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DELLE FONTI DEL DIRITTO

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(1)

caPo i

DELLE FONTI DEL DIRITTO Le fonti del diritto sono gli atti (fonti-atto) o i fatti (fonti-fatto) che producono, modificano o abrogano determinate norme giuridiche:

– i primi sono emanati in forma scritta dalle pubbliche autorità in base a specifiche procedu- re: fonti di produzione (che si distinguono dalle fonti di cognizione, ossia gli strumenti mediante i quali tali norme vengono portate a conoscenza dei cittadini);

– i secondi, invece, sorgono spontaneamente in seno alla collettività, attraverso l’osservanza di una condotta costante nel tempo e producono norme non scritte (consuetudine).

Le norme giuridiche sono regole del diritto positivo ed hanno carattere precettivo e sanzio- natorio, ossia stabiliscono che certi comporta- menti possono (ovvero devono) o non possono (ovvero non devono) tenersi.

La norma giuridica si compone, infatti, di due parti:

– il precetto, in base al quale un determina- to comportamento è lecito o meno (comando nei reati omissivi, divieto nei reati commissivi);

– la sanzione, ossia la minaccia di una pena in caso di violazione del precetto.

Tuttavia esistono casi in cui alcune norme giuridiche sono prive di sanzioni: parliamo delle norme imperfette (es.: alcune norme costituzio- nali che regolano i comportamenti di Parlamen- to, Governo e Presidente della Repubblica).

I caratteri essenziali delle regole giuridiche (che le distinguono dalle regole del diritto naturale) sono, secondo una classificazione dottrinaria e giu- risprudenziale universalmente accettata, i seguenti:

a) generalità: si applicano a tutti quelli che si trovano in una situazione da esse disciplinata;

b) astrattezza: prevedono in astratto la discipli- na di situazioni eguali a quelle in esse contenute;

c) novità: devono tendenzialmente innovare l’ordinamento giuridico;

d) esteriorità: oggetto della loro disciplina è l’esterno operare degli individui;

e) bilateralità: prevedono un’interdipenden- za tra situazioni soggettive di vantaggio e situa- zioni soggettive di svantaggio;

f) imperatività (o cogenza): contengono un precetto la cui attuazione è garantita da un siste- ma sanzionatorio che fa leva su di un’applicazio- ne coattiva da parte dell’autorità pubblica;

g) relatività o derogabilità: la loro applica- zione può anche essere disattesa dagli interessati.

L’ordinamento giuridico, pertanto, va inteso come il complesso di norme poste da un’autorità sovraordinata che determina, oltre ad un sistema di garanzie, anche vincoli e limiti per le libertà individuali.

Le norme, quindi, interagendo tra loro, deli- neano le regole a cui ogni individuo deve unifor- mare la propria condotta allo scopo di assicura- re l’ordinato svolgimento della vita sociale e dei rapporti tra i singoli (diritto oggettivo).

1

. Indicazione delle fonti. – Sono fon-

ti (70, 87, 121, 138, Cost.) del diritto:

1) le leggi (2, 10 ss.);

2) i regolamenti (3, 4);

3) le norme corporative (

1

);

4) gli usi (8 ss.).

(1) Il R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721, soppressione de- gli organi corporativi centrali, del comitato interministe- riale prezzi e del comitato interministeriale per l’autar- chia, ha soppresso l’ordinamento corporativo fascista.

Il diritto di cui finora si è parlato è il dirit- to oggettivo ossia il complesso di regole poste dalle norme giuridiche per disciplinare la vita di una comunità: è questo l’ordinamento giuridico, l’insieme delle norme poste da un’autorità so- vraordinata che determina, oltre ad un sistema di garanzie, anche vincoli e limiti per le libertà individuali.

(2)

DISPOSIZIONI SULLA LEGGE IN GENERALE

1

Distinte da tale nozione del diritto sono le di- verse situazioni giuridiche soggettive che da esso possono promanare: il potere, il dovere, l’onore, il diritto soggettivo, l’interesse legittimo. L’ordi- namento giuridico costituisce, in altre parole, la fonte di legittimazione di tali situazioni.

Non è agevole definire il diritto, ma senz’al- tro sono identificabili le sue tre fondamentali funzioni:

a) distribuzione e utilizzazione delle risorse (diritto privato);

b) repressione di comportamenti socialmente pericolosi (diritto penale);

c) istituzione e organizzazione dei pubblici poteri (diritto costituzionale e amministrativo).

In pratica, però, tale classificazione risulta or- mai superata, dato che le attuali fonti del dirit- to sono ben più numerose e molti sono i sogget- ti deputati a produrle. Pertanto occorre stabilire il rapporto che intercorre tra esse e nello stesso tempo scongiurare una sovrapposizione tra le medesime (antinomie delle fonti).

A tale scopo si adoperano alcuni criteri:

a) criterio di gerarchia, che non va confuso con l’ordine di applicazione delle norme:

– le fonti del diritto appartengono a gradi di- versi;

– prevale la fonte sovraordinata;

– sussiste il controllo di validità rispetto alla fonte sovraordinata (esso può essere diffuso, co- me negli USA o accertato come in Italia median- te la Corte costituzionale);

– le norme di grado inferiore non possono mai modificare o abrogare quelle di grado supe- riore, né tantomeno contenere norme in contrasto con esse;

b) criterio di competenza:

– le fonti appartengono al medesimo grado ma si attribuisce una materia ad ogni fonte;

– prevale la fonte competente per materia (Stato/Regione, Stato/Unione europea);

c) criterio temporale:

– le fonti appartengono al medesimo grado e sono entrambi competenti per materia;

– la fonte emanata in una fase successiva abroga quella precedente (lex posterior derogat legi priori). Tale abrogazione può essere espres- sa o tacita;

d) criterio di specialità:

– le fonti appartengono al medesimo grado e sono entrambe competenti per materia, ma una è generale e l’altra è speciale;

– la fonte speciale prevale su quella generale.

Attuali fonti del nostro ordinamento giuridi- co sono:

a) Costituzione, Leggi di revisione costi- tuzionale e altre leggi costituzionali (comprese quelle di approvazione degli statuti delle regio- ni speciali);

b) fonti primarie: trattato CE, direttive e re- golamenti comunitari; regolamenti degli organi costituzionali (Camera, Senato, Corte costituzio- nale), leggi ordinarie; decreti legge; statuti delle regioni ordinarie; leggi regionali e delle province autonome; decreti legislativi attuativi degli statu- ti delle regioni speciali; referendum abrogativo;

c) fonti subprimarie: leggi regionali delega- te; decreti delegati del Governo; statuti degli enti locali;

d) fonti secondarie: regolamenti, ordinanze, statuti di enti a statuto di specie;

e) fonti fatto: consuetudine, usi ed equità (ma solo quando è richiamata dalla legge [1371, 1374, 1733, 2047, comma 2, 2118]);

f) contratti collettivi di diritto comune (stipu- lati dalle associazioni sindacali al fine di regolare in via uniforme i rapporti di lavoro delle categorie rappresentate). Secondo la Cassazione i contrat- ti collettivi di lavoro di diritto comune non sono fonte di diritto, né in tal senso depone l’art. 425 c.p.c. che attribuisce al giudice la facoltà di acqui- sire d’ufficio i testi dei contratti ed accordi collet- tivi applicabili nella causa, poiché tale norma at- tiene all’ambito dell’acquisizione della prova nel rito del lavoro e non costituisce deroga al princi- pio iura novit curia, valido per le norme di diritto e non per le norme contrattuali collettive; ne con- segue la non deducibilità in Cassazione, della vio- lazione delle norme poste da detti contratti collet- tivi (così Cassazione n. 10914 del 2000);

g) le linee guida dell’ANAC in materia di contratti pubblici: il D.Lgs. n. 50 del 2016 rinvia, in funzione integrativa, alle suddette linee guida per la regolamentazione di alcuni aspetti di detta- glio accanto alla disciplina dettata dal Codice de- gli Appalti Pubblici. Le linee guida sono vinco- lanti: si distinguono, così, dal cd. “soft laws” (di cui sono esempi i bandi-tipo e i capitolati-tipo), che – pur avendo natura normativa – possono es- sere disapplicate dalla stazione appaltante previa adeguata motivazione;

h) giurisprudenza (benché nel nostro ordina- mento giuridico sia assente il principio di vinco- latività dei precedenti, le sentenze formano, nel corso del tempo, orientamenti costanti, per cui le massime, ovvero i principi di diritto applicati

(3)

nelle medesime pronunzie, tendono ad assume- re il canone di regole giuridiche autonome con- cretamente operanti all’interno della collettività).

