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IL BATTESIMO FA LA CHIESA

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Academic year: 2022

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I L B ATTESIMO FA LA C HIESA

Il sacramento che fonda la vita cristiana e regola la missione

di Michele Giulio Masciarelli

P ARTE P RIMA

I L B ATTESIMO , INIZIAZIONE A C RISTO

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R ICOGNIZIONE BIBLICA Il battesimo di Giovanni e Gesù

1. Gesù al battesimo di Giovanni. Il discorso sul Battesimo impone una breve ricognizione biblica perché è nelle Scritture che troviamo la sua istituzione e la sua consegna da parte di Cristo agli Apostoli (cfr. Mt 28,20). Ed è ancora nelle Scritture che troviamo la sua collocazione come risposta di Cristo al peccato di Adamo, come evento della salvezza che, in termini nuovi, Gesù, quale nuovo Adamo, procura agli uomini dando loro il dono e la dignità, immeritabili e indesiderabili, della filialità, il nome più alto e inoltrepassabile della salvezza cristiana.

1. Un battesimo di conversione. Ormai alle soglie della nuova alleanza Giovanni Battista predica nel deserto un “battesimo di acqua” come segno di conversione e di preparazione per accettare colui che verrà a battezzare «in Spirito Santo e fuoco» (cfr. Mt 3,11). Il battesimo di Giovanni completava una predicazione molto severa ed esigente, nella linea dei profeti, che chiedeva agli uditori un cambio di vita e l’abbandono delle sicurezze religiose legate all’appartenenza al popolo eletto (cfr. Lc 3,7-9) e all’eliminazione delle ingiustizie (cfr. Lc 3,10-15). Gesù, invece d’invocare dal cielo il fuoco divino, domanda di ricevere il battesimo di Giovanni, nonostante lo stupore e l’esitazione di quest’ultimo (cfr. Mt 3,14). Egli ha la certezza che il suo posto è in mezzo agli altri, in una piena solidarietà con coloro che sono coscienti dei loro errori. Ciò significa che Dio non vuole liberarci da una vita inautentica senza dapprima condividere pienamente quella vita.

a) Il battesimo di Gesù al Giordano, inizio della sua vita pubblica. Col battesimo ricevuto da parte di Giovanni nel Giordano (cfr. At, 1,22) Gesù dà inizio della vita pubblica (cfr. Lc 3,23). «Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua» (Mt 3,16). Questa scena dell’entrare-uscire dall’acqua, rievoca l’evento dell’Esodo e l’attraversamento del Giordano, in concreto, l’ingresso in un mondo nuovo e in una nuova terra promessa, che – segno della sorpresa recata da Colui che ha inaugurato i tempi nuovi – sono piuttosto i cieli: «Ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui» (Mt 3,16; cfr. Mc 1,10). Gesù esce dalle acque ed entra nello spazio santo della presenza del Padre che fa planare dolcemente su di lui il suo Spirito, come già era stato promesso per il Messia atteso e invocato da Israele. L’importanza del battesimo di Gesù, oltre che alla manifestazione dello Spirito, è legata anche alla solenne proclamazione del Padre: «Questi è il Figlio mio diletto, nel quale mi sono compiaciuto» (Mt 3,17). Colui che si era fatto il servo è proclamato adesso figlio (cfr. Is 40,2). Gesù, nella sua esistenza filiale, ha confermato il senso di questa dichiarazione, del Padre, chiamandolo con il nome pregnante di singolare confidenza: Abbà (Babbo, Padre caro). Dalle parole e dall’agire di Gesù affiora incoercibile la coscienza di essere il Figlio di Dio. I Vangeli ce lo mostrano in un dialogo costante che egli ha con il Padre, eco santissima del quello esistente dall’eternità in seno alla Famiglia trinitaria.

b) Il Padre al battesimo di Gesù al Giordano. L’intera nostra esperienza di fede è ancorata a questa coscienza di Gesù. Egli ci salva in quanto Figlio di Dio e la qualità della salvezza che ci offre non consiste solo nel liberarci dal peccato e dalla morte ma nel farci figli di Dio, partecipandoci la sua condizione di Figlio unico del Padre: facendosi nostro fratello, noi siano diventati figli. Egli perciò è il nostro Fratello necessario. A noi non importa se quelli che vissero con Gesù fossero coscienti di questo segreto fin dall’inizio e ne capissero la portata. Ciò che importa veramente è sapere che Gesù ne era consapevole lasciandone prove sicure durante la sua esistenza messianica. Capiamo meglio l’intervento del Padre se ricordiamo anche quello che egli dirà nell’evento della trasfigurazione: «Questi è il Figlio mio diletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo» (Mt 17,5). Il Padre pertanto raccomanda il Figlio agli uomini; se ne fa garante con questa motivazione:

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è il Figlio della sua compiacenza. Perché è amato dal Padre dobbiamo ascoltare Gesù. Questo imperativo non significa solo: prestategli attenzione, o: mettete in pratica quanto vi dirà, ma significa soprattutto: credetegli, date a lui la vostra adesione di fede, accogliete la sua persona pri- ma ancora che la sua parola. Così, il battesimo di Gesù al Giordano ripropone un duplice significativo movimento: Dio viene verso l’uomo con la rivelazione, ma l’uomo deve andare anche lui verso Dio con la fede.

2. Gesù e il nuovo Battesimo. Gesù pone il suo Battesimo, quello in Spirito santo e acqua, al centro della sua missione e di quella della Chiesa: è un contenuto essenziale di esse, per cui non coglie nel vero il tentativo di ribaltare una unilaterale ‘sacramentalizzazione’ con una unilaterale

‘evangelizzazione’: un difetto non bilancia il difetto contrario, ma lo aggrava. Evangelizzare e battezzare sono due fuochi di un’unica ellissi missionaria. Si dice talvolta in modo improbabile:

Gesù non ha mandato a sacramentalizzare, ma a evangelizzare. Quale Gesù ha detto questo? Gesù di Nazaret ha detto certamente: «Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura.

Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato; ma chi non avrà creduto sarà condannato»

(Mc 16,15,16). E ancora: «Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente» (Mt 28,19-20). Come pure, per Gesù non basta la fede, ma occorre la fede che desidera, chiede e accoglie il Battesimo. Gesù non crea un aut-aut tra fede e Battesimo, ma stabilisce un et-et: «Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato» (Mc 16,16). E la prima Chiesa ha compreso e regolato la sua missione nella saggezza della congiunzione fede-Battesimo. All’etiopo, che aveva chiesto di essere battezzato, Filippo disse: «“Se tu credi con tutto il cuore, è possibile”. L’eunuco rispose: “Io credo che Gesù Cristo è il Figlio di Dio”. Fece fermare il carro, e discesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunuco; e Filippo lo battezzò» (At 8,7.38). In più: Paolo e Sila, al carceriere di Filippi dissero: «“Credi nel Signore Gesù, e sarai salvato tu e la tua famiglia”. Poi annunciarono la Parola del Signore a lui e a tutti quelli che erano in casa sua. Ed egli li prese con sé in quella stessa ora della notte e subito fu battezzato lui con tutti i suoi» (At 16,31-33).

Lasciandosi sommergere dalle acque, Gesù simbolizza il suo desiderio di andare fin nel più basso della condizione umana per aprirla alla luce di Dio dal suo interno. Ed ecco che questa

«morte» è subito seguita da una «risurrezione». Abbattuto il muro tra l’umanità e Dio, in mezzo agli esseri umani Dio è di nuovo a casa sua. Le parole ricordate che provengono Padre, alla luce delle Scritture ebraiche esprimono la sua relazione con Gesù e allo stesso tempo la missione affidata a suo Figlio di manifestare agli altri questa relazione con lui. A partire dall’umanità di Cristo lo Spirito creatore lavora e rinnova la terra, facendola entrare in una comunione con il Padre eterno.

