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LA GESTIONE DELLE ACQUE REFLUE ENOLOGICHE

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Academic year: 2021

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(1)

BARBAGALLO SALVATORE CIRELLI GIUSEPPE LUIGI CONSOLI SIMONA

LICCIARDELLO FELICIANA MILANI MIRCO

NIGRO GIUSEPPINA

LA GESTIONE DELLE ACQUE

REFLUE ENOLOGICHE

(2)

Regione Siciliana

Assessorato dell’Istruzione e della Formazione Professionale Dipartimento dell’Istruzione e della Formazione Professionale

QUADERNI CSEI Catania III serie vol. 16

“LA GESTIONE DELLE ACQUE REFLUE ENOLOGICHE”

AUTORI:

BARBAGALLO Salvatore CIRELLI Giuseppe Luigi CONSOLI Simona LICCIARDELLO Feliciana MILANI Mirco

NIGRO Giuseppina

Dicembre 2019

(3)

Alimentazione e Ambiente (Di3A) Università degli Studi di Catania

QUADERNI CSEI Catania III serie vol. 16

La gestione delle acque reflue enologiche ISSN 2038-5854

Realizzazione editoriale CSEI Catania www.cseicatania.com Progetto grafico Art&Bit Srl - Catania

Il presente manuale è stato redatto dal CSEI Catania nell’ambito di un’attività di ricerca finanziata dalla Regione Siciliana - Assessorato Regionale dell’Istruzione e della Formazione Professionale - Dipartimento dell’Istruzione e della Formazione Professionale

Il presente lavoro è stata redatto con uguale contributo di tutti gli Autori:

prof. SALVATORE BARBAGALLO prof. GIUSEPPE LUIGI CIRELLI prof.ssa SIMONA CONSOLI Ing. FELICIANA LICCIARDELLO Dott. MIRCO MILANI

Dott.ssa GIUSEPPINA NIGRO

Attività di ricerca finanziata dalla

Regione Siciliana

Assessorato Regionale dell’Istruzione e della Formazione Professionale Dipartimento dell’Istruzione e della Formazione Professionale

La gestione delle acque reflue enologiche/ Salvatore Barbagallo … [et al.]

- Catania: Catania: CSEI 2019.

(Quaderni CSEI Catania. 3. serie; 16) 1. Acque reflue – Depurazione I. Barbagallo, Salvatore <1956->.

628.3 CCD-23 SBN Pal0323480

CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace”

(4)

1 INTRODUZIONE ... 1

1.1 Premessa ... 1

1.2 Obiettivi ... 3

2 QUADRO NORMATIVO SUL TRATTAMENTO, SMALTIMENTO E RIUSO DELLE ACQUE REFLUE ENOLOGICHE ... 5

3 I REFLUI ENOLOGICI ... 19

3.1 Caratteristiche tecnologiche e ciclo di produzione dell’industria enologica ... 19

3.2 Caratteristiche dei reflui provenienti dal processo di vinificazione ... 27

4 SISTEMI DI TRATTAMENTO INTENSIVI ... 31

4.1 Premessa ... 31

4.2 Fanghi attivi ... 33

4.3 Microbioflottazione e bioflottazione ... 40

4.4 Sistemi a biomassa adesa: letti percolatori e biodischi ... 43

4.5 Bioreattori a membrana ... 48

5 SISTEMI DI TRATTAMENTO NATURALI ... 52

5.1 Premessa ... 52

5.2 Lagunaggio ... 54

5.2.1 Lagune aerate ... 55

5.2.2 Lagune non areate ... 60

5.2.2.1 Stagni aerobici ... 60

5.2.2.2 Stagni anaerobici ... 60

5.2.2.3 Stagni facoltativi ... 61

5.2.3 Principi di funzionamento ... 62

5.2.3.1 Progettazione della prima laguna ... 64

(5)

5.2.3.3 Pretrattamento delle acque non trattate ... 66

5.3 Fitodepurazione ... 70

5.3.1 Generalità sui sistemi di fitodepurazione ... 70

5.3.2 Sistemi a flusso superficiale ... 78

5.3.2.1 Sistemi a flusso superficiale a macrofite galleggianti . 79 5.3.2.2 Sistemi a flusso superficiale a macrofite radicate ... 80

5.3.2.3 Sistemi flottanti ... 81

5.3.3 Sistemi a flusso subsuperficiale ... 83

5.3.3.1 Sistemi a flusso subsuperficiale orizzontale ... 84

5.3.3.2 Sistemi a flusso subsuperficiale verticale ... 87

5.3.4 Meccanismi di rimozione degli inquinanti ed efficienza depurativa ... 90

5.3.4.1 Solidi Sospesi Totali ... 92

5.3.4.2 Sostanza Organica ... 95

5.3.4.3 Nutrienti ... 98

5.3.4.4 Microrganismi patogeni ... 107

5.3.4.5 Metalli ... 109

5.3.4.6 Rendimento depurativo ... 112

6 IMPIANTO DI FITODEPURAZIONE PER IL TRATTAMENTO DELLE ACQUE REFLUE ENOLOGICHE DELLA CANTINA MARABINO (SR) ... 119

6.1 Descrizione dell’impianto di fitodepurazione ... 119

6.1.1 Metodologia ... 130

6.1.2 Risultati e discussione ... 131

7 CONCLUSIONI ... i BIBLIOGRAFIA ... III

(6)

1 INTRODUZIONE

1.1 Premessa

La tematica della depurazione delle acque reflue è di indubbio interesse, sia per le ripercussioni inerenti il problema dell’inquinamento dei corpi ricettori (corpi idrici o suolo), che per l’eventuale ed auspicabile riutilizzo dei reflui per uso civile, agricolo, industriale, ricreativo.

La necessità di conciliare esigenze strettamente produttive con la salvaguardia dell’ecosistema ha favorito lo sviluppo di una serie di sistemi artificiali di depurazione e trattamento delle acque (Kadlec e Knight, 1996), il cui funzionamento si basa su fenomeni fisici (come la sedimentazione per forza di gravità) o su processi biologici mediati da organismi viventi.

In natura, le zone umide, quali aree di transizione tra l’ambiente terrestre ed acquatico, sono valutate tra gli ecosistemi biologicamente più produttivi, in grado di ospitare una moltitudine di specie animali non riscontrabile altrove (Kadlec e Knight, 1996). Inoltre, sono in grado di ricevere, trattenere e riciclare le sostanze provenienti dai bacini di drenaggio, utilizzandole come nutrienti per la crescita di vegetazione acquatica e innescando processi di conversione dei composti inorganici in materia organica (Hammer, 1989). L’attività depurativa è caratterizzata da complesse interazioni tra processi di tipo chimico, fisico e biologico che si originano da un’azione combinata tra substrato, piante, refluo e microrganismi presenti (Vismara et al., 2000).

D’altra parte, i sistemi di depurazione naturale rappresentano una delle prime soluzioni adottate per lo smaltimento delle acque reflue urbane.

L’uso fertirriguo delle acque di scolo, in grandi città come Parigi,

(7)

Berlino, Milano, fu una pratica attiva sino agli inizi del 1.900 (Vismara et al., 2000).

Il termine “sistema naturale di depurazione” implicherebbe pertanto, nell’accezione più rigorosa del termine, l’assenza di apparecchiature meccaniche e di apporto di energia esterna, elementi fondamentali di funzionamento dei sistemi di depurazione convenzionali.

