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CARDIOPATIA ISCHEMICA E RIVASCOLARIZZAZIONE MIOCARDICA Dr. Paride Giannantoni

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CARDIOPATIA ISCHEMICA E RIVASCOLARIZZAZIONE MIOCARDICA

Dr. Paride Giannantoni

Le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di morbilità e mortalità nella società industrializzata. La malattia è più frequente nel sesso maschile rispetto a quello femminile, con una prevalenza che aumenta con l'età. Negli uomini è del 2-5% tra i 45-54 anni fino al 10-20% tra i 65- 74 anni. Nelle donne dallo 0,5-1% al 10 14% rispettivamente. Dopo i 75 anni la prevalenza è simile nei due sessi (1) .

La prevalenza è in continuo aumento grazie anche alla crescita della vita media delle popolazioni del mondo occidentale con un incremento quasi del 50% nell'ultimo secolo. Un soggetto di 65 anni ha un'aspettativa di vita in media di altri 17 anni e una persona di 80 di altri otto. In particolare, nell'ambito delle diverse fasce di età, quella con età >80 anni ha mostrato in assoluto la crescita più veloce. Questo risultato insieme alla riduzione della natalità porterà ad un “invecchiamento” della popolazione con incremento percentuale delle fasce di età >80 anni. Si stima che nel 2050 il numero di persone di età >80 anni negli Stati Uniti sarà triplicato. I soggetti appartenenti a queste fasce di età, hanno maggiore incidenza di malattie croniche degenerative tra cui l'aterosclerosi coronaria e periferica. Viene stimato che il 30% questi soggetti sia affetto da cardiopatia ischemica e che il 50%

di essi andrà incontro a morte per questa patologia. Di rilevanza sociale è il problema della

morbilità della cardiopatia ischemica cronica in quanto necessita di trattamenti e valutazioni spesso in regime di ricovero costringendo i pazienti a temporanea inabilità e ad deterioramento della qualità di vita. Negli Stati Uniti 1 decesso ogni 5 circa è determinato da causa cardiovascolare. La mortalità varia in rapporto alla fase clinica della malattia.

Nell'angina stabile il rischio di eventi gravi è basso; la mortalità stimata e del 1,5-2% ad un anno e quello di infarto non fatale del 1% per anno (2,3) .

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Nell'angina instabile il rischio stimato di morte a 30 giorni è del 2-5%, quello di infarto del 5-15% e quello di recidiva dei sintomi con necessità di nuova ospedalizzazione del 25-35%. La mortalità ad un anno si calcola tra il 4 e il 15% (4-6) .

Nell'infarto miocardio acuto la mortalità è elevatissima nelle prime ore, infatti, circa il 30% dei soggetti muore prima dell'arrivo in ospedale (fase pre-ospedaliera) per arresto cardiaco bradi- tachiaritmico; al contrario la mortalità si è drasticamente ridotta in fase di ospedalizzazione. Negli ultimi 30 anni, da quando sono state istituite le Unita di Terapia Intensiva Cardiologica (UTIC) e dopo aver introdotto la terapia mirata alla ricanalizzazione del vaso occluso, farmacologica

(trombolisi) o meccanica (angioplastica primaria o bypass aortocoronarico d'urgenza), la mortalità intraospedaliera si è ridotta drasticamente passando dal 23% al 5-6% (7-10) . La storia naturale dei pazienti coronaropatici trattati solo con terapia medica è associata a una mortalità a 10 anni del 30- 35% ed i fattori predittivi indipendenti di mortalità sono l'età, la disfunzione ventricolare sinistra, l'estensione della coronaropatia, la severità dell'angina o dell'ischemia del miocardio. Questa storia naturale della cardiopatia ischemica può essere modificata dalla terapia finalizzata alla

rivascolarizzazione miocardica.

RIVASCOLARIZZAZIONE CHIRURGICA CON BYPASS AORTOCORONARICO (CABG)

Nonostante la terapia chirurgica vanti una storia più che trentennale ed il numero di pazienti che necessitano di tale trattamento siano in continuo aumento, raggiungendo circa 20000 casi/anno nel nostro paese, le indicazioni alla chirurgia coronaria rappresentano uno dei capitoli più controversi delle scienze cardiologiche.

La chirurgia coronarica ha senza dubbio contribuito in maniera significativa a ridurre la mortalità dovuta all'aterosclerosi coronarica ed i vantaggi nei confronti della terapia medica, in termini di sopravvivenza e qualità di vita sono chiaramente emersi (11-15) .

