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PER IL TRATTAMENTO

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Academic year: 2021

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(1)

GIUSEPPE LUIGI CIRELLI SIMONA CONSOLI

ATTILIO TOSCANO ALESSIA MARZO

MATILDE PATRIZIA MOSCHETTO

LINEE GUIDA

PER IL TRATTAMENTO

DELLE ACQUE REFLUE TRAMITE L’ACCUMULO IN SERBATOI

ISSN 2038-5854

Attività di ricerca finanziata dalla Regione Siciliana

Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana Dipartimento dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana

c/o Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agroalimentari e Ambientali Università degli Studi di Catania

Via S. Sofia, 100 - 95123 Catania

Tel. 095 7147560 - 095 7147562 - Fax 095 7147660 www.cseicatania.com - info@cseicatania.com

Q U ADERNI CSEI Catania III SERIE

REGIONE SICILIA

(2)

LINEE GUIDA

PER IL TRATTAMENTO DELLE ACQUE REFLUE TRAMITE L’ACCUMULO IN SERBATOI

ISSN 2038-5854

GIUSEPPE LUIGI CIRELLI SIMONA CONSOLI ATTILIO TOSCANO

ALESSIA MARZO

MATILDE PATRIZIA MOSCHETTO

Attività di ricerca finanziata dalla Regione Siciliana REGIONE SICILIA

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DELLE ACQUE REFLUE TRAMITE L’ACCUMULO IN SERBATOI ISSN 2038-5854

Realizzazione editoriale CSEI Catania www.cseicatania.com

Progetto Copertina Art&Bit Srl, Catania Finito di stampare nel mese di dicembre 2010 presso Arti Grafiche Ciminiere di Catania

Il presente manuale è stato redatto dal CSEI Catania nell’ambito di un’attività di ricerca finanziata dalla Regione Siciliana - Assessorato dei Beni Culturali e dell’ Identità Siciliana - Dipartimento dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana

Il presente lavoro è stata redatto con uguale contributo di tutti gli Autori:

prof. Giuseppe Luigi Cirelli prof. Simona Consoli prof. Attilio Toscano prof. Alessia Marzo

ing. Matilde Patrizia Moschetto

Inoltre, hanno collaborato all’attività di indagine il Centro Euromediterraneo per lo sviluppo sostenibile (SVI.MED), l’ing. Antonino Vinciprova e il dott. Nello Pappalardo.

Linee guida per il trattamento delle acque reflue tramite l’accumulo in serbatoi / Luigi Giuseppe Cirelli … [et al.]. – Catania : CSEI Catania, 2010.

(Quaderni / CSEI. Ser. 3. ; 3)

1. Agricoltura – Impiego [delle] Acque reflue.

I. Cirelli, Giuseppe Luigi <1962->.

628.3623 CDD-22 SBN Pal0232137

CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace”

(4)

Il trattamento e il riuso delle acque reflue a scopo irriguo hanno assunto una rilevanza strategica sia per la salvaguardia della qualità dei corpi idrici sia per il recupero di risorse idriche da destinare prevalentemente al comparto agricolo, soprattutto nelle regioni del Mediterraneo che soffrono maggiormente frequenti periodi di siccità.

In tale contesto, per favorire la diffusione dei sistemi di riuso anche presso le piccole e medie comunità urbane, occorre mettere a punto sistemi di trattamento che siano caratterizzati da semplicità di gestione e manutenzione, buoni rendimenti depurativi e costi di esercizio contenuti.

L’accumulo di acque reflue in serbatoi rappresenta sicuramente una tecnica di trattamento che soddisfa tali requisiti e che, in zone con disponibilità di aree marginali, può essere implementata con evidenti benefici per l’agricoltura e per l’ambiente.

In particolare in Sicilia, così come già avvenuto ad esempio in Israele e Spagna, l’utilizzo dei serbatoi di accumulo per il trattamento delle acque reflue sarebbe ulteriormente favorito dalle condizioni climatiche che accelerano e magnificano i processi di rimozione degli inquinanti che avvengono in tali sistemi, come peraltro dimostrato dalle numerose attività di indagine condotte in Sicilia dai ricercatori del Dipartimento di Ingegneria Agraria dell’Università di Catania.

Le presenti linee guida hanno l’obiettivo di incentivare la diffusione della

tecnologia dell’accumulo di acque reflue in serbatoi, mettendo a disposizione

le conoscenze più aggiornate per la progettazione, realizzazione e gestione dei

serbatoi di accumulo.

(5)

1.1 Organizzazione del lavoro 3

2 L’ACCUMULO DELLE ACQUE REFLUE NEI SERBATOI 4

2.1 Aspetti fisico-chimici 7

2.1.1 La radiazione solare 8

2.1.2 Natura e significato del pH 11

2.1.3 Temperatura 13

2.1.4 Ossigeno disciolto 13

2.2 Processi biologici 16

2.2.1 Il ruolo delle alghe 16

2.2.2 La stratificazione termica 18

2.3 Modalità di esercizio 21

2.3.1 Accumulo in continuo 22

2.3.2 Accumulo discontinuo 24

2.3.3 Accumulo a batch 25

3 EFFICIENZA DEPURATIVA DEI SERBATOI DI ACCUMULO 30 3.1 Efficienza di rimozione di alcuni inquinanti fisico-chimici 30 3.1.1 Sostanza organica e solidi sospesi 31

3.1.2 Nutrienti 32

3.2 Efficienza di rimozione degli inquinanti microbiologici 33

3.3 Impatto della biomassa algale sulla qualità dell’effluente 37

4 CRITERI PER LA PROGETTAZIONE, GESTIONE E MONITORAGGIO 38

4.1 Progettazione e realizzazione 38

4.2 Criteri di gestione 42

4.3 Interventi di manutenzione 45

4.4 Monitoraggio 47

4.5 Costi di realizzazione 47

5 MODELLI DI QUALITA’ DELLE ACQUE REFLUE INVASATE 49

5.1 Comportamento idraulico dei serbatoi di accumulo 50

(6)

6 ESPERIENZE DI ACCUMULO DELLE ACQUE REFLUE IN SERBATOI 57

6.1 Normativa di riferimento 57

6.2 Casi studio all’estero 64

6.3 Casi studio in Italia 74

7 IL CASO STUDIO DI CALTAGIRONE 82

7.1 Descrizione del caso studio 82

7.1.1 Caratteristiche dell’impianto di depurazione di Caltagirone 83 7.1.2 Descrizione dello schema sperimentale di trattamento terziario 85

7.2 Metodologia 89

7.2.1 Il parametro di esercizio MRT%FE 93 7.2.2 Rimozione dell’Escherichia coli 95 7.2.3 Valutazione del tempo di detenzione idraulica effettivo 97 7.3 Risultati ottenuti durante l’accumulo in continuo 100 7.3.1 Efficienze di rimozione dei parametri fisico-chimici e microbiologici 100 7.3.2 Determinazione dei valori di MRT%FE 103 7.3.3 Valutazione del tempo di detenzione e del grado di dispersione 104

7.3.4 Rimozione dell’E. coli 105

7.4 Risultati ottenuti durante l’accumulo discontinuo 107 7.4.1 Efficienze di rimozione dei parametri fisico-chimici e microbiologici 107

7.4.2 Rimozione dell’E. coli 110

7.5 Considerazioni 112

8 CONCLUSIONI 115

BIBLIOGRAFIA 116

(7)

1 INTRODUZIONE

Il trattamento depurativo dei reflui di origine civile e industriale è una misura indispensabile per rimuovere gli inquinanti chimici e i microrganismi patogeni responsabili dei potenziali rischi igienico - sanitari e ambientali connessi allo scarico in corpi idrici ricettori o al riuso di acque reflue non adeguatamente depurate. A tal proposito anche le direttive comunitarie 91/271/CEE e 2000/60/CE incoraggiano l’implementazione degli impianti di depurazione esistenti per un adeguato trattamento ed il riuso delle acque reflue.

Tuttavia la scelta della tipologia di trattamento più appropriata è una procedura alquanto complessa che implica la necessità di valutare molteplici aspetti tra cui le condizioni sociali ed economiche della realtà in esame. In particolare, con la crescente attenzione per la salute pubblica, la scelta della tecnologia di disinfezione costituisce una delle fasi più critiche nella messa a punto di un sistema di trattamento delle acque reflue e l’introduzione di standard di qualità per il riuso sempre più restrittivi, rende spesso necessario il ricorso a processi di trattamento più avanzato notevolmente costosi (raggi UV, ozonizzazione, ecc.) creando, soprattutto nel caso di piccoli e medi insediamenti, notevoli problemi di natura economica e gestionale (Cirelli, 2003).