In realtà, i sistemi naturali prevedono l’utilizzo di infrastrutture idrauliche (tra cui pompe e tubazioni); ciò non ne compromette il meccanismo di funzionamento, che rimane ad ogni modo naturale ed indipendente da fonti esterne di energia per il suo funzionamento.

Per ciò che concerne la voce di spesa, si rilevano costi di realizzazione e soprattutto di gestione molto più contenuti di quelli necessari ad impianti di depurazione convenzionali.

La gran parte delle realizzazioni di tali sistemi è oggi limitata al trattamento di reflui civili. Ciò nondimeno vanno emergendo opportune ed interessanti applicazioni anche a reflui provenienti da attività industriali, agricole ed estrattive (EPA, 2000).

In particolare, oggetto della presente pubblicazione è il settore enologico il quale produce, in un periodo abbastanza ristretto, elevate quantità di reflui (sia liquidi che solidi). Rendere sostenibili, dal punto di vista ambientale, tali scarichi è di estrema importanza per le aziende vitivinicole, tenuto conto degli ingenti quantitativi di reflui, soprattutto liquidi, derivanti prevalentemente dalle acque di processo. Molte aziende vitivinicole non sono dotate di adeguati impianti di trattamento o praticano in modo non idoneo lo smaltimento delle acque reflue sul suolo agrario. Lo schema depurativo più diffuso, ancor oggi, per il trattamento degli scarichi reflui delle cantine è la sedimentazione primaria e lo smaltimento nei corpi idrici. Nel caso di aziende dotate di sistemi di depurazione più avanzati, lo schema depurativo prevalente prevede un impianto di tipo biologico a fanghi attivi, la cui efficacia e

(8)

efficienza sono molto ridotte per la notevole variabilità del carico idraulico e del carico organico dei reflui enologici da trattare.

In letteratura sono riportate numerose esperienze di impiego della depurazione naturale per il trattamento dei reflui enologici. Ad esempio, Laginestra nel 2016 ha riportato un’interessante trattazione sulle soluzioni sostenibili per il trattamento delle acque reflue enologiche combinando sistemi intensivi a basso costo con l’utilizzo del lagunaggio aerobico e anaerobico. Lofrano e Meric nel 2016 hanno pubblicato una disamina delle tecniche intesive ed estensive per il trattamento delle acque reflue enologiche, individuandono le peculiarità applicative ed i costi da sostenere. Serrano et al., nel 2011 hanno valutato l’efficienza di un sistema di fitodepurazione ibrido per il trattamento delle acque di cantina e il successivo riuso irriguo.

La letteratura specializzata, in sintesi, afferma che il processo depurativo delle acque reflue enologiche coinvolge aspetti di degradazione biologica molto complessi, e che l’utilizzo di sistemi naturali di depurazione, combinati tra loro o combinati con sistemi intensivi a basso impatto (lenta aerazione dei fanghi attivi ad esempio), può rappresentare un’efficace soluzione a garanzia della sostenibilità del comparto agro-alimentare enologico.

1.2 Obiettivi

Il presente documento ha come obiettivo principale la predisposizione di linee guida e l’individuazione di criteri sostenibili per il trattamento delle acque reflue prodotte da aziende enologiche.

Lo studio ha inoltre i seguenti obiettivi specifici:

(9)

§ la definizione degli aspetti normativi nazionali relativi alla depurazione e al riutilizzo delle acque reflue con riferimento al settore enologico;

§ l’individuazione delle principali caratteristiche quali- quantitative dei reflui enologici;

§ l’individuazione delle principali tecnologie di trattamento convenzionale dei reflui enologici;

§ la descrizione dei sistemi di trattamento naturale, lagunaggio e fitodepurazione, e dei loro principi di funzionamento;

§ l’analisi del caso studio di un’azienda viti-vinicola presente nel territorio siciliano per la valutazione dei criteri di trattamento delle acque reflue enologiche.

(10)

2 QUADRO NORMATIVO SUL TRATTAMENTO, SMALTIMENTO E RIUSO DELLE ACQUE REFLUE ENOLOGICHE

Qualsiasi uso delle acque deve essere effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale. Gli usi delle acque devono essere indirizzati al risparmio e al rinnovo delle risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell’ambiente, l’agricoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici. La legislazione italiana è arrivata solo gradualmente alle disposizioni di tutela di cui sopra.

Il Regio Decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 “Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici”, consentiva, difatti, un uso indiscriminato delle acque superficiali e sotterranee naturali, e non prevedeva forme di tutela relativamente alla qualità e disponibilità delle risorse idriche.

I primi tentativi legislativi di regolamentazione risalgono alla Legge Merli (legge n.319 del 1976), ma si limitano ad un accenno alla possibilità di riuso agricolo (allegato n. 5).

È la Legge Galli (legge n. 36 del 1994) a rovesciare la filosofia della legislazione italiana. Con essa diviene prioritaria l’esigenza del risparmio della risorsa e si impongono usi più razionali della stessa;

vengono introdotti i concetti di uso plurimo e di riuso della risorsa: “Gli usi delle acque sono indirizzati al risparmio e al rinnovo delle risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell’ambiente, l’agricoltura, la fauna e la flora…” (art. 6, comma 1).

Il Decreto Legislativo n. 152 dell’11 maggio 1999, muta integralmente il concetto di risanamento delle acque, puntando alla prevenzione e alla

(11)

riduzione dell’inquinamento, al risanamento dei corpi idrici inquinati e fissando i parametri di qualità ambientale riferiti alle caratteristiche idromorfologiche, biologiche e fisico-chimiche dei corpi idrici. In tale decreto vengono fissati limiti di emissione differenziati in funzione dell’origine del refluo (civile o industriale), del recapito finale (fognatura, suolo, corpo idrico superficiale) e dell’area di recapito (non sensibile o sensibile). Inoltre, il legislatore specifica le tipologie di trattamento considerate “minime” per il raggiungimento dei suddetti limiti.

Il D.Lgs 152/99 è stato abrogato dal Decreto Legislativo del 3 Aprile 2006 “Norme in materia ambientale” (cd. “Testo Unico dell’Ambiente”) che nella sua parte terza “la difesa del suolo e la lotta alla desertificazione, la tutela delle acque dall’inquinamento e la gestione delle risorse idriche” ha mantenuto, quasi totalmente, struttura e contenuti del decreto abrogato che, a suo tempo, aveva recepito una lunga serie di direttive comunitarie in materia di acque tra cui la direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e la direttiva 91/626/CEE sulla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole.

Nel D.lgs. 152/2006

(https://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/06152dl2.htm) così come nel D.Lgs. 152/1999 vengono definite le tipologie di trattamento e tra queste figura il “trattamento appropriato”, definito, all’articolo 74 comma 1 lett. ii, come “il trattamento delle acque reflue urbane mediante un processo ovvero un sistema di smaltimento che dopo lo scarico garantisca la conformità dei corpi idrici recettori ai relativi obiettivi di qualità ovvero sia conforme alle disposizioni del presente decreto”. I trattamenti appropriati devono essere applicati agli scarichi di acque reflue provenienti da agglomerati urbani con meno di 2.000 abitanti equivalenti (A.E.) recapitanti in acque interne e agli scarichi di agglomerati con meno di 10.000 A.E. recapitanti in acque costiere.

