Alberto Polotti di Zumaglia

1) L’attività del medico legale in ambito contenzioso.

2) La conclusione del contratto di assicurazione.

3) Le dichiarazione precontrattuali….

4) …segue.

5) Condizioni generali di assicurazione.

6) I soggetti del contratto di assicurazione vita.

7) Designazione ed individuazione del beneficiario.

**********

1) L’attività del medico legale in ambito contenzioso.

Il medico legale si trova, proprio per la sua particolare attività, a dover intervenire sia in sede giudiziale che stragiudiziale nella soluzione di particolari questioni e valutazioni, su incarico di assicuratori o degli aventi diritto ad un risarcimento o degli stessi giudici cui venga affidata una causa civile o penale.

Può dunque essere interessante preliminarmente ricordare alcune decisioni giurisprudenziali riguardanti l’attività del consulente tecnico d’ufficio e quella del consulente tecnico di parte, sia pur solo al fine di fornire alcuni spunti di riflessione ed anche per chiarire alcuni quesiti sorti in sede di dibattito.

Con riferimento alle finalità della consulenza tecnica d’ufficio è anzitutto da segnalare, tra le altre, Cass. civ. 7/3/2001 n. 3343 (in Mass. 2001) che così si è espressa con la seguente massima: “ In relazione alla finalità propria della consulenza tecnica d’ufficio, di aiutare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze, il suddetto mezzo di indagine non può essere disposto al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ed è quindi legittimamente negato dal giudice qualora la parte tenda con esso a supplire alla deficienza delle proprie

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allegazioni o offerta di prove ovvero a compiere un’attività esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati.

Ai soprindicati limiti è consentito derogare unicamente quando l’accertamento di determinate situazioni di fatto possa effettuarsi soltanto con il ricorso a specifiche cognizioni tecniche, nella quale ipotesi, peraltro, la parte che denunzia la mancata ammissione della consulenza ha l’onere di precisare sotto il profilo causale come l’espletamento del detto mezzo avrebbe potuto influire sulla decisione impugnata.”

Da ciò deriva che il “il c.t.u. medico – legale, per porre la propria diagnosi, può ritenere esistenti solo quei fatti che siano processualmente provati. Le dichiarazioni rese dal danneggiato al c.t.u. medico – legale che non siano obbiettivamente controllabili da quest’ultimo non costituiscono prova dell’esistenza di postumi permanenti. Pertanto, il medico legale chiamato ad accertare l’esistenza di postumi permanenti in seguito al meccanismo del colpo di frusta non segue una corretta procedura gnoseologica, ed anzi compie un grave errore ove utilizzi esclusivamente quanto dichiarato dal periziato per porre la propria diagnosi senza alcun riscontro oggettivo. L’ausiliario non può arrestarsi a quanto riferito dal periziato ma deve verificarlo scientificamente, controllarlo obbiettivamente, giustificarlo medico – legalmente.” (Trib. Roma 22/04/1998 in Resp. Civ. Previd. 1998, 1471 con nota di Miotto).

Ciò significa che i sintomi soggettivi dichiarati dalla parte possono essere presi in considerazione solo se oggettivamente giustificabili dal quadro probatorio assunto e ciò sia in base a cognizioni tecniche sia anche in base all’intuito clinico del medico.

Tanto viene confermato, sia pur con riferimento a situazioni diverse dal cosiddetto colpo di frusta nel quale molto spesso vengono in discussione le sintomatologie puramente soggettive, dalle seguenti massime: “ La consulenza tecnica d’ufficio, la quale di norma è uno strumento di mero ausilio per il giudice del merito ai fini della valutazione del materiale probatorio già acquisito alla causa può costituire fonte oggettiva (ed autonoma) di prova quando si risolve in un mezzo indispensabile per accertare fatti rilevabili solamente con il sussidio di cognizioni

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tecniche (fattispecie attinente ad un giudizio relativo all’accertamento dell’aggravamento di una malattia professionale di un dipendente delle FF. SS.

S.p.a. appartenente al personale navigante) “ (Cass. 17/8/2000 n. 10916, Mass.

2000)

“ La nevrosi ansiosa depressiva reattiva è una malattia la cui diagnosi è principalmente affidata all’intuito clinico del medico. ( in base al suddetto principio la S.C. ha ritenuto adeguata sul punto la motivazione della sentenza di merito che – al fine di affermare che l’infermità denunciata era l’effetto di una costituzione psichica ampiamente predisponente all’insorgenza della nevrosi, la quale non poteva quindi, essere eziologicamente ritenuta conseguenza dell’attività lavorativa della dipendente – aveva richiamato integralmente la relazione del consulente tecnico d’ufficio nella quale l’accertamento della personalità fragile della lavoratrice risultava essere fondato esclusivamente sull’esperienza professionale del consulente)” (Cass. 26/9/1998 n. 9669 in Mass. 1998).

