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Analisi del processo di produzione di biodiesel in ambiente Aspen Plus

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Academic year: 2022

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Tesi di Laurea Triennale in Ingegneria Industriale

Analisi del processo di produzione di biodiesel in ambiente Aspen Plus®

Relatore Studente

Prof.ssa Prisciandaro Marina Marzia Romanelli

Correlatore Matricola

Prof.ssa Innocenzi Valentina 229737

A.A. 2019/2020

Università degli Studi dell’Aquila

Dipartimento di Ingegneria Industriale e dell'Informazione e di

Economia

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A Mamma, Papà e Marco, certezze della mia vita.

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Indice

Scopo della tesi ...7

Introduzione ...8

Capitolo 1: Le fonti energetiche ... 10

1.1 Produzioni energetiche in Italia ... 11

1.2 Produzioni energetiche in Europa ... 13

Capitolo 2: Gli effetti ambientali ... 15

2.1 Cause e conseguenze ... 15

2.1.1 Il buco dell’ozono ... 15

2.1.2 L’effetto serra ... 16

2.1.3 Le piogge acide ... 17

2.2 Misure adottate... 18

2.2.1 Protocollo di Montréal... 18

2.2.2 Protocollo di Kyoto ... 20

2.2.3 L’Accordo di Parigi ... 23

2.3 Pandemia e Impatto ambientale ... 24

Capitolo 3: I Biocarburanti ... 28

3.1 Emissioni di inquinanti atmosferici dovute ai trasporti ... 28

3.2 Carburanti a minore impatto ambientale ... 31

3.3 Il Biodiesel ... 35

3.3.1 Processo di produzione e materie prime... 36

3.3.2 Confronto tra Biodiesel e Diesel ... 39

Capitolo 4: Processo di produzione di Biodiesel a partire da olio di semi di soia con ASPEN Plus® ... 40

4.1 Analisi dello stato dell’arte ... 40

4.2 Analisi di processo ... 45

4.2.1 Sezione di reazione ... 49

4.2.2 Sezione di Purificazione del Biodiesel ... 50

4.2.3 Sezione di Purificazione del Glicerolo ... 52

Capitolo 5: Analisi di fattibilità tecnico-economica ... 54

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5.1 Studio di fattibilità tecnico-economica del processo di

produzione del biodiesel ... 54 5.2 Ottimizzazione di processo ... 63 5.3 Analisi di sensitività: effetto del prezzo di acquisto delle materie prime sulla fattibilità economica del processo di produzione del biodiesel ... 66 Capitolo 6: Conclusioni ... 68 Capitolo 7: Riferimenti bibliografici ... 70

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Indice delle figure

Figura 1 Domanda di energia primaria per fonte (ENEA 2020) ... 12

Figura 2 Consumi energetici finali per settore (ENEA 2020) ... 12

Figura 3 Produzione di energia primaria in Europa per fonte (Eurostat) ... 13

Figura 4 Evoluzione del buco dell'ozono (Meloni, 2019) ... 15

Figura 5 Scadenze Protocollo di Montréal (UFAM, 2020) ... 19

Figura 6 Riduzione buco dell’Ozono ... 20

Figura 7 Emissioni CO2 dovute ai combustibili fossili dal 1960 al 2019 ... 21

Figura 8 Emissioni NO2 (ANCLER) ... 25

Figura 9 Prezzi medi mensili dell’energia elettrica nelle principali borse europee (€/MWh) (ENEA 2020) ... 26

Figura 10 Maggiori produttori di biocarburanti (Sönnichsen, 2021) ... 33

Figura 11 Produzione di Biodiesel nel 2019 (Lorne and Bouter, 2020) ... 36

Figura 12 Reazione di formazione di un trigliceride ... 36

Figura 13 Reazione di transesterificazione (CTI 2000) ... 37

Figura 14 Reazione di transesterificazione dettagliata (Bergamin, 2013) ... 38

Figura 15 Schema di processo per la produzione di biodiesel da olio esausto . 39 Figura 16 Effetto della variazione della temperatura (Istiningrum et al., 2017) ... 41

Figura 17 Effetto della variazione del rapporto molare metanolo/olio (Musa, 2014) ... 42