Pertanto la necessità di disporre di tecnologie affidabili e al contempo sostenibili, ha incoraggiato la messa a punto dei cosiddetti metodi di trattamento “estensivi” e/o “naturali”

(accumulo in serbatoi, lagunaggio, fitodepurazione) che si stanno rapidamente sviluppando

soprattutto nelle regioni aride e semi aride del mondo dove le acque reflue depurate vengono

impiegate in misura sempre più cospicua per l’irrigazione in agricoltura (Angelakis et al.,

1999; Lazarova e Bahri, 2005). L’utilizzo di sistemi intensivi o tradizionali per il trattamento

delle acque reflue possono infatti costituire un problema gestionale non indifferente su

queste tipologie di utenze, prevalentemente generati dalla difficoltà economica correlata ad

una gestione continuativa e specializzata che ne assicurerebbe un più corretto

funzionamento. Una scelta progettuale sostenibile per il trattamento delle acque reflue nei

piccoli centri deve pertanto essere caratterizzata da una adeguata efficienza nella rimozione

degli inquinanti ma anche da una semplicità ed economicità di gestione e manutenzione. Le

tecniche depurazione naturale, rappresentano ormai una consolidata tipologia impiantistica

che si adatta perfettamente a tali necessità; tali sistemi, infatti rispondono con efficacia alle

esigenze di rispetto dell’ambiente, di adeguate ed affidabili rimozioni degli inquinanti, di

contenimento ed ottimizzazione dei costi di investimento e dei costi di gestione, che risulta

essere estremamente semplificata ed a basso consumo energetico (Bécares, 2006; Puigagut et

al., 2007; Tsalkatidou et al., 2008; Katsenovich et al., 2008).

(8)

I serbatoi trovano particolare applicazione nel caso del riutilizzo delle acque reflue urbane nel settore agricolo e nell’irrigazione delle aree a verde (campi da golf, “landscape irrigation”, ecc.) ed in tutte quelle tipologie di riuso in cui la domanda d’acqua è concentrata in un periodo definito (Darwish et al., 2007; Campos, 2010). L’accumulo in serbatoi si propone come alternativa semplice ed economica ai sistemi di disinfezione tradizionale o avanzata soprattutto nelle aree rurali dove è stata ampiamente dimostrata l’elevata efficienza dell’accumulo nella rimozione di microrganismi patogeni e parassiti (Brissaud, 2002;

Reinoso et al., 2008).

L’efficienza dell’accumulo in serbatoi è tuttavia legata non solo alle caratteristiche delle acque reflue accumulate ed alle condizioni climatiche esterne (radiazione solare, temperatura, ecc.), ma anche alle caratteristiche dell’ecosistema interno (concentrazione dei nutrienti, microrganismi e popolazione algale), alle caratteristiche costruttive dei serbatoi (capacità, superficie libera, profondità, ecc.) e alle modalità di esercizio adottate (flusso continuo, discontinuo o a batch) (Juanicó e Dor, 1999; Cirelli et al., 2009; Juanicó, 2005).

Alcuni recenti studi (Naselli-Flores, L., 2003; Sànchez-Carrillo et al., 2007; Baldwin et al., 2008) hanno sottolineato come gli eccessivi prelievi ad esempio, posso compromettere la qualità dell’effluente.

Nelle regioni aride e semi-aride, dove maggiore è l’esigenza del riuso, le acque reflue prodotte durante il periodo irriguo non sono generalmente sufficienti a soddisfare la domanda. Pertanto tra gli interventi necessari per razionalizzare e incentivare l'uso delle acque reflue per irrigazione, rilevante importanza riveste la possibilità di realizzare una regolazione di tali acque (UNEP,1991).

In reattori perfettamente miscelati, caratterizzati da condizioni di flusso stazionario, le

dinamiche alla base delle variazioni della qualità degli effluenti possono essere modellate

utilizzando cinetiche del primo ordine (Marais, 1974), ma nella realtà nessun reattore

perfettamente miscelato è in grado di rispettare le condizioni ideali di stazionarietà. Juanicó e

Friedler (1994) hanno dimostrato che le performance depurative di tali reattori non

dipendono dall’intero volume di effluente invasato, ma dalle piccole frazioni di effluenti

freschi (PFE) introdotti nel serbatoio. Il tempo medio di detenzione di queste piccole frazioni

di effluenti freschi (MRT%FE), se opportunamente combinato con cinetiche del primo

ordine, consente di valutare le dinamiche di rimozione dei microrganismi e, attraverso il

calcolo dei coefficienti di decadimento K

T

(giorni

-1

), di ottenere informazioni utili per la

progettazione di reattori che abbiano efficienze di rimozione elevate (Cirelli et al., 2009).

(9)

1.1 Organizzazione del lavoro

Le presenti linee guida sono state articolate in due parti: la parte I di carattere bibliografico (capitoli da 1 a 6) e la parte II dove viene riportata l’attività sperimentale relativa ad un caso studio siciliano (capitolo 7).

Dopo una breve descrizione del ruolo delle acque reflue nella gestione integrata delle risorse idriche (capitolo 1), nel capitolo 2 vengono valutati gli effetti dell’accumulo in relazione alle condizioni climatiche (radiazione solare, temperatura, ecc.) e alle caratteristiche dell’ecosistema che si sviluppa all’interno dei serbatoi (concentrazione di nutrienti, microrganismi e popolazione algale) e sono esaminate le modalità di esercizio dei serbatoi (accumulo in continuo, discontinuo e a batch) e la loro influenza sulle performance depurative dei serbatoi.

Nel capitolo 3 vengono analizzate le efficienze di rimozione delle principali classi di inquinanti fisico-chimici e microbiologici e nel capitolo 4 vengono introdotti i principali criteri per la progettazione, la gestione e il monitoraggio dei serbatoi di accumulo delle acque reflue.

Il capitolo 5 è incentrato sul comportamento idraulico dei serbatoi e sulla trattazione dei principali modelli di rimozione. Infine, nel capitolo 6 vengono riportati alcuni casi studio dove l’impiego dei serbatoi di accumulo ha contribuito a ridurre l’inquinamento dei corpi idrici recettori e ad incrementare la disponibilità idrica e viene approfondito l’aspetto normativo del riuso in Italia.

La parte II è composta da un unico capitolo nel quale sono riportati la metodologia ed i

risultati relativi all’indagine sperimentale condotta presso il serbatoio di accumulo di

Caltagirone, in provincia di Catania (capitolo 7).

(10)

2 L’ACCUMULO DELLE ACQUE REFLUE NEI SERBATOI

L’ accumulo in serbatoi è una tecnica di trattamento naturale, che consiste nello stoccaggio delle acque reflue in grandi bacini (indicati nelle letteratura anglosassone come “storage reservoirs” o “stabilization reservoirs”), al cui interno si verificano processi depurativi simili a quelli dei sistemi di lagunaggio. Tuttavia, come illustrato nel seguito, tra questi due sistemi esistono differenze significative e per tale motivo l’accumulo in serbatoi costituisce una particolare categoria dei trattamenti naturali e/o estensivi (Juanico e Dor, 1999).

I processi chimico-fisici e biologici che si verificano in un serbatoio di acque reflue urbane sono tipici di un “ecosistema acquatico”, assai simile ad un lago ipertrofico, ovvero a un sistema biologico di sviluppo concatenato di vari organismi, che, seppure con cinetiche e caratteristiche differenti, si ritrova nei corpi idrici naturali a lento ricambio (laghi, paludi,...) e nei sistemi di depurazione di tipo biologico (Juanico e Dor, 1999). Tali processi, schematizzati nella Figura 2-1, sono fortemente influenzati sia delle condizioni climatiche (radiazione solare, temperatura, ecc.), sia delle caratteristiche dell’ecosistema che si sviluppa all’interno degli invasi (concentrazione di nutrienti, microrganismi e popolazione algale) (Pearson e Mara, 1992).

Figura 2-1. Schema dei principali processi naturali che si verificano all’interno di un serbatoio di accumulo di acque reflue (modificata da Cirelli, 2003)

Sulla superficie liquida dei serbatoi, esposta all’azione della luce solare, si sviluppano micro

e macro-alghe che, per effetto della funzione clorofilliana da esse esplicata, utilizzando

l’anidride carbonica derivante dalle reazioni biologiche, producono ossigeno, generalmente

(11)

presente nei primi strati del serbatoio (zona aerobica); solo una porzione ridotta dell’ossigeno disciolto presente negli strati superficiali deriva dall’interscambio tra l’atmosfera e la superficie liquida. L’attività fotosintetica delle alghe provoca inoltre un aumento dei valori di pH che può raggiungere valori molto elevati (fino a 11). L’ossigeno prodotto dalle alghe viene utilizzato dai microrganismi che presiedono all’elaborazione e alla demolizione delle sostanze organiche apportate con i liquami. Nei serbatoi sono presenti anche organismi predatori zooplanctonici i quali si nutrono di batteri e sostanza organica in sospensione (incluse le alghe) e producono a loro volta CO

2

come catabolita gassoso.