Con riferimento ad ipotesi di nullità della consulenza tecnica è da ricordare che

“La mancata comunicazione al difensore di una delle parti costituite, da parte del consulente tecnico autorizzato dal giudice a compiere indagini da solo (art. 194 c.p.c.) del tempo e del luogo di inizio delle operazioni (art. 90 I co disp. att.), determina la nullità della consulenza tecnica – rilevante ove tempestivamente eccepita -, né il vizio è escluso dalla presenza alle operazioni della parte personalmente, che debba essere sottoposta ad accertamenti medico - legali.”

(Cass. 27/9/2000 n. 12785, in Mass. 2000; conforme Cass. 28/11/2001 n. 15133 in Mass 2001).

L’attività del medico legale è, peraltro, diretta oltre che a fornire adeguata consulenza ed assistenza in ambito contenzioso anche a fornire consulenza in ambito stragiudiziale e soprattutto a fornire all’assicuratore un supporto tecnico al momento dell’acquisizione di contratti ed in particolare di polizze sanitarie e vita.

Proprio al fine di meglio inquadrare questo tipo di attività conviene conoscere le

“regole del gioco” e quindi le più importanti clausole contrattuali e, soprattutto le norme che regolamentano il perfezionamento dei contratti.

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2) La conclusione del contratto di assicurazione.

Anche il contratto di assicurazione si conclude, in forza della regola prevista dall’art. 1326 c.c., nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte.

Con riferimento alla fase precontrattuale occorre ricordare che per l’art. 1887 c.c.

la proposta scritta diretta all’assicuratore rimane ferma per il termine di quindici giorni, o di trenta giorni quando occorre una visita medica e che tale termine decorre dalla data della consegna o della spedizione della proposta.

Per quanto riguarda le polizze vita tale regola va però integrata con il riferimento all’art. 112 del d.lgs. 17/2/1995 n. 174 che consente invece la revoca della proposta di un’assicurazione vita individuale, con restituzione delle somme eventualmente pagate dal contraente all’assicuratore, revoca che, chiaramente potrà venir manifestata sino al momento in cui il contratto non si sia perfezionato.

Sempre per le polizze vita è poi previsto dall’art. 111 del d.lgs. n. 174/95 che il contraente, entro 30 giorni dal momento in cui è informato che il contratto è concluso, possa recedere dal contratto stesso, liberandosi da qualsiasi obbligazione futura con rimborso del premio pagato.

Il meccanismo di conclusione del contratto come sopra richiamato in via generale è chiaramente evidenziabile in quei contratti come certe assicurazioni sanitarie o certe assicurazioni vita nelle quali l’assicuratore, ricevuta la proposta, valuta il rischio e poi decide se assumerlo e, in caso positivo, a quale premio.

Tale principio non viene comunque ad essere abbandonato nemmeno in quei casi in cui la sottoscrizione della proposta e del contratto è contemporanea, posto che si avrà pur sempre una successione cronologica dei vari atti e non verrà a mancare, per le polizze vita il diritto al ripensamento cui si è appena accennato.

Per completezza, si ritiene opportuno segnalare essere stato osservato che anche quando la proposta irrevocabile di stipulare un contratto di assicurazione vita venga redatta su un modulo predisposto unilateralmente dall’assicuratore il

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contratto si perfeziona sempre – secondo le regole generali – nel momento in cui l’assicuratore accetta la proposta formulata dall’assicurato, a nulla rilevando che il modulo contenente la proposta formulata dall’assicurato sia sottoscritta anche dall’agente o che sia stata pagata la prima rata del premio. (Trib. Roma 17/2/2000 in Giur. Romana 2000, 384)

Piuttosto si può sottolineare che il contratto può essere concluso e quindi perfetto sotto tutti i suoi aspetti e creare quindi obblighi ma può non essere efficace perché ad esempio il contraente non abbia ancora pagato il premio, cosa questa che è pur sempre condizione di operatività delle garanzie.

3) Le dichiarazione precontrattuali….

Come noto in ogni tipo di contratto di assicurazione uno degli elementi più importanti di cui l'assicuratore può disporre per valutare il rischio che gli viene proposto è rappresentato dalle stesse indicazioni che gli fornisce l'assicurando e ciò è tanto più vero nelle polizze malattia o nelle polizze vita, visto che solo l'assicurando è in grado di conoscere e descrivere dettagliatamente la propria storia clinica.