La mortalità ospedaliera, o mortalità a 30 giorni, dopo rivascolarizzazione miocardica è di circa 1- 2%. Un leggero incremento della mortalità precoce (circa il 3%) rilevato negli anni Novanta è stato attribuito al progressivo mutamento della popolazione chirurgica per l'estensione dell'indicazione a pazienti a maggior rischio (età avanzata, disfunzione ventricolare sinistra, interventi in emergenza, cattiva qualità dei vasi coronarici). Le complicanze più frequenti della chirurgia cardiaca in

circolazione extracorporea sono rappresentate dall'infarto miocardio, turbe del ritmo, insufficienza renale, insufficienza respiratoria, accidenti cerebrovascolari (16) . L'incidenza di infarto

perioperatorio varia dal 2,5 al 5% (17-22) ; questa complicanza si è notevolmente e

progressivamente ridotta per il miglioramento delle tecniche di protezione miocardica e la riduzione dei tempi di circolazione extracorporea (22) . L'entità del danno può essere molto variabile e un infarto molto esteso può determinare un decesso precoce.

Le complicanze respiratorie sono in genere condizionate da preesistenti broncopneunopatie. Una delle complicanze più temute è la mediastinite che è stata segnalata in percentuali variabili tra l'1 e il 6% e che nei casi più gravi può essere letale (21) ; i rischi maggiori sono rappresentati dall'età, il diabete, la necessità di riapertura del torace per sanguinamento, l'utilizzo di entrambe le arterie mammarie e la broncopatia cronica ostruttiva.

I sintomi correlati alla cardiopatia ischemica generalmente migliorano con la rivascolarizzazione chirurgica; l'angina generalmente scompare (23) con un massimo beneficio nei primi mesi ma con una possibile ricomparsa dal 4°-5° anno dall'intervento (24) ; a 10 anni il 60% dei pazienti è libero da angina, comunque, la ricomparsa del sintomo non sembrerebbe modificare in maniera

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significativa la sopravvivenza. Anche la capacità funzionale migliora; la tolleranza all'esercizio fisico aumenta e le modificazioni ECG durante sforzo si riducono (25) .

I risultati della terapia chirurgica coronarica a breve e lungo termine sono senza dubbio influenzati dalla terapia medica antitrombotica, ipocolesterolemizzante, vasodilatatrice (ACE-inibitori) e dall'utilizzo dei beta bloccanti.

La sopravvivenza a distanza dopo rivascolarizzazione coronarica isolata in gruppi eterogenei è del 95% ad 1 anno, dell'88% a 5 anni, del 75% a 10 anni e del 60% a 15 anni (26) .

Indicazioni a rivascolarizzazione miocardica chirurgica ANGINA STABILE

Indicazioni assolute

Pazienti con angina stabile ad alto rischio di eventi

Malattia del tronco comune

Malattia bivascolare o trivascolare con funzione ventricolare sinistra depressa senza segni di

“scar” (cicatrice da pregressa necrosi)

Angina refrattaria alla terapia medica con stenosi coronariche critiche mono bivascolari non trattabili con PTCA

Stenosi coronariche critiche associate a patologia valvolare di interesse chirurgico

Indicazioni relative

Malattia bivascolare o trivascolare con buona funzione ventricolare sinistra

Malattia bivascolare o trivascolare con funzione ventricolare sinistra depressa (FE<30%) ma con aree ipo-acinetiche vitali a test strumentali

Malattia bivascolare con interessamento del tratto prossimale della discendente anteriore

Lesioni mono o bivasali giudicate ad alto rischio dall'emodinamista o recidive di stenosi alla PTCA

ANGINA INSTABILE

Nell'angina instabile l'intervento chirurgico d'urgenza pur presentando risultati positivi in oltre il 90% dei casi (27) ha un'incidenza maggiore di mortalità operatoria (5%) e di infarto perioperatorio (9%). Il pretrattamento farmacologico per qualche settimana, quando efficace, con stabilizzazione clinica, riduce la mortalità al 2% e quella di infarto perioperatorio al 6%.

L'indicazione chirurgica con criterio d'urgenza in pazienti con angina instabile viene comunque posta nei seguenti casi:

Lesioni critiche del tronco comune

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Malattia trivascolare con lesione critica prossimale della discendente anteriore

Lesioni trivasali con ridotta frazione d'eiezione del ventricolo sinistro

INFARTO MIOCARDICO ACUTO O POST-INFARTO PRECOCE

L'infarto miocardio acuto non costituisce a tutt'oggi una indicazione chirurgica a intervento di CABG.