Le circolari contenendo istruzioni, ordini di servizio, direttive impartite dalle autorità am- ministrative centrali o gerarchicamente supe- riori agli enti o organi periferici o subordinati, con la funzione di indirizzare in modo uniforme l’attività di tali enti o organi inferiori, sono atti meramente interni della Pubblica Amministra- zione (c.d. norme interne), che esauriscono la lo- ro portata ed efficacia giuridica nei rapporti tra i suddetti organismi ed i loro funzionari e non possono, quindi, spiegare alcun effetto giuridi- co nei confronti di soggetti estranei all’Ammi- nistrazione, né acquistare efficacia vincolante per quest’ultima, neppure come mezzo di inter- pretazione di norme giuridiche, non costituen- do pertanto fonte di diritti a favore di terzi, né di obblighi a carico dell’Amministrazione (così Cassazione n. 2092 del 1983).

L’articolo 1 della legge X stabilisce: “È vieta- to uscire in moto la sera”. Il decreto ministeriale Y all’articolo 2 dispone: “È prevista la pena pe- cuniaria di 100 euro per chiunque circoli in moto dalle ore 20 alle ore 24 per le strade della città”.

Tale ultima disposizione è da ritenersi illegittima perché contraria alla norma gerarchicamente so- vraordinata.

u  Il principio “iura novit curia”, laddove ele- va a dovere del giudice la ricerca del “diritto”, si riferisce alle vere e proprie fonti di diritto og- gettivo, cioè a quei precetti contrassegnati dal duplice connotato della normatività e della giu- ridicità, dovendosi escludere dall’ambito della sua operatività, sia i precetti aventi carattere normativo, ma non giuridico (come le regole della morale o del costume), sia quelli aventi carattere giuridico, ma non normativo (come gli atti di autonomia privata, o gli atti ammi- nistrativi), sia quelli aventi forza normativa pu- ramente interna (come gli statuti degli enti e i regolamenti interni) (6933/1999, rv 528288).

u  Nel caso di nascita indesiderata nei con- fronti del nascituro si ritiene violato il dettato dell’art. 32 della Costituzione, intesa la salute non soltanto nella sua dimensione statica di assenza di malattia, ma come condizione dina- mico/funzionale di benessere psicofisico – come testualmente si legge nell’art. 1 lettera o) del D.Lgs. n. 81 del 2008. Deve ancora ritenersi

consumata: – la violazione della più generale norma dell’art. 2 della Costituzione, apparendo innegabile la limitazione del diritto del minore allo svolgimento della propria personalità sia come singolo sia nelle formazioni sociali; – del- l’art. 3 della Costituzione, nella misura in cui si renderà sempre più evidente la limitazione al pieno sviluppo della persona; – degli artt. 29, 30 e 31 della Costituzione, volta che l’arrivo del minore in una dimensione familiare “alterata”

impedisce o rende più ardua la concreta e co- stante attuazione dei diritti-doveri dei genitori sanciti dal dettato costituzionale, che tutela la vita familiare nel suo libero e sereno svolgimen- to sotto il profilo dell’istruzione, educazione, mantenimento dei figli. Pertanto l’interesse giuridicamente protetto, del quale viene ri- chiesta tutela da parte del minore alla luce dei testè richiamati articoli della Carta fondamen- tale, è quello che gli consente di alleviare, sul piano risarcitorio, la propria condizione di vita, destinata a una non del tutto libera estrinse- cazione secondo gli auspici dal Costituente: il quale ha identificato l’intangibile essenza del- la Carta fondamentale nei diritti inviolabili da esercitarsi dall’individuo come singolo e nelle formazioni sociali ove svolgere la propria per- sonalità, nel pieno sviluppo della persona uma- na, nell’istituzione familiare, nella salute. Non assume, pertanto, alcun rilievo “giuridico” la dimensione prenatale del minore, quella nel corso della quale la madre avrebbe, se infor- mata, esercitato il diritto all’interruzione della gravidanza. Se l’esercizio di questo diritto fosse stato assicurato alla gestante, la dimensione del non essere del nascituro impedisce di attribuirle qualsivoglia rilevanza giuridica (16754/2012).

2

. Leggi. – La formazione delle leggi

(1, n. 1) e l’emanazione degli atti del Go- verno aventi forza di legge sono disciplinate da leggi di carattere costituzionale (70 ss., 87, 128 Cost.).

Stabilito che nel nostro ordinamento la Co- stituzione è la norma primaria per eccellenza (di carattere rigido, perché modificabile solo attra- verso un procedimento speciale e non mediante leggi ordinarie, bensì mediante leggi costituzio- nali ex art. 138 Cost.), con il termine legge pos- siamo identificare:

a) la legge costituzionale, che ha il mede- simo rango e stessa competenza della carta co- stituzionale;

(4)

DISPOSIZIONI SULLA LEGGE IN GENERALE

3

b) la legge ordinaria, che è un atto normati- vo approvato dal Parlamento ed è promulgata dal Presidente della Repubblica;

c) la legge regionale, approvata dal Con- siglio regionale, ha validità per il solo territo- rio regionale ed opera nel rispetto dei principi contenuti nell’art. 117 Cost. Va comunque pre- cisato che la riforma costituzionale operata con la legge cost. n. 3/2001 ha realizzato nel nostro Paese una forma di federalismo mediante l’at- tribuzione alle autonomie territoriali di più am- pi poteri legislativi e amministrativi rispetto a quelli precedentemente previsti. A tale scopo il legislatore costituente ha capovolto l’intero cri- terio di ripartizione della potestà legislativa fra Stato e Regioni previsto dal sistema previgente.

Prima della modifica l’art. 117 Cost. si limitava ad indicare le sole materie in cui la Regione po- teva emanare norme legislative «nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni» riservando in modo tacito, con un criterio residuale, alla legislazione esclusiva dello Stato, ogni altra materia non indicata fra le materie in cui le Regioni avevano potestà legi- slativa concorrente. La nuova versione dell’art.

117 Cost., come riscritto dall’art. 3 della legge costituzionale n. 3/2001, rovescia, appunto, il criterio di ripartizione della potestà legislativa fra Stato e Regioni precedentemente previsto:

oltre ad indicare positivamente le materie riser- vate alla potestà legislativa concorrente delle Regioni, sancisce positivamente le sole materie riservate alla legislazione esclusiva dello Sta- to, da ritenere certamente sottratte alla potestà legislativa delle Regioni, assegnando invece a quest’ultima, con un criterio residuale (fede- ralismo), «la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato». Alla L. cost. n.

3/2001, ha fatto seguito la L. n. 131/2003 (c.d.

legge La Loggia), di attuazione, in base alla quale:

– l’attività legislativa dello Stato e delle re- gioni è esercitata nel rispetto dei vincoli presta- biliti;

– la normativa statale nelle materie apparte- nenti alla legislazione regionale e quella regio- nale nelle materie appartenenti allo Stato, con- tinuano ad applicarsi fino all’entrata in vigore, rispettivamente, delle disposizioni regionali e statali in materia. A riguardo il Governo è sta-

to delegato ad emanare una serie di decreti legi- slativi meramente ricognitivi dei principi fonda- mentali che si traggono dalle leggi vigenti, nel rispetto dei principi di esclusività, adeguatezza, chiarezza, proporzionalità ed omogeneità, allo scopo di orientare l’iniziativa legislativa di Stato e regioni;

– il Governo è delegato ad emanare uno o più decreti legislativi allo scopo di raccogliere in testi unici compilativi le residue disposizioni le- gislative, per ambiti omogenei nelle materie di legislazione concorrente, apportandovi modifi- che di carattere formale, necessarie a garantire coordinamento e coerenza terminologica;

– le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, concorrono direttamente, nelle mate- rie di loro competenza legislativa, alla formazio- ne di atti comunitari e provvedono direttamente all’attuazione e all’esecuzione di accordi interna- zionali ratificati;

d) la legge provinciale delle province auto- nome di Trento e Bolzano.