E' ben vero che talora gli assicuratori prima di esprimere l'assenso a stipulare il contratto svolgono determinati accertamenti, ma questi ultimi non hanno l'effetto di sostituirsi alle dichiarazioni che vengono richieste all'assicurando "...pertanto, se la situazione di rischio risulta diversa da quella rappresentata si pone il problema della tutela dell'assicuratore" (v. G. Scalfi, I contratti di assicurazione. L’assicurazione danni. Torino, 1991, p.124).

Non si dimentichi poi che per certi capitali e certi rischi sono previste assicurazioni vita senza visita medica e nelle quali quindi l’assunzione del rischio viene decisa dall’assicuratore solo sulla base di quanto può apprendere dalle dichiarazioni che ha richiesto all’assicurando e fatto controllare dal proprio consulente medico.

A questa realtà occorre dunque far riferimento per meglio comprendere il senso degli artt. 1892,1893 e 1894 c.c., i quali precisano che le dichiarazioni inesatte o le reticenze dell'assicurato relative a circostanze che influiscono sulla valutazione del

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rischio possono comportare la perdita totale o parziale del diritto all'indennizzo, nonché la cessazione dell'assicurazione.

Di fatto gli artt.1892 e 1893 c.c. regolano rispettivamente le conseguenze delle dichiarazioni inesatte o reticenti rilasciate con dolo o colpa grave oppure senza dolo o colpa grave.

Nel primo caso l'assicuratore può esercitare l'azione di annullamento del contratto da proporsi, a pena di decadenza, entro tre mesi dal giorno in cui esso ha conosciuto l'inesattezza della dichiarazione o la reticenza; se il sinistro si verifica prima che sia decorso il predetto termine, ed a maggior ragione quindi prima che l'assicuratore abbia avuto conoscenza del mendacio o della reticenza, l'assicuratore stesso non è tenuto a pagare la somma assicurata. Nel secondo caso, invece, l'assicuratore può recedere dal contratto nei tre mesi dal giorno in cui ha conosciuto l'inesattezza della dichiarazione o la reticenza, ed in caso di sinistro può ridurre la somma dovuta in proporzione della differenza tra il premio che sarebbe stato applicato se avesse conosciuto il vero stato delle cose ed il premio realmente incassato.

In giurisprudenza si è precisato che l'art. 1892 cc. "...esige il simultaneo concorso di tre elementi essenziali: a) una dichiarazione inesatta o una reticenza dell'assicurato;

b) l'influenza di tale dichiarazione o reticenza ai fini della reale rappresentazione del rischio; c) che la reticenza o la dichiarazione inesatta siano il frutto del dolo o della colpa grave dell'assicurato. Pertanto, non qualunque reticenza di circostanze conosciute dall'assicurato è causa di annullamento del contratto di assicurazione, ma l'annullamento è invocabile solo quando la dichiarazione falsa o reticente sia di tale natura che l'assicuratore non avrebbe dato il suo consenso o non l'avrebbe dato alle medesime condizioni se avesse conosciuto l'esatta o completa verità."

(Cass.25/5/1994 n.5115 in Assic.,1995, II, 2, 77; v. anche Cass. 14/2/2001 n. 2148 in Mass. 2001.).

Per contro le inesattezze o le reticenze dell’assicurato su circostanze che l’assicuratore conosce o avrebbe dovuto conoscere, perché notorie, non comportano una violazione dell’obbligo di collaborazione previsto dagli articoli 1892 e 1893 c.c.

a carico dell’assicurato, bensì vanno imputate all’assicuratore con la conseguenza

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che non possono giustificare la riduzione dell’indennizzo in proporzione della differenza tra il premio convenuto e quello che sarebbe stato applicato se si fosse conosciuto il vero stato delle cose. (Cass. 19/12/2000 n. 15939 in Mass. 2000) A maggior ragione dunque diventa rilevante la conoscenza che l'assicuratore stesso od un suo rappresentante abbiano avuto delle circostanze taciute o riferite inesattamente, conoscenza che impedirà anch’essa la possibilità di invocare la tutela prevista dall'art.1892 o dall’art. 1893 c.c., mentre è stato escluso che la conoscenza da parte di un procacciatore di affari o di un agente privo di rappresentanza equivalgano alla conoscenza dell'assicuratore con le relative conseguenze.

4) …segue.