Figura 18 Effetto della variazione di catalizzatore (Meng et al., 2008) ... 43

Figura 19 Effetto della variazione del tempo di reazione (Meng et al., 2008) . 43 Figura 20 Resa della produzione di biodiesel utilizzano etanolo (Silva et al., 2011) ... 44

Figura 21 Schema processo di produzione con ASPEN Plus® ... 48

Figura 22 Flowsheet sezione di reazione... 49

Figura 23 Flowsheet sezione di purificazione Biodiesel ... 50

Figura 24 Flowsheet sezione di purificazione Glicerolo ... 52

Figura 25 Diagramma costo di investimento per ciascuna sezione. ... 56

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Figura 26 Costo materie prime ... 57

Figura 27 Costo Utilities k€/anno... 58

Figura 28 Diagramma OPEX (k€/anno) ... 59

Figura 31 Diagramma ricavi annui ... 62

Figura 32 Schema processo di produzione con ASPEN Plus® con ricircolo della corrente FAME ... 64

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Indice delle tabelle

Tabella 1 Variazione emissioni CO2 in base al tipo di carburante (Q. ECO

NEWS, 2017) ... 29

Tabella 2 Emissioni CO (Gg) dal 1990 al 2018 causate dal trasporto stradale (ISPRA 2020) ... 30

Tabella 3 Emissioni PM10 (Gg) dal 1990 al 2018 causate dal trasporto stradale (ISPRA 2020) ... 30

Tabella 4 Emissioni NOx (Gg) dal 1990 al 2018 causate dal trasporto stradale (ISPRA 2020) ... 30

Tabella 5 Emissioni NMVOC (Gg) dal 1990 al 2018 causate dal trasporto stradale (ISPRA 2020) ... 31

Tabella 6 Consumi finali di energia nel settore dei Trasporti in Italia per modalità, anno 20018 (GSE, 2020) ... 34

Tabella 7 Bilancio globale di materia ... 47

Tabella 8 Bilanci di materia ... 48

Tabella 9 Calcolo CAPEX... 55

Tabella 10 Costo annuo materie prime ... 56

Tabella 11 Scarti dell’impianto k€/anno ... 58

Tabella 12 Costo annuo ammortamento ... 60

Tabella 13 Ricavi annui ... 62

Tabella 14 Profitti annuali ... 63

Tabella 15 Confronto CAPEX... 65

Tabella 16 Confronto Utilities ... 65

Tabella 17 Confronto profitti annui ... 65

Tabella 18 Aumento prezzi di acquisto delle materie prime del 25 % e 50% .. 66

Tabella 19 Confronto profitti annui ... 66

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Indice delle equazioni

Equazione 1 Neutralizzazione catalizzatore ... 46

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Scopo della tesi

Nel seguente elaborato di tesi viene proposto un processo base per la produzione di biodiesel utilizzando il simulatore Aspen Plus.

Prima di giungere alla descrizione vera e propria del processo di produzione, si ha una panoramica sui motivi per cui è nata la necessità di passare ai biocarburanti.

Inizialmente sono descritte le fonti energetiche, ponendo attenzione sulla differenza tra le fonti rinnovabili e non. Viene analizzata la domanda di energia in Italia e, più in generale, in Europa, mettendo in luce anche da quali fonti proviene questa energia e il suo utilizzo finale. Successivamente vengono messi in risalto i principali problemi che sono causati dal continuo sfruttamento delle fonti non rinnovabili, in particolare i combustibili fossili. Vengono, inoltre, descritti i provvedimenti che le nazioni unite hanno messo in atto attraverso protocolli e trattati. Più nel dettaglio, si focalizza l’attenzione sull’inquinamento causato dal trasporto e si introduce un’alternativa per i carburanti che derivano dal petrolio, il biodiesel. Avendo trovato una valida alternativa si passa dunque a descrivere un processo per far sì che questa soluzione si possa mettere in atto.

In ultimo si fa uno studio economico per verificare se il processo ha un ritorno monetario o se è solo un beneficio ambientale.