L’irradiazione luminosa solare incide solo sui primi strati, e generalmente non riesce a pervenire con sufficiente intensità sul fondo dei serbatoi, per cui nella zona intermedia, e particolarmente sul fondo (ipolimnio), in assenza di alghe, e quindi di ossigeno, s’inducono condizioni anaerobiche, e si sviluppano batteri anaerobici e facoltativi (zona anaerobica).

L’instaurarsi di condizioni anaerobiche (notoriamente all’origine di esalazioni particolarmente sgradevoli derivanti dalla formazione d’idrogeno solforato e composti ammoniacali), non comporta necessariamente la propagazione anche nello spazio circostante: infatti, nella zona superficiale (epilimnio), generalmente ricca di ossigeno, si realizza l’ossidazione di quei composti di degradazione anaerobica che dovessero risalire dal fondo. La Tabella 2-1 riporta i processi più rilevanti che determinano la rimozione delle principali classi di inquinanti nei serbatoi di accumulo di acque reflue.

Tabella 2-1. Principali meccanismi di rimozione che si svolgono in un serbatoio di accumulo (modificato da Mara e Pearson, 1998)

Degradazione biologica aerobica/anaerobica

Nitrificazione e denitrificazione microbica; volatilizzazione dell'ammoniaca

Precipitazione Assimilazione biologica Adsorbimento e scambio cationico

Complessazione Precipitazione

Ossidazione/riduzione microbica Radiazione UV

Sedimentazione Adsorbimento Decadimento naturale

Predazione Fosforo

Metalli

Patogeni

Sostanza organica solubile

Sedimentazione Sostanza organica particolata

Azoto

Parametro Meccanismo di rimozione

Solidi sospesi Sedimentazione

(12)

I processi depurativi che si verificano nei serbatoi e gli interscambi fra zona anaerobica di fondo e zona aerobica superficiale, sono simili a quelli che si verificano in un stagno facoltativo; tuttavia i serbatoi di stabilizzazione non possono considerarsi come degli stagni biologici con un tempo di detenzione più lungo ed una profondità maggiore. Gli stagni sono progettati come “reattori a flusso stazionario” con volume idraulico e carico organico relativamente costante durante l’anno; i serbatoi, in relazione alle loro particolari modalità di gestione, hanno caratteristiche “non stazionarie” e pertanto il tempo di detenzione medio degli effluenti, la percentuale di effluenti freschi invasati, ed il carico organico (superficiale o volumetrico) si modificano in modo significativo nel corso dell’anno in funzioni delle variazioni di livello e di volume idrico invasato (Liran et al., 1994). Oltre a conseguire l’affinamento delle acque reflue altri obiettivi dell’accumulo, in parte comuni ai sistemi di regolazione delle acque convenzionali, sono:

• lo stoccaggio delle acque reflue prodotte nel periodo in cui la disponibilità è superiore alla domanda per uso irriguo (in particolare nel periodo invernale);

• il soddisfacimento della domanda ad uso irriguo (picchi giornalieri o stagionali) quando questa risulta maggiore della portata media delle acque immesse nel serbatoio.

• Altri obiettivi sono invece specifici dei sistemi di regolazione delle acque reflue:

• equalizzazione delle variazioni orarie della portata degli effluenti prodotti dall’impianto di trattamento;

• miglioramento della qualità degli effluenti durante il periodo di detenzione nei serbatoi;

• minimizzazione dei problemi gestionali di un sistema di riuso causati da una interruzione del funzionamento dell’impianto di trattamento o del sistema di irrigazione.

In relazione a quest’ultimo obiettivo l’accumulo di acque reflue consente in particolare di ridurre il rischio che acque reflue qualitativamente non idonee possano essere immesse all’interno del sistema di distribuzione irrigua e consente di risolvere problemi temporanei sulla qualità degli effluenti prodotti (UNEP, 1991; Barbagallo et al., 2002).

In funzione del tempo di permanenza dei reflui nel serbatoio e delle modalità di esercizio adottate (modalità di flusso continuo, discontinuo o a batch), che influenzano la qualità finale delle acque reflue invasate, molti sono soliti distinguere due principali tipologie di accumulo:

• accumulo a breve termine (Short-term storage) effettuato in serbatoi;

• accumulo a lungo termine (Long-term storage) effettuato in serbatoi o in acquiferi.

L’accumulo a breve termine viene di solito praticato per l’affinamento delle acque reflue da

impiegare a scopo agricolo o ricreativo (landscape irrigation, irrigazione di campi da golf,

(13)

ecc.). Pertanto i serbatoi vengono progettati in modo che abbiano tempi di detenzione variabili tra 1-2 giorni o 1-2 settimane. In questo modo la tecnica dell’accumulo consente anche di equalizzare le variazioni orarie della portata degli effluenti prodotti dall’impianto di trattamento e di minimizzare gli eventuali problemi gestionali del sistema di riuso causati, ad esempio, da una interruzione o mal funzionamento dell’impianto di trattamento o del sistema di irrigazione.

L’accumulo a lungo termine, invece, consente di raccogliere le acque reflue, già sottoposte ad una fase di trattamento primario o secondario, in grandi bacini comunemente indicati in letteratura tecnica con i termini “storage reservoirs” o “stabilization reservoirs”. Tali bacini sono sufficientemente profondi per consentire lo stoccaggio di grossi volumi di acque reflue da poter utilizzare a scopo irriguo quando la domanda risulta maggiore della portata media delle acque immesse nel serbatoio. Pertanto lo stoccaggio delle acque reflue si verifica soprattutto nel periodo invernale quando la disponibilità idrica è superiore alla domanda per uso irriguo. In questo modo, attraverso la regolazione stagionale, è possibile evitare lo scarico invernale dei reflui con conseguenti effetti positivi sulla qualità dei corpi idrici recettori e sull’incremento della disponibilità idrica (Barbagallo et al., 1996; Indelicato et al., 1996; 1997).

2.1 Aspetti fisico-chimici

Le principali variabili fisico-chimiche in grado di esercitare un controllo cinetico sui meccanismi di reazione dei vari processi depurativi che si svolgono all’interno di un serbatoio di accumulo, sono la radiazione solare, l’ossigeno disciolto, il pH e la temperatura.

La Figura 2-2 mostra le relazioni che legano tra loro le variabili fisico-chimiche sopracitate mettendo in evidenza gli effetti che la radiazione solare ha sul loro comportamento.

Temperatura, pH e ossigeno disciolto variano reciprocamente e, nella maggior parte dei casi,

tali variazioni sono legate principalmente al clima (intensità della radiazione solare) e alla

profondità dei serbatoi generando condizioni più o meno favorevoli al verificarsi dei diversi

processi depurativi.

(14)

Fotosintesi

Alti valori di pH (> 9)

Alti valori di OD

Radiazione solare

Fotoossidazione

Rimozione di microorganismi

Incremento della temperatura Fotosintesi

Alti valori di pH (> 9) Fotosintesi

Alti valori di pH (> 9)

Alti valori di OD

Radiazione solare

Fotoossidazione Alti valori

di OD

Radiazione solare

Fotoossidazione

Rimozione di microorganismi

Incremento della temperatura

Figura 2-2. Principali effetti fisico-chimici legati all’azione svolta dalla radiazione solare

2.1.1 La radiazione solare

La luce svolge sostanzialmente due importanti ruoli. Analogamente agli ambienti acquatici naturalmente esposti alla luce del sole, gli effetti prodotti dalla radiazione solare nell’ambito del trattamento delle acque reflue in serbatoi si traducono principalmente in una forte azione germicida (Boyle et al., 2008) e nel controllo della fotosintesi svolta dalle alghe. Evidenze sperimentali dimostrano che l’azione antibatterica della luce solare è un processo foto- ossidativo caratterizzato da due possibili meccanismi che coinvolgono esclusivamente le lunghezze d’onda delle regioni UVB (290-320nm), UVA (320-400nm) e del visibile (400- 700nm). Tali radiazioni, infatti, sono in grado di causare danni irreversibili nel DNA dei microrganismi patogeni che le assorbono (Paterson e Curtis, 2005).