(12)

Secondo l’allegato 5 del suddetto decreto, “i trattamenti appropriati devono essere individuati con l’obiettivo di: a) rendere semplice la manutenzione e la gestione; b) essere in grado di sopportare adeguatamente forti variazioni orarie del carico idraulico e organico;

c) minimizzare i costi gestionali”. Tali obiettivi sono compatibili con le caratteristiche dei sistemi di fitodepurazione, tant’è che, nel medesimo allegato, viene consigliata l’adozione di alcune tecnologie di trattamento naturale quali il lagunaggio o la fitodepurazione per:

- “gli agglomerati con popolazione equivalente compresa tra 50 e 2.000 abitanti”;

- “gli agglomerati in cui la popolazione equivalente fluttuante è superiore al 30% della popolazione residente e laddove le caratteristiche territoriali e climatiche lo consentano”;

- “gli agglomerati di maggiori dimensioni con popolazione equivalente compresa tra i 2.000 e i 25.000 abitanti, anche in soluzioni integrate con impianti a fanghi attivi o a biomassa adesa, a valle del trattamento, con funzione di affinamento”.

Per le acque reflue domestiche, derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche (per le quali non è prevista l’autorizzazione allo scarico nella rete fognaria), vengono imposti limiti di emissione in corpi idrici superficiali (Tabella 2.1) in funzione della popolazione e dell’area di recapito (sensibile o non sensibile).

Le acque reflue industriali comprendono quei reflui scaricati da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni (artigianali od industriali), che non abbiano, però, natura di acque reflue domestiche e con l’ulteriore eccezione che non si tratti di acque meteoriche di dilavamento. L’inserimento dell’espressione “impianti”

è stata operata per la prima volta dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 (decreto di riforma del summenzionato Testo Unico Ambientale), e ha comportato l’estensione dell’applicazione della normativa sugli

(13)

scarichi industriali a tutte quelle attività commerciali o di produzione di beni che non si svolgono necessariamente nell’ambito di un edificio ma che possono essere costituite, altresì, da impianti che operano esclusivamente su aree esterne. La definizione normale di acque reflue industriali prevede, quindi, che:

- le acque reflue siano scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, indipendentemente dal ciclo di produzione e dalla loro natura inquinante (rientrano nella nozione, pertanto, le acque di processo, le acque di raffreddamento, di lavaggio e quelle similari);

- le acque reflue siano diverse dalle acque reflue domestiche (sono cioè escluse dalla nozione, le acque reflue aventi le caratteristiche di equivalenza qualitativa di cui alla lettera e, comma 7, dell’art.

101, D.Lgs. n. 152/2006);

- le acque reflue siano diverse dalle acque meteoriche di dilavamento.

(14)

Tabella 2.1: Limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane che recapitano in corpi idrici superficiali (All.5 - D.Lgs. 152/2006)

Popolazione Aree non sensibili Aree sensibili

< 2.000 AE trattamento appropriato

2.000-10.000 AE

trattamento secondario o equivalente Concentrazione Rimozione

% Concentrazione Efficienza

% BOD5< 25 mg/L

COD< 125 mg/L SST < 35 mg/L

70-90 75

70

BOD5< 25 mg/L COD< 125 mg/L SST < 35 mg/L

70-90 75

70

> 10.000 AE

trattamento secondario o

equivalente trattamento avanzato

Valore Efficienza

% valore Efficienza

% BOD5< 25 mg/L

COD< 125 mg/L SST < 35 mg/L

80 75 90

BOD5< 25 mg/L COD<125 mg/L SST < 35 mg/L Ntot < 15 mg/L Ptot < 2 mg/L

80 75 90 70-80

80

> 100.000 AE

trattamento secondario o

equivalente trattamento avanzato

Valore Efficienza

% Valore Efficienza

% BOD5< 25 mg/L

COD<125 mg/L SST < 35 mg/L

80 75 90

BOD5< 25 mg/L COD<125 mg/L SST < 35 mg/L Ntot < 10 mg/L

Ptot < 1 mg/L

80 75 90 70-80

80 AE: abitanti equivalenti

Per lo scarico di acque reflue industriali in acque superficiali o in fognatura la Tabella 3 dell’allegato 5 della parte terza del Testo Unico Ambientale pone limiti di emissione per ben 51 parametri (fisici, chimici, biologici) (Tabella 2.2).

(15)

Tabella 2.2: Limiti di emissione in acque superficiali e in fognatura applicati agli scarichi industriali (All. 5 – Tab. 3, D.Lgs. n. 152/2006)

Parametro U.M. Scarico in acque

superficiali Scarico in rete fognaria

pH 5,5-9,5 5,5-9,5

Temperatura °C [1] [1]

Colore non percettibile con

diluizione 1:20 non percettibile con diluizione 1:40

Odore non deve essere causa

di molestie non deve essere causa di molestie

Materiali grossolani assenti assenti

Solidi speciali totali [2] mg/L <80 <200

BOD5 (come O2) [2] mg/L <40 <250

COD (come O2) [2] mg/L <160 <500

Alluminio mg/L ≤1 ≤2,0

Arsenico mg/L ≤0,5 ≤0,5

Bario mg/L ≤20 -

Boro mg/L ≤2 ≤4

Cadmio mg/L ≤0,02 ≤0,02

Cromo totale mg/L ≤2 ≤4

Cromo VI mg/L ≤0,2 ≤0,20

Ferro mg/L ≤2 ≤4

Manganese mg/L ≤2 ≤4

Mercurio mg/L ≤0,005 ≤0,005

Nichel mg/L ≤2 ≤4

Piombo mg/L ≤0,2 ≤0,3

Rame mg/L ≤0,1 ≤0,4

Selenio mg/L ≤0,03 ≤0,03

Stagno mg/L ≤10

Zinco mg/L ≤0,5 ≤1,0

Cianuri Totali (come CN) mg/L ≤0,5 ≤1,0

Cloro attivo libero mg/L ≤0,2 ≤0,3

Solfuri come H2S mg/L ≤1 ≤2

Solfiti (come SO3) mg/L ≤1 ≤2

Solfati(come SO4) [3] mg/L ≤1000 ≤1000

Cloruri [3] mg/L ≤1200 ≤1200

Fluoruri mg/L ≤6 ≤12

Fosforo totale (come P) [2] mg/L ≤10 ≤10

Azoto ammoniacale (come

NH4) mg/L ≤15 ≤30

Azoto nitroso (come N) [2] mg/L ≤0,6 ≤0,6

Azoto nitrico (come N) [2] mg/L ≤20 ≤30

Grassi e olii

animali/vegetali mg/L ≤20 ≤40

Idrocarburi totali mg/L ≤5 ≤10

Fenoli mg/L ≤0,5 ≤1

Aldeidi mg/L ≤1 ≤2

Solventi organici aromatici mg/L ≤0,2 ≤0,4

Solventi organici azotati [4] mg/L ≤0,1 ≤0,2

Tensioattivi totali mg/L ≤2 ≤4

Pesticidi fosforati mg/L ≤0,10 ≤0,10

(16)

Parametro U.M. Scarico in acque

superficiali Scarico in rete fognaria Pesticidi totali (esclusi i

fosforati) [5] tra cui: mg/L ≤0,05 ≤0,05

aldrin mg/L ≤0,01 ≤0,01

dieldrin mg/L ≤0,01 ≤0,01

endrin mg/L ≤0,002 ≤0,002

isodrin mg/L ≤0,002 ≤0,002

Solventi clorurati [5] mg/L ≤1 ≤1

Escherichia coli [4] UFC/100mL

Saggio di tossicità acuta [5] il campione non é accettabile quando dopo 24 ore il numero

degli organismi immobili uguale o maggiore del 50% del

totale

il campione non e accettabile quando dopo 24 ore il numero

degli organismi immobili è uguale o maggiore: è del 80%

del totale (*) I limiti per lo scarico in rete fognaria sono obbligatori in assenza di limiti stabiliti dall'autorità competente o in mancanza di un impianto finale di trattamento in grado di rispettare i limiti di emissione dello scarico finale. Limiti diversi devono essere resi conformi a quanto indicato alla nota 2 della tabella 5 relativa a sostanze pericolose.