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Introduzione

Per i paesi il cui approvvigionamento energetico è fortemente dipendente dai combustibili fossili, è diventato di primaria importanza trovare valide soluzione economicamente sostenibili. L’aspetto negativo però non si ha solo da un punto di vista economico. Le riserve di combustibili fossili, largamente sfruttate per far fronte alla crescente domanda di energia, sono limitate e il loro uso continuo causa problemi non indifferenti all’ambiente, come emissioni di gas serra e riscaldamento globale. Inevitabilmente si hanno anche conseguenze per la salute dell’uomo, poiché l’aria che respira è inquinata. Nasce dunque, da parte degli Stati, la necessità di trovare una fonte alternativa che soddisfi in maniera economicamente vantaggiosa la produzione di energia. Questi ultimi hanno anche adottato misure anche a livello nazionale per far fronte all’utilizzo delle fonti non rinnovabili.

Una valida alternativa è stata trovata nell’utilizzo di fonte energetiche rinnovabili, come le biomasse.

Con il termine biomassa si intendono tutti quei materiali organici che possono essere utilizzati come combustibili (solidi, liquidi e gassosi), direttamente o in seguito a processi di trasformazione. Di particolare interesse è l’uso della biomassa nel settore dei trasporti, poiché rappresenta l’unica via realisticamente realizzabile per ridurre le emissioni relative ai carburanti.

Tra i combustibili derivati dalla biomassa (i cosiddetti biocombustibili o biocarburanti) vi è una diversa diffusione tra quelli che sono disponibili in forma liquida (bioetanolo e biodiesel) e quelli che si trovano in forma gassosa (idrogeno e biogas), vi è una differenza di diffusione. I biocombustibili gassosi necessitano di una specifica rete di distribuzione che non è stata ancora garantita al parco auto in circolazione.

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Poiché la produzione di biocarburante, coinvolge processi biologici simultanei come la coltivazione della biomassa e la sua digestione anaerobica, in una prima fase tali biocombustibili erano largamente diffusi nelle regioni della terra in cui le condizioni geoclimatiche permettevano determinate coltivazioni. Grazie allo sviluppo tecnologico questo vincolo è stato superato e attualmente si riesce a produrre biocarburante anche da scarti oleosi di origine animale e vegetale, che risultano essere di facile trasformazione in prodotto sostituibili ai derivati del petrolio, creando così i biocarburanti di seconda generazione.

Un biocarburante di particolare interesse è il biodiesel, alternativa valida per l’attuale diesel, carburante più utilizzato in Europa.

È definito come combustibile non a base di petrolio; è costituito da una catena di estere alchilico (metile o etile in base al tipo di alcol utilizzato). Viene realizzato da un processo di transesterificazione di oli vegetali o grassi animali.

Il suo profilo a bassa emissione, la biodegradabilità e la non tossicità lo rendono vantaggioso per l’ambiente (Krawczyk, 1996). Il biodiesel può essere impiegato in forma pura (B100), oppure miscelato in diverse proporzioni con il diesel.

Il principale problema della scarsa diffusione del biodiesel è l’elevato costo di vendita. Attualmente il prezzo del biodiesel è superiore a quello del diesel di 1,5 volte, di conseguenza non risulta accessibile a tutti. La causa è soprattutto riconducibile all’elevato costo delle materie prime.

C’è da considerare un atro svantaggio però nell’utilizzo di queste materie prime.

Vaste aree agricole, pascoli e foreste, sono stati destinati alla produzione di massa vegetale per biocombustibili, di conseguenza si potrebbe andare incontro ad una potenziale e crescente distruzione di habitat e biodiversità. Se ciò accadesse, gli sforzi per ridurre le varie emissioni risulterebbero vani, anche per questo motivo si spinge per i biocarburanti di seconda generazione. Questi rappresentano un doppio vantaggio per l’ambiente poiché riducono emissioni e non incidono sulla biodiversità.

Di conseguenza, quando si parla dei vantaggi ambientali generati dalla produzione e uso di un biocarburante, bisogna considerare tutta la filiera produttiva.

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Capitolo 1: Le fonti energetiche

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Capitolo 1: Le fonti energetiche

Le fonti di energia rappresentano la base del funzionamento della nostra società, senza di esse infatti risulterebbe difficile svolgere attività necessarie alla civiltà, come per esempio il trasporto o il funzionamento dei macchinari delle industrie.

Si possono definire fonti energetiche le sorgenti di energia a disposizione dell’uomo, che possono essere utilizzate per eseguire un lavoro e/o produrre calore.