Non è sbagliato vedere il nostro Battesimo come il gesto attraverso cui il Cristo mette il suo braccio attorno alla nostra vita e ci prende con sé nello spazio indicato dal suo Battesimo. Noi moriamo con lui a un’esistenza segnata dalla falsa sufficienza e dall’isolamento per entrare in una vita nuova, una vita di comunione (cfr. Rm 6,3-6). Insieme a Gesù ascoltiamo il Padre pronunciare queste parole di luce verso di noi: «Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto» (Mc 1,11). Figli e figlie nel Figlio, noi possiamo ora continuare la missione stessa di Gesù in ogni ambito della nostra vita: testimoniare la venuta del Regno di Dio che irrompe nel nostro mondo e lo trasforma dall’interno. Il Battesimo ci situa dentro il mistero invisibile-visibile del Corpo di Cristo e, immergendo i nostri limiti e anche i nostri rifiuti nelle acque della misericordia divina, apre dentro di noi una misteriosa breccia in cui Dio può farsi presente, per il nostro tramite, nel cuore stesso della storia.

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P RIMA RIFLESSIONE TEOLOGICA Oltre il peccato di Adamo, figura di Cristo

1. L’arco salvifico disegnato dal Padre precede il peccato di Adamo. Il Padre ha disegnato e, con le due mani del Figlio e dello Spirito, ha realizzato e va ancora realizzando il suo progetto salvifico per l’intera famiglia umana. A fondamento della storia degli uomini c’è il gratuito amore del Padre, ossia la sua grazia, che dona redenzione «con ogni benevolenza spirituale» (Ef 1,3) in Cristo, preparandola nell’eternità, attuandola nel tempo, portandola a compimento della gloria. Tutti siamo pensati, amati, creati, redenti e glorificati come figli adottivi in comunione col Figlio unigenito.

1 Il Padre ci ha preceduto nell’amore. Prima della creazione, cioè quando c’era solo il Dio trinitario, il Padre ci ha avvolto nella sua carità paterna. Questo sottolinea la gratuità del suo amore: non c’era condizione più radicale per un amore disinteressato, libero e immeritato che il nostro non esserci precedente l’atto creativo da parte del Padre. Da quell’atto e per quell’atto noi esistiamo e siamo. Perciò Dio ci è più intimo di noi stessi. Il Padre ci ha amato addirittura prima che fossimo amabili; di noi non c’era assolutamente nulla, a noi nessuno pensava e poteva pensare; noi potevamo anche non esistere mai: non eravamo necessari a nessuno. Eppure a noi ha pensato il Padre inventandoci, volendoci, creandoci senza di noi e rispondendo solo al moto libero e misterioso della sua carità elettiva. Quando non dovesse amarci più nessuno, quando dovessimo divenire intollerabili a noi stessi, dovremmo ricordare di essere stati amati prima di essere, di essere stati voluti dal Padre, che gratuitamente ci ha scelti in Cristo e creati per mezzo di lui e in vista di lui (cfr. Col 1; Ef 1). In tal modo il Padre ha rivolto a ognuno l’amore che genera nutre e fa crescere per mezzo del «suo Figlio diletto» (Col 1,13).

2. Il Padre ci ha eletto nel Figlio. La scelta di predestinare gli uomini a Cristo e di crearli per mezzo di lui non ha impegnato il Padre in un amore generico, ma in un amore personale che si riversa su ogni uomo: ognuno è amato e scelto da Dio per se stesso, per quello che è agli occhi di lui, la cui carità crea distinzioni originali nelle sue creature, che per lui hanno un singolare valore sempre e in modo totale, anche se mai nessuno saprà o vorrà notarlo e riconoscerlo. In Cristo il Padre «ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà» (Ef 1,4-6).

3. Ha amato in noi ciò che ama nel Figlio. La complessa signoria del Padre antecedente la creazione della storia umana è ciò che chiamiamo predestinazione: si tratta della predestinazione di Cristo alla creazione1, entro il cui raggio si situa la predestinazione degli uomini a lui. La predestinazione di Cristo a salvatore è la chiave di comprensione del senso dell’uomo e della vita, della creazione e della storia e, evidentemente, anche della persona e della vocazione di ciascuno nel piano della salvezza. Qual è la portata della predestinazione di Cristo agli uomini e degli uomini a Cristo? La risposta a questa domanda va costruita ad ampio raggio prospettico. È la paternità di Dio la parola fondamentale che ‘spiega’, nel mistero, la bellezza e la verità degli uomini e delle cose:

«Si chiarisce così il significato stesso della creazione. Quando il Padre ha creato il mondo, ad animare la sua forza creatrice è stato un amore paterno che desiderava donare a se stesso dei figli nel Figlio unigenito. Colui che ha creato il primo atomo o la materia che nella sua espansione ha formato lo spazio dell’universo, voleva fondamentalmente dare un posto in

1 Cfr. G.COLZANI, Antropologia teologica. L’uomo: paradosso e mistero, Dehoniane, Bologna 1988, pp. 219-238.

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questo spazio ai propri figli. Nel produrre la scintilla della vita che doveva moltiplicare sulla terra, nel corso dell’evoluzione, le diverse specie vegetali e animali, il Padre aveva come fine quello di preparare l’esistenza fisica di coloro che amava a priori come suoi figli. È in virtù di questo stesso amore che ha formato uomini e donne, creando per ognuno un’anima unita al corpo derivato dall’evoluzione. È l’opera creatrice di un Padre che ha voluto estendere la sua paternità a innumerevoli esseri e donare a ognuno un amore personale»2.

L’amore che il Padre ha portato agli uomini noi creandoli e che porta permanentemente loro custodendoli, è un’irradiazione dell’amore che porta al suo «Figlio unigenito» (Gv 1,18): egli ama anzitutto e, potremmo dire, unicamente il Figlio e, nel raggio di questo completo amore (perciò è unico), ama tutti gli uomini con amore estremo e singolare. «Così hai amato in noi ciò che tu amavi nel Figlio», prega il sacerdote rivolgendosi al Padre durante la liturgia eucaristica3. Amando Cristo, il Padre sceglie e ama ogni creatura umana nello stesso amore. Non si tratta di un amore ridotto, accorciato, subalterno; è invece l’unico amore possibile: solo in questo amore l’uomo è amabile e di fatto è amato dal Padre.

4. Ci ha predestinati alla gloria dei figli. La predestinazione del Padre di salvare la creazione in Cristo non esclude nessuno; dunque nessuno è predestinato alla perdizione eterna. L’uomo, nell’esercizio della sua libertà, può ostinatamente respingere la carità salvante del Padre e ostacolare così il compimento della sua predestinazione universale all’eternità della gloria, ma, anche in questa reale eventualità, il senso della predestinazione non muta: resta sempre una chiamata alla filiazione adottiva, orientata alla gloriosa ed eterna vita filiale nel Cielo trinitario. Con un Padre che vuole che tutti gli uomini si salvano (cfr. 1 Tm 2,4), con un Figlio che è venuto «per salvare il mondo» (Gv 12,47), con lo Spirito che è mandato a rinnovare «la faccia della terra» (Sal 103,30), non c’è possibilità nel cristianesimo di avallare un concetto di pre-destinazione come un pre-scegliere, nel senso di selezionare alcuni fra molti alla salvezza, col corredo di pessimismo e di disperazione implicato4. L’orizzonte dell’universalismo salvifico del cristianesimo permette solo di concepire la pre-destinazione come un pre-scegliere, nel senso di pre-eleggere tutti in Cristo alla salvezza. Perciò, la predestinazione implica la benevolenza paterna che esista dall’eternità: la rivelazione rende i cristiani certi di questo amore che il Padre ha liberamente deciso e donato e che non revocherà mai, anche se venisse tante volte meno la fedeltà degli uomini.

5. Un solo progetto salvifico ideato dal Padre. Anzitutto va detto che la scelta predestinante del Padre è precreatrice e prelapsaria, cioè antecede lo stesso atto della creazione e il peccato originale che lo segue, sotto un certo aspetto, non sarà mai annullata o ribaltata da questo. La grazia della predestinazione è il progetto primigenio al quale il Padre resta sempre fedele, al quale tutto conduce e riconduce nello svolgersi della storia della salvezza. Il peccato originale cade dentro un piano salvifico precedente e superiore a esso: la conseguenza è che il piano salvifico include la liberazione da tale peccato e dal suo infelice corredo, ma l’oltrepasserà anche, portando gli uomini alla conformazione a Cristo, punto apicale e permanente del proposito salvifico del Padre. Per realizzare questa sua eterna e personale decisione, il Padre ha donato suo Figlio che, come Verbo fatto uomo, è il mediatore unico e definitivo di tale piano originario del Padre.

2J.GALOT, Dio Padre, chi sei? Breve catechesi su Dio Padre, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1998, p. 46. Cfr. M.G.