(1) Per i corsi d'acqua la variazione massima tra temperature medie di qualsiasi sezione del corso d'acqua a monte e a valle del punto di immissione non deve superare i 3 °C. Su almeno metà di qualsiasi sezione a valle tale variazione non deve superare 1 °C. Per i laghi la temperatura dello scarico non deve superare i 30°C e l'incremento di temperatura del corpo recipiente non deve in nessun caso superare i 3 °C oltre 50 metri di distanza dal punto di immissione. Per i canali artificiali, il massimo valore medio della temperatura dell'acqua di qualsiasi sezione non deve superere i 35

°C, la condizione suddetta è subordinata all'assenso del soggetto che gestisce il canale. Per il mare e per le zone di foce di corsi d'acqua non significativi, la temperatura dello scarico non deve superare i 35 °C e l'incremento di temperatura del corpo recipiente non deve in nessun caso superare i 3 °C oltre i 1000 metri di distanza dal punto di immissione. Deve inoltre essere assicurata la compatibilità ambientale dello scarico con il corpo recipiente ed evitata la formazione di barriere termiche alla foce dei fiumi.

(2) Per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue urbane valgono i limiti indicali in tabella 1 e, per le zone sensibili anche quelli di tabella 2. Per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue industriali recapitanti in zone sensibili la concentrazione di fosforo totale e di azoto totale deve essere rispettivamente di 1 e 10 mg/L.

(3) Tali limiti non valgono per lo scarico in mare, in tal senso le zone di foce sono equiparate alle acque marine costiere purché almeno sulla meta di una qualsiasi sezione a valle dello scarico non vengono disturbate le naturali variazioni della concentrazione di solfati o di cloruri.

(4) In sede di autorizzazione allo scarico dell'impianto per il trattamento di acque reflue urbane, da parte dell'autorità competente andrà fissato il limite più opportuno in relazione alla situazione ambientale e igienico sanitaria del corpo idrico recettore e agli usi esistenti. Si consiglia un limite non superiore ai 5000 UFC/100 mL.

(5) Il saggio di tossicità è obbligatorio. Oltre al saggio su Daphnia magna, possono essere eseguiti saggi di tossicità acuta su Ceriodaphnia dubia, Selenastrum capricornutum, batteri bioluminescenti o organismi quali Artemia salina, per scarichi di acqua salata o altri organismi tra quelli che saranno indicati ai sensi del punto 4 del presente allegato. In caso di esecuzione di più test di tossicità si consideri il risultato peggiore. Il risultato positivo della prova di tossicità non determina l'applicazione diretta delle sanzioni di cui al titolo V, determina altresì l'obbligo di approfondimento delle indagini analitiche, la ricerca delle cause di tossicità e la loro rimozione.

segue

(17)

Per quanto concerne i nutrienti P e N, se lo sversamento di acque reflue industriali avviene in zone sensibili, valgono comunque i limiti previsti per gli impianti di acque reflue urbane con potenzialità superiore ai 100.000 A.E., pari a 1 e 10 mg/L rispettivamente per P ed N. Oltre ai limiti di emissione in concentrazione, sono previste specifiche prescrizioni per gli scarichi contenenti sostanze pericolose quali Cd, Hg e diverse sostanze organiche clorurate. In questo caso i limiti di emissione sono calcolati in massa di inquinante per unità di prodotto o di materia prima lavorata.

Dalla summenzionata definizione di reflui industriali appare evidente il principio secondo il quale per l’individuazione delle acque reflue industriali non è sufficiente verificarne solo la provenienza di scarico (da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni) ma è anche necessario valutarne le caratteristiche qualitative in relazione alla presenza, nello scarico, delle sostanze inquinanti che ne stabiliscano la natura (lavorazioni industriali). Questa nuova interpretazione legislativa ben si concilia con la necessità di verificare preventivamente l’eventuale assimilabilità dello scarico alle acque reflue domestiche e di accertare che non si tratti di acque meteoriche di dilavamento.

L’articolo 101 del D.lgs. 152/06 ha previsto al comma 7 (https://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/06152dl1.htm#53) che, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, sono assimilate alle acque reflue domestiche le acque reflue:

a) provenienti da imprese dedite esclusivamente alla coltivazione del terreno e/o alla silvicoltura;

b) provenienti da imprese dedite ad allevamento di bestiame che, per quanto riguarda gli effluenti di allevamento, praticano l'utilizzazione agronomica in conformità alla disciplina regionale stabilita sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali di cui all'articolo 112,

(18)

per ognuna delle quantità indicate nella Tabella 6 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto;

c) provenienti da imprese dedite alle attività di cui alle lettere a) e b) che esercitano anche attività di trasformazione o di valorizzazione della produzione agricola, inserita con carattere di normalità e complementarietà funzionale nel ciclo produttivo aziendale e con materia prima lavorata proveniente in misura prevalente dall’attività di coltivazione dei terreni di cui si abbia a qualunque titolo la disponibilità;

d) provenienti da impianti di acquacoltura e di piscicoltura che diano luogo a scarico e che si caratterizzino per una densità di allevamento pari o inferiore a 1 Kg per metro quadrato di specchio d'acqua o in cui venga utilizzata una portata d'acqua pari o inferiore a 50 litri al minuto secondo;

e) aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche e indicate dalla normativa regionale;

f) provenienti da attività termali, fatte salve le discipline regionali di settore.

Pertanto secondo quanto stabilito alla lettere a) e c) del suddetto art.101 comma 7 del D.Lgs. 152/06, i reflui prodotti in cicli produttivi agro- industriali di ridotte dimensioni, quali appunto quelli di tipo enologico, possono essere assimilati a reflui domestici e conseguentemente, nel caso di scarico in corpo idrico superficiale, rispettare i limiti previsti dalla tabella 5, allegato 5 del D.Lgs. 152/06. Al contrario, con l’aumento delle dimensioni del ciclo produttivo si producono reflui con caratteristiche sostanzialmente diverse dai reflui domestici (es. elevate concentrazioni di sostanza organica) che impongono il rispetto dei limiti riportati nella tabella 3, allegato 5 del D.Lgs. 152/06.

(19)

Sulla base di quanto precedentemente riportato, appare evidente che l’assimilazione delle acque reflue enologiche alle acque reflue domestiche generalmente avviene quando l’attività di vinificazione ha un carattere di normalità e complementarietà funzionale nel ciclo produttivo aziendale e le uve trasformate provengano in misura prevalente dall'attività di coltivazione dei terreni di cui si abbia a qualunque titolo la disponibilità. Pertanto quando non si verificano le suddette condizioni e specificatamente nel caso di impianti di vinificazione non connessi ad una azienda produttiva, le acque reflue enologiche devono essere necessariamente assimilate ad acque reflue industriali e conseguentemente rispettare i limiti normativi sopra esposti.