Per quanto concerne gli atti di Governo aven- ti forza di legge, va innanzitutto precisato che il governo è privo di potere legislativo (non può fa- re leggi); tuttavia solo in determinati casi, espres- samente stabiliti dalla Costituzione (artt. 76 e 77 cost.), può emanare atti aventi forza di legge:

e) i decreti legge, emessi in casi di necessità ed urgenza, hanno efficacia immediata, ma van- no convertiti in legge entro 60 gg. dall’emana- zione, pena la loro decadenza;

f) i decreti legislativi, sono deliberati dal go- verno su delega legislativa del Parlamento che ne fissa anche i criteri di applicabilità.

u  La Corte cost., ha il potere di accertare la sussistenza in concreto dei presupposti della ne- cessità ed urgenza previsti dall’art. 77 cost. per l’adozione dei decreti-legge, configurando l’e- ventuale mancanza di detti presupposti tanto un vizio di legittimità costituzionale del decreto – quanto un vizio “in procedendo” della legge di conversione (Corte cost. 128/2008).

3

. Regolamenti. – Il potere regolamen-

tare del Governo è disciplinato da leggi di carattere costituzionale.

Il potere regolamentare di altre autorità è

esercitato nei limiti delle rispettive compe-

tenze, in conformità delle leggi particolari

(4, 77, 87 Cost.).

(5)

I regolamenti sono norme giuridiche adottate dal potere esecutivo (Consiglio dei Ministri, Mi- nistri). Questi non possono contenere disposizio- ni in contrasto con le leggi (la loro illegittimità li renderebbe annullabili da parte della giurisdizio- ne amministrativa) ma, pur ricoprendo il ruolo di fonti secondarie (atti amministrativi), innovano l’ordinamento giuridico, nei limiti stabiliti dalla legge. Sono emanati nella forma di decreti del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri, previo parere del Consi- glio di Stato.

I regolamenti possono essere emanati anche da autorità della pubblica amministrazione su- bordinate al potere esecutivo (es: prefetti), ovve- ro dagli enti pubblici territoriali (regioni, provin- ce, comuni).

Attualmente distinguiamo (L. n. 400 del 1988):

– regolamenti esecutivi di leggi e decreti le- gislativi: mediante i quali si intende dare concre- ta attuazione alla norma legislativa cui essi fanno riferimento;

– regolamenti delegati o di deroga: non im- portano una delega al Governo di funzioni legi- slative, pertanto l’atto che in tal caso viene ema- nato da quest’ultimo non è un decreto avente forza di legge. La facoltà regolamentare che in tal modo viene attribuita può, nei limiti ristretti della stessa delega, importare deroga alla legge (delegificazione);

– regolamenti indipendenti: emanati in una materia nella quale non vi sia una disciplina di grado primario e sempreché non si versi in mate- ria comunque riservata alla legge. Poiché al go- verno centrale deve riconoscersi una istituziona- le e generale sfera di autonomia normativa, nel rispetto di una adeguata base legale e dei precetti legislativi attributivi di competenza per settori di materie e delle norme primarie indicanti gli sco- pi primari da realizzarsi, ben può ammettersi che possa emanare regolamenti indipendenti in mate- rie non già disciplinate dalla legge;

– regolamenti interni e di organizzazione:

esauriscono la loro efficacia all’interno degli stes- si enti da cui promanano, pertanto si deve esclu- dere che essi possano produrre prescrizioni aventi vigore e forza cogente di norme giuridiche;

– regolamenti di recepimento di accordi col- lettivi di lavoro: rientrano in parte nella categoria dei regolamenti di organizzazione.

Esistono, però, alcune materie che il potere esecutivo non può disciplinare mediante rego-

lamenti, perché la Costituzione ha stabilito che queste vadano disciplinate unicamente median- te la legge: è questo il principio della riserva di legge. Lo scopo principale di tale preclusione è quello di garantire che su alcune materie debba pronunciarsi e legiferare solo il Parlamento, os- sia l’organo che è espressione della sovranità po- polare. Anche gli atti aventi forza di legge (che appartengono al potere esecutivo) possono di- sciplinare materie protette dalla riserva di legge, ma sempre sotto stretto controllo del Parlamento (potere legislativo).

I regolamenti comunitari, infine, sono atti nor- mativi emanati dall’Unione europea aventi conte- nuto normativo generale, al pari delle leggi stata- li, direttamente applicabili all’interno degli Stati membri e immediatamente vincolanti per questi ultimi e per i cittadini, senza necessità di norme interne di adattamento o ricezione.

u  Gli atti amministrativi, anche quando ab- biano contenuto normativo, non possono for- mare oggetto di “interpretazione autentica”

neppure ad opera dello stesso organo che li ha emessi (1271/1999, rv 523258).

u  Una fonte di rango regolamentare di ese- cuzione ed attuazione di una fonte legislativa può essere abrogata tacitamente da una fonte legislativa soltanto in via riflessa, cioè se questa fonte successiva abbia effetti abrogativi taciti od espressi dalla fonte legislativa, in esecuzione o attuazione della quale quella regolamentare sia stata emanata, e sempre che quest’ultima abbia contenuti tali che la sua permanenza ri- sulti incompatibile con la sopravvenuta vigenza della nuova legge. Ne consegue che, dovendo escludersi che la disciplina dell’art. 1182 c.c.

abbia potuto abrogare tacitamente quella sui pagamenti dello Stato di cui al R.D. n. 2440 del 1923, tenuto conto che lex posterior generalis non derogat legi priori speciali, deve escludersi che per effetto dell’entrata in vigore del sud- detto art. 1182, siano state tacitamente abro- gate le disposizioni regolamentari costituenti esecuzione od attuazione del citato R.D. (R.D.

n. 827 del 1924 e R.D. n. 1759 del 1926) e le loro modifiche nel tempo, in punto di luogo del pagamento da parte dell’Amministrazione (13252/2006).

4

. Limiti della disciplina regolamen- tare. –

I regolamenti non possono conte-

nere norme contrarie alle disposizioni del-

le leggi.

(6)

DISPOSIZIONI SULLA LEGGE IN GENERALE

5 - 7

I regolamenti emanati a norma del se- condo comma dell’art. 3 non possono nem- meno dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo.

Connesso al principio della riserva di legge è quello di legalità, che può essere letto secondo due distinti profili:

– sotto il primo esso esprime la prevalenza della legge rispetto agli altri atti dei pubblici po- teri;

– sotto il secondo ogni provvedimento è espressione di un potere riconosciuto all’Ammi- nistrazione da una norma specifica.

Pertanto sulla legittimità dei regolamen- ti giudica, in via incidentale, il giudice ordina- rio (e non quello costituzionale), che ha il potere di disapplicarli e non di annullarli (facoltà che spetta, invece, al giudice amministrativo) (esem- pio). Benché l’annullamento giurisdizionale di una norma regolamentare abbia efficacia ex tunc ed erga omnes, esso non assume tuttavia effetti travolgenti nei confronti dei provvedimenti ap- plicativi divenuti inoppugnabili; si costituisce, piuttosto, in capo all’amministrazione, l’obbligo di annullare d’ufficio gli atti applicativi suddetti.

L’abrogazione tacita di una norma regola- mentare ad opera di una disposizione di legge sopravvenuta non si verifica soltanto quando tra le due disposizioni vi sia un contrasto logico ta- le da renderne impossibile la contemporanea vi- genza, ma anche quando la disposizione di legge successiva modifichi i limiti di competenza nei quali, a norma dell’art. 3, comma 2, precedente, i regolamenti devono contenersi (così Cons. Stato, Sez. V, n. 425 del 1986).