Le radiazioni UVB, essendo di bassa intensità, sono quelle più rapidamente assorbite

nell’acqua (Curtis et al., 1994). Esse sono assorbite soprattutto da coliformi fecali ed E. coli,

nei quali viene modificata la struttura del DNA attraverso la formazione di pirimidine

dimere. Questo processo è indipendente dal contenuto di ossigeno o da altre condizioni

(15)

esterne e processi enzimatici possono intervenire riparando il danno prodotto (Davies- Colley, 2005).

L’assorbimento di radiazioni più lunghe, invece, induce un meccanismo di inattivazione attraverso il quale i fotoni vengono catturati da substrati specifici chiamati

“fotosensibilizzatori”. Tali substrati, probabilmente costituiti da materiale umico caratterizzato da uno spettro di assorbimento continuo, catalizzano la formazione di specie transienti foto-tossiche ossigenate, fortemente instabili e, quindi, estremamente reattive (ossigeno singoletto, perossido di idrogeno, radicali superossido e idrossido), il cui obiettivo è quello di danneggiare le membrane cellulari di batteri e virus provocandone il decadimento (Curtis et al., 1992; Davies-Colley et al., 1997).

L’intensità luminosa viene misurata in termini di fotoni per unità di superficie (μmol⋅m

-2

⋅s

-1

).

Il range di lunghezze d’onda compreso tra 400 e 700 nm costituisce la cosiddetta radiazione fotosinteticamente attiva (PAR) che corrisponde al 45-50% di tutta l’energia luminosa assorbita dalla superficie terrestre (Paterson e Curtis, 2005).

Come per gli stagni facoltativi, anche nel caso dei serbatoi di accumulo l’intensità della radiazione luminosa che penetra attraverso la superficie è funzione della profondità degli invasi (Huisman et al., 1999). Essa diminuisce in modo esponenziale con la profondità secondo quanto descritto dalla legge di Lambert-Beer (2.1) il cui andamento è mostrato in Figura 2-3:

I

2

/I

1

= e

-bΔy

(2.1)

dove I

1

è l’intensità della radiazione luminosa ad un certa profondità, I

2

è l’intensità luminosa ad una profondità maggiore, Δy (m) è la distanza tra i due punti di osservazione. Il coefficiente di estinzione della luce b (m

-1

) è una costante tipica del mezzo e può essere stimato dalla pendenza della regressione lineare mostrata in Figura 2-4.

L’intensità della radiazione luminosa che penetra attraverso la superficie di un serbatoio di

accumulo, può essere misurata utilizzando un radiometro provvisto di una fotocellula che di

solito è sensibile allo spettro luminoso nel visibile (400-700 nm) ovvero alla radiazione

fotosinteticamente attiva (PAR). Il segnale luminoso, convertito in impulso elettrico, viene

trasmesso al radiometro dove il valore in μmol⋅m

-2

⋅s

-1

compare direttamente sul display (1

mol rappresenta l’energia luminosa che si libera da una mole di sostanza durante una

reazione fotochimica, Jerrad e McNeill, 1972).

(16)

Figura 2-3. Andamento della legge di Lambert-Beer

Il cosiddetto Disco di Secchi può rappresentare una semplice alternativa. Esso consiste in un disco bianco del diametro di circa 30 cm legato di solito ad una corda metrata. La profondità in corrispondenza della quale il disco diventa invisibile dalla superficie è detta profondità di Secchi ed esprime una misura positiva della relativa disponibilità di luce a quella profondità.

Una riduzione dell’intensità della radiazione luminosa si verifica di solito anche in presenza di elevate concentrazioni di alghe negli strati d’acqua superficiali. Il risultato è una sensibile riduzione della crescita algale negli strati più profondi.

0 7

0

Δy

-ln (I

2

/I

1

) b = [-ln(I

2

/I

1

)]/Δy

Figura 2-4. Calcolo del coefficiente di estinzione della luce

(17)

2.1.2 Natura e significato del pH

Il pH esprime la concentrazione di ioni H

+

di una soluzione ed è espresso come logaritmo negativo della concentrazione di ioni idrogeno. Numerosi sono i processi depurativi che dipendono dal valore del pH che caratterizza le acque reflue invasate in un serbatoio di accumulo. Evidenze sperimentali dimostrano che un ambiente fortemente alcalino favorisce l’abbassamento della resistenza da parte dei microrganismi agli effetti della luce e contribuisce alla formazione della maggior parte delle forme ossigenate altamente tossiche per la sopravvivenza dei microrganismi patogeni (Curtis et al., 1992).

Inoltre, tutte le cinetiche dei processi di ossido-riduzione e dei meccanismi di idrolisi dipendono dal pH. Tale dipendenza è il principio alla base del processo di rimozione dei metalli che caratterizzano le acque reflue di provenienza industriale. In soluzione acquosa, infatti, i metalli possono precipitare sotto forma di idrossidi la cui solubilità è controllata dal pH (Mara e Mills, 1994; Paterson e Curtis, 2005). Solitamente, anche se la separazione di un metallo da una soluzione dipende dalle caratteristiche proprie del metallo, gli ioni metallici tendono a precipitare come idrossidi solo in condizioni di pH sufficientemente alcaline (pH

≈ 9-10).

A tal proposito, diversi studi hanno dimostrato che la maggior parte del fosforo presente nelle acque reflue invasate negli stagni biologici può precipitare sotto forma di idrossiapatite (Ca

5

(PO

4

)

3

OH), un minerale raro che non si risolubilizza. In questo caso la precipitazione del fosforo può verificarsi anche in presenza di piccole concentrazioni di calcio per valori di pH leggermente alcalini (pH>8,2) (Houng e Gloyna, 1984; Maynard et al., 1999). Tuttavia la formazione di idrossiapatite può essere inibita dalla presenza di ioni magnesio e di acidi organici comunemente presenti nelle acque reflue (Moutin et al., 1992).

Il pH delle acque reflue invasate nei serbatoi di accumulo è controllato principalmente dalla presenza di ioni carbonato e bicarbonato i quali, oltre ad essere le principali fonti di carbonio organico, svolgono anche un ruolo fondamentale per quanto riguarda la capacità tampone dell’acqua cosicché vengono impedite variazioni improvvise di pH. In acqua, infatti, l’anidride carbonica tende ad idratarsi formando l'acido carbonico (H

2

CO

3

) che, a sua volta, è in equilibrio con gli ioni carbonato (CO

32-

) e bicarbonato (HCO

3-

) secondo la seguente relazione:

+

+

+ ⇔ +

+

2 2 3 3 32

2

H O H CO H HCO H CO

CO (2.2)

(18)

Ciascun equilibrio è caratterizzato da una propria costante di dissociazione e il valore di questa, insieme alla concentrazione totale di anidride carbonica, determinano sostanzialmente il valore del pH:

• se in acqua l’anidride carbonica è presente solamente in forma non dissociata il valore del pH è inferiore a 7;

• per valori di pH pari a 7 i carbonati sono praticamente assenti in quanto circa il 20%

di anidride carbonica totale è presente in forma di CO

2

e H

2

CO

3

mentre circa l’80% è sottoforma di bicarbonato;

• se l’unica forma di anidride carbonica è rappresentata dai bicarbonati il pH è pari a 8,5;

• all’aumentare della percentuale di carbonati rispetto ai bicarbonato il pH diventa maggiore di 8,5.

Nelle acque reflue invasate, notevoli variazioni di pH possono verificarsi in seguito alla riduzione o all’incremento della concentrazione di anidride carbonica prodotta da alghe e microrganismi durante la respirazione. Gran parte di questa anidride carbonica viene consumata durante la fotosintesi. Quando la fotosintesi si svolge più rapidamente del processo di respirazione, si verifica una riduzione della concentrazione di ioni H

+

e quindi un aumento dei valori di pH. Di solito i valori del pH sono più bassi durante la notte e aumentano durante il giorno e, durante i mesi estivi, possono raggiungere valori superiori a 9.

Quando il pH raggiunge valori sufficientemente elevati (pH>9), la concentrazione di ioni OH

presente nell’acqua tende a spostare a sinistra l’equilibrio di dissociazione dell’ammoniaca di seguito riportato:

+

+

+ H O NH OH

NH

3 2 4

(2.3)

Tale spostamento si traduce in un aumento della frazione non ionizzata di ammoniaca (NH

3

) che, essendo in fase gassosa, tende a liberarsi nell’atmosfera. Sulla base di ciò, Pano e Middlebrooks (1982) sostengono che parte dell’ammoniaca contenuta nelle acque reflue invasate (75-98%), possa essere rimossa per semplice volatilizzazione. Tale processo si verifica per valori di pH compresi tra 7 e 9 e dipende dal coefficiente di trasferimento di massa, a sua volta influenzato dal vento e dalla temperatura (T = 22-28°C) (Pano e Middlebrooks, 1982; Reed, 1985).