Si evidenzia, inoltre, che così come nel D.Lgs. 152/1999 anche nel D.Lgs. n. 152/2006 sono contenuti importanti riferimenti al riutilizzo delle acque reflue, in particolare nei seguenti articoli:

- art. 73, comma 2, dove, tra gli strumenti indicati per perseguire la tutela delle acque dall’inquinamento, viene inclusa l’individuazione di misure tese alla conservazione, al risparmio, al riutilizzo e al riciclo delle risorse idriche;

- art. 96, comma 3, che regola le concessioni idriche, ove si invita a tenere conto delle possibilità di utilizzo delle acque reflue depurate;

- art. 99, comma 2, dove si fa riferimento ad un ulteriore decreto che definisca le norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue;

- art. 146, commi 1 e 2, in cui si sancisce l’obbligo da parte di chi gestisce o utilizza la risorsa idrica all’adozione di misure volte all’incremento del riciclo e del riutilizzo, con l’adozione di reti duali e contatori differenziati;

- art. 154, comma 3, dove si fa riferimento ad un ulteriore decreto che definisca i canoni di concessione per l’utenza di acqua pubblica prevedendo riduzioni del canone nell’ipotesi in cui il

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concessionario attui un riuso delle acque reimpiegando le acque risultanti a valle del processo produttivo o di una parte dello stesso;

- art. 155, comma 6, che incentiva nelle utenze industriali, attraverso una riduzione della tariffa, il riutilizzo delle acque reflue o già usate nel ciclo produttivo.

Il settore del riuso delle acque reflue è disciplinato dal Decreto Ministeriale n. 185 del 12 giugno 2003 “Regolamento recante norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue in attuazione dell’articolo 26, comma 2, del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152” che stabilisce le norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue domestiche, urbane ed industriali attraverso la regolamentazione delle destinazioni d’uso e dei relativi requisiti di qualità, ai fini della tutela qualitativa e quantitativa delle risorse idriche, limitando il prelievo delle acque superficiali e sotterranee, riducendo l’impatto degli scarichi sui corpi idrici recettori e favorendo il risparmio idrico mediante l’utilizzo multiplo delle acque reflue.

Il D.M. 185/2003 autorizza l’impiego delle acque reflue recuperate per i seguenti usi:

- irriguo: irrigazione di colture destinate alla produzione di alimenti per il consumo umano e animale; aree destinate a verde o ad attività ricreative o sportive;

- civile: lavaggio delle strade dei centri urbani; alimentazione dei sistemi di raffreddamento e riscaldamento; alimentazione di reti duali, separate da quelle delle acque potabili, con esclusione dell’uso diretto di tale acqua negli edifici civili, ad eccezione dell’uso per gli scarichi dei servizi igienici;

- industriale: alimentazione impianti antincendio; processi di lavaggio e cicli termici dei processi industriali, con l’esclusione degli usi che comportano contatto con alimenti o prodotti farmaceutici e cosmetici.

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All’art. 10 del medesimo decreto vengono esplicitate le modalità di recupero delle acque reflue, di seguito schematicamente riportate:

- nel caso di riutilizzo irriguo, esso deve essere realizzato con modalità che assicurino il risparmio idrico e non può comunque superare il fabbisogno delle colture e delle aree verdi, anche in relazione al metodo di distribuzione impiegato. Esso è inoltre subordinato al rispetto del codice di buona pratica agricola di cui al decreto del Ministro per le Politiche Agricole e Forestali 19 aprile 1999, n. 86. Gli apporti di azoto derivanti dal riutilizzo di acque reflue concorrono al raggiungimento dei carichi massimi ammissibili, ove stabiliti dalla vigente normativa nazionale e regionale, e alla determinazione dell’equilibrio tra il fabbisogno di azoto delle colture e l’apporto di azoto proveniente dal terreno e dalla fertilizzazione;

- nel caso di riutilizzi multipli, ossia usi diversi quali quelli irrigui, civili e industriali come definiti dall’articolo 3, o con utenti multipli, il titolare della distribuzione delle acque reflue recuperate deve curare la corretta informazione degli utenti sulle modalità d’impiego, sui vincoli da rispettare e sui rischi connessi a riutilizzi impropri.

Per quanto attiene alla destinazione d’uso industriale, il regolamento non disciplina il riutilizzo delle acque reflue presso il medesimo stabilimento o consorzio industriale che le ha prodotte; le parti possono concordare limiti specifici purché questi rientrino nei valori previsti per lo scarico in acque superficiali dal D.Lgs. 152/2006.

All’uscita dell’impianto di depurazione, le caratteristiche chimico- fisiche e microbiologiche delle acque reflue recuperate, destinate al riutilizzo irriguo o civile, non devono superare i valori limite riportati nella seguente Tabella 2.3.

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Tabella 2.3: Valori limite di alcuni parametri per il riutilizzo delle acque reflue all’uscita dell’impianto di depurazione (D.M. n. 185/2003)

Parametro U.M. Valore Limite

pH 6-9,5

SAR 10

materiali grossolani Assenti

Solidi sospesi totali mg/L 10

BOD5 mg /L 20

COD mg /L 100

Fosforo totale* mg /L 2

Azoto totale* mg /L 15

Azoto ammoniacale mg /L 2

Conducibilità Elettrica dS/m 3

Alluminio mg /L 1

Arsenico mg /L 0,02

Bario mg /L 10

Berillio mg /L 0,1

Boro mg /L 1

Cadmio mg /L 0,005

Cobalto mg /L 0,05

Cromo totale mg /L 0,1

Cromo VI mg /L 0,005

Ferro mg /L 2

Manganese mg /L 0,2

Mercurio mg /L 0,001

Nichel mg /L 0,2

Piombo mg /L 0,1

Rame mg /L 1

Selenio mg /L 0,01

Stagno mg /L 3

Zinco mg /L 0,5

Cianuri Totali (come CN) mg /L 0,05

Solfuri mg /L 0,5

Solfiti mg /L 0,5

Solfati mg /L 500

Cloro attivo mg /L 0,2

Cloruri mg /L 250

Fluoruri mg /L 1,5

Grassi e oli animali/vegetali mg /L 10

Oli minerali mg /L 0,05

Fenoli totali mg/L 0,1

Tensioattivi totali mg/L 0,5

Escherichia coli** UFC/100mL 10 (80% dei campioni)

100 (valore max)

Salmonella UFC/100mL assente (100% dei campioni)

* Per il riuso irriguo i limiti riportati per fosforo ed azoto possono essere elevati rispettivamente a 10 mg/L e 35 mg/L;

** Per le acque reflue recuperate provenienti da lagunaggio o fitodepurazione valgono i limiti di 50

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In Sicilia, l’utilizzazione agronomica delle acque enologiche tal quali, così come stabilito dal D.D.G. n.61 - 17 gennaio 2007 “Approvazione della disciplina regionale relativa all'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e degli scarichi dei frantoi oleari e della disciplina regionale relativa all'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento e delle acque reflue provenienti dalle aziende di cui all'art. 101, comma 7, lett. a), b) e c), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e da piccole aziende agroalimentari (http://www.gurs.regione.sicilia.it/Gazzette/g07- 10/g07-10-p8.html), è consentita per le aziende che producono volumi di acque reflue non superiore a 4.000 m3/anno e quantitativi di azoto non superiori a 1.000 kg/anno. (All. 2 art. 2 comma r, D.D.G. n. 61 - 17 gennaio 2007). Nel caso del settore vitivinicolo sono escluse alcune tipologie di aziende in cui le acque reflue derivano da “…. processi enologici speciali come ferrocianurazione e desolforazione dei mosti muti, produzione di mosti concentrati e mosti concentrati rettificati”

(All. 2, art. 11 comma d, D.D.G. n. 61 - 17 gennaio 2007).