5 - 7

. (Omissis) (1

).

(1) Articoli riguardanti le norme corporative, abro- gati dal R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721.

8

. Usi. – Nelle materie regolate dalle

leggi (1, n. 1) e dai regolamenti (1, n. 2) gli usi hanno efficacia solo in quanto sono da essi richiamati (1, n. 4, 9).

Le norme corporative prevalgono sugli usi, anche se richiamati dalle leggi e dai regolamenti, salvo che in esse sia diversa- mente disposto (

1

).

(1) Comma da ritenere abrogato a seguito della soppressione dell’ordinamento corporativo fascista di- sposta dal R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721.

Elementi fondamentali per la formazione di usi normativi (norme consuetudinarie) sono:

– la ripetizione costante nel tempo (diutur- nitas) di un dato comportamento da parte di un gruppo sociale: elemento oggettivo;

– l’opinione generalizzata di osservare, agendo in tal modo, una norma giuridica sia pure di rango terziario (opinio iuris ac necessitatis):

elemento soggettivo (esempio n. 1).

L’uso normativo, pertanto, avendo le caratte- ristiche e l’efficacia della norma giuridica, deve rivestire il carattere dell’astrattezza e della gene- ralità, anche se in maniera circoscritta. Può costi- tuire una fonte sussidiaria di diritto nelle mate- rie in cui manca del tutto la disciplina legislativa (praeter legem) (esempio n. 2), mentre nelle ma- terie regolate da leggi o regolamenti ha efficacia solo se espressamente richiamato (secundum le- gem) [1182]. Non è ammesso l’uso contra legem o abrogativo, per desuetudine, della legge.

L’uso normativo si differenzia:

– dall’uso interpretativo, ossia lo strumen- to di interpretazione della volontà ambiguamente espressa dai contraenti;

– dall’uso negoziale, ossia lo strumento di integrazione dell’interpretazione della volontà dei contraenti con la clausola che, ambiguamente praticata nella zona, si presume voluta dalle parti anche se non espressamente richiamata;

– dalla prassi, che è priva del carattere del- la generalità e del requisito dell’opinio iuris ac necessitatis (elemento psicologico), oltre al fatto di avere vigenza solo in una determinata cerchia di contraenti, corrispondendo non già ad esigen- ze giuridiche, quanto a motivi di opportunità e convenienza.

1. Lasciare la mancia dopo aver consumato un caffè al bar, non integra di per sé una consue- tudine, poiché manca l’elemento soggettivo: non è obbligatorio lasciare la mancia al barista!

2. Gli usi di borsa sono usi normativi prae- ter legem.

u  Mentre l’efficacia dell’uso normativo è li- mitata, nelle materie regolate dalla legge, ai casi in cui la legge stessa esplicitamente rinvia all’uso

(7)

(art. 8 preleggi), che assume funzione d’inte- grazione della disciplina legislativa o funzione sostitutiva della norma scritta, qualora questa contenga una disciplina destinata ad applicarsi solo in mancanza di una norma consuetudinaria, l’uso negoziale, in quanto operante sullo stesso piano delle clausole contrattuali, non può con- siderarsi inserito nel contratto se non in virtù di un’espressa o implicita manifestazione di volon- tà dei contraenti (4388/1985, rv 441854).

u  L’accertamento dell’esistenza di una nor- ma consuetudinaria è riservato al giudice del merito, essendo quindi sottratto al giudizio di legittimità (20/1983, rv 424815).

u   La prassi aziendale è riconducibile alla categoria degli usi negoziali o di fatto, i quali, se prescindono dai requisiti della generalità e dell’”opinio iuris seu necessitatis”, propri degli usi normativi, presuppongono pur sempre l’ac- certata reiterazione di determinati comporta- menti. L’accertamento, da parte del giudice di merito, dell’esistenza di un determinato uso ne- goziale, come di un uso (o prassi) aziendale, è incensurabile in sede di legittimità, ove sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici e giuridici (6063/1986, rv 448386).

u  La prassi amministrativa, a differenza de- gli usi, non ha efficacia “erga omnes” e non ha vero carattere di generalità; essa si limita a con- notare il comportamento di fatto dei singoli uf- fici nei rapporti interni e con il pubblico, senza essere tuttavia accompagnata dalla convinzio- ne della sua doverosità (12869/2002, rv 557254).

u  L’uso normativo deve essere applicato dal giudice, se gli risulti noto, e, in caso contrario, può essere accertato con ogni mezzo di prova.

Diversamente, con riguardo all’uso negoziale o interpretativo, che costituisce un mezzo di in- terpretazione della volontà delle parti, espressa ambiguamente o d’integrazione della medesi- ma con le clausole che, abitualmente pratica- te nella zona, si presumono volute dalle parti, anche se esplicitamente consentite, è la parte che lo alleghi che deve fornire idonea prova, in caso di contestazione, circa la sua esistenza (14263/2005).

9

. Raccolte di usi. – Gli usi pubblicati

nelle raccolte ufficiali degli enti e degli or- gani a ciò autorizzati si presumono esistenti fino a prova contraria.

Non essendo l’uso una norma scritta, l’unico modo per accertarsi della sua esistenza è quello

di compilare delle raccolte ufficiali che, comun- que, non assurgeranno mai a fonti (di cognizio- ne) del diritto.

In ogni caso il loro mancato aggiornamento non le priva automaticamente del valore probato- rio, poiché le eventuali variazioni sopravvenute possono essere evinte dalle parti in base ai prin- cipi giuridici che disciplinano l’onere della prova [

2697].

caPo ii

DELL’APPLICAZIONE DELLA LEGGE IN GENERALE

10

. Inizio dell’obbligatorietà delle leggi e dei regolamenti. –

Le leggi (1, n.

1) e i regolamenti (1, n. 2) divengono obbli- gatori nel decimoquinto giorno successivo a quello della loro pubblicazione (73 Cost.), salvo che sia altrimenti disposto.

Le norme corporative divengono obbli- gatorie nel giorno successivo a quello del- la pubblicazione, salvo che in esse sia altri- menti disposto (

1

).

(1) Comma da ritenere abrogato a seguito della soppressione dell’ordinamento corporativo fascista, disposta dal R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721.

I provvedimenti legislativi per acquisire effi- cacia nel nostro ordinamento devono essere pub- blicati (nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana: leggi e regolamenti; nei Bollettini uffi- ciali delle Regioni: leggi regionali; nella Gazzet- ta Ufficiale delle Comunità europee: regolamenti e direttive comunitarie) in modo da essere porta- ti a conoscenza di tutti i cittadini e divenire, per questi, obbligatori.

L’entrata in vigore dei provvedimenti norma- tivi è prevista il quindicesimo giorno dalla da- ta di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Da quel momento risulteranno efficaci anche nei confronti di tutti quelli che di fatto non ne cono- scono l’esistenza: ignorantia legis non excusat (a tal proposito, comunque, la Corte costituzionale, con sent. n. 364 del 1988, ha attenuato la rigidità del precetto, sostenendo che esso non va applica- to qualora venga dimostrato che una persona si trovava nella condizione di non poter assoluta- mente conoscere una determinata legge).

Il periodo di tempo che va dalla data di pub- blicazione in Gazzetta alla sua entrata in vigo-

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DISPOSIZIONI SULLA LEGGE IN GENERALE

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re (vacatio legis), serve, appunto, a consentire a tutti i cittadini di prendere conoscenza dell’esi- stenza della nuova disciplina normativa. Questo periodo può essere allungato (per opportunità, anche riguardo alla quantità e complessità delle disposizioni normative contenute nel provvedi- mento) (esempio) o abbreviato (per esigenze di necessità e di urgenza) [Cost. 73, comma 3].

La legge 9 gennaio 2004, n. 6 (che ha intro- dotto nel nostro ordinamento l’istituto dell’Am- ministrazione di sostegno [

404 ss.]) è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 19 gennaio 2004, n. 14 ma la sua entrata in vigore è stata sta- bilita (dall’art. 20 della medesima legge) sessan- ta giorni dopo la data di pubblicazione.