Sul piano probatorio si può allora dire che spetta all'assicuratore dare la prova dell'esistenza di dichiarazioni inesatte o reticenti con dolo o colpa per ottenere la tutela prevista dalle norme richiamate, mentre l’assicurato, per paralizzare una tale azione, dovrà dimostrare che l’assicuratore era in qualche modo venuto a conoscenza delle circostanze invocate.

Riguardo l'elemento soggettivo si può ricordare che non è richiesto per l'affermazione del dolo dell'assicurato che si dimostri che quest'ultimo intendeva frodare l'assicuratore, essendo sufficiente la volontarietà delle dichiarazioni mendaci o della reticenza dell'assicurato stesso con riguardo a circostanze determinanti per il consenso dell'assicuratore (v. A. Polotti di Zumaglia - A. Candian - M. Santaroni, Assicurazione vita e infortuni - Contratti para assicurativi, Torino, 1992, p.43 cui si rinvia per ulteriori richiami). Non si dimentichi poi che un ricovero ospedaliero ed a maggior ragione un intervento chirurgico rientrano tra quei fatti che restano impressi nella memoria di una persona per cui il tacerne l’esistenza finirà per rappresentare una dichiarazione reticente dolosa.

Come esempi in cui la giurisprudenza ha ravvisato nel comportamento dell’assicurato gli estremi di dichiarazioni reticenti dolose possiamo ricordare un caso in cui un assicurato con polizza sanitaria aveva richiesto il rimborso del costo di un’operazione di protesizzazione di un ginocchio, rimborso negato dall’assicuratore perché l’assicurato al momento della stipula non aveva dichiarato di soffrire di gonalgia (v. Cass. 19/1/2001 n. 784 in Mass. 2001); in altra circostanza si ravvisò

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l’esistenza del dolo dell’assicurato perché questi non aveva indicato nel questionario medico sottoscritto all’atto della stipula del contratto di soffrire di arteriopatia obliterante agli arti inferiori, mentre tale circostanza venne evidenziata dalle dichiarazioni risultanti dalla cartella clinica compilata al momento del ricovero per un intervento di quadruplice by – pass aortocoronarico il cui rimborso l’assicuratore contestò di dovere. (v. App. Roma 16/2/1995 in Resp. Civ. Previd. 1997, 176).

In genere l’attento esame della documentazione medica prodotta dall’assicurato effettuato dalla consulenza medica evidenzia le circostanze che poi formano oggetto di rifiuto di sinistri o di annullamento di contratti. Le ipotesi più frequentemente ricorrenti nella pratica di dichiarazioni inesatte o reticenti, oltre alla mancata dichiarazione di malattie sofferte in epoca anteriore alla stipula dei contratti è rappresentata dalla mancata comunicazione di precedenti ricoveri od interventi o di cure di determinate malattie poi risultanti dalla documentazione successiva.

In caso di visita medica predisposta dall'assicuratore e mediante la quale questi potrebbe conoscere il vero stato delle cose, si ritiene che tale accertamento non esoneri l'assicurando dal rappresentare la reale situazione. Pertanto se venisse taciuta

"...una malattia che il medico avrebbe potuto facilmente rilevare, l'assicuratore può sempre avvalersi dell'esistenza della reticenza e ciò anche nel caso in cui il medico abbia omesso, per sua negligenza, di evidenziare tale malattia o di informarne l'assicuratore. Laddove invece manchi ogni reticenza dell'assicurando e sia stato il medico ad omettere di evidenziare la reale situazione e di riferirne all'assicuratore, questi non potrà invocare la normativa prevista dall'art. 1892 cc" (v. A. Polotti di Zumaglia, op. cit., p.44).

La predisposizione da parte dell'assicuratore di un questionario da far compilare all'assicurando evidenzia l'intenzione dell'assicuratore medesimo "...di annettere particolare importanza a determinati requisiti, richiamando l'attenzione del contraente a fornire risposte complete e veritiere sui quesiti proposti" (v.

Cass.4/4/1991 n.3501 in Mass.,1991; v.anche Cass. 12/10/1998 n. 10086 in Foro it.

1999, I, 125).

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Riguardo il modo in cui può essere predisposto il questionario è stato precisato che in ossequio alle regole di correttezza l'assicuratore "..è tenuto a apprestare un quadro di riferimento delle circostanze che intende conoscere, tale da ridurre congruamente gli spazi di indeterminatezza circa i fatti ... alla conoscenza dei quali abbia interesse, con la conseguenza, in mancanza, che gli eventuali dubbi sulla rilevanza delle circostanze non (o inesattamente) dichiarate, ovvero sulla relativa colpevolezza, restano a carico dell'assicuratore che vi ha dato causa" (Cass.20/11/1990 n.11206 in Mass.,1990; più di recente sull'ininfluenza di dati personali erroneamente forniti dall'assicurato v. Cass.4/7/1997 n.6039 in Foro it., 1997, I, 2853).