In ogni caso le dosi di applicazione delle acque reflue enologiche non devono essere superiori ad un terzo del fabbisogno irriguo delle colture ed in epoche di distribuzione finalizzate a massimizzare l’efficienza dell’acqua e dell’azoto in funzione del fabbisogno delle colture (All. 2, art. 16 del D.D.G. 17 gennaio 2007). Tali condizioni, nella maggior parte dei casi sono estremamente vincolanti, in quanto la massima produzione di acque reflue enologiche si verifica in occasione del periodo della vendemmia (agosto-ottobre a seconda delle condizioni pedo-climatiche) quando il fabbisogno irriguo della vite è nullo o comunque molto ridotto.

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3 I REFLUI ENOLOGICI

3.1 Caratteristiche tecnologiche e ciclo di produzione dell’industria enologica

Il territorio Italiano, caratterizzato nel suo complesso da condizioni climatiche di tipo temperato, è particolarmente idoneo ad una proficua coltivazione della vite. Le differenze morfologiche dei terreni fanno si che da area ad area vi siano, tuttavia, diverse caratteristiche di produzione; da qui deriva la particolare importanza che riveste la scelta del vitigno più idoneo al terreno in cui esso va impiantato e coltivato.

Gli elementi climatici fondamentali per la crescita e la produttività della vite sono la luce, il calore, l’esposizione, la giusta quantità di umidità nell’ambiente e le caratteristiche chimiche del terreno.

Per quanto riguarda il processo tecnologico di vinificazione (Figura 3.1), il primo step necessario per la produzione di un vino sta nella pigiatura dei grappoli per far fuoriuscire dagli acini la polpa e il liquido in essa contenuti. Esistono diversi tipi di pigiatrici e la scelta del tipo di pigiatura è fatta in base al vino che si vuole produrre, in quanto questa influenza i caratteri sensoriali. In ogni caso, si deve evitare di sfibrare i raspi, rompere i vinaccioli o dilacerare la buccia.

L’acino, la cui polpa è sempre incolore, si compone di vari elementi: i vinaccioli, la buccia che può essere rossa o bianca, i residui di raspo e di polpa. I tannini e polifenoli essenziali per la vita del vino sono contenuti nelle parti solide, mentre gli zuccheri e gli aromi sono disciolti nella polpa.

La de-raspatura è l’operazione che segue la pigiatura, ma talvolta queste avvengono in concomitanza essendoci macchine progettate per eseguire le due funzioni in contemporanea; tale operazione ha una

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importanza notevole in quanto i raspi influenzano i caratteri sensoriali, la composizione e la fermentazione del vino. I raspi svolgono un’azione meccanica ed una chimico-fisica; essi rendono infatti meno compatto il pigiato, facilitando la solubilizzazione di sostanze fenoliche e di aromi.

Inoltre consentono la cessione di anidride carbonica rendendo più soffice il pigiato. Ne consegue l’attivazione della flora blaso-micetica e l’accelerazione della fermentazione. Per quanto riguarda, invece, l’azione chimico-fisica, si tratta di scambi osmotici mosto-vino che avvengono attraverso le pareti cellulari del raspo, rilasciando acidi, acqua di vegetazione ed assorbendo alcool e sostanze coloranti.

Nel caso s’intenda produrre una vinificazione in bianco o in rosato, si dovranno separare le vinacce dal mosto con l’ausilio di sgrondatrici. La sgrondatura può essere condotta anche senza macchine, facendo sgrondare le uve su recipienti forati. Oggi le moderne cantine sono fornite di macchine chiamate sgrondatori meccanici costituite da gabbie cilindriche rotanti; in esse arriva l'uva pigiata ed esce dai fori il mosto, mentre la vinaccia sgrondata esce dalla parte opposta all’ingresso dell'uva. L’operazione di sgrondatura consente di ottenere in modo continuo oltre il 50 - 60% di mosto.

Gli sgrondatori si classificano in base al loro funzionamento in:

- sgrondatori che agiscono per setacciatura;

- sgrondatori che agiscono per setacciatura accompagnata da una leggera pressione;

- sgrondatori che agiscono per sedimentazione o setacciatura dovuta ad azione centrifuga.

Affinché gli sgrondatori diano il massimo rendimento è importante che la loro alimentazione avvenga con uve pigiate in presenza dei raspi;

questi, infatti, aiutano la separazione del mosto dalla parte solida, con azione di drenaggio.

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Per ridurre la perdita di mosto viene effettuata la torchiatura, che consente di estrarre il mosto ancora contenuto nelle vinacce; questa operazione si effettua sulle masse già pigiate e separate dal mosto a mezzo delle sgrondatrici. La torchiatura può essere effettuata su vinacce non fermentate, su vinacce fermentate e sull'uva. La torchiatura è l'operazione che mira a sottrarre alle vinacce la maggior parte del mosto e del vino che esse contengono; nel caso di vinacce fermentate l'operazione deve essere effettuata immediatamente dopo la svinatura, in quanto ci si trova di fronte ad una materia prima instabile, facilmente soggetta alla acidificazione ed alla perdita di alcool. È opportuno accertarsi, prima di passarle al torchio, che le vinacce, specialmente in superficie, siano sane. Va ricordato che torchi idraulici operano un'azione di pura compressione, mentre i torchi continui elicoidali operano con un’azione combinata di compressione e di sfregamento, con prevalenza dell'una e dell’altra a seconda delle soluzioni meccaniche adottate. Infine, occorre fare una distinzione tra vinacce di uve bianche, che solitamente si torchiano vergini, e quelle di uve rosse, che normalmente si torchiano fermentate.

La vinificazione si può distinguere essenzialmente in due categorie, la vinificazione in bianco o in rosso, con altre particolari quali la spumantizzazione, la vinificazione in rosato, la macerazione carbonica.

In particolare, per vinificazione in bianco si intende un sistema di produzione del vino che separa immediatamente le vinacce e i raspi dal mosto ottenuto per pigiatura e pressatura delicata dei grappoli. Questa tecnica, applicata sia alle uve bianche sia alle uve rosse per ottenere vini bianchi, evita ogni forma di macerazione e fermentazione del mosto con le vinacce, impedendo a queste di cedere, oltre al colore, anche altre sostanze che possono conferire al vino caratteristiche aromatiche poco gradite. Il mosto così ottenuto si lascia riposare per due o tre giorni alla temperatura di 10° C in contenitori adeguati, permettendogli così di depositare sul fondo le numerose particelle solide ancora presenti e

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dette fecce. E’ questa la fase di chiarificazione del mosto. Separate le fecce dal mosto, inizia la vera e propria fermentazione ovvero la trasformazione del succo d’uva in alcool e anidride carbonica per opera dei lieviti. Nelle moderne aziende enologiche si utilizzano lieviti selezionati che “guidano” la fermentazione verso il risultato voluto, facendo in modo che si sviluppino maggiormente alcuni aromi graditi a discapito di altri meno desiderabili. A questo punto il vino è pronto per essere conservato per un tempo variabile dai quattro agli otto mesi sino a maturazione. Seguirà quindi la fase dell’imbottigliamento e del consumo.