Si badi che la data di pubblicazione è quella della G.U. e non della distribuzione del fascicolo (così Cons. Stato, sez. VI, n. 643 del 1953).

u  La norma dell’art. 10, primo comma, delle preleggi – secondo cui le leggi e i regolamenti divengono obbligatori nel decimoquinto gior- no successivo a quello della loro pubblicazio- ne, salvo che sia diversamente disposto – non si applica ai decreti ministeriali che recepiscono (senza, peraltro, trasformarli in regolamenti go- vernativi) atti emanati da autorità non statali in forza di un potere normativo attribuito da leggi speciali (art. 3, comma secondo, delle preleggi), essendo tali decreti emanati nell’esercizio di un semplice controllo, con la conseguenza che i medesimi, anche se debbono essere pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, non sono assoggettati ad alcun periodo di “vacatio legis” e sono quin- di immediatamente applicabili per il carattere di esecutorietà proprio degli atti amministrativi (1204/1990, rv 465393).

u  Nel regime anteriore alla legge 23 agosto 1988 n. 400, che al quinto comma dell’art. 15 ha disposto, per le modifiche apportate in sede di conversione del decreto legge, l’efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della legge di conversione salvo diverso disposto di quest’ultima, la legge di conversione del decre- to legge, mentre esplica “ex tunc” (e cioè fin dal momento dell’entrata in vigore di quest’ul- timo) i propri istituzionali effetti convalidativi delle norme del decreto stesso che non siano state modificate, è dotata, rispetto agli emen- damenti eventualmente introdotti di una dupli- ce valenza, poiché da un lato converte il pre- cedente decreto e, dall’altro, contestualmente introduce nell’ordinamento nuove disposizioni,

sostitutive o modificative di quelle contenute nel provvedimento convertito. Ne consegue che tali nuove disposizioni spiegano il loro effetto, sostitutivo o modificativo di quelle convertite, soltanto “ex nunc” e cioè alla scadenza del pe- riodo di “vacatio legis” susseguenti alla loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (salvo che la stessa legge di conversione non disponga diversamente al riguardo), rimanendo, fino alla scadenza stessa vigenti le norme del decreto nel testo anteriore all’emendamento (4781/1991, rv 471926).

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. Efficacia della legge nel tempo.

La legge non dispone che per l’avvenire:

essa non ha effetto retroattivo (25 Cost.; 2 c.p.).

I contratti collettivi di lavoro (2067 ss.

c.c.) possono stabilire per la loro efficacia una data anteriore alla pubblicazione, pur- ché non preceda quella della stipulazione (2074 c.c.).

L’irretroattività è un principio generale dell’ordinamento in base al quale ciascun fatto è assoggettato alla disciplina normativa del tempo in cui esso si è verificato (tempus regit actum).

Il disposto del primo comma del presente arti- colo non rappresenta un principio inderogabile in tema di efficacia della legge nel tempo (irre- troattività relativa), ma si limita ad indicare un criterio interpretativo nel senso della normale ir- retroattività, senza escludere che la legge possa avere efficacia retroattiva per sua stessa previsio- ne (espressa o tacita), secondo un’indagine che è riservata al giudice del merito.

Il divieto assoluto della retroattività (irretro- attività assoluta) si ha, invece, in materia penale:

tale divieto è sancito nell’articolo 25 Cost. in ba- se al quale «nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso» e dall’art. 2 del Codice pe- nale secondo il quale nessuno può essere punito per un comportamento che non costituiva reato al momento della sua realizzazione. Da ciò discen- de che la norma penale produce effetti limitata- mente ai fatti commessi dopo l’entrata in vigore della norma e non anche nei confronti di quelli ad essa antecedenti, in quanto considerati leciti nel momento del loro compimento.

Il principio non è derogabile neppure dalle leggi regionali (esse non possono disciplinare re-

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troattivamente situazioni già regolate dalla legge statale), dai regolamenti e dalle fonti gerarchica- mente subordinate alla legge.

Disciplina a parte è prevista per i contratti collettivi di lavoro i quali, in forza del secondo comma della disposizione in commento possono fissare per la loro efficacia una data anteriore la loro pubblicazione sempreché non anticipi quella della stipulazione.

Tra le moltissime applicazioni della norma in commento, si segnala una recentissima pro- nuncia con cui le Sezioni Unite della Cassazione hanno chiarito che il termine per la proposizione del ricorso per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione – ridotto da un anno a sei mesi, in sede di conversione del d.l. n. 168 del 2016, dalla l. n. 197 del 2016 – si applica ai so- li provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vi- gore della stessa (30 ottobre 2016), in difetto di specifica disposizione transitoria e in applicazio- ne del principio generale di cui all’art. 11 delle preleggi. (Cass. civ. Sez. Unite Sent., 23 aprile 2020, n. 8091). Invece, in materia di responsabi- lità medica si è affermato che i criteri di accerta- mento della colpa e di valutazione della diligenza previsti dagli artt. 3, comma 1, del d.l. n. 158 del 2012, convertito dalla legge n. 189 del 2012, e 7, comma 3, della legge n. 24 del 2017, non hanno efficacia retroattiva e non sono applicabili ai fatti verificatisi anteriormente alla loro entrata in vi- gore (Cass. 28811/2019).

u   Il principio della non retroattività della legge, sancito dall’art. 11 delle preleggi, costi- tuisce una direttiva di carattere generale, che, salvi il limite costituzionale dell’irretroattività delle norme penali e l’intangibilità di diritti soggettivi garantiti dall’ordinamento costitu- zionale, è pienamente derogabile mediante altre norme ordinarie, comprese quelle cui è connaturale un’efficacia retroattiva di interpre- tazione autentica di altre norme già esistenti nell’ordinamento (1323/1983, rv 426124).

u  La legge interpretativa ha un’efficacia re- troattiva che non può incidere sui rapporti già interamente esauriti ma non incontra ostacoli in atti e fasi di un rapporto privi di autonomia e di rilevanza giuridica propria, per i quali pos- sono vantarsi diritti acquisiti per decadenze e preclusioni solo a fronte di una legge autentica- mente innovativa. Per contro la legge interpre- tativa – se il rapporto giuridico sostanziale non sia ancora definitivamente concluso ed estinto, nel senso che i beni negoziati dalle parti ovvero

tra esse controversi non siano stati già attribuiti in modo irrevocabile – disciplina anche gli effet- ti di attività ed aventi verificatisi nell’iter di svol- gimento del rapporto medesimo (3813/1983, rv 428736).

u  Il principio della irretroattività della legge (art. 11 delle preleggi) preclude l’applicazione della nuova normativa non soltanto ai rapporti giuridici già esauriti, ma anche a quelli sorti an- teriormente ed ancora in vita, qualora gli effetti sostanziali scaturenti da detta normativa siano eziologicamente collegati con un fattore causa- le non previsto da quella precedente. Pertanto, l’art. 22 della legge 24 dicembre 1969 n. 990 – il quale stabilisce che l’azione risarcitoria in tema di assicurazione obbligatoria della responsabili- tà civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore può essere proposta solo dopo sessanta giorni dalla richiesta del danno all’assicuratore mediante raccomandata con avviso di ricevi- mento – non può trovare applicazione in rela- zione ad un sinistro verificatosi anteriormente alla data (14 giugno 1971) di entrata in vigore di detta legge, la quale diversamente verrebbe a produrre effetti giuridici di natura sostanziale su un rapporto, quello tra danneggiato ed as- sicuratore del responsabile civile (art. 18), che non era previsto dalla precedente normativa (2118/1987, rv 451360).