Il pH svolge un ruolo importante anche nel controllo degli odori regolando l’equilibrio di

dissociazione del solfuro di idrogeno (H

2

S), principale responsabile dei cattivi odori quando

il pH è al di sotto di 7,5.

(19)

2.1.3 Temperatura

La temperatura varia in funzione dell’ubicazione del serbatoio e rappresenta il principale fattore che regola il metabolismo dei microrganismi e, quindi, la velocità di degradazione della materia organica e la successiva stabilizzazione dei nutrienti inorganici da parte dei microrganismi (Khin e Annachhatre, 2004). Diversi studi condotti in Europa e in America, hanno dimostrato che l’efficienza di rimozione dei nutrienti nei serbatoi di stabilizzazione è più alta in estate che in inverno (Lai e Lam, 1997). Inoltre la temperatura interviene anche sulle proprietà idrauliche dell’acqua invasata dando luogo a fenomeni di stratificazione e destratificazione che risentono anche dell’azione del vento e della radiazione solare (Llorens et al., 1992).

2.1.4 Ossigeno disciolto

Curtis et al. (1992) e più tardi anche Davis - Colley et al. (1999) hanno dimostrato che il potere germicida della radiazione UV dipende sicuramente dalla presenza di ossigeno che in qualche modo sembra operare in sinergia con elevati valori di pH.

Negli stagni di stabilizzazione circa l’80% dell’ossigeno disciolto negli strati superficiali (zona aerobica) è prodotto dall’attività fotosintetica delle alghe; solo una piccolissima porzione deriva, invece, dall’interscambio tra l’atmosfera e la superficie liquida (Ellis, 1983). L’irradiazione luminosa solare incide solo sui primi strati, e generalmente non riesce a pervenire con sufficiente intensità sul fondo dei serbatoi, per cui nella zona intermedia, e particolarmente sul fondo, in assenza di alghe, e quindi di ossigeno, s’inducono condizioni anaerobiche, e si sviluppano batteri anaerobici e facoltativi. Un profilo tipico di un serbatoio di accumulo situato in un’area tropicale, ad esempio, di solito mostra che la concentrazione di ossigeno passa da livelli di sovrassaturazione, misurabili in superficie, a valori molto bassi già negli strati d’acqua situati a 50-70 cm dalla superficie (Figura 2-5).

Un ambiente fortemente ossigenato costituisce una condizione indispensabile per lo

svolgimento di vari processi tra cui la rimozione della sostanza organica (BOD e COD) da

parte di microrganismi aerobici. Tale processo minimizza l’emissione di cattivi odori

facilitando l’ossidazione di composti chimici maleodoranti che sedimentano sul fondo degli

invasi e crea anche le condizioni favorevoli per la rimozione dell’ammoniaca contenuta in

grandi quantità nei liquami grezzi e non adeguatamente rimossa con i tradizionali metodi di

trattamento secondario. La concentrazione di azoto ammoniacale residua negli effluenti

secondari di solito è pari al 50-70% della concentrazione iniziale (Abeliovich, 1987).

(20)

photosynthetic activity and atmosperic exchange

Figura 2-5. Ossigeno disciolto all’interno di un serbatoio di accumulo (modificato da http://www.ourlake.org/html/dissolved_oxygen.html)

La rimozione di BOD e COD si basa fondamentalmente sull’ossidazione della materia organica da parte di specifici microrganismi eterotrofi presenti nelle acque reflue (Pseudomonas, Flavobacterium, Archromobacter, ecc.) (Maynard et al., 1999). Si tratta di un processo di rimozione che risente della mutua relazione tra batteri aerobi ed alghe.

Secondo questa relazione, infatti, i batteri utilizzano l’ossigeno prodotto dalla fotosintesi algale per ossidare la sostanza organica producendo l’energia necessaria alle alghe per fissare il carbonio organico e produrre ossigeno attraverso la fotosintesi. Sebbene coinvolga molti complessi meccanismi, il processo di fotosintesi può essere facilmente descritto dalla seguente relazione:

(

2

)

2

2

2

nH O CH O nO

nCO + →

n

+ (2.4)

La materia prima alla base di questo processo è il diossido di carbonio (CO

2

) il quale viene ridotto a zuccheri semplici (CH

2

O). La reazione è catalizzata dal pigmento verde clorofilla e da svariati enzimi ed implica numerosi altri costituenti cellulari (Streitwieser e Heathcock, 1980). Le dinamiche legate al contenuto di ossigeno sono guidate, quindi, dalla fotosintesi che a sua volta è funzione della radiazione solare e del carico di sostanza organica.

Il processo di rimozione dell’ammoniaca è chiamato nitrificazione e avviene ad opera di

batteri autotrofi (Nitrosomonas sp e Nitrosospira sp) i quali, coinvolgendo enzimi specifici,

utilizzano l’ossigeno prodotto dalla attività fotosintetica delle alghe quale accettore di

elettroni, per ossidare l’azoto ammoniacale a nitrito. L’ossidazione dell’ammoniaca porta

alla formazione di un composto intermedio chiamato idrossilammina (NH

2

OH) attraverso

una reazione catalizzata dalla ammoniaca monossigenasi (AMO), un enzima che riduce uno

(21)

degli atomi di O

2

per formare una molecola di H

2

O, mentre il restante atomo di ossigeno si lega chimicamente al prodotto di ossidazione finale:

O H OH NH H

O e

NH

3

+ 2

+

2

+ 2

+

2

+

2

(2.5)

Successivamente l’idrossilammina viene ossidata a nitrito dalla idrossilammina ossidoreduttasi (HAO) secondo la seguente reazione:

+

+ +

+ H O NO H e

OH

NH

2 2 2

5 4 (2.6)

Se l’ambiente è sufficientemente ossigenato la reazione può proseguire con l’ossidazione a nitrato coinvolgendo batteri come Nitrobacter sp e Nitrospira sp:

+

2

3

2

2

1 O NO

NO (2.7)

Il processo di ossidazione dell’ammoniaca può avere luogo solo in presenza di ossigeno di conseguenza si verifica solamente negli strati superficiali del serbatoio (zona aerobica) sotto determinate condizioni di temperatura e di luminosità. L’eccesso di luce sugli strati superficiali del serbatoio, infatti, ha un effetto inibente sull’azione nitrificante dei batteri essendo nella maggior parte dei casi sensibili alla radiazione UV (Abeliovich e Vonshak, 1993; Azov e Tregubova, 1995; Juanicó e Dor, 1999). In condizioni di scarsa ossigenazione, nitrati e nitriti vengono ridotti ad azoto elementare (N

2

):

O H OH

N e H

NO

3

10 10

2

2 4

2

2

+

+

+

→ +

+ (2.8)

O H OH

N e H

NO

2

6 6

2

2 2

2

2

+

+

+

→ +

+ (2.9)

Tale processo di denitrificazione avviene con un meccanismo anaerobico e coinvolge diversi

donatori di elettroni tra cui metanolo, etanolo e glucosio. I microrganismi denitrificanti sono

batteri eterotrofi facoltativi, in grado di operare sia in presenza che in assenza di ossigeno

(Pseudomonas sp e Bacillus sp). Essi si trovano in parte nella biomassa algale e,

normalmente, usano l’ossigeno come accettore di elettroni per l’ossidazione della materia

organica. In condizioni di anaerobiosi, invece, tali batteri sfruttano l’azione ossidante dei

nitrati in alternativa all’ossigeno.

(22)

2.2 Processi biologici

Durante i lunghi periodi di detenzione che caratterizzano i serbatoi di accumulo si stabiliscono equilibri dinamici che coinvolgono anche processi di bio-antagonismo nell’ambito dei quali le alghe, grazie alla loro capacità di interagire con la radiazione luminosa, possono essere considerate le principali responsabili della progressiva riduzione dei microrganismi patogeni presenti nelle acque reflue invasate (Moeller e Calkis, 1992;

Abeliovich e Vonshak, 1993; Maynard et al., 1999; Xu et al., 2002a).