MASCIARELLI, Darwin tra storia, storia e società. 150° anniversario della pubblicazione di “Origine della scienza” [Università di Chieti], a cura di F. Stoppa, R. Veraldi, Edizioni Universitarie Romane, Roma 2010, pp. 37-60.

3 Prefazio VII delle Domeniche ordinarie.

4In proposito, sono chiare le delucidanti note di p. Galot: «Interpretazioni erronee della predestinazione hanno ge- nerato disperazione in coloro che temevano di essere esclusi dalla felicità celeste. L'autentica predestinazione, che of- fre agli uomini la filiazione in Cristo in vista della partecipazione alla felicità celeste, anima la speranza e fornisce un solido sostegno all'ottimismo che deve caratterizzare la mentalità cristiana. La sovranità benevola del Padre domina tutti gli eventi; essa permette di osservarli con sguardo fiducioso, anche quando sembrano negativi, poiché tutto ciò che accade sottostà al disegno paterno, che consente all’intero universo di contribuire allo sviluppo della nostra filiazione adottiva in Gesù Cristo» (J.GALOT, Dio Padre, chi sei?, p. 48).

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6. Un solo progetto salvifico affidato al Figlio. Venendo nel mondo e sviluppando la sua opera messianica, il Figlio si è impegnato con la sua opera di mediazione nell’unico misterico piano affidatogli dal Padre, che, al suo interno, si articola in due gradi fondamentali: la redenzione e la salvezza dell’umanità. Così il Cristo ha cambiato definitivamente il destino degli uomini anzitutto riconciliandoli con il Padre (redenzione) e soprattutto, quale vertice del suo atto mediativo, procurando loro la vita filiale nell’intimità del Padre, che comporta come sua estrema espressione la divinizzazione (salvezza)5. Nella predestinazione s’esprime il dono più grande che il Padre può concederci, ossia il vertice della grazia filiale, facendoci condividere la condizione vitale ed esistenziale del Figlio. In tal modo egli elevato la nostra natura umana a una dignità insuperabile, disponendoci completamente al suo amore paterno: «Ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo» (Ef 1,3); «Piacque a Dio / di fare abitare in lui ogni pienezza» (Col 1,19); «Egli l’ha abbondantemente riversata su di noi / con ogni sapienza e intelligenza» (Ef 1,8).

Predestinando gli uomini alla filiazione adottiva in Gesù Cristo, il Padre ha concesso loro l’accesso all’eredità della gloria (cfr. Ef 1,11). La gloria dei figli si può fruire solo nella «casa del Padre» (Gv 14,2).

2. Meditando sul ‘climax’ paolino: Legge, Fede, Battesimo. San Paolo è l’autore del Nuovo Testamento che più di ogni altro s’interessa al tema della giustificazione. Egli lo fa soprattutto componendo un climax, un crescendo misterico e teologico, composto di tre soglie ascensive: la Legge, la Fede, il Battesimo. In concreto egli inarca il suo discorso dalla Legge alla Fede e dalla Fede al Battesimo.

1. Dalla Legge alla Fede. Nella 1 Lettera ai Corinzi (9,8.9; 14,21.34) san Paolo presenta, per la prima volta, la terminologia essenziale della complessa questione della Legge e in essa delinea la funzione negativa della Legge (cfr. 1 Cor 15,56). Tuttavia il discorso sulla Legge inizia a essere sviluppato nella Lettera ai Galati: i cristiani della Galazia, pur non avendo conosciuto il giudaismo, si lasciano imporre alcune osservanze giudaiche, ma san Paolo insegna loro che, ormai giustificati per la fede (Gal 3,1-4,7) di Cristo (2,16), la Legge non possiede più un carattere o un valore fondativo; essa è storicamente segnata e datata: è posteriore alla promessa di Dio ad Abramo. In tal modo, essa si mostra non eterna e non perfetta. Tuttavia, pur tale, non può concludersi che la Legge debba essere annullata o disattesa: Gesù infatti, pur essendo venuto dopo la Legge, non ha mancato di sottomettersi alla «maledizione» di essa (cfr. Gal 4,4) per procurare a tutti la benedizione di Abramo (cfr. Gal 3,13).

Il discorso paolino sulla Legge continua nella Lettera ai Romani nei capp. 4 e 5, ma anche oltre essi. Così, dopo aver insegnato ai Galati che non solo la Legge ma anche le opere della Legge – ad per esempio le questioni di purità alimentare (cfr. Gal 2,11-14) – sono in antinomia con la fede di e in Gesù Cristo (Gal 2,16), nella Lettera ai Romani sviluppa il discorso sul conflitto tra i «forti» e i

«deboli» (Rm 14,1-15,13). Questi ultimi erano fratelli che aderirono a un giudaismo centrato su Cristo, provenivano dalle fasce più umili della società e si riunivano nelle cosiddette ‘chiese domestiche’, in mancanza di una sinagoga o di una chiesa centralizzata. I motivi del ricordato conflitto erano costituiti dalle norme di purità alimentare (cfr. Rm 14,14) e dal calendario giudaico verso le quali Paolo chiedeva rispetto a coloro per i quali tutto è puro. Di fronte ai «diffamatori» di Roma (cfr. Rm 3,8) egli avrà il difficile compito di dimostrare che la Legge, pur non salvando, non è tolta, sebbene non sia da ritenere determinante per la giustificazione.

La giustificazione in Cristo, che libera dal giudizio di condanna (cfr. Rm 1,18-3,20), non comporta un atteggiamento contro la Legge (i forti) e quelli che ancora l’osservano (i deboli) non sono giustificati da essa. Sia i forti che i deboli sono morti alla Legge per vivere e servire il Signore (cfr. Rm 5,1-8,39). Il conflitto tra i due gruppi rischiava invece di vanificare la morte di Cristo e la

5 Cfr. S.MEO, Le tematiche teologiche attuali intorno alla funzione materna di Maria verso gli uomini, in AA.VV., Il ruolo di Maria nell’oggi della Chiesa e del mondo. Simposio mariologico (Roma, ottobre 1978), Edizioni «Marianum»-Dehoniane, Roma- Bologna 1979, pp. 45-54.

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stessa morte alla Legge. Pertanto, sebbene abrogata, la Legge, per caso, tornava a imperare? È il problema affrontato nella pericope di Rm 7,7-25, nella quale Paolo sembra fare delle concessioni alla Legge per il bene dei deboli. In realtà egli non sta «concedendo» nulla alla Legge, poiché al centro del brano vi è l’impotenza dell’io («infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio»: Rm 7,19); l’io, pur riconoscendo il bene della Legge, non riesce ad attuarlo elevando nel contempo una tragica domanda di liberazione («Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?»: Rm 7,24). Solo Dio, per mezzo di Gesù Cristo Signore nostro, che ci giustifica gratuitamente, può liberare l’umanità da questa situazione («Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la mia ragione, servo la Legge di Dio, con la mia carne invece la legge del peccato»: Rm 7,25).

La Legge è pervenuta al suo fine, che di per sé non comporta l’abrogazione, ma la consapevolezza che solo Dio giustifica in Cristo, per mezzo dello Spirito Santo («Ora invece, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla Legge e dai Profeti: giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. Infatti non c’è differenza, perché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù. È lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue, a manifestazione della sua giustizia per la remissione dei peccati passati mediante la clemenza di Dio, al fine di manifestare la sua giustizia nel tempo presente, così da risultare lui giusto e rendere giusto colui che si basa sulla fede in Gesù»: Rm 3,21-24; «Poiché la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte»: Rm 8,2)6.

2. Dalla Fede al Battesimo. San Paolo, partendo da motivi autobiografici, pone in risalto la gratuità dell’adesione a Cristo a cui tutti gli uomini sono chiamati perché egli è il secondo Adamo, ossia l’Adamo buono, il vero Adamo, colui che è Adamo più di Adamo: a lui perciò egli applica il modello di Adamo (cfr. Fil 2,10-11). Ma l’adesione fondamentale a Cristo è la conformazione a lui dell’essere personale dell’uomo, che avviene nel Battesimo, quando la figura di Gesù, per così dire, si stampa o si incide in lui in modo definitivo. San Paolo, perciò, che aveva così tanto insistito sulla fede come oltrepassamento della Legge, continua il disegno del suo climax elevando il livello del vertice salvifico all’evento del Battesimo: è quanto opera in Rm 6. Qui il contatto col Cristo non è pensato solo in termini di adesione testimoniale (perciò sul filo dell’imitazione di lui), ma anche su quello dell’inserimento vitale (potremmo dire ontologico) nel suo mistero e, in modo particolare, nel centro del suo mistero, che è l’evento pasquale: in Rm 6 e in altri passi analoghi si mette in evidenza lo stretto nesso esistente fra morte e risurrezione di Gesù. In modo indiretto, ma pur sempre chiaro, l’evento del Battesimo è interpretato come l’inizio che fa incominciare la vita nuova e orienta alla confermazione a Cristo.