u  Il principio in base al quale lo “ius super- veniens”, inteso come nuova regolamentazione del rapporto in contestazione, è rilevabile an- che d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio può trovare applicazione in sede di legittimità solo quando la nuova disciplina sia sopravve- nuta dopo la proposizione del ricorso per Cas- sazione, e non, invece, nel caso in cui essa sia intervenuta prima del ricorso e non sia stata formulata dalle parti una specifica censura che abbia denunciato il contrasto delle norme di diritto applicate dai giudici del merito con la nuova regolamentazione del rapporto in con- testazione (4158/1989, rv 463867).

u   I mutamenti normativi prodotti da pro- nunce d’illegittimità costituzionale, configuran- dosi come “ius superveniens”, impongono – in ogni stato e grado e quindi anche nella fase di Cassazione – la disapplicazione della norma di- chiarata illegittima e l’applicazione della “regu- la iuris” risultante dalle decisioni anzidette; con l’ulteriore conseguenza che, ove la nuova si- tuazione di diritto obiettivo derivata dalle pro- nuncia caducatoria della Corte Costituzionale richieda accertamenti di fatto non necessari alla stregua della precedente disciplina, questi debbono essere compiuti in sede di merito, al

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DISPOSIZIONI SULLA LEGGE IN GENERALE

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qual fine, ove il processo si trovi nella fase di Cassazione, deve disporsi il rinvio della causa al giudice d’appello (857/1995, rv 489927).

u  Il principio dell’irretroattività della legge comporta che la legge nuova non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esau- riti prima della sua entrata in vigore, a quelli sorti anteriormente ed ancora in vita se, in tal modo, si disconoscano gli effetti già verificatisi del fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali e future di esso. Lo stesso principio comporta, in- vece, che la legge nuova possa essere applicata ai fatti, agli “status” e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto pas- sato, quando essi, ai fini della disciplina dispo- sta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi to- talmente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che, attra- verso tale applicazione, sia modificata la disci- plina giuridica del fatto generatore (2433/2000, rv 534559).

u  I requisiti, di forma e di sostanza, per la validità di un contratto sono quelli che stabili- sce la legge del tempo in cui il contratto è com- piuto (3340/2001, rv 544522).

u  In conseguenza del principio generale di irretroattività della legge, dettato dall’art. 11, preleggi, l’eventuale retroattività di una legge o di altra fonte normativa di grado inferiore deve risultare da un’espressa o quanto meno non equivoca dichiarazione del legislatore, do- vendosi ritenere, in caso di incertezza, che la norma non disponga che per l’avvenire e non abbia quindi effetto retroattivo (1379/2003, rv 560134).

u   Il principio di irretroattività della legge, sancito dall’art. 11 disp. prel. c.c., implica l’ap- plicabilità della norma sopravvenuta agli effet- ti non ancora esauriti di un rapporto giuridico sorto anteriormente, quando la nuova legge sia diretta a disciplinare tali effetti, con autono- ma considerazione dei medesimi, indipenden- temente dalla loro correlazione con l’atto o il fatto giuridico che li abbia generati. Pertanto, le disposizioni dettate dall’art. 3, comma 109, L.

n. 662 del 1996, devono applicarsi a tutti i rap- porti ancora in corso per i quali – alla data di entrata in vigore della detta normativa – non si sia ancora proceduto alla vendita degli immobi- li facenti parte del complesso edilizio oggetto di dismissione frazionata, nel concorso di tutte le altre condizioni previste dalla stessa legge (9972/2008).

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. Interpretazione della legge. –

Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore (1362, 1363 c.c.).

Se una controversia non può essere de- cisa con una precisa disposizione, si ha ri- guardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i princi- pi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato.

Interpretare le norme giuridiche vuol dire:

– ricercarne il significato;

– comprenderne il valore e la portata nel no- stro ordinamento;

– comprenderne la loro finalità, ossia la loro applicazione al caso concreto.

L’applicazione della norma consiste, infatti, nel far coincidere il fatto concreto che si è svolto nella vita reale (fattispecie concreta) con la situa- zione descritta in astratto dalla norma (fattispecie astratta).

Regola generale dell’attività interpretativa è che il significato di una norma non potrà mai essere compreso pienamente se non si collega quest’ultima a tutte le altre norme che compon- gono l’ordinamento giuridico. Inoltre tra le va- rie interpretazioni in astratto possibili debbono scegliersi quelle che non si pongono in contra- sto con la Costituzione, e va privilegiata quella ad essa più conforme (così Cassazione n. 14900 del 2002).

Possiamo così distinguere tre fondamentali tipi di interpretazione sulla base:

a) dei soggetti che la compiono;

b) dei criteri di interpretazione;

c) dei risultati che si raggiungono.

Nell’ipotesi dell’interpretazione in base ai soggetti che la compiono si suole ulteriormente distinguere tra:

– interpretazione dottrinale: è l’interpreta- zione dei giuristi, degli studiosi delle discipline giuridiche. Essa non è vincolante, ma la forza dei ragionamenti è tale che una certa influenza viene esercitata anche sull’attività giurisdizionale;

– interpretazione giudiziale: è l’interpreta- zione dei giudici. Essa è rintracciabile nelle sen- tenze che questi emanano nell’esercizio della

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loro funzione giurisdizionale. Non ha efficacia obbligatoria, al di là del caso concretamente giu- dicato, e quindi non vincola gli altri giudici, che restano liberi nell’interpretazione della legge. Se l’interpretazione di una norma risulta identica e costante nel tempo essa costituirà, invece, giuri- sprudenza costante, dotata di un’influenza “mo- rale” derivante dall’autorevolezza delle sentenze pronunciate con lo stesso orientamento dal “giu- dice delle leggi”;

– interpretazione autentica: è l’interpreta- zione data dall’organo che ha emanato la norma.

Essa è effettuata mediante l’emanazione di una nuova norma (se la precedente risultava oscura e di difficile interpretazione) ed ha efficacia vinco- lante e retroattiva per tutti i destinatari.

Nell’ipotesi dell’interpretazione in base ai criteri utilizzati si suole ulteriormente distingue- re tra:

– interpretazione letterale o grammaticale:

è l’interpretazione volta a valutare il significato effettivo delle parole non isolatamente, ma anche nel loro insieme, ricavandone così il significato complessivo. Le parole vanno interpretate nel si- gnificato tecnico, che si evince dalla legislazione, dalla tradizione e dalla dottrina e non secondo il loro senso comune;

– interpretazione logica: è l’interpretazione volta a stabilire la volontà della norma, la (ra- gionevole) intenzione del legislatore nel discipli- nare quella determinata materia (ratio iuris). La nozione di “intenzione del legislatore” presenta alcune sfaccettature che vanno analizzate. Par- te della dottrina parla di intenzione effettiva dei soggetti che hanno prodotto la norma, ricondu- cibile ai lavori preparatori della legge (intenzio- ne soggettiva), altra corrente di pensiero, invece, fa riferimento all’intenzione del legislatore come quella che questi avrebbe se l’approvazione della norma coincidesse con il momento della sua ap- plicazione (intenzione oggettiva). È in larga parte accolta quest’ultima tesi a causa non solo delle difficoltà inerenti alla ricerca ed alla ricostruzio- ne delle ragioni che hanno spinto il legislatore ad emanare la legge (attraverso i lavori prepara- tori), ma soprattutto perché una disciplina nor- mativa, una volta prodotta, si distacca da coloro che l’hanno creata ed opera oggettivamente, per adeguarsi alle reali esigenze della vita sociale. In altri termini ricercare l’intenzione oggettiva della norma giuridica significa, identificare la ragione attuale di essa (ratio), cercando di adattare il di- ritto ai bisogni sociali, separandolo dalle ragio-

ni personali (o di “partito”) che hanno spinto gli autori.