Proprio perché le dichiarazioni rese dall'assicurando in sede precontrattuale influiscono sul consenso dell'assicuratore, si ritiene in giurisprudenza irrilevante la mancanza di nesso causale tra quanto taciuto e ciò che ha determinato il sinistro.

Un'applicazione di questo principio alla polizza malattia si può vedere in un caso in cui l'assicurato non aveva dichiarato precedenti ricoveri ospedalieri per insufficienza cardiaca e bronchite emorragica ed aveva chiesto il rimborso delle spese affrontate in seguito a ricovero reso necessario da intervento per carcinoma polmonare spese non riconosciute proprio in applicazione dell'art.1892 cc. (v. Trib. Torino 13/7/1987 in Giurisp. merito, 1988, p.1 con nota di A. Polotti di Zumaglia), In tale occasione si ritenne anche dimostrato che l'assicuratore, ove informato delle malattie pregresse, non avrebbe stipulato il contratto o l'avrebbe fatto a condizioni diverse, sulla base di una "Guida all'assicurazione malattia" costituita in sostanza da un documento interno dell'assicuratore stesso.

Per completezza è comunque il caso di segnalare che nella giurisprudenza di merito è stata assunta in alcuni casi una posizione opposta, dandosi rilevanza al nesso di causalità tra quanto non dichiarato ed il sinistro denunciato all'assicuratore, per respingere in un caso, la domanda attorea, come sarebbe successo già seguendo l'impostazione dominante e per accoglierla invece integralmente nell'altro (v.

rispettivamente Trib. Torino 25/11/1995 e Trib. Torino 17/6/1995 in Resp. Civ. e previd., 1997, p.531 e ss con nota). Se si vuole cercare una giustificazione pratica a tale impostazione si può ricordare come gli assicuratori proprio in sede di assunzione di polizze malattia allorché si accorgono della presenza di determinate anomalie

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fisiche provvedono, se assumono il rischio, ad escludere tutte le malattie che in qualche modo possono venir provocate od agevolate da tali anomalie; ad esempio in presenza di pressione arteriosa elevata essi tendono ad escludere la garanzia per le malattie cardiovascolari.

Non risulta, peraltro, che tali decisioni, non in sintonia con la prevalente giurisprudenza, abbiano poi avuto seguito, tanto che successivamente lo stesso Tribunale ritenne doversi disporre l’annullamento del contratto, pur in mancanza di prova dell’esistenza del nesso di causa tra il non dichiarato e l’evento,

“…qualora l’assicuratore fornisca la rigorosa prova che non avrebbe dato il suo consenso o lo avrebbe dato a condizioni diverse se avesse conosciuto il vero stato delle cose.” (Trib. Torino, 16-7-1997, Resp. Civ. Previd. 1998, 1533 )

5) Condizioni generali di assicurazione.

Le condizioni generali di maggior interesse per l’argomento qui trattato sono anzitutto quelle che richiamano la regolamentazione delle dichiarazioni inesatte o reticenti.

Nelle polizze vita è infatti in genere previsto che, trascorso un certo termine dall’entrata in vigore dell’assicurazione (normalmente sei mesi), il contratto sia contestabile per dichiarazioni inesatte o reticenti solo se la verità sia stata alterata o taciuta per colpa grave o malafede.

In pratica si richiama quindi la regolamentazione delle dichiarazioni inesatte o reticenti con dolo o colpa grave di cui all’art. 1892 c.c., mentre le ipotesi di cui all’art. 1893 c.c. vengono prese in considerazione solo prima dello scadere del termine contrattualmente previsto.

Si tratta della clausola detta di incontestabilità che è certo legittima in quanto pone condizioni più favorevoli all’assicurato sia pur non comportando deroghe agli articoli 1892 e 1893 c.c. salvo quanto previsto dalla clausola stessa per il periodo successivo al termine previsto.

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L’inesatta indicazione dell’età comporta, invece, per apposita clausola, la rettifica, in base all’età reale, delle somme dovute, con dunque trattamento più favorevole all’assicurato.

Altra clausola di interesse per il medico legale è quella che subordina ogni pagamento dell’assicuratore alla presentazione dei documenti necessari per verificare l’effettiva esistenza degli obblighi contrattualmente previsti e ad individuare gli aventi diritto. Per il caso morte, tra la documentazione su indicata si comprende, oltre al certificato di morte anche la documentazione di carattere sanitario ritenuta necessaria dall’assicuratore al fine di verificare l’esistenza delle condizioni che impongono il suo intervento.