Questi brevi accenni dovrebbero aver chiarito che il Nuovo Testamento presenta, illustrando il contenuto del Battesimo, una ricca varietà di aspetti e di prospettive che si rifrange sull’intera vita cristiana che è assunta alla luce battesimale. Il brano più significativo nella teologia di Paolo sul Battesimo è Rm 6,3-11. L’Apostolo delle genti ricorda ai cristiani: «Per mezzo del battesimo siamo stati dunque sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,4).

Il Battesimo, pertanto, opera due misteriosi legamenti a Cristo: 1) alla sua morte (si diventa con- crocifissi) perché sia distrutto il corpo del peccato; 2) fa partecipi della sua risurrezione perché anche i battezzati diventino «viventi per Dio, in Cristo Gesù» (Rm 6,11). Cosicché, l’apice dell’esistenza di Cristo, la risurrezione-glorificazione, a motivo dell’innesto battesimale in lui, diventa anche l’apice dell’esistenza cristiana.

6 Cfr. A.PITTA, Paolo, la Scrittura e la Legge. Antiche e nuove prospettive, Dehoniane, Bologna 2009.

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S

ECONDA RIFLESSIONE TEOLOGICA

Il Battesimo, atto salvifico di Cristo

1. Il Battesimo, esperienza pasquale. Il Battesimo fa compiere al cristiano una reale esperienza di Pasqua: lo fa partecipare al mistero della morte e della risurrezione di Cristo.

Cosicché egli annulla, nel modo più radicale, ogni estraneità nei confronti del Redentore dell’uomo: è l’esperienza della più grande assimilazione alla sua esistenza, perché riguarda lo stato finale di lui, quello della morte-risurrezione, della risurrezione-elevazione, della elevazione- glorificazione.

1. Il Battesimo: il “consummatum est” sacramentale. Il Battesimo senza la Croce non è possibile:

discende da questa come frutto dall’albero. Se Gesù non fosse salito sull’albero della Croce col carico dei peccati degli uomini, noi non saremmo mai scesi nelle acque purificatrici del Battesimo per il lavacro della rigenerazione e il recupero della nostra innocenza dinanzi al Padre «veramente santo e fonte di ogni santità»7. Se Gesù non avesse compiuto tutto sulla Croce dinanzi al Padre, non sarebbe incominciato nulla nel Battesimo per la nostra salvezza:

«Il cristiano viene battezzato in nome di colui che ha eseguito fino in fondo, di colui che sulla croce ha portato via in anticipo la colpa del peccatore, affinché questi al momento del battesimo sia rigenerato e stia dinanzi all’opera compiuta dal Signore come un bimbo innocente. E poiché il Figlio non la rivendica personalmente a sé, essa è tanto opera compiuta dal Dio uno e trino quanto opera compiuta ... dalla Chiesa»88.

Il Battesimo però non è solo effetto della Croce, ma ne è anche sacramento; in esso infatti si partecipa alla morte di Gesù: siamo sepolti nella sua morte (cfr. Rm 6,5.4)9. Questo significa che il Battesimo ne fa memoria e crea una somiglianza fra una nostra attuale esperienza (sacramentale) e l’esperienza estrema dell’esistenza storica di Gesù. La somiglianza della morte di Cristo col nostro Battesimo è perciò attuazione nel presente di quella morte agli occhi del Padre, morte alla quale partecipiamo nella realtà nascosta sotto forma di una similitudine che è misteriosamente reale, perché, per la potenza di Dio, produce e contiene ciò che significa.

2. Nel Battesimo si diventa «figli della Risurrezione». Il Battesimo è sacramento di vita per eccellenza poiché fa risorgere con Cristo (cfr. Rm 8,15; Gal 4,5) e, più ancora, rende partecipi della vita di Dio e dell’adozione a suoi figli (cfr. 1 Pt 2,9). Come attestano le formule di benedizione dell’acqua, esso è lavacro di rigenerazione dei figli di Dio e di rinascita che viene dall’alto10. Il Battesimo viene dalla Risurrezione di Gesù e porta alla Risurrezione dell’uomo. Può farlo perché partecipa della vittoria di Gesù sulla morte, del suo trionfo sulla causa della morte, che è il peccato; ora, questa vittoria e questo trionfo si hanno proprio con la Risurrezione. I battezzati sono pertanto «figli della risurrezione» (Lc 20,36) perché la glorificazione pasquale (comprendente anche l’Ascensione) ha innalzato Gesù alla destra del Padre (cfr. Sal 1) rendendolo capace di offrire anche agli uomini la Risurrezione e la «vita nuova» (cfr. Col 2,12ss).

Innestando in Cristo, il Battesimo arreca necessariamente una novità di vita: «Se uno è in Cristo, è una creatura nuova» (2 Cor 5,17); crea pertanto la conformazione a Cristo realizzando l’unione alla sua Risurrezione11. Cosicché, dopo che il catecumeno s’è immerso nella morte del

7MESSALE ROMANO, Prece Eucaristica II.

8 A. VON SPEYR, Parole della Croce e Sacramenti, Morcelliana, Brescia 1976, p. 55.

9 Cfr. anche: CONCILIO ECUM.VAT.II, Cost. dogm. Sacrosanctum Concilum, n. 6.

10 Cfr. CONCILIO ECUM.VAT.II, Cost. dogm. Sacrosanctum Concilum, n. 6.

11 Cfr. CONCILIO ECUM.VAT.II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 7.

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Cristo mediante il Battesimo, in lui si crea un’esigenza di entrare nella vita nuova del Risorto (cfr.

1 Pt 3,18-21). L’unione sacramentale con Cristo nel Battesimo può essere considerata, in maniera molto vera, una «con-risurrezione» e una «con-vivificazione» insieme al Cristo, cosicché pure il battezzato esperimenta in sé la realtà dell’evento-Cristo (cfr. Rm 6,4-5; Gal 2,19s; Ef 2,5s; Col 3,1). Comprendiamo meglio il coinvolgimento battesimale alla condizione del Risorto se consideriamo Cristo in paragone con Adamo (cfr. Rm 5,12-21; 1 Cor 15,20-22.45-49). Cristo è il progenitore della nuova umanità salvata e, come «primogenito di molti fratelli» (Rm 8,29), aggrega a sé, proprio per mezzo del Battesimo, altre membra per la «nuova creazione» (2 Cor 5,17; Gal 6,15).

2. Una domanda critica sul Battesimo cristiano. Non s’intende qui porre tante interrogazioni sul Battesimo né dare risposte esaustive sui tanti aspetti di questo «sacramento maggiore» (Pietro Abelardo). Si pongono solo due domande (la prima più classica e teologica, la seconda più esistenziale e attuale): all’una e all’altra si daranno sbozzi di risposta, indicando tracce di soluzione per la prima e d’impegno operativo-pastorale per la seconda.

1. Il Battesimo è necessario per la salvezza? Per comprendere il senso del Battesimo in tutta la sua ampiezza, bisogna guardare come esso era vissuto dai discepoli di Gesù nella Chiesa antica.

Durante la prima Pentecoste cristiana coloro che stavano ascoltando Pietro sono feriti nel più profondo di se stessi quando compresero che non avevano saputo riconoscere in Gesù l’Inviato di Dio. Sotto il peso del rimpianto essi chiedono agli Apostoli: «Che dobbiamo fare?». E Pietro risponde: «Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; poi riceverete il dono dello Spirito Santo» (At 2,37-38). Questo significa che il Battesimo esprime da una parte la metanoia, ossia il cambiamento fondamentale nell’orientamento della propria vita provocato dall’incontro con Dio, d’altra invece l’accoglienza dello Spirito che fa dell’uomo una creatura nuova (cfr. 2 Cor 5,17), trasformando lo sterile rimpianto nel pentimento, porta d’entrata in una vita di comunione. Così, lungi dall’essere un semplice rito esteriore per segnare un’appartenenza solo sociologica, il Battesimo significa la trasformazione profonda dell’essere umano che avviene grazie al Soffio di Dio: in qualche modo si è sotto l’ala di una “Pentecoste continua” che costruisce la Chiesa lungo i secoli12.