La più importante fonte energetica è costituita dai combustibili fossili (carbone, petrolio e gas naturale), i quali vengono classificati come fonti primarie. Questo tipo di fonti sono direttamente presenti in natura e, oltre i combustibili fossili, comprendono anche le biomasse, i combustibili nucleari, l’energia idroelettrica, l’energia eolica, l’energia solare e l’energia geotermica. Le fonti di energia che sono un prodotto di trasformazione delle primarie vengono definite fonti secondarie e comprendono l’energia elettrica o l’idrogeno.

Una seconda classificazione delle fonti di energia può essere fatta in base all’esauribilità:

 fonti esauribili o non rinnovabili: risorse naturali che non si rigenerano nel breve tempo e sono quindi soggette ad esaurimento con il consumo (combustibili fossili e nucleari)

 fonti non esauribili o rinnovabili: risorse naturali che, per caratteristiche naturali o per effetto della coltivazione dell’uomo, presentano un tasso di rinnovamento maggiore o uguale al tasso di utilizzo (irraggiamento solare, vento, biomasse, maree e precipitazioni).

Un parametro importante per la valutazione di una fonte di energia è il “ritorno energetico sull’investimento energetico” (EROEI) (Bardi, 2012). Dal punto di

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Capitolo 1: Le fonti energetiche

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vista matematico è il rapporto tra l’energia ricavata e l’energia spesa per ottenerla; è quindi un coefficiente che, riferito ad una determinata fonte, indica la sua convenienza in termini di resa energetica. Fonti il cui EROEI è minore di 1 sono perdite da un punto di vista energetico ed economico e, inoltre, non possono essere considerate primarie poiché il loro utilizzo impiega più energia di quanta se ne ricavi. Il calcolo di questo parametro richiede una complessa procedura poiché bisogna tener conto di molti elementi che spesso sono difficili da esaminare, ma risulta essere un fattore determinante per la valutazione di una tecnologia energetica. Nel ventesimo secolo l’EROEI del petrolio era intorno a 100 (Bardi, 2012) ma attualmente è di 5-10 a causa dei pozzi in esaurimento che rende l’estrazione sempre più costosa. Questa diminuzione di valori porta alla luce notevoli problemi legati alla crescente domanda di energia di fronte a fonti di energia sempre più in esaurimento.

1.1 Produzioni energetiche in Italia

Quasi il 70 % del totale della domanda di energia in Italia viene soddisfatta dalle fonti fossili (gas naturale e petrolio) importate dall’estero (Puregreen, 2019).

Questa percentuale sembra che stia pian piano diminuendo poiché, viste le condizioni ambientali, si ha sempre più una preferenza verso l’utilizzo di fonti rinnovabili.

Oltre che l’utilizzo, anche la domanda di energia primaria è in calo.

Secondo i risultati del rapporto annuale dell’efficienza energetica elaborati da ENEA (“Agenzia Nazionale Efficienza Energetica”), la domanda di energia primaria in Italia nel 2018 è pari a 157 Mtep, 1,6% in meno rispetto al 2017. La riduzione è dovuta agli impieghi del gas naturale che rimane comunque una delle fonti prevalenti.

L’incremento tendenziale tra il 1990 e 2018 delle fonti rinnovabili è dovuto soprattutto ai progressi sull’utilizzo dell’energia eolica (+38.4% medio annuo), dei biogas (+30.9% medio annuo) e del solare (+24.1% medio annuo).

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Capitolo 1: Le fonti energetiche

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Figura 1 Domanda di energia primaria per fonte (ENEA 2020)

Andando ad osservare i consumi di energia elettrica nello stesso arco di tempo, si nota come i consumi finali in Italia si aggirano attorno ai livelli registrati mediamente a metà degli anni Novanta, 121.6 Mtep. Tra il 1990 e il 2018 l’unico settore che ha mostrato una tenenza crescente notevole è quello civile (Figura 2).

Ha infatti evidenziato un aumento medio annuo del 1.5%. Il settore dell’industria, invece, subisce un calo del -1.2% medio annuo. Nel caso dei trasporti, secondo nel consumo energetico, dopo una costante crescita fino al 2007, si rileva una diminuzione fino ad un valore stabile paragonabile a quello di metà anni Novanta.