Per vinificazione in rosso si intende quel sistema di produzione del vino in cui le parti solide dell’acino, ovvero bucce e vinaccioli, restano a contatto con il mosto per un tempo variabile. Questa fase è detta di macerazione e permette alle bucce e ai vinaccioli di trasferire al mosto i pigmenti, i tannini e le sostanze aromatiche in loro presenti in quantità proporzionale al tempo stesso di macerazione. La fermentazione è, di solito, agevolata dall’aggiunta di lieviti selezionati e gli zuccheri trasformati in alcool aiutano a sciogliere le parti solide che, a causa della produzione di anidride carbonica, tendono verso l’alto, formando il cosiddetto cappello che dovrà essere disperso per permettere alle parti solide di rientrare a contatto con il mosto. Questa operazione chiamata follatura, o rottura del cappello, viene eseguita manualmente con uno strumento idoneo detto follatore, o con il metodo del rimontaggio che consiste nel disperdere le vinacce prelevando con pompe un terzo del mosto dal basso del contenitore e facendolo ricadere a pioggia dall’alto sul cappello. I moderni recipienti di fermentazione sono invece dotati di agitatori meccanici. Oltre ai vantaggi già descritti, la follatura permette una dispersione rapida del calore originato dalla fermentazione che non deve mai superare i 30°C e un altrettanto rapido allontanamento dell’anidride carbonica con immissione di ossigeno che favorisce la moltiplicazione dei lieviti. Quando gli zuccheri sono stati

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già trasformati in alcool, la produzione di anidride carbonica cessa e il cappello scende nel fondo della vasca. A questo punto si procede al travaso del vino purificato dalle vinacce in altro contenitore, oppure si può prolungare di qualche giorno la macerazione, se si vogliono ottenere vini più robusti.

Dopo il travaso inizia la fermentazione malolattica che consiste nella trasformazione dell’acido malico, responsabile del gusto acido del vino, in acido lattico, che donerà al futuro vino un gusto meno aspro e più gradevole.

Se il vino ottenuto con la vinificazione in rosso è ben strutturato, e particolarmente importante, può essere ulteriormente arricchito dalla sosta per diversi mesi all’interno delle barriques, piccole botti in rovere francese della capacità di 225 litri ciascuna, seguita dall’affinamento in bottiglia che può durare da un minimo di sei mesi fino a diversi anni.

I vini rosati sono quelli che si ottengono con la fermentazione in bianco delle uve rosse, cioè senza macerazione, ma a contatto con le vinacce del mosto solfitato, travasato e fatto successivamente fermentare in bianco. I vini detti cerasuoli sono quelli nei quali la macerazione si prolunga per più tempo rispetto ai rosati, e cioè fino a quando inizia la fermentazione tumultuosa. Per la loro composizione assomigliano, ovviamente, più ai vini rossi che ai bianchi. Nel caso ci si trovi di fronte ad uve di colorazione molto intensa per preparare i vini rosati si adotta la lavorazione in bianco. Se al contrario le uve rosse sono a scarsa colorazione, per ottenere vini rosati é necessario effettuare una brevissima fermentazione in presenza delle vinacce, svinare e quindi terminare la fermentazione del mosto fuori dal contatto con le vinacce.

La linea di lavorazione di questi vini prevede attrezzature all'avanguardia; occorrono, infatti, pigiatrici deraspatrici che lavorino con molta delicatezza, del tipo a rulli pigianti rivestiti con gomma e con deraspatore lento. Con questi si effettua una semplice rottura dell’acino e non si rompono i raspi, il pigiato così ottenuto viene inviato nei tini

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di fermentazione dove subisce la macerazione che deve essere brevissima (24 - 48 ore) e la solfitazione moderata al fine di non impedire la disacidificazione naturale e ridurre al minimo le sostanze tanniche; occorre anche provvedere alla immediata spremitura della vinaccia con sgrondo-presse per avere la massima quantità di mosto di elevata qualità.

Dopo aver fatto invecchiare ogni vino per il tempo più congruo al genere che si vuole ottenere, si passa all’imbottigliamento. Particolare attenzione sarà posta all'igiene delle bottiglie, poiché queste potrebbero facilmente contaminare il vino.

L’igiene è un requisito fondamentale in ogni fase della produzione del vino. Prima di procedere con l'imbottigliamento si inizierà quindi con la pulizia delle bottiglie che può essere effettuata sia utilizzando specifici prodotti disponibili nei negozi specializzati, oppure utilizzando una soluzione di acqua e metabisolfito di potassio, lasciandole poi sgocciolare completamente. Con la stessa soluzione si provvederà anche alla pulizia dei tubi, sifoni, caraffe e ogni altro oggetto utilizzato per l'imbottigliamento del vino. Per la pulizia delle bottiglie, operazione consigliata anche in quelle nuove, è sufficiente sciogliere 3-4 cucchiaini di metabisolfito di potassio per ogni litro d'acqua. Con questa soluzione si sciacqueranno con cura tutte le bottiglie e gli utensili impiegati per l'imbottigliamento. Anche la tappatrice dovrà essere pulita, almeno le parti che saranno a contatto con il collo della bottiglia. Prima di iniziare con le operazioni di imbottigliamento e di riempimento delle bottiglie, sarà inoltre utile un ultimo controllo organolettico sul vino, così da essere sicuri della sua qualità dopo l'indispensabile operazione di travaso.

Dopo aver travasato il vino e aver pulito le bottiglie si procede all’imbottigliamento vero e proprio, predisponendo ogni altro strumento utile all'operazione, in particolare la tappatrice e i tappi. Le operazioni di imbottigliamento possono essere svolte sia con un tubo a

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sifone con il quale, per caduta, il vino è versato dal contenitore di conservazione alle bottiglie, oppure, per piccole quantità, con delle caraffe.

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Cernita trasporto uve Pigiatura e diraspatura

Mosto con vinacce

Vinificazione in bianco

Vinificazione in rosso Sgrondo

Vinacce Mosto Fiore

Torchiatura

Vinacce vergini

mosto

SO2

Lieviti

Fermentazione

-Travaso - Decantazione -Travaso

SO2

Lieviti

Fermentazione

Svinatura

Vinacce Vino Fiore

Torchiatura

Vinacce Fermentate

Travaso

Fermentazione malolattica

- Decantazione -Travaso Correzione e tagli

VINO

Stabilizzazione ed invecchiamento Lavaggio

bottiglie

Acque di lavaggio

Bottiglie perfettamen te sterilizzate

Imbottigliamento etichettatura

Distribuzione

Fecce

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3.2 Caratteristiche dei reflui provenienti dal processo di vinificazione

Il comparto enologico occupa una posizione preminente nel panorama dell’industria agro-alimentare italiana rappresentando, di fatto, il settore più importante all’interno dell’industria delle bevande. Tale comparto si caratterizza per una sostanziale coincidenza tra produzione e prima trasformazione. I produttori di uva, infatti, si occupano solitamente anche della vinificazione, direttamente o attraverso le cantine sociali (APAT, 2007). La produzione nazionale di vino nel 2011 si è attestata sui 42,7 milioni di hL; inferiore del 9% al dato del 2010 e dell’11% a quello della media 2000-2010, come riportata storicamente da ISTAT (www.istat.it). Se si considera che il processo di vinificazione genera volumi di residui liquidi tali da essere anche superiori a quelli di vino finito prodotto in un anno, la produzione annuale di reflui enologici ammonta, a livello nazionale, ad alcuni milioni di metri cubi. Emerge quindi la necessità di rendere questi scarichi compatibili con l’ambiente, in quanto, se sversati in modo incontrollato, pur essendo costituiti da inquinanti organici non tossici, possono avere un impatto negativo sugli ecosistemi naturali, con una conseguente alterazione dell’equilibrio degli stessi (Sangiorgi e Balsari, 1995).