Allo stato attuale l'indicazione alla rivascolarizzazione chirurgica in corso di infarto o nel post- infarto precoce è stata riportata nelle seguenti condizioni:

Angina post-infartuale precoce in pazienti con lesioni critiche del tronco comune

Angina post-infartuale precoce in pazienti con lesioni critiche travasali e interessamento della discendente anteriore prossimale

Complicanze acute o fallimento di rivascolarizzazione transcatetere

Shock cardiogeno refrattario a terapia medica (rottura di cuore, rottura di setto, insufficienza mitralica acuta, aneurisma o pseudoaneurisma ventricolare)

CABG – Mortalità e complicanze più frequenti

Mortalità ospedaliera 1-2%

Fibrillazione atriale post-operatoria 30%

TIA – Ictus cerebri 1-6%

Mediastinite 1-5%

Complicanze respiratorie 5-10%

Infarto perioperatorio 2,5-5%

Occlusione di graft venosi precoce 10%

Occlusione di graft venosi a 1 anno Ulteriore 10-20%

RIVASCOLARIZZAZIONE CON ANGIOPLASTICA CORONARICA (PTCA)

Negli anni per il miglioramento tecnologico sia in ambito chirurgico che in quello cardiologico interventistico le indicazioni ai vari tipi di rivascolarizzazione sono mutate pertanto si sta assistendo a un progressivo cambiamento della popolazione trattata dai chirurghi e dai cardiologi

emodinamisti.

Sempre più pazienti sono trattati con PTCA e al cardiochirurgo arrivano solo i soggetti con anatomia coronarica severa che non consente la correzione con PTCA+stent o nei quali è prevedibile una alta probabilità di restenosi dopo PTCA.

Inoltre, la maggiore diffusione di UTIC provviste di emodinamica permette di trattare l'infarto acuto con PTCA primaria nelle prime ore (massima efficacia terapeutica entro 4-6 ore dall'esordio dei sintomi) con il duplice vantaggio di una rivascolarizzazione precoce in grado di ristabilire un adeguato flusso coronarico in più del 90% dei pazienti con il risultato di una significativa riduzione

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del danno cardiaco in termini di estensione, transmuralità, complicanze e mortalità intraospedaliera;

si elimina quindi la necessita di una rivascolarizzazione in “due tempi” con trombolisi sistemica a cui spesso deve seguire PTCA o CABG con significativa riduzione di complicanze emorragiche, dei tempi di degenza e dei costi.

In Italia nel 2003 sono state effettuate 217.129 coronarografie, 87.662 angioplastiche, 13.636 con solo palloncino (POBA) e 74.026 con impianto di stents (+15% rispetto al 2002) per un totale di 90.622 stents impiantati (1,2 stents per procedura) dei quali 19.069 medicati.

La storia dell'applicazione clinica della PTCA inizia nel 1978 a Zurigo e nel 1979 la National Heart, Lung and Blood Institute (NHLBI) aprì un registro multicentrico. La storia successiva della

rivascolarizzazione coronaria percutanea è caratterizzata da una rapida e inarrestabile evoluzione grazie al continuo miglioramento tecnologico dei materiali. Tutto ciò a portato a una percentuale di successo della procedura del 95%.

L'introduzione dello stent (protesi vascolare) ha rappresentato la vera rivoluzione che ha cambiato l'approccio alla PTCA riducendo rischi e complicanze e necessità dello stand by cardiochirurgico per intervento d'urgenza. Pertanto si sono progressivamente ampliate le indicazioni e i successi a lungo termine.

Inizialmente l'indicazione era riservata a pazienti con patologia a carico di un solo vaso coronarico e la complicanza più temibile era la dissezione intimale. Oggi vengono abitualmente trattati pazienti con patologia multivasale e la dissezione intimale del vaso è una complicanza attesa e in alcuni casi prevista e trattata con l'impiego e il posizionamento di ulteriori stent.

L'incidenza globale di incidenti gravi è attualmente del 2-4%, meno della metà rispetto a quella riportata nei registri degli anni ottanta. La necessità di intervento cardiochirurgico d'urgenza è inferiore a 1%. Nonostante tutto secondo le regole dettate dalle linee guida internazionali e italiane resta necessario lo stand by cardiochirurgico ma solo raramente è indicato uno stand by attivo che invece era d'obbligo in era pre stent.

Il vero limite della PTCA è stato sempre rappresentato dalle restenosi.

Lo stent ideale senza trombosi acuta e senza restenosi a breve e lungo termine non esiste.