Figura 2 Consumi energetici finali per settore (ENEA 2020)

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Capitolo 1: Le fonti energetiche

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1.2 Produzioni energetiche in Europa

L’Unione Europea dipende fortemente dalle importazioni di energia e questo causa inevitabilmente preoccupazioni sulla sicurezza dell’approvvigionamento energetico.

Prendendo in esame un arco temporale minore, 2008-2018, si osserva una diminuzione del 9.2% della produzione di energia primaria in Europa.

Figura 3 Produzione di energia primaria in Europa per fonte (Eurostat)

Questo calo può essere giustificato sia dall’esaurimento delle fonti di materie prime che dai produttori che giudicano antieconomico sfruttare delle risorse limitate.

L’andamento appena descritto non è uguale per tutti i 27 membri dell’UE ma 14 paesi, inclusa l’Italia, hanno comunque registrato un aumento della produzione soprattutto grazie alle fonti rinnovabili considerate anch’esse primarie.

Negli anni considerati, la crescita di produzione di energia da fonti rinnovabili è del 49,2%. La diminuzione più consistente si osserva per il gas naturale (46.6%), il petrolio greggio (-35.3%) e i combustibili fossili solidi (-27.9%).

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Capitolo 1: Le fonti energetiche

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Ciò che rimane inalterato nel decennio è la dipendenza dalle importazioni di energia. Le importazioni nette di energia hanno superato la sua produzione portando un tasso di dipendenza oltre il 50 %.

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Capitolo 2: Gli effetti ambientali

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Capitolo 2: Gli effetti ambientali

L’incessante sfruttamento delle fonti energetiche non rinnovabili, soprattutto combustibili fossili, unito alla poca attenzione del modo in cui queste vengono utilizzate, ha causato notevoli danni all’ambiente. Particolarmente problematici risultano il buco dell’ozono, l’effetto serra e le piogge acide.

2.1 Cause e conseguenze

2.1.1 Il buco dell’ozono

La fascia che protegge la Terra dai raggi solari più nocivi è formata da uno strato di ozono (una molecola a tre atomi di ossigeno O3).

Figura 4 Evoluzione del buco dell'ozono (Meloni, 2019)

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Capitolo 2: Gli effetti ambientali

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Il rilascio nell’atmosfera di alcune sostanze nocive da parte dell’uomo, in particolare dei CFC (clorofluorocarburi), assottiglia sempre più questo strato fino a creare un vero e proprio buco.

I CFC sono gas che vengono usati nelle bombolette spray, nei circuiti refrigeranti e come schiumogeni. Una volta giunti nella stratosfera il legame tra le molecole di questi gas viene rotto liberando cloro il quale, spezza le molecole di ozono, si lega all’ossigeno e impedisce la formazione di una nuova molecola di ozono.

Principalmente il fenomeno si verifica in primavera e in corrispondenza dei poli.

Per gli esseri viventi l’ozono è altamente dannoso ma in alta quota la sua tossicità riesce ad assorbire e trattenere le radiazioni ultraviolette. Senza il filtro dell’ozono l’uomo sarebbe direttamente esposto ai raggi UV i quali causano cancro alla pelle e mutazioni del DNA. Le conseguenze per l’ambiente non sono migliori perché i raggi vanno ad influire sulla fotosintesi clorofilliana, portando ad una diminuzione delle piante e quindi un aumento delle aree deserte.

2.1.2 L’effetto serra

Di per sé l’effetto serra è un fenomeno naturale e non negativo che permette alla Terra di riscaldarsi e non avere temperature eccessivamente basse. L’anidride carbonica (CO2), il metano e altri gas non permettono ad alcune radiazioni di tornare nello spazio. Da qui si nota come questi gas con un delicato equilibrio rendono possibile la vita sulla superficie.

Attualmente i livelli di gas serra hanno raggiunto picchi elevati provocando un eccessivo aumento di temperatura.

I motivi principali di questo innalzamento di temperatura sono due: uso di combustibili fossili e deforestazione. Il primo causa il rilascio di enormi quantità di CO2, il secondo riduce la capacità degli alberi di assorbirla. La CO2 risulta essere la responsabile principale del cambiamento climatico, seguito dal vapore acqueo (H2O) e metano.