La produzione di reflui nell’industria enologica ha un forte carattere di stagionalità e deriva, sostanzialmente, dalle operazioni di lavaggio delle attrezzature (pigiatrici, diraspatrici, torchi, ecc.), dei contenitori (vasche di raccolta, tini di fermentazione e di riempimento, ecc.) e dei locali (pavimenti, piazzali, ecc.) che vengono operate durante le fasi di:

vendemmia-ammostatura (generalmente tra agosto ed ottobre), travaso (generalmente tra maggio e giugno) ed imbottigliamento (generalmente nei periodi febbraio-aprile e ottobre-dicembre). Una stima effettuata da Sangiorgi e Balsari (1995) ha evidenziato che la produzione totale

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annua di reflui è ascrivibile per il 47% alla vendemmia, per il 22% alla fase dei travasi e per il 31% all’imbottigliamento (Figura 3.2).

La determinazione della consistenza dei reflui enologici non risulta agevole poiché le operazioni di cantina implicano l’impiego di quantità molto variabili in relazione alla tecnologia adottata, alle dimensioni degli impianti di produzione, alla tipologia di vino prodotto e, non ultimo, all’abilità del vinificatore. Generalmente, i consumi idrici per unità di uva lavorata risultano inversamente proporzionali alle dimensioni della cantina ed alla capacità lavorativa. La complessità della valutazione dei quantitativi di reflui enologici prodotti viene fornita da diverse fonti bibliografiche che documentano consumi idrici, negli stabilimenti enologici, estremamente variabile, compresi tra 43 e 729 L per ciascun ettolitro di vino prodotto (Gasperi e Vigna, 1995;

ANPA-ONR, 2001).

Figura 3.2. Stima dei volumi di acque reflue prodotte in una cantina in funzione delle diverse operazioni di lavorazione (Fonte: Sangiorgi e Balsari, 1995)

Anche le caratteristiche chimico-fisiche dei reflui di cantina, così come quelle quantitative, presentano un elevato grado di variabilità, legata al

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livello di risparmio o di spreco dell’acqua utilizzata, nonché al tipo di vino prodotto ed alle modalità di lavorazione adottate. Il pH presenta valori compresi tra 6,5 e 7,0: è tendenzialmente acido nelle acque provenienti dalle attività di lavorazione proprio per i processi di fermentazione mentre, al contrario, risulta significativamente alcalino nelle acque derivanti dal lavaggio di attrezzature e bottiglie. Il contenuto di SST può raggiungere i 7.300 mg L-1 ed è costituito da residui di foglie, bucce degli acini, semi e raspi, prodotti residui dei vari stadi di vinificazione, resti di sostanze che intervengono nella lavorazione del vino, soluzioni alcaline e tensioattivi impiegati nei lavaggi. Generalmente, il rapporto BOD5/COD per gli scarichi enologici si attesta su valori compresi tra 0,4÷0,7 indicando, pertanto, una buona degradabilità dei composti organici. In studi condotti da diversi ricercatori sono state documentate valori di BOD5 e COD compresi, rispettivamente, tra 1.000÷6.000 mg L-1 e tra 500÷30.000 mg L-1 (Tabella 3.1).

Tabella 3.1. Confronto tra valori di BOD5 e COD riscontrati da diversi autori nei reflui di cantina.

BOD5 COD

BOD5/COD Fonte

(mg/L) (mg/L)

1.000-3.000 1.700-6.000 0,5-0,6 Farolfi, 1995 1.200-6.000 2.000-9.000 0,6-0,7 Fumi et al., 1995b

- 7.000-7.500 - Daffonchio et al., 1995

- 500-30.000 - Fumi et al., 1995a

Studi dettagliati sulla composizione organica (Sheperd et al., 2001) indicano che l’etanolo e gli zuccheri (fruttosio e glucosio) rappresentano più del 90 per cento del carico organico totale. In aggiunta, includono anche bassi quantitativi (circa 0,1-5 % del COD totale) di composti quali polifenoli e lignina, che vengono degradati con difficoltà, in ragione della loro struttura chimica e dell’elevato peso

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molecolare. Il contenuto in nutrienti (N, P2O5, K2O) risulta ridotto, con bassi rapporti N/C e P/C. Inoltre, si segnala anche la presenza di molecole complesse (polifenoli, detergenti, disinfettanti), con valori di polifenoli da 10 a 200 mg L-1 (De Lucas et al., 2006).

Tra il 2007 e il 2009 è stato condotto il progetto CIPE denominato“Gestione sostenibile dei reflui di cantina”, che ha riguardato in particolar modo l’area a vocazione vitivinicola della provincia di Asti e che ha visto coinvolti oltre al Dipartimento DEIAFA della Facoltà di Agraria dell’Università di Torino anche il Dipartimento di Coltivazioni Arboree della medesima Facoltà (APAT, 2007). Uno degli obiettivi del progetto è stato quello di valutare la possibilità di impiego agronomico dei reflui enologici, dopo averli stabilizzati con uno stoccaggio sperimentale condotto in condizioni di anaerobiosi. La soluzione proposta ha riguardato il riutilizzo agronomico del refluo enologico attraverso due modalità: l’irrigazione di soccorso del vigneto e/o la veicolazione dei prodotti fitoiatrici, previo stoccaggio anaerobico, del prodotto stesso. La sperimentazione in campo non ha messo in luce problemi di pericolosità legati alla fertirrigazione, né problemi di fitotossicità o frequenza degli attacchi fungini e peronosporici, legati ai trattamenti fitoiatrici. Va, però, ricordato che con la distribuzione sul terreno di tali reflui (fertirrigazione) vengono apportati anche sali, polifenoli e altre sostanze che potrebbero potenzialmente essere nocive, se distribuite in quantità eccessive.

L’utilizzazione dei reflui come fase disperdente dei prodotti fitoiatrici, potrebbe porre un problema concernente l’eventuale reazione delle sostanze in essi contenute con quelle dei prodotti fitoiatrici. Inoltre, è necessario che in tale liquido non siano presenti solidi che possano otturare gli ugelli degli atomizzatori. I risultati ottenuti dalla sperimentazione sono incoraggianti; tuttavia solo da una sperimentazione poliennale effettuata con differenti principi attivi e differenti vitigni potrebbero trarsi conclusioni definitive.

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4 SISTEMI DI TRATTAMENTO INTENSIVI

4.1 Premessa

I primi studi sul trattamento dei reflui enologici sono stati condotti oltre quarant’anni fa applicando, presso una cantina di New York, un sistema a fanghi attivi seguito da un filtro a sabbia (Haynes et al., 1971). Come mostrato in figura 4.1 le attività di ricerca sul trattamento dei reflui enologici sono risultate piuttosto limitate fino a circa la metà degli anni 2.000 con un successivo crescente interesse della comunità scientifica internazionale, attestato dal numero di pubblicazioni, associato all’incremento del numero di applicazioni a scala reale (Ioannou et al., 2015). L’incremento del numero di ricerche relative alle diverse tecnologie di trattamento dei reflui enologici è in costante aumento, con l’obiettivo di colmare le diverse lacune di conoscenze associate (i) all’incremento dell’efficienza del trattamento di ciascun processo e (ii) garantire uno smaltimento sicuro degli effluenti nell’ambiente (ovvero valutazione della tossicità degli effluenti trattati e fitotossicità, ecc.).

Sono attualmente disponibili numerosi sistemi di trattamento convenzionali delle acque reflue enologiche, ma è necessario lo sviluppo di combinazioni di processi alternativi, al fine di aumentare l’efficienza di rimozione sia dei composti organici recalcitranti che dell’ecotossicità, con una contemporanea riduzione dei costi di investimento e gestionali.

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