L'introduzione degli stent medicati sembra aver risolto il problema della restenosi a breve e lungo termine a scapito di un più alto rischio di occlusione acuta o sub-acuta per trombosi; questo problema è comunque dominato dall'introduzione e utilizzo di nuovi farmaci con potente azione antiaggragante piastrinica (inibitori recettoriali delle GP IIb/ IIIa)

I risultati a breve e lungo termine sono stati infatti migliorati con la riduzione della “restenosi”

attualmente stimabile in circa il 40-50% per la PTCA con solo palloncino (POBA), 15-20% dopo impianto di stent “tradizionali” e 0-5% per gli stent medicati

Indicazioni a rivascolarizzazione miocardica con PTCA Indicazioni assolute

Infarto miocardio acuto limitando il trattamento della culprit lesion ma non tralasciando la discendente anteriore se malata nel tratto prossimale

Coronaropatia monovascolare soprattutto se la lesione è a carico del tratto prossimale della discendente anteriore.

Indicazioni relative

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In tutte le altre condizioni già descritte nell'angina stabile come “indicazioni relative a CABG” e in quelle di angina instabile o angina post-infartuale precoce soprattutto se l'intervento chirurgico si prospetta attuabile in tempi non brevissimi o perché ad alto rischio per la presenza di comorbilità.

Angioplastica coronarica – Mortalità e complicanze più frequenti

Mortalità ospedaliera <1% (6% nell'IMA trattato con PTCA primaria) CABG urgente

(occlusione/dissezione intrattabili)

<0,5%

TIA – Ictus cerebri 1%

Pseudoaneurisma arteria femorale con necessità di intervento chirurgico riparativo

5-7%

Emorragia retroperitoneale <1%

Infarto periprocedurale 5%

Restenosi 40-50% POBA

15-20% PTCA+stent

<5% stent medicati Necessità di ulteriore procedura a 6 mesi 20% per POBA

10% per PTCA+stent

CABG vs PTCA

Per entrambe le modalità di rivascolarizzazione la prognosi è determinata dal risultato a breve e lungo termine della procedura e dalla progressione della patologia aterosclerotica su circolo vascolare nativo.

Riguardo la scelta della strategia del tipo di rivascolarizzazione (PTCA o chirurgica) le evidenze documentano una sostanziale equivalenza tra le due procedure dal punto di vista prognostico. La PTCA anche se meno indaginosa e cruenta dà un risultato meno stabile, a causa del rischio di restenosi, con necessità di nuove procedure; al contrario la scelta chirurgica è inizialmente più impegnativa per il paziente per un maggior rischio di complicanze gravi ma dà risultati terapeutici più stabili.

I pazienti con coronaropatia monovascolare con lesione isolata della discendente anteriore, soprattutto se prossimale, si giovano della PTCA con associato impianto di stent (28,29) . Nei pazienti con malattia del tronco comune è indicato l'intervento di bypass

Nei pazienti con coronaropatia multivasale entrambe le scelte sono valide tenendo conto dei vantaggi e svantaggi delle due opzioni terapeutiche; la rivascolarizzazione con PTCA è spesso incompleta seguendo il concetto di trattare solo la culprit lesion; bisogna comunque considerare che dilatare un vaso tributario di una zona necrotica è spesso inutile.

Nei pazienti con funzione ventricolare sinistra conservata, la rivascolarizzazione incompleta non determina prognosi peggiore rispetto a quella completa; al contrario, se la funzione ventricolare è ridotta è più vantaggioso rivascolarizzare tutti i segmenti (30) .

In realtà, attualmente, la rivascolarizzazione completa in pazienti con patologia multivasale è attuabile da quando possono essere utilizzati gli stent medicati che hanno una bassissima incidenza

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di restenosi (prossima alla 0%) permettendo di trattare anche i vasi con calibro = 2,5 mm . Il vero limite nell'utilizzo degli stent medicati è rappresentato dai costi che risultano essere circa due-tre volte superiori rispetto ad uno stent “tradizionale”.

Anche la cardiochirurgia evolve verso tecniche sempre meno cruente e invasive con possibilità ad esempio di rivascolarizzazione della discendente anteriore con arteria mammaria senza necessità di arresto di circolo (a “cuore battente”) e/o in minitoracotomia (31).

Le due modalità di rivascolarizzazione possono in realtà combinarsi soprattutto nei pazienti con più alto rischio operatorio a causa della circolazione extracorporea. E' infatti attuabile una

rivascolarizzazione ibrida con rivascolarizzazione chirurgica della discendente anteriore con arteria mammaria, eseguita a cuore battente senza necessità di arresto di circolo, associata ad angioplastica a carico della coronaria destra e/o circonflessa.

Tutto questo ovviamente a vantaggio del paziente riducendo tempi di degenza e di convalescenza con più rapida ripresa dalla capacità funzionale.

Va considerato che circa il 30% dei pazienti dopo un intervento di rivascolarizzazione con intervento di cardiochirurgia tradizionale non torna alle normali attività lavorative (32,33) .

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* U.O. di Cardiologia – Ospedale S. G. VANNINI - Roma

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