Aprendo il suo cuore alla novità di Dio, il battezzato accoglie un germe di Vita che lo trasformerà e gli permetterà di condurre una vita nuova (cfr. 1 Pt 1,22-23). Poiché questa vita è essenzialmente una pro-esistenza, essa ha necessariamente una dimensione esteriore. La trasformazione del cuore resta l’essenziale, ma essa s’esprime con un cambiamento concreto nel modo di vivere che si fa riconoscere per l’appartenenza a una comunità di preghiera e di condivisione dalle dimensioni universali (cfr. At 2,42-47). «Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede», dice san Giovanni (1 Gv 4,20). Non si tratta di provare un sentimento d’amore umano, ma di condurre una vita con gli altri che concretizzi la comunione col Dio invisibile. Il Battesimo è dunque anche un gesto pubblico col quale la comunità dei credenti accoglie nel suo seno un nuovo membro che vivrà un personale rapporto filiale con Dio insieme a un solidale e visibile rapporto fraterno con gli uomini.

Dio vuole per gli uomini la vita in pienezza e questi possono avere accesso a tale vita nel suo Figlio (cfr. 1 Gv 5,11), che è il «sì» definitivo di Dio verso di noi e, in concreto, col Battesimo egli associa al suo «sì» che diventa il «sì» che gli uomini dicono in risposta a Dio (cfr. 2 Cor 1,19-20).

Questo «sì», pronunciato durante il Battesimo dalla Chiesa a nome dei suoi figli o insieme a loro, sarà poi concretizzato in tutte le scelte piccole o grandi che questi fanno per vivere la loro fede. In questo senso si può dire che l’esistenza cristiana, nel suo insieme, è una concretizzazione del «sì»

pronunciato nel Battesimo mediante la Chiesa o in seno a essa dai figli di Dio. Coloro che sono stati battezzati in giovanissima età e il cui impegno è stato preso per loro dalla Chiesa, così come

12 Cfr. M.G.MASCIARELLI,Pentecoste continua. Il vento dello Spirito su Cristo Maria e la Chiesa, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2007.

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quelli che hanno chiesto personalmente il sacramento, sono tutti chiamati a esprimere il senso del Battesimo nella loro esistenza quotidiana mettendosi sempre e di nuovo in cammino sulle tracce del Cristo con atteggiamento e stile discepolare.

2. Un duplice Battesimo di desiderio. L’indiscussa necessità del Battesimo per la salvezza porta a porre il problema sul modo in cui questo ‘sacramento maggiore’ debba essere ricevuto. Le aporie o problematicità che si pongono o si frappongono dentro l’affermazione della necessità del Battesimo non sono poche. Ci si chiede, ad esempio, come si possa e si debba affermare che esso sia necessario, nei confronti di casi come i bambini morti senza poter ricevere il Battesimo, mentre popoli interi non hanno mai sentito l’annuncio su Gesù e meno ancora hanno avuto modo di fare esperienza cristiana. Sappiamo che s’è parlato e si parla ancora del cosiddetto

“Battesimo di desiderio” già da epoca patristica. Sant’Ambrogio, ad esempio, evocava questo tipo di Battesimo allorché scriveva:

«Sento che voi siete addolorati perché [l’imperatore Valentiniano II] non ha ricevuto il sacramento del battesimo [prima di morire]. Ditemi: che altro dipende da noi se non l’intenzione, la richiesta di riceverlo? Orbene, anche poco fa aveva questo desiderio, di essere cioè iniziato prima di venire in Italia, e mi espresse la volontà di essere battezzato da me al più presto e per tale motivo, a preferenza di ogni altro, decise di farmi chiamare. Non ha dunque la grazia che ha desiderato, non ha la grazia che ha insistentemente richiesto? E siccome l’ha richiesta, l’ha ricevuta, anche secondo quel detto: “Qualunque sia la morte che ha colto immaturamente il giusto, la sua anima avrà riposo”»13.

Ma ancora oggi la Chiesa parla del “Battesimo di desiderio” in modo convinto e sicuro, dopo aver ricordato l’altra forma del Battesimo, che è quella “di sangue”:

— «Da sempre la Chiesa è fermamente convinta che quanti subiscono la morte a motivo della fede, senza aver ricevuto il Battesimo, vengono battezzati mediante la loro stessa morte per Cristo e con lui. Questo Battesimo di sangue, come pure il desiderio del Battesimo, porta i frutti del Battesimo, anche senza essere sacramento»14.

— «Per i catecumeni che muoiono prima del Battesimo, il loro desiderio esplicito di riceverlo, unito al pentimento dei propri peccati e alla carità, assicura loro la salvezza che non hanno potuto ricevere mediante il sacramento»15.

Ma il discorso va necessariamente completato: è il caso di parlare di un secondo “Battesimo di desiderio” che, di fatto e implicitamente, viene insegnato, ma che non è affatto esplicitato. Anzi, questo “Battesimo di desiderio” ha una base biblica più forte del primo ora rievocato. Si tratta del desiderio di Gesù di battezzare, anzi della sua volontà esplicita di portare il Battesimo (cfr. Mt 28,20).

Si tratta del desiderio della Chiesa di battezzare tutti, in ubbidienza al comando di Gesù, anche se il suo cammino missionario non adegua pienamente il desiderio e il comando di Gesù. Tuttavia, resta la domanda: come considerare atto di Battesimo un desiderio di fatto non realizzato? La risposta non può darsi che in un’ottica trinitaria: «Dio vuole che tutti gli uomini si salvino e arrivino alla conoscenza della verità. Perché uno solo è Dio, e uno solo il mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Gesù Cristo, che ha dato sé stesso in riscatto per tutti» (1 Tm 2,4-6). Lo Spirito, da parte sua, soffia dove vuole e conserva, attualizza e diffonde l’opera universale-salvifica di Gesù. In modo appropriato, il Padre, che è sulla testa di chi desidera battezzare e di chi desidera di essere battezzato, tiene conto dei due desideri del Battesimo e li soddisfa premiandoli.

13In morte di Valentiniano, 51-53, Biblioteca Ambrosiana-Città Nuova, Milano-Roma 1985, pp. 192-195).

14 Catechismo della Chiesa Cattolica (1992) (= CCC), n. 1258.

15 CCC, n. 1259.

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U

NA PRIMA CONCLUSIONE Il Battesimo è tutto il cristianesimo

Nell’esperienza del Battesimo – l’atto sacramentale e la conseguente opera testimoniale del Battesimo – passa l’intera esistenza cristiana, come si evince dall’insegnamento di Paolo:

1. il Battesimo salva rendendo figli, ossia portando gli uomini al vertice della salvezza che è proprio la figliolanza divina: a motivo della rinascita (cfr. Gv 3; 1 Pt 1,3), il battezzato è diventato «nuova creazione» (2 Cor 5,17) ed è costituito figlio (Rm 8,29; Gal 4,4ss);

2. il Battesimo fa cristiani perché incorpora a Cristo, il modo fondamentale più forte per dire che si diventa cristiani: il Battesimo produce ed esige un “rivestirsi” di Cristo (cfr. Gal 3,27ss; Rm 13,14; Col 3,10; Ef 4,23);

3. il Battesimo fa ecclesiali per l’incorporazione alla santa realtà della Chiesa: il battezzato «viene situato» in una comunità di Cristo che già esiste (cfr. At 2,41; 1 Cor 12,13);

4. il Battesimo crea il diritto di grazia alla Gloria: nel sigillo della sua fede battesimale (cfr. 2 Cor 1,22; Ef 1,13; 4,3) il cristiano ha ottenuto il pegno dell’eredità (Ef 1,14), la caparra dello Spirito (2 Cor 1,22; 5,5; Rm 8,14ss; 8,23), perché ora possa condurre una vita conseguente (Col e Ef passim);

5. il Battesimo regge la vita cristiana: da esso dipende l’intera trama della vita discepolare: la remissione dei peccati (cfr. At 2,38), la purificazione (cfr. Ef. 5,26; 1 Cor. 6,11), l’aspersione del cuore per la liberazione della cattiva coscienza (cfr. Eb 10,22), ma anche la liberazione dalla morte, conseguenza del peccato (cfr. Rm 6), la salvezza nel giorno del giudizio (cfr. At 2, 40.47; Tt 3,5 ecc.). Gli effetti prodotti dai doni dello Spirito (cfr. At passim) prodotti nella Pentecoste battesimale sono: la nascita dall’alto (Gv 3,5; cfr. 1, 13), la rinascita e il rinnovamento (cfr. Tit 3,5), la santificazione e la giustificazione (cfr. 1 Cor 6,11; Rm 6; Tt 3,5).