In accordo con quanto affermato da Legendre et al., (1984) la competizione tra specie batteriche e la predazione di batteri fecali da parte di fitoplancton e zooplancton, sono forme di antagonismo che possono agire regolando le popolazioni di indicatori batterici negli ambienti acquatici e, quindi, anche nei serbatoi di accumulo. L’osservazione di fenomeni di predazione a temperature elevate e mai al di sotto dei 10°C, indica, inoltre, che l’antagonismo può essere affetto anche da fattori stagionali esterni cui è legato lo sviluppo di fitoplancton e zooplancton.

Tra i possibili fattori stagionali esterni, lo sviluppo di alghe e il fenomeno della stratificazione termica sono quelli che intervengono principalmente sui processi di depurazione biologica che caratterizzano un serbatoio di accumulo.

2.2.1 Il ruolo delle alghe

Lo sviluppo di alghe nei serbatoi di accumulo delle acque reflue è un fenomeno assai complesso che non sempre produce risposte lineari al variare di alcuni parametri ambientali quali la temperatura, la radiazione solare e la disponibilità di nutrienti. Numerose sono, infatti, le relazioni che legano lo svolgimento della dinamica di una comunità algale ai principali fattori fisici, chimici e biologici con cui le alghe interagiscono in un comune ecosistema acquatico stagnante (Morabito, 1997).

E’ stato ampiamente dimostrato che la presenza di alghe e fitoplancton sulla superficie

liquida dei serbatoi svolge un ruolo determinante nel trattamento delle acque reflue (Cromar

et al., 1996). Attraverso la fotosintesi, infatti, si creano le condizioni di pH, ossigeno

disciolto e temperatura più favorevoli per lo svolgimento dei complessi meccanismi di

depurazione biologica che si verificano all’interno dei serbatoi di accumulo. Varie

esperienze a riguardo dimostrano che le alghe sono in grado di intervenire nella rimozione

dei nutrienti mediante l’adsorbimento dei composti dell’azoto e del fosforo nella biomassa

algale favorendo il verificarsi di processi di volatilizzazione e precipitazione dipendenti dal

(23)

pH e dal contenuto di ossigeno disciolto (Figura 2-6). Le alghe intervengono, inoltre, anche nella riduzione di BOD e COD in quanto l’ossigeno prodotto dalla loro attività fotosintetica viene utilizzato dai batteri aerobici nel processo di degradazione della sostanza organica.

Se, però, l’efficienza depurativa dei serbatoi di accumulo, da un lato, è imputabile proprio all’azione fotosintetica delle alghe, dall’altro, lo sviluppo di grandi quantità di alghe e di altre piante acquatiche nelle acque superficiali, può contribuire a ridurre l’efficacia dell’accumulo delle acque reflue in termini di rimozione dei solidi sospesi e del BOD

5

, le cui concentrazioni nell’effluente finale risentono spesso del contributo fornito dalla formazione di biomassa algale.

Figura 2-6. Schema dell’attività svolta dalle alghe

All’interno di un serbatoio di accumulo possono svilupparsi varie tipologie di alghe. Vari

studi condotti sugli stagni biologici hanno dimostrato che la specie predominante si sviluppa

solitamente in funzione del carico di sostanze organiche che lo stagno riceve (Pearson,

2000). Sempre secondo questi studi, risulta che la biomassa algale diminuisce all’aumentare

del carico organico superficiale (Kg BOD

5

/ha/giorno) e che tale tendenza si riduce man

mano che aumenta la profondità dello stagno. Poiché elevati carichi organici comportano

anche elevate concentrazioni di ammoniaca, il controllo della biomassa algale e, quindi,

delle specie algali dominanti, più che dal carico di sostanza organica, potrebbe dipendere

proprio dai contenuti di ammoniaca presenti nelle acque reflue invasate (Pearson et al.,

1987). L’ammoniaca è in grado di penetrare liberamente attraverso le membrane cellulari

pertanto, elevate concentrazioni di ammoniaca libera prodotta, ad esempio, da un aumento

del pH, sono capaci di inibire la fotosintesi. Inoltre anche i tempi e i modi con cui i nutrienti

(24)

(CO

2

, azoto e fosforo) si rendono disponibili possono essere importanti fattori di controllo sullo sviluppo di diverse tipologie di alghe.

La disponibilità di nutrienti per le alghe è spesso legata all’attività di organismi appartenenti ad altri livelli trofici. In particolare i nutrienti rigenerati da microrganismi zooplanctonici rappresentano una fonte di sostentamento di particolare importanza. D’altro canto lo zooplancton (Daphnia) può influire negativamente sullo sviluppo algale attraverso la predazione (grazing) di cui risentono maggiormente le alghe di piccole dimensioni (10-20 μ) che solitamente hanno i più alti tassi di crescita e di assimilazione. Accanto al controllo esercitato dallo zooplancton sulle alghe esiste anche un’efficiente azione di controllo da parte dei batteri i quali possono entrare in competizione con le alghe per i nutrienti, in particolare per il fosforo.

Oltre che alla presenza nei reflui di sostanze nutrienti contenenti azoto e fosforo, la crescita algale è legata principalmente alla temperatura e all’intensità della radiazione solare. La crescita della maggior parte delle alghe si verifica in un range di temperature compreso tra 4 e 40 °C e dipende dalla quantità di luce che incide sulla superficie dei serbatoi (Walmsley e Shilton, 2005). Anche la presenza o assenza di stratificazione termica negli invasi può interviene in misura significativa sulla fioritura delle alghe e, quindi, sulla distribuzione dell’ossigeno disciolto lungo la colonna d’acqua al punto che la qualità dell’effluente in un serbatoio stratificato di solito è meno uniforme rispetto alla qualità delle acque reflue in uscita da un serbatoio miscelato o debolmente stratificato (Friedler et al., 2003).

Durante l’inverno, a causa della profondità degli invasi, nei serbatoi di accumulo l’attività fotosintetica, con il conseguente sviluppo di ossigeno, si verifica solamente negli strati d’acqua fino a circa 20-30 cm dalla superficie estendendosi fino a circa 110 cm in primavera e in estate (Pearson, 2005). Negli strati d’acqua al di sotto di 1 m si verifica un netto consumo di ossigeno da parte dei microrganismi durante la respirazione. Ciò comporta significative variazioni dei contenuti di ossigeno disciolto e dei valori di pH lungo il profilo della colonna d’acqua. Il pH lungo il profilo della colonna d’acqua di un serbatoio di accumulo, può raggiunge di solito valori tra 8 e 9 in superficie e valori circa 7 negli strati sottostanti. Durante i mesi estivi, quando l’attività fotosintetica per effetto della luce è più intensa, il pH in superficie può raggiungere anche valori superiori a 11.

2.2.2 La stratificazione termica

Un fattore estremamente importante che è utile tenere in considerazione per meglio

comprendere alcuni fenomeni come la crescita delle alghe e la distribuzione verticale di

(25)

particolati e altri inquinanti presenti nelle acque reflue invasate, è la presenza di una stratificazione termica all’interno dei serbatoi (Ruochuan e Heinz, 1995).

Le acque invasate durante la stagione invernale sono caratterizzate da omogeneità termica con un valore di ossigeno disciolto relativamente basso sull’intera colonna liquida. Ciò può comportare un notevole accumulo di sostanze organiche sul fondo dei serbatoi. All’inizio della primavera, rialzandosi la temperatura, si instaurano reazioni anaerobiche che talora possono comportare lo sviluppo di odori molesti e che continuano finché non si creano le condizioni favorevoli allo sviluppo delle alghe verdi. Con l’aumento delle temperature, si passa da condizioni di profilo termico omogeneo lungo l’intera colonna d’acqua, ad una progressiva stratificazione termica fino al raggiungimento di un ben definito termoclino a causa del quale le acque si stratificano a diversi livelli di densità (determinata dalla diversa temperatura) e la circolazione in senso verticale viene impedita (Figura 2-7).

Figura 2-7. Stratificazione termica nei serbatoi di accumulo durante il periodo di detenzione

Le temperature più elevate negli strati superficiali e la presenza di un termoclino che

impedisce il mescolamento tra il fondo del serbatoio (ipolimnio) e lo strato superficiale

(epilimnio), solitamente influenzano la variazione di alcuni parametri biochimici come

ossigeno disciolto, pH e sviluppo di fitoplancton con la profondità e, quindi, l’efficienza dei

processi depurativi che si svolgono all’interno dei serbatoi.