In sostanza si subordina ogni pagamento alla presentazione, da parte dei beneficiari, della documentazione sanitaria, come una relazione sulle cause della morte o la cartella clinica relativa ai ricoveri subiti dall’assicurato documentazione dalla quale può facilmente venir evidenziata la presenza di dichiarazioni precontrattuali dolose o gravemente colpose con le relative conseguenze.

Non si dimentichi che anche all’atto dell’assunzione del rischio l’assicuratore può richiedere, a fronte di garanzie con capitali elevati, la produzione di esami od accertamenti clinici che meglio gli consentano di valutare il rischio stesso attraverso la propria consulenza medica.

Per quanto riguarda la delimitazione del rischio nelle assicurazioni vita è da rilevare come normalmente si precisi che viene coperto il rischio morte qualunque ne sia la causa con esclusione, però di determinate ipotesi e cioè quando il decesso dell’assicurato sia conseguente a dolo del contraente o del beneficiario, o consegua alla partecipazione attiva dell’assicurato stesso a delitti dolosi od a fatti di guerra, o ad un incidente di volo sofferto viaggiando a bordo di aeromobile non autorizzato al volo o con pilota non titolare di brevetto idoneo e comunque se esso assicurato viaggi in qualità di membro dell’equipaggio.

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Il suicidio, che è chiaramente escluso dalle polizze contro gli infortuni, non ravvisandosi nello stesso la contemporanea presenza delle tre cause richieste come presupposto dell’infortunio stesso che deve essere provocato da causa fortuita violenta ed esterna, è, invece, compreso nelle assicurazioni vita, a patto che si sia verificato dopo un certo periodo dalla data di entrata in vigore dell’assicurazione ( in genere uno o due anni). In determinate polizze come le collettive si può peraltro avere la copertura del suicidio già dal momento dell’entrata in vigore del contratto.

6) I soggetti del contratto di assicurazione vita.

Nel contratto di assicurazione vita si possono individuare tutti i soggetti che possono intervenire in un contratto di assicurazione nel senso che se da un lato si ha la presenza dell’assicuratore e cioè di un impresa regolarmente costituita ed abilitata ad esercitare il ramo, dall’altro si può avere la presenza di tre persone e cioè un contraente, un assicurato ed un beneficiario.

L’individuazione del contraente è abbastanza agevole essendo colui che stipula il contratto e su cui gravano le obbligazioni principali ed accessorie che ne derivano e che quindi è tenuto al pagamento dei premi, può attribuire o revocare il beneficio (sempre che non sia irrevocabile), come pure può chiedere il riscatto quando consentito, od addirittura sospendere il pagamento dei premi così provocando la risoluzione del contratto o la diminuzione del suo valore economico.

L’assicurato è il soggetto la cui morte (o sopravvivenza nelle assicurazioni caso vita) fa scattare la prestazione dell’assicuratore, per cui quando non sia anche contraente della polizza, come nelle assicurazioni sulla vita altrui, non si porrà come parte del contratto.

Il beneficiario è, invece, la persona alla quale l’assicuratore dovrà pagare il capitale o corrispondere la rendita.

Questi tre soggetti possono essere rappresentati da tre persone diverse, come si ha nell’assicurazione sulla vita di un terzo stipulata da una persona a favore di altri,

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come coesistere in un'unica persona e tanto può verificarsi nell’assicurazione sulla propria sopravvivenza ed a proprio favore, come ridursi a due sole persone allorché si abbia coincidenza nella stessa persona delle figure del contraente e dell’assicurato (assicurazione sulla vita propria a favore di un terzo) o dell’assicurato e del beneficiario (assicurazione sulla vita di un terzo ed a suo beneficio).

Per meglio comprendere quanto si è appena detto si ricorda che nelle assicurazioni caso morte è appunto la morte che rende attuale l’obbligo di pagamento dell’assicuratore, mentre nelle assicurazioni caso vita è invece la sopravvivenza dell’assicurato che comporta il pagamento dell’assicuratore. Ciò comporta che nelle assicurazioni di sola sopravvivenza l’assicuratore non avrà interesse nei confronti degli eventi che possono provocare la morte dell’assicurato od aumentarne le probabilità del suo verificarsi e quindi avrà anche meno interesse a conoscere il reale stato di salute dell’assicurato, visto che se l’assicurato muore prima del termine contrattualmente previsto l’assicuratore finisce per non pagare alcunché.