P ARTE S ECONDA

I L B ATTESIMO ,

INIZIAZIONE ALLA C HIESA

E ALLA MISSIONE

1

P RIMA RIFLESSIONE TEOLOGICA Dalla Famiglia trinitaria alla Famiglia ecclesiale

1. Il Battistero è una culla: il Battesimo è una nascita. Il Battesimo s’inserisce nel dinamismo trinitario della missione rappresentandovi un momento decisivo16. Con l’evento trinitario del Battesimo la missione si esprime nella maniera più essenziale e più fruttuosa: per esso si espande la Chiesa e con essa viene sacramentalmente il Regno di Dio: per mezzo del Battesimo infatti si diffonde la «vera religione». Afferma il Concilio Vaticano II: «Crediamo che questa unica vera religione sussiste nella Chiesa cattolica e apostolica, alla quale il Signore Gesù ha affidato il compito di comunicarla a tutti gli uomini, dicendo agli apostoli: “Andate dunque, istruite tutte le

16 CONCILIO ECUM.VAT.II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 17; cfr. Decr. Ad gentes, n. 5.

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genti, battezzandole17 nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro a osservare tutto quello che vi ho comandato” (Mt 28,19-20)»18.

1. Il Battesimo, evento trinitario. Il Battesimo, evento natalizio della Chiesa, è strutturalmente e radicalmente evento trinitario. Si è battezzati nel nome della Trinità19, volendo intendere non «per conto, su commissione» della Trinità, ma dall’azione trinitaria: «La formula trinitaria non viene applicata al battezzato così come si appone lo stampo del padrone sulle cose che possiede. La formula indica piuttosto la partecipazione del battezzato alla comunione che, nel mistero profondo di Dio, unisce il Padre e il Figlio e lo Spirito santo»20. Ci si rende ben conto allora perché Gesù ha rivolto al Padre questa invocazione: «Fa’ che siano tutti una cosa sola: come tu, Padre, sei in me e io in te, anch’essi siano in noi ... Padre, voglio che dove sono io, siano anche quelli che tu mi hai dato, perché vedano la gloria che tu mi hai dato» (Gv 17,24). San Giovanni della Croce, commentando questo passo del quarto Vangelo, esprime con grande potenza espressiva l’intima comunione trinitaria che il Cristo invoca per noi dal Padre:

«Questa invocazione di Gesù non va intesa nel senso che il Figlio e i santi siano una cosa sola essenzialmente e naturalmente come lo sono il Padre e il Figlio ma che lo siano per unione di amore come il Padre e il Figlio vivono in unità di amore. Perciò, le anime possiedono per partecipazione gli stessi beni che egli possiede per natura. In forza di ciò esse sono veramente Dio per partecipazione, uguali a lui e sue compagne»21.

Il Battesimo chiama e abilita a partecipare alla comunione delle tre persone divine. Rinati in Cristo a una vita nuova, i battezzati appartengono a Cristo e a lui sono intimamente associati; ma, nello stesso tempo, essi sono uniti al Padre e allo Spirito, poiché sono stati battezzati nel nome della Trinità: in tal modo sono diventati infatti figli adottivi del Padre (cfr. Gal 4,5), tempio dello Spirito (cfr. 1 Cor 6,19), fratelli e coeredi di Cristo, viventi profondamente e intimamente della sua stessa vita e destinati a condividere la sua gloria (cfr. Rm 8,17). Nel Battesimo la Trinità costruisce la Chiesa trinitariamente: nel senso che l’intera Trinità opera per generarla e nel senso che la Trinità compie tale generazione in forma trinitaria: il Padre opera da Padre, il Figlio da Figlio, lo Spirito da Spirito. Si può dire che ognuna delle tre persone divine, per così dire lascia alla Chiesa il suo particolare dono legato all’irriducibile e incomunicabile condizione personale: di Padre la prima persona, di Figlio la seconda, di Spirito la terza.

2. Il Battesimo fa la Chiesa. Alla domanda personalistica: – Chi è la Chiesa?, così come la formulerebbe Maritain22, si può rispondere solo tentando prima di dare una risposta alla domanda trinitaria: – Chi è il Padre, chi è il Figlio, chi è lo Spirito? A questa domanda non è facile, evidentemente dare una risposta completa – fra l’altro impossibile –, ma soltanto dire qualcosa di essenziale, di «caratteristico», di tipico di ognuna delle tre persone divine, ognuna della quali caratterizza la fisionomia della Chiesa, dandole in tal modo forma trinitaria.

a) La Chiesa nata dal Battesimo è un popolo trinitario. È evidente che la comprensione trinitaria della Chiesa rimandi a una comprensione trinitaria di Dio; un Dio inteso solo monoteisticamente, senza un’effettiva articolazione trinitaria della sua esistenza e del suo operare, non è il Dio a cui ci si possa riferire, per interpretare e comprendere la Chiesa. Ora il problema è di come debba essere

17 Il corsivo è nostro.

18 CONCILIO ECUM.VAT.II, Dich. Dignitatis humanae, n. 1.

19 «Riguardo al battesimo, battezzate in questo modo: avendo bene esposto tutti i precetti, battezzate nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo in acqua corrente» (Didaché, 7,1). Cfr. anche: S. GIUSTINO, Apol. I 61,2-12;

TERTULLIANO, De Bapt., 6,2; S.AMBROGIO, De Sacram., II, 5,19; 7,20; III, 1,1.

20 CONVERENZA EPISCOPALE ITALIANA COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Signore, da chi andremo? Catechismo degli adulti (1981), n. 227.

21 Cantico spirituale, 39, 5-6.

22 Cfr.J.MARITAIN, La Chiesa del Cristo. La persona della Chiesa e il suo personale, Morcelliana, Brescia 19773.

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l’interpretazione trinitaria di Dio. Come intendere, allora, che Dio è Padre?23. Basti un solo esempio riferito alla concezione del Padre: c’è un’interpretazione nota che pensa Dio come «padre primordiale» (J. W. von Goethe), cioè come «autorità suprema dell’universo», come «padre universale alla pari di Zeus», come padre perché onnipotente e onnipotente perché creatore e signore del cielo e della terra. Va subito detto che questa non è un’interpretazione di Dio padre di tipo cristiano e, dunque, trinitario24.

Chiarito che non un qualunque Dio e nemmeno un Dio in un qualunque modo padre (ad esempio non quello che è Padre in senso ideologico-religioso-politico) può essere il Dio a cui può ispirarsi la Chiesa nella sua esistenza, c’è da chiedersi che cosa comporti un Dio trinitario quando genera un popolo di figli. La risposta a questo quesito, a un livello molto sintetico, è facile darla:

comporta che sia un popolo trinitario. Se il Padre trinitario, nella sua vita ad intra è Padre in riferimento al Figlio, questa posizione verso il Figlio che è la posizione paterna, deve rimanere anche ad extra nell’atto in cui il Padre, nel Battesimo, effonde la sua paternità per creare e generare la Chiesa. Come Dio è Padre solo di fronte al Figlio, così il suo essere Padre anche di fronte agli uomini (è questa la causa generativa della Chiesa) non può avvenire senza che il Padre resti nella sua indimissibile posizione paterna, che è l’essere verso il Figlio.

b) Generazione trinitaria e generazione ecclesiale. Se il Battesimo è una generazione, questa può essere solo una generazione trinitaria, nella quale viene data la vita non genericamente da Dio, ma dal Dio trinitario; deve trattarsi perciò di una generazione in cui vi sia implicato, oltre al Padre (non si dà generazione senza paternità), anche il Figlio. Nella generazione battesimale della Chiesa non ci è Padre Gesù Cristo: il «Padre nostro» del Battesimo è lo stesso Padre del Figlio esistente nella vita immanente della Trinità. C’è profonda coerenza fra immanenza trinitaria ed economia trinitaria – Rahner direbbe che c’è identità25 –, tanto che il Padre non ci potrebbe essere Padre senza il Figlio, perché senza il Figlio egli non solo non sarebbe Padre di noi, ma non lo sarebbe affatto.