Nell’ipotesi dell’interpretazione in base ai risultati raggiunti si suole ulteriormente distin- guere tra:

– interpretazione dichiarativa (lex tam dixit quam voluit): si ha quando l’interprete riconosce che il dettato della norma (interpretazione lette- rale) coincide con la volontà della norma mede- sima (interpretazione logica);

– interpretazione estensiva (lex minus dixit quam voluit): si ha quando l’interprete trova che il dettato della norma non coincide con la volon- tà del legislatore, la quale ha espresso meno di quanto in realtà si voleva;

– interpretazione restrittiva (lex plus dixit quam voluit): si ha quando l’interprete riconosce nella legge un dettato che sembra riferirsi a que- stioni che, invece, voleva escludere. In questo caso si restringe il significato della norma rista- bilendone la volontà;

– interpretazione analogica: si ha quando l’interprete (il giudice) deve affrontare casi con- creti non espressamente disciplinati da norme giuridiche. Il nostro legislatore al fine di scon- giurare iniziative arbitrarie ed antigiuridiche, ha pensato di risolvere il problema indicando al giudice due possibili vie: quella dell’analogia le- gis, ossia il ricorso alle norme che regolano casi simili o materie analoghe, o, se il caso rimane ancora dubbio, quella dell’analogia iuris, ossia il ricorso ai principi generali dell’ordinamento giuridico. L’interpretazione analogica fonda la sua ratio nel presupposto che il diritto va inteso come ordinamento, cioè come un sistema di nor- me basato sul principio di non contraddizione.

Ne discende che, se un caso non è espressamen- te disciplinato, va risolto in coerenza con quanto previsto da disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe e, in ultima analisi, secondo i principi dell’ordinamento giuridico (esempio).

Nel pomeriggio ho portato la moto, per il consueto tagliando, in officina. Claudio, il mec- canico, si è sempre vantato di non aver mai su- bito rapine né furti, sebbene la sua officina sia sempre incustodita. Durante la notte una banda di ladri la “ripulisce”. Claudio è tenuto a risarcir- mi il danno per la moto rubata? La risposta è af- fermativa perché, sebbene non esista una norma direttamente applicabile, per analogia si adatta l’art. 1768, inerente alla “diligenza nel contratto

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DISPOSIZIONI SULLA LEGGE IN GENERALE

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di deposito” secondo cui il depositario è respon- sabile in caso di mancata custodia.

u   Nell’ipotesi in cui una norma, già inter- pretata in un certo modo in sede giudiziaria, sia successivamente interpretata in modo diverso in sede d’interpretazione autentica, non è concet- tualmente configurabile un conflitto di attribu- zione fra potere giudiziario e potere legislativo, né è concepibile uno straripamento di quest’ul- timo, atteso, in particolare, che la funzione giu- risdizionale è necessariamente applicativa delle disposizioni vigenti (che il giudice interpreta, attraverso la sentenza, con incondizionata au- tonomia, accertando e dichiarando la volontà della legge in relazione al caso concreto al suo esame), per cui, se la legge muta o se, con un’ul- teriore legge, viene attribuito a precedenti di- sposizioni un determinato significato, il giudice non può non essere vincolato dalla volontà del legislatore (1323/1983, rv 426125).

u  Nell’esercizio del suo potere-dovere d’in- terpretazione della norma applicabile alla fat- tispecie sottoposta al suo esame, il giudice è libero di non adeguarsi all’opinione espressa da altri giudici e può anche non seguire l’interpre- tazione proposta dalla Corte di Cassazione (sal- vo che si tratti di giudizio di rinvio), così come può dissentire dalle mere motivazioni delle pro- nunzie della Corte Costituzionale non influenti direttamente sulla declaratoria di illegittimità o sul riconoscimento della legittimità di una spe- cifica disposizione. Tale libertà non esclude, pe- raltro, l’obbligo dello stesso giudice di addurre ragioni congrue, convincenti a contestare e far venir meno l’attendibilità dell’indirizzo inter- pretativo rifiutato (7248/1983, rv 431849).

u  Ai lavori preparatori può riconoscersi va- lore unicamente sussidiario nell’interpretazione di una legge, trovando un limite nel fatto che la volontà da essi emergente non può sovrapporsi alla volontà obiettiva della legge quale risulta dal dato letterale e dalla intenzione del legisla- tore intesa come volontà oggettiva della norma (“voluntas legis”), da tenersi distinta dalla vo- lontà dei singoli partecipanti al processo forma- tivo di essa (3550/1988, rv 458871).

u  L’art. 12 delle preleggi contiene tutti i cri- teri ermeneutici della legge, ed in particolare sia il criterio dell’interpretazione estensiva, che con- sente l’utilizzazione di norme regolanti casi simi- li (e non già identici), sia quello dell’interpreta- zione analogica (“analogia legis”), che permette l’utilizzazione di norme che disciplinano materie analoghe, ossia istituti diversi aventi solo qual-

che punto in comune con il caso da decidere, mentre l’art. 14 delle stesse preleggi – come reso evidente dai lavori preparatori – non detta alcun criterio di esegesi legislativa, limitandosi a stabi- lire che le leggi penali e quelle che fanno ecce- zione ad altre leggi non si applicano (in via d’in- terpretazione analogica) oltre i casi ed i tempi in esse considerati (7494/1990, rv 468347).

u   Se una norma di legge sia suscettibile di più interpretazioni, di cui una darebbe alla norma un significato costituzionalmente illegit- timo, il dubbio è soltanto apparente e deve es- sere superato e risolto interpretando la norma in senso conforme alla Costituzione e alle legge costituzionali (4906/1995, rv 492108).

u  L’esegesi del decreto di liquidazione per una consulenza tecnica d’ufficio deve attenersi ai canoni previsti per gli atti a contenuto nor- mativo e non in base a quelli validi per con- tratti e negozi. Pertanto, l’interpretazione del decreto deve seguire criteri oggettivi e testuali, poiché è finalizzata alla ricerca del significato oggettivo della regola o del comando contenuti nel provvedimento e non dei contenuti di una statuizione di volontà (11501/2008).

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. Esclusione dell’applicazione ana- logica delle norme corporative. – (Omis- sis) (1

).

(1) L’ordinamento corporativo fascista è stato sop- presso dal R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721.

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. Applicazione delle leggi penali ed eccezionali. – Le leggi penali e quel-

le che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati (25 Cost.; 1, 2 c.p.).

Mentre l’art. 12, come visto, contiene tutti i criteri ermeneutici della legge, ed in particolare sia il criterio dell’interpretazione estensiva, che consente l’utilizzazione di norme regolanti casi simili (e non già identici), sia quello dell’inter- pretazione analogica, che permette l’utilizzazio- ne di norme che disciplinano materie analoghe, ossia istituti diversi aventi solo qualche punto in comune con il caso da decidere, il presente arti- colo non detta alcun criterio di esegesi legisla- tiva, limitandosi a stabilire che le leggi penali e quelle che fanno eccezione ad altre leggi (in de- terminate materie o circostanze o per determina-

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te categorie di soggetti) non si applicano (in via d’interpretazione analogica) oltre i casi ed i tem- pi in esse considerati.

Per quanto riguarda la legislazione penale il divieto di estensione analogica (analogia le- gis) deriva dal principio nullum crimen sine lege ex art. 25 Cost. Questo significa che il giudice non può applicare la legge penale fuori dei casi espressamente previsti e disciplinati dal legisla- tore. Divieto di analogia non significa, però, di- vieto di interpretazione estensiva: nell’analogia la fattispecie non è espressamente prevista dal- la legge e viene disciplinata attraverso il ricorso a disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; nell’interpretazione estensiva, invece, la fattispecie è regolata da una norma specifica e, mediante il procedimento ermeneutico, si dà ai termini di essa un significato più ampio. Il di- vieto di analogia, comunque, non è di natura as- soluta, nel senso che il ricorso a casi simili è am- messo se, e solo se, produce effetti favorevoli nei confronti della persona che ha commesso il rea- to (analogia in bonam partem). Anche i confini dell’analogia in bonam partem, tuttavia, riman- gono circoscritti entro determinati limiti; è, infat- ti, escluso che il ricorso all’analogia sia consenti- to quando il legislatore ha già esteso al massimo la portata applicativa della scriminante e quando andrebbe ad incidere su elementi costitutivi della fattispecie che generano l’estinzione dell’eadem ratio di disciplina e la conseguente creazione di nuove ipotesi di scriminanti, il tutto in antitesi con il principio di riserva di legge.