(26)

In pratica, con l’affermarsi della stratificazione termica si stabilisce sopra il termoclino uno strato fortemente ossigenato, a causa dell’intensa attività fotosintetica del fitoplancton, mentre l’ipolimnio si crea un ambiente scarsamente ossigenato o addirittura anossico responsabile della formazione di composti maleodoranti prodotti dalla fermentazione anaerobica (CH

4

, CO

2

, H

2

S, NH

3

) che in qualche caso possono propagarsi nello spazio circostante (Hawkes, 1983; Oswald, 1988). L’ossigenazione dell’ipolimnio, favorisce l’ossidazione dei prodotti della degradazione anaerobica man mano che risalgono dal fondo del serbatoio bloccando così la propagazione di esalazioni particolarmente sgradevoli.

La Figura 2-8 mostra come l’eventuale presenza di venti, attraverso la formazione di correnti convettive che interessano gli strati superficiali della massa liquida, sia in grado di intervenire sul grado di ossigenazione dell’ipolimnio. Indagini sulla modellazione idrodinamica dei serbatoi hanno dimostrato che negli stagni di stabilizzazione caratterizzati da una vasta area superficiale, il vento crea una circolazione dei flussi idrici tridimensionale (Sweeney et al., 2003), mentre negli stagni più piccoli lo schema delle correnti è prevalentemente bidimensionale e la circolazione dei flussi si verifica solamente sul piano orizzontale (Shilton e Sweeney, 2005)

Figura 2-8. Rappresentazione schematica delle correnti indotte dal vento in un serbatoio di accumulo delle acque reflue (Juanicò, 2005)

(27)

2.3 Modalità di esercizio

Le principali modalità di esercizio dei serbatoi di accumulo di acque reflue prevedono sostanzialmente che le procedure di immissione e prelievo dei reflui avvengano secondo regimi di flusso continuo o discontinuo. Tuttavia, la possibilità di combinare tra loro diversi regimi di immissione, detenzione e prelievo e di poter impiegare una o più unità di accumulo, dà luogo a numerose varianti che, a seconda dei casi, consentono di trovare il giusto compromesso tra efficienza depurativa ed effettivi fabbisogni idrici per l’irrigazione (Juanicó, 1996). La Figura 2-9 mostra le modalità di esercizio che si possono ottenere sia in funzione dei regimi di flusso (immissioni e prelievi), sia in funzione del numero di unità di accumulo in serie o in parallelo.

Figura 2-9. Alcuni esempi di regimi operativi dei serbatoi di accumulo delle acque reflue (modificato da Juanicó e Dor, 1999)

(28)

Le principali modalità di esercizio che consentono di effettuare l’accumulo delle acque reflue secondo regimi di flusso continuo, discontinuo o di tipo a “batch”, possono essere opportunamente variate a seconda che i prelievi siano continui (esempi 1-6) o discontinui (esempi 7-13).

La scelta della modalità di esercizio di un serbatoio di accumulo dipende da vari fattori tra cui la domanda per uso irriguo, la quantità di effluenti che si rende disponibile col sistema di trattamento impiegato, la qualità finale degli effluenti e l’obiettivo finale di utilizzo (scarico nei corpi idrici, riuso agricolo, landscape irrigation, ecc.). In fase sperimentale, invece, la scelta della modalità di esercizio scaturisce dalla necessità di stabilire una relazione tra le caratteristiche fisico-chimiche e microbiologiche delle acque reflue invasate e i principali parametri di esercizio del serbatoio.

Tuttavia, qualunque sia la modalità di esercizio adottata, è opportuno che i serbatoi di accumulo non vengano mai completamente vuotati. Un piccolo volume di acque reflue serve, infatti, non solo a preservare eventuali guaine impermeabilizzanti dagli effetti della radiazione solare, ma anche a mantenere, attraverso le alghe e i microrganismi in esso contenuti, l’ambiente biologicamente attivo per lo svolgimento dei processi depurativi già durante la fase di riempimento (Cirelli, 2003).

2.3.1 Accumulo in continuo

I primi serbatoi di accumulo costruiti in Israele durante gli anni ’70 e ’80, realizzati a valle di uno stagno aerobico o, nel caso di grandi sistemi di riuso, a valle di un impianto di trattamento convenzionale, seguivano un regime di flusso continuo. Nell’accumulo in continuo le acque reflue venivano invasate in un unico serbatoio durante tutto l’anno (con portata costante o variabile) per essere utilizzate, solitamente tra maggio e settembre, in relazione agli effettivi fabbisogni irrigui (prelievi discontinui) (Juanicó, 2005). Alcune tipologie di accumulo in continuo con prelievi discontinui sono mostrate negli esempi 7, 8 e 9 della Figura 2-9.

Nella maggior parte dei serbatoi l’uscita del refluo è collocata a circa un metro sotto lo strato

d’acqua superficiale. Con questo accorgimento i prelievi di acque reflue vengano effettuati

sempre in corrispondenza dell’epilimnio che, essendo lo strato più ricco di ossigeno, è

costituito da effluenti qualitativamente più idonei al riuso rispetto a quelli dello strato

anaerobico (ipolimnio) (Juanicó e Dor, 1999). L’uscita del refluo, invece, di solito viene

collocata in modo da evitare che le correnti indotte dal vento possano dare luogo a fenomeni

di risospensione degli inquinanti sedimentati sul fondo del serbatoio. In particolare, nel caso

(29)

di serbatoi che operano in continuo, l’ingresso e l’uscita del refluo devono trovarsi il più lontano possibile, preferibilmente collocate su un asse perpendicolare alla direzione predominante del vento allo scopo di ridurre i fenomeni di “cortocircuito idraulico”. Per questa ragione e per incrementare l’apporto di ossigeno all’interno degli invasi, attraverso processi di miscelazione e diffusione, l’ingresso dei reflui viene collocato sul fondo del serbatoio (Juanicó, 2005).

I serbatoi di accumulo che operano in continuo sono reattori a regime non stazionario caratterizzati da un ciclo annuale di riempimento/svuotamento che è funzione dei flussi idrici in ingresso e in uscita, dei volumi idrici invasati e dell’area del serbatoio. A queste stesse variabili sono, inoltre, legate le variazioni annuali del tempo di detenzione del refluo, del carico idraulico volumetrico e del carico organico superficiale (Juanicó, 2005).

La principale limitazione dei regimi a flusso continuo è la degradazione della qualità fisico- chimica e microbiologica degli effluenti durante la stagione irrigua. Con tale modalità, infatti, in alcuni periodi dell’anno le immissioni di acque reflue si verificano contemporaneamente ai prelievi causando un rapido peggioramento della qualità delle acque che raggiunge i suoi valori più bassi alla fine della stagione irrigua, quando il serbatoio è vuoto e circa il 30-50% degli effluenti risulta invasato da meno di 30 giorni (Juanicó e Shelef, 1991; 1994; Liran et al., 1994).

In questo caso, come mostrato in Figura 2-10, il contributo di sostanza organica da parte dei sedimenti di fondo e della biomassa algale, potrebbe addirittura causare un aumento della concentrazione di COD all’interno del serbatoio rispetto a quella contenuta nelle acque reflue in ingresso.

Pertanto, i serbatoi che operano con modalità in continuo possono essere considerati solamente come unità di accumulo dal momento che le loro capacità di trattamento sono mediamente buone, ma irregolari nel tempo. Le massime percentuali di rimozione ottenibili all’inizio della stagione irrigua, infatti, sono pari ad un ordine di grandezza nel caso di BOD, COD e solidi sospesi e a 3-4 ordini di grandezza nel caso dei coliformi (Juanicó e Dor, 1999;

Juanicó, 2005).

Vari studi (Fattal et al., 1993; Liran et al., 1994) dimostrano che per quanto riguarda la

rimozione dei coliformi fecali esistono notevoli differenze tra epilimnio ed ipolimnio in

quanto il principale responsabile del decadimento di coliformi fecali ed E. coli nei serbatoi di

accumulo di acque reflue, è l’attività fotosintetica svolta dalle alghe che a sua volta è

funzione della radiazione solare e della temperatura. Inoltre, quando il serbatoio opera come

(30)

un reattore a flusso continuo, la rimozione dei coliformi in corrispondenza dell’epilimnio è strettamente correlata alle frazioni di effluenti freschi invasati da 5 giorni o meno mentre, in corrispondenza dell’ipolimnio, essa è correlata principalmente alle frazioni di effluenti freschi invasati da 20-30 giorni (Juanicó e Dor, 1999; Juanicó, 2005).