L’antica Chiesa vedeva il Battesimo sullo sfondo cristologico-trinitario secondo lo schema a, per, in, ad. Il primo sacramento veniva subito pensato come una ri-generazione a opera della Trinità; questa rigenerazione veniva concepita come un essere immessi nel circolo della comunione trinitaria, inaugurandosi così l’esistenza nuova della Chiesa che consiste, a sua volta, nel ricevere il germe incorruttibile della vita nuova, della vita di grazia quale vita di figli adottivi del Padre:

23 La qualificazione trinitaria di Dio Padre non coincide con la qualificazione che se ne potrebbe dare in una prospettiva ideologica. È dalla rivelazione specificamente cristiana e dalla riflessione su di essa che, noi possiamo sapere e dire come Dio Padre è Padre e ... per chi lo è. L’originalità del discorso rivelato-cristiano su Dio evidentemente non consiste solo nell’affermazione che Dio è Padre, poiché essa si estende essenzialmente anche all’affermazione sulla qualità e sull’ambito di questa paternità. Si tratta di fare un discorso cristiano su Dio in tutto. E cosa comporta un discorso completamente cristiano su Dio? Comporta che il Cristo non possa essere considerato solo come il Figlio che si pone di fronte al Padre come suo rivelatore, ma anche come colui che è il Figlio di fronte a cui il Padre è Padre. Dio è il Padre del suo Figlio unigenito, che divenne il nostro Fratello primogenito e necessario. Rispetto a questo Figlio Dio è qualificato come Padre. La sua paternità è data e determinata dalla relazione a questo Figlio e dalla relazione di questo Figlio a lui.

24 Un’interpretazione non trinitaria di Dio Padre è, ad un tempo, impossibile dal punto di vista di una teologia fedele alla rivelazione e davvero segnata dalla dimensione cristologica; sarebbe invece possibile parlare di Dio Padre non trinitariamente, solo in una prospettiva che da teologico-rivelata si facesse ideologico-religiosa: «Dio o viene compreso Padre in modo trinitario, o non può essere compreso come Padre. Ma chi vuole intendere il Dio trinitario come Padre, deve dimenticare le raffigurazioni della sua religione patriarcale, del super-Io, del Padre di famiglia, del padre della patria, e pure la “provvidenza paterna”, per indirizzare il suo sguardo soltanto alla vita ed al messaggio del Fratello Gesù: nella comunione con il Figlio unigenito comprenderà allora che il Padre di Gesù Cristo è anche suo Padre e capirà cosa significhi la paternità divina. Il concetto di Padre è dunque un concetto teologico e più precisamente trinitario, non una raffigurazione di tipo cosmologico o politico-religioso» (J. MOLTMANN, Trinità e Regno di Dio. La dottrina su Dio, Queriniana, Brescia 1983, p. 177).

25 K. RAHNER, Il Dio Trino come fondamento originario e trascendente della storia della salvezza, in Mysterium salutis, III, Queriniana, Brescia 1969, p. 124.

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«Ecco quello che ci attesta la fede, secondo ciò che gli anziani, i discepoli degli apostoli, ci hanno trasmesso. Anzitutto ci obbliga a ricordarci che noi abbiamo ricevuto il battesimo per la remissione dei peccati nel nome di Dio il Padre, e nel nome di Gesù Cristo, il Figlio di Dio, e nello Spirito santo di Dio ... Perciò i1 battesimo che ci rigenera ci è conferito attraverso questi tre articoli26 e ci garantisce la rinascita in Dio il Padre, per mezzo del suo Figlio, per lo Spirito santo. Perché coloro che ricevono lo Spirito di Dio, sono condotti al Verbo, cioè al Figlio; ma il Figlio li riceve e li presenta al Padre e il Padre conferisce loro l’incorruttibilità»27. 3. Il Battesimo, porta del popolo trinitario. Cristologico-trinitaria era in antico la struttura della professione battesimale della fede. Tutto il Credo che veniva posto come contesto del rito del battesimo era strutturato trinitariamente. Il battezzando prima di ricevere il sacramento doveva rispondere «credo» a tre interrogazioni28:

«Credi tu in Dio, il Padre onnipotente? ... Credi tu nel Cristo Gesù, il Figlio di Dio, nato dallo Spirito santo e dalla vergine Maria, e crocifisso sotto Ponzio Pilato, che morì (e fu sepolto) e il terzo giorno risuscitò vivo dai morti e salì ai cieli e siede alla destra del Padre e deve venire a giudicare i vivi e i morti? ... Credi allo Spirito santo nella santa chiesa per la risurrezione della carne»29.

Il Battesimo immette nel popolo trinitario; l’ammissione al Regno è una ammissione battesimale-trinitaria: «Nessuno, se non nasce da acqua e da Spirito, può entrare nel Regno di Dio» (Gv 3, 5). Perciò la missione, che è destinata alla venuta del Regno, è mediata dalla diffusione della grazia trinitaria del (cfr. Mt 28,19). Rinato in Cristo a nuova vita, il battezzato diviene proprietà di Cristo ed è a lui intimamente associato (cfr. Rm 6, 3-4; Gal 3, 26-29; Col 2,12-14.20). Tuttavia, mentre è unito a Cristo, è unito anche al Padre e allo Spirito, poiché egli è stato battezzato «nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo»: in tal modo egli diventa figlio adottivo del Padre (Gal 4,5), fratello e coerede di Cristo (Rm 8,17, tempio dello Spirito (cfr.

1 Cor 6,19). La Chiesa è pertanto la comunità di quelli che, credendo nel Cristo risorto, sono battezzati nel nome della Trinità e hanno come frutto dell’atto battesimale la partecipazione reale al mistero dell’unità trinitaria mediante l’inserimento al corpo ecclesiale del Signore (cfr. Ef 4,45).

Nell’evento del Battesimo la vera novità è una novitas natalis, perché la Chiesa è generata dalla Trinità, e perché è chiamata a esercitare la sua maternità per generare nuovi figli in vista dell’accrescimento del popolo trinitario. La più evidente realtà, cui siamo posti di fronte nel Battesimo è pertanto la maternità della Chiesa30.

2. Il Battistero è una tomba: il Battesimo è una morte. Paolo ha descritto la vita cristiana come un continuo e crescente radicarsi dei fedeli nei misteri della vita di Cristo. Se tutto di noi è con lui e in lui, anche la morte lo è. Moriamo in Cristo, perché siamo di lui: «Nessuno di noi infatti vive per sé stesso, e nessuno muore per sé stesso; perché, se viviamo, viviamo per il Signore; e se moriamo, moriamo per il Signore. Sia dunque che viviamo o che moriamo, siamo del Signore. Poiché a questo fine Cristo è morto ed è tornato in vita: per essere il Signore sia dei morti sia dei viventi» (Rm 14,7-9). Come potrebbe accadere che il continuo vivere con Cristo e in Cristo s’interrompesse nella morte? Se tutto di noi è con lui e in lui, anche la morte lo è.

26 Precedentemente Ireneo parla dei tre articoli del Credo: il primo in Dio Padre, il secondo in Gesù Cristo, il terzo nello Spirito santo.

27S.IRENEO, Demonstr. 3; 7.

28 Questa triplice interrogazione secondo le tre parti del simbolo, seguita dalla triplice risposta del candidato al battesimo e dalla triplice immersione fatta senz’altra formula fu l’unica forma battesimale nell’antichìtà cristiana (cfr.

A.STENZEL, Il battesimo, Alba 1962, 129-145).

29 B.BOTTE, La tradition apostolique de Saint Hippolyte, Münster i. W. 1963, 49-51; cfr. anche: S.AMBROGIO, De sacr. II, 6, 16; 17, 20, 22.

30 Sulla maternità feconda esercitata dalla chiesa nel battesimo, cfr. M.MAGRASSI, Vivere la liturgia, La Scala, Noci (BA) 1978, 122-127; Id., Diventa quello che sei. Dal battesimo a una maternità di fede e coerenza di vita, Elledici, Torino-Leumann 1983, pp. 37-48.