Ad evitare che con la morte dell’assicurato prima del termine il beneficiario non ottenga alcunché si vede però come nella pratica si stipulino con maggior frequenza assicurazioni cosiddette miste che comprendono sia una garanzia caso vita sia una garanzia caso morte per l’eventualità che l’assicurato appunto muoia prima di tale termine oppure si prevede una clausola cosiddetta di controassicurazione che consente, in caso di morte dell’assicurato, di ottenere quanto meno il rimborso dei premi pagati.

La figura dell’assicurato non potrà quindi mancare mai; è da rilevare che tale figura assume, nell’assicurazione vita, un significato diverso da quello che si trova ad avere nell’assicurazione contro i danni visto che nel primo tipo di assicurazione è la persona alla cui morte o sopravvivenza si concreta l’obbligo di pagamento dell’assicuratore, mentre nel secondo il contratto è nullo se non esiste un interesse dell’assicurato al risarcimento del danno e, quando l’assicurato stesso non risulta essere anche contraente del contratto, come nelle assicurazioni per conto altrui o

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di chi spetta, è comunque sempre il soggetto cui spettano i diritti derivanti dal contratto medesimo come previsto dall’art. 1891 c.c.

Nei casi in cui l’assicurato si trovi a non avere diritti (perché non è anche beneficiario del contratto) né obblighi (perché non è anche contraente) si deve ammettere che la sua figura si riduce ad un semplice elemento di riferimento per individuare la persona la cui morte o sopravvivenza rende attuale l’obbligo dell’assicuratore ed in tal caso si dice che esso è semplice portatore del rischio.

In presenza di situazione nella quale l’assicurato si pone come semplice portatore del rischio potrebbe aversi anche la presenza di un interesse del contraente, che abbia stipulato il contratto all’insaputa dell’assicurato stesso, alla sua morte.

Ad evitare che l’assicurazione possa costituire un incentivo ad azioni illecite del contraente l’abrogato codice di commercio disponeva la nullità dell’assicurazione contratta sulla vita del terzo se il contraente non avesse avuto alcun interesse alla sua esistenza.

Il vigente codice civile al II comma dell’art. 1919 si limita invece a richiedere il consenso scritto dell’assicurato, prevedendo, in sua mancanza, l’invalidità del contratto.

Si ritiene normalmente che la necessità del consenso scritto operi con esclusivo riferimento all’ipotesi in cui beneficiario del contratto sia lo stesso contraente, escludendosi, ad esempio, l’applicabilità del II co. dell’art. 1919 c.c.

all’assicurazione che il datore di lavoro stipuli per il caso di morte di un proprio dipendente, in favore dei suoi eredi, la quale resta valida ed efficace a prescindere dall’esistenza del consenso. (v. Trib. Catania 15/7/1989 in Arch. Civ. 1990, 1152)

7) Designazione ed individuazione del beneficiario.

I modi attraverso i quali il contraente attribuisce i vantaggi dell’assicurazione sono elencati dall’art. 1920 II co. c.c., il quale prevede che la designazione del beneficiario possa essere effettuata nel contratto, o con successiva dichiarazione scritta o per testamento.

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Con l’attribuzione di beneficio il beneficiario si trova ad avere un diritto proprio ed autonomo alle prestazioni previste dal contratto, diritto, che in caso di sua morte, si trasmette ai suoi eredi.

La revoca del beneficio può venir effettuata con le stesse forme con le quali può venir effettuata l’attribuzione (nel contratto, con dichiarazione scritta successiva, con testamento) ma non può farsi dagli eredi dopo la morte del contraente, né dopo che verificatosi l’evento, il beneficiario abbia dichiarato di voler profittare del beneficio.

Per rendere irrevocabile il beneficio occorre che il contraente rinunci per iscritto al potere di revoca e che il beneficiario dichiari, sempre per iscritto, di voler profittare del beneficio. (art. 1921 c.c.)

L’individuazione del soggetto che risulta essere al momento dell’evento il beneficiario è certo agevole quando tale soggetto sia indicato nominativamente.

Molto spesso, però la designazione del beneficiario viene effettuata in modo generico con varie formule la più frequente delle quali è in genere “agli eredi “ cui si apportano talora alcune varianti come “agli eredi testamentari” od “agli eredi legittimi o testamentari” ed in tali casi sarà sufficiente individuare le persone che al momento dell’evento rivestono la qualifica di erede per individuare i beneficiari.