Per quanto riguarda la legislazione eccezio- nale vale, invece, il principio ubi lex voluit dixit ubi non dixit noluit, al fine di escludere l’inter- pretazione analogica e non già quella estensiva che avviene per necessità e non per similitudine di rapporti (es: in caso di fattori contingenti co- me le calamità pubbliche o in determinate mate- rie come quella tributaria).

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. Abrogazione delle leggi. – Le

leggi non sono abrogate che da leggi poste- riori per dichiarazione espressa del legisla- tore, o per incompatibilità tra le nuove di- sposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore (75 Cost.).

Per abrogazione si intende la cessazione dell’efficacia di una determinata norma giuridi-

ca: poiché questa perde vigore giuridico non può più essere applicata. A decidere l’abrogazione è il legislatore (non ricorre, infatti, nel nostro or- dinamento l’ipotesi della desuetudine quale con- suetudo contra legem). Pertanto distinguiamo:

– abrogazione espressa: quando entra in vi- gore una norma in cui espressamente si dichia- ra la cessazione di efficacia di una disposizione normativa precedente;

– abrogazione tacita: quando sussiste in- compatibilità fra le nuove disposizioni e quelle precedenti, ovvero quando la nuova legge disci- plina la materia già regolata da quella anterio- re; in particolare, la suddetta incompatibilità si verifica solo quando fra le leggi considerate vi sia una contraddizione tale da renderne impos- sibile la contemporanea applicazione, cosicché dall’applicazione ed osservanza della nuova leg- ge derivi necessariamente la disapplicazione o l’inosservanza dell’altra (così, anche, Cassazio- ne n. 2502/2001, 10980/2002, 14129/2002). Tale situazione non è ravvisabile nell’ipotesi in cui la nuova legge abbia determinato esclusivamente il venire meno della “ratio” della legge precedente, senza tuttavia occuparsi di dettare una nuova di- sciplina della materia da quest’ultima regolata;

– abrogazione totale: se interessa l’intera norma;

– abrogazione parziale: se interessa solo una parte della norma;

– abrogazione a seguito di referendum:

quando lo richiedono cinque consigli regionali o 500.000 elettori;

– abrogazione intrinseca: quando una nuova normativa copre un determinato arco temporale (es. legge di bilancio) o per determinate circo- stanze (es. stato di guerra);

– abrogazione generalizzata per disciplina dell’intera materia: quando il legislatore espres- samente abroga tutte le norme incompatibili con la disciplina normativa contenuta nel nuovo provvedimento.

Per il criterio di gerarchia una norma può essere abrogata solo da una disposizione di pari grado o di grado superiore. Per il criterio tempo- rale vale il principio lex posterior derogat legi priori, nel rispetto dell’altrettanto fondamentale principio lex posterior generalis non derogat pri- ori speciali e sempreché la materia sia costitu- zionalmente riservata ad una determinata fonte.

È prevista anche l’ipotesi di far rivivere una disposizione abrogata o modificata: per ottenere ciò il legislatore deve espressamente farne men-

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DISPOSIZIONI SULLA LEGGE IN GENERALE

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zione nel nuovo provvedimento. L’abrogazione di una norma abrogante non fa, invece, rivivere la norma da quest’ultima abrogata, in quanto la reviviscenza non si verifica allorché l’abrogazio- ne derivi dalla legge, salvo che l’effetto ripristi- natorio non sia disposto dalla legge medesima.

L’abrogazione va distinta dalla deroga (che si ha quando una norma fa eccezione a regole con- tenute in altre norme), e dalla disapplicazione (prevista nel caso in cui la Corte costituzionale dichiari l’illegittimità costituzionale di una nor- ma, “costringendo” il Parlamento, da un lato ad emanare norme sostitutive in armonia con la Car- ta fondamentale e, dall’altro, ad abrogare, appun- to, quella dichiarata illegittima).

Una particolare, e alquanto recente, appli- cazione dell’abrogazione si può trovare nei te- sti unici, finalizzati a riordinare e raccogliere in un unico provvedimento la disciplina normativa di un’intera materia precedentemente regolata in una molteplicità di norme.

u  L’abrogazione, limitando ai fatti verifica- tisi fino ad un certo momento la sfera di opera- tività della legge abrogata, incide su questa nel senso che, essa, originariamente fonte di una norma riferibile ad una serie indefinita di fatti futuri, è, ormai, fonte di una norma riferibile solo ad una serie definita di fatti passati (Corte Cost. 199/1971).

16

. Trattamento dello straniero. –

Lo straniero (

1

) è ammesso a godere dei di- ritti civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità e salve le disposizioni conte- nute in leggi speciali (29).

Questa disposizione vale anche per le persone giuridiche straniere (29; 10 Cost.;

2508 ss. c.c.) (

2

).

(1) Si vedano: L. 13 giugno 1912, n. 555, sulla citta- dinanza italiana, e relative norme di esecuzione R.D. 2 agosto 1912, n. 949, con le modificazioni e le aggiunte di cui alla L. 31 gennaio 1926, n. 108; L. 5 febbraio 1992, n. 91, nuove norme sulla cittadinanza, la quale ha abrogato tutte le disposizioni antevigenti suddette;

D.L.vo C.P.S. 28 novembre 1947, n. 1430, esecuzione del Trattato di pace tra l’Italia e le potenze Alleate e Associate, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947; L. 21 aprile 1983, n. 123; L. 30 dicembre 1986, n. 943, e L. 16 marzo 1988, n. 81, per la regolarizzazione dei lavorato- ri extracomunitari in Italia; D.P.R. 30 dicembre 1965, n. 1656, e il regolamento CEE 15 ottobre 1968, n. 1612, per la libera circolazione dei cittadini di Stati membri

della CEE e per la libera circolazione dei lavoratori all’interno della comunità; D.L. 30 dicembre 1989, n.

416, norme urgenti in materia di asilo politico, di in- gresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari, con- vertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 1990, n. 39; D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazio- ne e norme sulla condizione dello straniero, e relativo regolamento (D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394).

(2) Si veda la Convenzione sul reciproco riconosci- mento delle società e persone giuridiche, con protocol- lo, firmata a Bruxelles il 29 febbraio 1968, resa esecu- tiva in Italia con L. 28 gennaio 1971, n. 220.

Lo straniero è colui che ha la cittadinanza di uno Stato estero. La condizione di reciprocità (di fatto) è intesa sia nel senso che lo Stato stranie- ro riconosce nel proprio ordinamento un dirit- to uguale o simile a quello che un suo cittadino intende esercitare in Italia, sia nel senso che lo stesso Stato, nel riconoscerlo, non pone discri- minazioni a danno del cittadino italiano. La pro- va della condizione di reciprocità incombe sullo straniero attore.

Va, comunque, precisato che l’art. 3 Cost., malgrado il testuale riferimento ai cittadini, garan- tisce l’uguaglianza davanti alla legge anche agli stranieri, laddove si tratti di assicurare la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo. Non sarebbe pertan- to costituzionalmente giustificabile un comporta- mento delle autorità italiane che assoggettasse ad opposti trattamenti stranieri di Stati diversi, a se- conda delle varie relazioni internazionali esistenti tra l’Italia e i rispettivi Paesi di provenienza.

La personalità giuridica non è un diritto civile attribuibile ad una società straniera a condizione di reciprocità, bensì un presupposto, ossia una situa- zione giuridica concreta, definita dall’ordinamento straniero, che ha conferito la personalità, affinché possa operare la condizione di reciprocità.

u  Dal coordinamento dell’art. 16 delle pre- leggi, che ammette lo straniero a godere dei di- ritti civili attribuiti al cittadino italiano a condi- zione di reciprocità, con l’art. 24, primo comma, della Costituzione – per il quale tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi – si deduce che allo stra- niero, non diversamente che al cittadino, è rico- nosciuto il potere di azione, il quale, in quanto non direttamente contemplato dall’art. 16 delle preleggi, non è soggetto alla condizione di re- ciprocità posta da detta norma (5454/1990, rv 467579).

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