Figura 2-10. Concentrazione di COD nell’epilimnio di un serbatoio israeliano operante in regime di flusso continuo (Juanicó, 2005)

2.3.2 Accumulo discontinuo

Una variante dell’esercizio a batch è rappresentata dalla possibilità di effettuare l’accumulo di acque reflue secondo modalità di tipo discontinue. Ma, a differenza dei regimi a batch propriamente detti, per i quali è previsto il mantenimento di condizioni operative pressoché stazionarie, l’accumulo discontinuo prevede il mantenimento della capacità utile di un dato serbatoio mediante l’immissione irregolare di volumi di acque reflue sufficienti ad integrare le perdite idriche provocate dall’evaporazione e da eventuali fenomeni di infiltrazione.

Come accade per i regimi operativi a batch, l’immissione delle acque reflue viene effettuata

soprattutto in periodi durante i quali non si verificano prelievi allo scopo di incrementare la

qualità del refluo da destinare al riuso. Tuttavia, l’immissione discontinua di effluenti

freschi, con una frequenza che varia non solo in funzione delle perdite idriche da integrare,

ma anche delle esigenze dell’ente gestore, dà comunque luogo a significative variazioni di

livello, superficie idrica e volume idrico che inevitabilmente influenzano il carico organico

(31)

volumetrico (Kg/m

3

⋅giorno) e il carico organico superficiale (Kg/ha⋅giorno) (Juanicó e Shelef, 1994).

2.3.3 Accumulo a batch

I serbatoi che operano nelle modalità di tipo a batch, rappresentando un’ottima soluzione per il trattamento e l’affinamento della qualità degli effluenti, non possono essere definiti semplicemente unità di accumulo ma, piuttosto, devono essere considerati una componente fondamentale di cui ogni sistema di riuso di acque reflue dovrebbe essere munito. Nei regimi operativi a batch l’immissione delle acque reflue viene effettuata in un periodo relativamente breve durante il quale non si verificano prelievi. Pertanto le condizioni operative rimangono stazionarie a meno delle perdite per evaporazione ed infiltrazione. Poiché la durata dell’esercizio a batch determina la qualità finale degli effluenti, i serbatoi devono essere realizzati in modo da avere tempi di detenzione adeguati che generalmente sono compresi tra 30 e 50 giorni (Juanicó, 2005).

Nei regimi operativi a batch il processo di degradazione della sostanza organica (BOD) e quello di decadimento dei coliformi fecali avvengono con la stessa velocità di un regime a flusso continuo, ma le efficienze di rimozione sono molto più elevate in quanto nei serbatoi che operano con modalità di esercizio a batch la percentuale di effluente fresco invasato è nulla. Diversi esperimenti condotti su reattori a scala reale sia in Israele che all’estero, dimostrano che nei serbatoi con modalità a batch l’efficienza di rimozione di inquinanti, caratterizzati di solito da una bassa velocità di degradazione, come ad esempio BOD e COD, è pari a circa un ordine di grandezza, mentre la rimozione dei coliformi fecali e di altri microrganismi patogeni è superiore a 5 ordini di grandezza (Juanicó, 2005).

Dal momento che per conseguire un miglioramento qualitativo delle acque reflue invasate è

necessario che l’immissione di effluenti freschi nel serbatoio non sia effettuata durante il

periodo dei prelievi, l’accumulo a batch rappresenta la modalità di esercizio ottimale, ma ciò

comporta la necessità di disporre di un sistema di trattamento composto da più unità di

accumulo in modo che l’allungamento dei tempi di detenzione delle acque reflue non crei

disagi sulla disponibilità di reflui depurati da destinare al riuso. La Tabella 2-2 mette a

confronto le efficienze di rimozione ottenibili per l’esercizio in continuo e per l’esercizio a

batch relativamente ad alcuni serbatoi di accumulo su scala reale e a livello sperimentale.

(32)

Tabella 2-2. Confronto tra efficienze di rimozione di diversi serbatoi di accumulo operanti secondo modalità di esercizio in continuo e a batch (modificata da Juanicó, 2005)

Parametro Flusso

continuo Batch 30-50 giorni Fonte

BOD 70% 90% Juanico&Shelef (1991)

COD 50% 80-90% Soler et al. (1991)

Juanico&Shelef (1994)

Azoto 70-80% (1) Juanico (1999)

Animelech (1999)

60-85% (1)

Bahri et al (2000) Sala et al. (1994) Araujo et al. (2000) Fosforo

<30% 10-30%

(sperimentale) Kott et al. (1978) Felgner &Sandring (1983)

(sperimentale) Juanico&Shelef (1991) Juanico&Shelef (1994)

Liran et al. (1994) Indelicato et al. (1996)

Athayde et al. (2000) Coliformi fecali 90-99% 99.99%-totale

(sperimentale)

Streptococchi totale Bernà et al. (1986)

Kouraa et al. (2002)

Uova di nematodi totale

Barbagallo et al. (2002)

(1) Dati forniti da Juanico e Avnimelech relativamente a due serbatoi di accumulo profondi operanti in continuo con brevi periodi di esercizio a batch. I dati forniti da Bahri riguardano serbatoi poco profondi

Potendo utilizzare più serbatoi in sequenza, l’esercizio a batch sequenziale in parallelo (esempi 4-6 di Figura 2-9) prevede l’impiego di almeno 3-4 unità di accumulo. Sistemi di trattamento più grandi, come quelli realizzati in Israele, possono essere caratterizzati anche da 5-6 unità. Molti sistemi di riuso, infatti, prevedono una serie di unità di trattamento intensivo o semi intensivo seguiti da una serie di serbatoi di accumulo per lo più operanti a batch (Juanicó, 1994). Secondo questa modalità di esercizio vengono riutilizzate le acque di un singolo serbatoio mentre per quanto riguarda i restanti serbatoi in sequenza, uno sarà in fase di riempimento e l’altro in modalità a batch oppure momentaneamente inattivo.

Durante il periodo in cui la richiesta di acqua è più elevata i cicli che caratterizzano ciascun serbatoio sono molto brevi e quindi è possibile che alcuni serbatoi vengano riempiti due volte durante la stagione irrigua (Juanicó, 2005). Nei regimi a batch quasi sequenziale (esempi 2-3 di Figura 2-9) l’immissione di acque reflue nel serbatoio viene interrotta contemporaneamente all’apertura della presa di uscita (Juanicó, 1996).

La Figura 2-11 mostra tre possibili schemi di accumulo nel caso in cui si disponga di una

sola unità (esempio a) o più unità (esempi b e c). In particolare, l’esempio b) suggerisce

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l’impiego di tre unità di accumulo disposte in parallelo con possibilità di ricircolo per incrementare la qualità dei reflui in uscita; mentre l’esempio c) suggerisce l’utilizzo di due serbatoi disposti in serie in maniera tale che le acque del primo, invasate per un periodo più breve, possano essere utilizzate per usi che richiedono una qualità dell’acqua più scadente (irrigazione con restrizioni), mentre quelle del secondo, accumulate durante il periodo non irriguo e quindi caratterizzate da periodi di detenzione più lunghi, possano essere impiegate senza restrizioni per le colture (Cirelli, 2003).

A

SA

Irrigazione con restrizioni

A

SA

Irrigazione senza restrizioni

SA SA

A

SA

Irrigazione senza restrizioni

SA

Irrigazione con restrizioni

a) b) c)

A = impianto di depurazione SA= Serbatoio di Accumulo

Figura 2-11. Schemi di sistemi di accumulo delle acque reflue urbane ad uno (a) o più serbatoi disposti in parallelo (b) e in serie (c) (modificato da Cirelli, 2003)

In generale, i serbatoi che operano sequenzialmente a batch forniscono effluenti di buona qualità, ma la loro gestione è alquanto complessa. Generalmente i serbatoi collegati in serie funzionano meglio quando la stagione dei prelievi è concentrata in un periodo di pochi mesi, m entre i serbatoi disposti in parallelo mostrano migliori prestazioni quando il periodo dei prelievi è più lungo o continuo dall’inizio alla fine dell’anno (Juanicó, 2005). Nelle seguenti figure, è riportato lo schema di un piccolo sistema irriguo con serbatoi disposti in parallelo (

Figura 2-12. Possibile schema di un piccolo sistema irriguo con serbatoi di regolazione in parallelo

Figura 2-12) e in serie (Figura 2-13).

La modalità di accumulo a batch ha trovato numerose applicazioni al punto che molti sistemi

di riuso in corso di progettazione o già realizzati nel bacino del Mediterraneo, prevedono uno

schema che impiega almeno tre serbatoi disposti in parallelo. Un esempio è rappresentato dal

sistema di accumulo in serbatoi previsto a valle dell’impianto di fitodepurazione a flusso

sub-superficiale orizzontale realizzato nel comune di San Michele di Ganzaria, piccolo

centro agricolo della provincia di Catania (Figura 2-14 e Figura 2-15).

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