E’ da ricordare che l’attribuzione del beneficio agli eredi costituisce pur sempre l’attribuzione ai medesimi di un diritto proprio ed autonomo nascente da un contratto e non dal rapporto successorio per cui la divisione tra i vari eredi/beneficiari del capitale assicurato verrà effettuata in parti uguali, salvo diversa volontà del contraente, e non secondo le norme dettate in tema di successione.

Con le formule “ai figli”, “ai fratelli” si ritiene doversi fare riferimento a quei figli o fratelli che si troveranno ad essere nati al momento della realizzazione del

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beneficio, mentre con la formula “al coniuge” si ritiene doversi far riferimento al coniuge in vita la momento della designazione e non, in caso di sua premorienza e di nuove nozze del contraente, al coniuge esistente al momento dell’evento.

La designazione di beneficio anche se irrevocabile può non avere effetto se il beneficiario attenti alla vita dell’assicurato come prevede l’art. 1922 c.c., con la conseguenza che l’assicuratore, in presenza di più beneficiari, potrà esimersi dal pagamento solo per la quota relativa al beneficiario che ha compiuto l’attentato e per la quale è maturata una decadenza.

Con riferimento alle conseguenze dell’attentato sulla prestazione dell’assicuratore ci si chiede, se, nel caso in cui l’attentato riesca e l’assicurato muoia, operi l’art.

1900 c.c. e se l’assicuratore possa di conseguenza rifiutare il pagamento a tutti i beneficiari o possa esimersi dal pagamento solo nei confronti di chi ha ucciso l’assicurato.

Si è osservato che quando la morte dell’assicurato sia stata provocata da fatto doloso del beneficiario l’assicuratore non è obbligato alla prestazione nei confronti di alcun soggetto, posto che l’art. 1900 c.c. prevede che l’assicuratore non sia obbligato per i sinistri cagionati da dolo dell’assicurato, del contraente o del beneficiario, per cui il caso in questione diventa un’ipotesi non già di decadenza del beneficiario, come previsto dall’art. 1922 c.c. bensì di sinistro escluso dalla garanzia che non opera proprio perché l’assicuratore non risulta in alcun modo obbligato. (v. A. D. Candian – A. Polotti di Zumaglia – M. Santaroni – Assicurazione vita e infortuni cit., 24.)

Ed una tale impostazione risulta confermata anche dalla posizione assunta dagli assicuratori che come già accennato, escludono dal rischio l’evento dovuto a dolo del contraente o del beneficiario.

Nella giurisprudenza di merito (V. T. Roma 12-5-1998 in Assic. 1999, II, 2, 250 che risulta essere l’unico precedente in argomento) si è osservato che il dolo, rappresentando uno stato psicologico soggettivo di rilevanza penale nel caso di specie, non è estensibile a soggetti diversi da chi lo ha posto in essere, in armonia

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al principio, costituzionalmente garantito ex art. 27 Cost. della personalità della responsabilità penale e costituisce, per il beneficiario che ha ucciso l’assicurato, una condizione negativa della sua pretesa ad ottenere il pagamento della sua quota dell’indennità assicurativa, condizione negativa che non riguarda, invece, gli altri beneficiari cui spetterebbe dunque la quota di indennità per essi prevista. Tale argomentazione non sembra peraltro in sintonia con una corretta interpretazione dell’art. 1900 c.c. per cui non pare che l’impostazione data alla questione possa essere seguita. (per ulteriori e più approfondite critiche a tale decisione v. M.

Rossetti – Polizza infortuni comprensiva dell’evento morte, omicidio dell’assicurato commesso dal beneficiario e perdita del diritto all’indennizzo (Appunti sulla natura dell’assicurazione infortuni) – As. 1999, II, 2, 250)

E’ a questo punto il caso di ricordare che le norme sin qui esaminate sono indubbiamente applicabili anche all’assicurazione infortuni caso morte soprattutto dopo che le Sezioni Unite della Suprema Corte (v. Cass. 10/4/2002 n. 5119 in Resp. Civ. Previd 2002, 677 con nota) hanno rilevato che tale tipo di assicurazione è assimilabile all’assicurazione vita, mentre alle assicurazioni infortuni che prendono in considerazione solo i casi di inabilità temporanea od invalidità permanente si è ritenuta applicabile la normativa relativa alle assicurazioni danni ritenendo che anche tali assicurazioni partecipino alla funzione indennitaria tipica appunto dell’assicurazione contro i danni.

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Collana Medico-Giuridica n. 14

IV CORSO DI QUALIFICAZIONE ED AGGIORNAMENTO IN MEDICINA ASSICURATIVA

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