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1. Il Battesimo lega a Cristo per la vita. Fin dal momento del Battesimo «quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte» (Rm 6,3): fin dal Battesimo, inizia perciò l’impegno di assimilazione a Cristo per essere partecipi della sua morte, ma questa non è l’unica e ultima assimilazione a Cristo: si è assimilati alla morte di Cristo perché si è chiamati a essere assimilati alla sua vita, dal momento che morte e vita non si possono separare mai quando si parla di Cristo in sé e di Cristo per noi: egli infatti ha aggiunto alla data della morte, che poteva essere l’ultima data della vita dell’uomo, quella gloriosa della risurrezione. Nessuno meglio di Paolo sa dire questo: egli è il teologo insuperabile del con-morire con Cristo e del Battesimo che questo con-morire realizza in modo sacramentale: in esso – egli afferma – «siamo stati sepolti insieme a Cristo nella morte, perché come lui fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione»

(Rm 6,4-5).

L’unione con Cristo nella morte è per Paolo un termine di simmetria con l’unione con Cristo nella Risurrezione: egli non scinde mai il mistero pasquale, dimostrando così che la morte non è un tema in sé conchiuso per il cristianesimo, ma solo un primo termine di esso: quasi a dire che la Croce di Gesù sarebbe un’astrazione senza la Risurrezione, o anche che essa, se fosse in sé conchiusa, sarebbe un evento brutale, che complicherebbe senza scampo e senza uscita di sicurezza l’idea stessa di Dio insieme al tema della salvezza dell’uomo. Lo sforzo della teologia contemporanea di evidenziare l’unione sacramentale del credente con Cristo aiuta comprendere l’unione sacramentale di lui con la morte di Cristo e determina altresì l’incidenza che essa deve avere sul vivere del cristiano e anche sul suo morire31.

2. Il Battesimo lega a Cristo per la morte. Il morire con Cristo è una verità da un certo punto di vista seconda perché è la conseguenza di un’altra verità e di un’altra esperienza, anzitutto della verità che gli uomini sono di Cristo e appartengono a lui (cfr. Rm 1,6-7; 1 Cor 3,23)32. Il tema dell’appartenenza a Cristo è per il cristiano un tema capitale e totale, nel senso che da solo basta a dire chi sia il cristiano; per cui ogni volta che si riflette sull’identità cristiana si evoca l’appartenenza a Cristo, tema che resta sempre attuale33. Come Cristo chiamava la propria morte un battesimo, così san Paolo intende il nostro Battesimo come un ingresso e una partecipazione al mistero della morte e della Risurrezione di Cristo (cfr. Rm 6,2-11; Col 2,12; Ef 5,26), come già la simbologia battesimale sa ben spiegare. «Il Battesimo, il cui segno originale e plenario è l’immersione, significa efficacemente la discesa nella tomba del cristiano che muore al peccato con Cristo in vista di una vita nuova»34. La morte è l’ultima realizzazione e l’estrema conferma del Battesimo dei cristiani, compimento della loro morte al peccato e ingresso nella Risurrezione del Cristo. Per questo Paolo giunge a dire: «Per me infatti vivere è Cristo e il morire un guadagno [...], ma continuare a vivere nella carne è più necessario per il vostro bene » (Fil 1,21.24).

Il Battesimo, origine e qualificazione di tutta la vita cristiana, offre anche il fondamento all’esistere-per-la-morte del cristiano, per cui il modo heideggeriano di dire che l’uomo è un essere fatto per la morte esprime solo qualcosa della stessa affermazione che fa il cristianesimo, per il quale «la “mortalità” dell’uomo è “cristologicamente” determinata. Il suo morire è, di diritto, un

31 G.MOIOLI, L’«Escatologico» cristiano. Proposta sistematica, Glossa, Milano 1994, p. 261.

32 Cfr. l’intervento di don Luigi Giussani alla Giornata di fine-anno degli adulti di CL [Assago, 30 maggio 1992)]. Una versione più sintetica del testo in questione si trova in CL-Litterae Communionis con il titolo: L’appartenenza sorgente di moralità e di cultura (7-8, 1992, inserto), poi riproposta nel volume miscellaneo: L’avvenimento cristiano. Uomo Chiesa Mondo, Rizzoli, Milano 1993, pp. 71-77.

33 Questa identità cristiana intesa come legame misterico-sacramentale con Cristo è la matrice dell’identità cristiana concepita come comportamento, atteggiamento e stile del cristiano nella sua presenza nel mondo fra le realtà storiche, terrene e temporali (cfr. di E. Bianchi: Cristiani nella società, Rizzoli, Milano 2003; La differenza cristiana, Einaudi, Milano 2006).

34 CCC, n. 628.

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morire in Cristo»35. Questo diritto (evidentemente di grazia) di morire in Cristo è un esito del Battesimo, evento nel quale diventa realistico quanto afferma Paolo: «Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore» (Rm 14,9). Il Battesimo orienta a Cristo la vita e il morire del cristiano; in un certo senso battezza la sua esistenza e la sua morte: essere completamente di Cristo significa esserlo da sempre (predestinazione e creazione), nel frattempo (nel tempo dell’esistenza cristiana) e per sempre (nella morte e al di là di essa).

3. Il Battesimo è la morte al peccato. La situazione radicale dell’essere in Cristo, con Cristo e per Cristo, in sola espressione riassuntiva dell’essere di Cristo, è creata su un piano vitale p di ontologia di grazia dal Battesimo. «Così la vita del cristiano, in quanto è morte al peccato e vita per Dio in Cristo Gesù, ma anche in quanto esperimenta nella sofferenza una specie di “prolixitas mortis” che si cerca di assumere in coerenza con la logica della morte al peccato e della vita per Iddio, è obbiettivamente un procedere verso la morte-che-salva»36. C’è un passaggio che non va dimenticato nel nostro discorso sull’esperienza del con-morire dei credenti in Cristo. Il Cristo, facendo immergere l’uomo nel suo mistero, gli fa compiere l’esperienza della morte al peccato:

«Sappiamo bene – scrive Paolo – che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. Infatti chi è morto, è ormai libero dal peccato» (Rm 6,6-7). Con l’infinito paradosso della Croce il Cristo inchioda mortalmente il peccato dell’uomo, uccidendolo; così la morte, invece di mostrare debolezza, sprigiona forza e dinamismi irresistibili, che operano il trapasso verso la vita: «Ma se siamo morti con Cristo, – continua Paolo – crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui» (Rm 6,8-9). Gesù, con la sua morte, distrugge il peccato che è causa della morte (cfr. Rm 5,12) e apre un varco nel regno della Gloria.

Durante la vita terrena dei cristiani, perciò, la morte e la risurrezione sono già una sola realtà, che progredisce lungo tutta l’esistenza da loro trascorsa. I cristiani vivono la loro esperienza discepolare portando sempre e dovunque la morte di Gesù nel loro corpo, perché anche la vita di Gesù sia manifestata in esso (cfr. 2 Cor 4,10-12). Tuttavia morte e vita implicano per loro ancora un avvenire: essi infatti sono morti e la loro vita è nascosta con Cristo in Dio e, quando Cristo apparirà, allora anch’essi finiranno di morire con lui e appariranno anche con lui, rivestiti di gloria (cfr. Col 3,3-4).

2

S ECONDA RIFLESSIONE TEOLOGICA L’indole battesimale della Chiesa e della missione

1. Nel Battesimo diventiamo un ‘popolo di figli’ nel ‘Fratello necessario’. Il Battesimo è la prima esperienza trinitaria fatta dalla Chiesa antica e il primo ‘luogo teologico’ per la sua presa di coscienza sul mistero principale e fontale del cristianesimo. Questo chiede alla teologia del Battesimo di non dimenticare in nessun modo, anzi di valorizzare al massimo, la struttura trinitaria dei sacramenti, a cominciare proprio dal Battesimo, “porta” dell’intero edificio sacramentale, inizio dell’esistenza cristiana, atto che incorpora alla Chiesa rendendo ‘ecclesiali’ per sempre, creando cristiani-missionari che, conformati al Dio trinitario (il primo missionario…) e innestati nelle sue due permanenti missioni, vendono abilitati alla missione di piantare la Chiesa e il Regno.

35 G.MOIOLI, L’«Escatologico» cristiano. Proposta sistematica, p. 252.

36 G.MOIOLI, L’«Escatologico» cristiano. Proposta sistematica, p. 261.

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