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Capitolo 2: Gli effetti ambientali

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L’aumento della temperatura terrestre porterà allo scioglimento dei ghiacciai e dunque ad un innalzamento del livello del mare (negli ultimi 100 anni è cresciuto di circa 20 cm). A risentirne è anche l’agricoltura poiché in alcune zone tropicali si assiste ad una riduzione dell’umidità del suolo e molte aree, anche in Europa, risultano essere a rischio desertificazione.

2.1.3 Le piogge acide

Il problema delle piogge acide è strettamente collegato all’effetto serra e al buco dell’ozono. Rappresentano un vero e proprio problema oltre che a livello ambientale anche per la sicurezza dell’uomo poiché tendono a corrodere tetti degli edifici urbani.

Consistono in precipitazioni atmosferiche con valori di pH compresi tra 2 e 5.

La ragione di questi valori sono gli ossidi di zolfo e azoto presenti in atmosfera, sia per cause naturali che per effetto delle attività umane. Questi combinati con l’acqua e il vapore acqueo danno origine a degli acidi (acido solforico o acido nitrico) che ricadono al suolo sotto forma di precipitazioni.

Le cause principali a cui attribuire questo fenomeno sono: il consumo di combustibili fossili, gli incendi, il funzionamento degli impianti industriali e gli autoveicoli.

Il pH minore rispetto allo standard non sembra essere un problema che provoca danni diretti al corpo umano; se l’uomo si esponesse a piogge acide non avrebbe conseguenze a livello cutaneo, ma risultano comunque pericolose per la salute.

Queste precipitazioni incidono sul pH del terreno abbassandolo, causando la sterilizzazione del suolo e favorendo la crescita di piante malate e poco resistenti al freddo. Risultano, inoltre, essere corrosive su alcuni materiali come acciaio, calcare e marmo.

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Capitolo 2: Gli effetti ambientali

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2.2 Misure adottate

Alcune Nazioni hanno firmato degli accordi internazionali per cercare di porre rimedio ai danni ambientali causati dall’uomo.

2.2.1 Protocollo di Montréal

Il Programma Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP), tramite il Protocollo di Montréal, è riuscito a diminuire le emissioni di sostanze che minacciano lo strato di ozono.

Il primo atto internazionale con questo scopo è la Convenzione di Vienna (1985).

I paesi firmatari si impegnavano ad adottare misure che tutelavano la salute dell’uomo e dell’ambiente contro gli effetti nocivi delle attività umane che danneggiano la fascia di ozono. Sulla base della Convenzione di Vienna, a Montréal è stato approvato un “Protocollo sulle sostanze nocive per l’ozono stratosferico”, entrato in vigore il 1° gennaio 1989. Nuovi studi hanno sottoposto il protocollo ad ulteriori modifiche. La prima fu a Londra nel 1990, per poi proseguire con Copenaghen nel 1992, Montréal 1997 e Pechino 1999. L’ultima modifica risale al 2016 a Kigali (Ruanda) e, per i 198 paesi firmatari, è entrata in vigore il 1° gennaio 2019. Ad oggi risulta essere l’unico trattato delle Nazioni Unite che è stato ratificato da tutti i membri.

Il Protocollo prevede delle scadenze per la produzione delle seguenti sostanze, considerate nocive per lo strato di ozono:

 CFC: clorofluorocarburi, composti costituiti da cloro, fluoro e carbonio

 Halons: gas conosciuti anche come bromofluorocarburi

 Tricloroetano

 Bromuro di metile

 HCFC: idroclorofluorocarburi, utilizzati temporaneamente per sostituire i CFC

 Bromoclorometano

 HFC: idrofluorocarburi (inseriti nell’emendamento di Kigali nel 2016).

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Capitolo 2: Gli effetti ambientali

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Ai Paesi in via di sviluppo, come mostra la figura 5, è stata concessa una scadenza più lunga rispetto a quelli industrializzati, inoltre beneficeranno di aiuti finanziari e tecnici per l’attuazione del protocollo.

Figura 5 Scadenze Protocollo di Montréal (UFAM, 2020)

Recenti studi hanno dimostrato che le restrizioni dovute all’attuazione del trattato hanno portato ad un restringimento del buco dell’ozono. In figura 6 è possibile notare la diminuzione dell’area del buco dell’ozono sull’Antartide.

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Capitolo 2: Gli effetti ambientali

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Figura 6 Riduzione buco dell’Ozono

2.2.2 Protocollo di Kyoto

Sottoscritto l’11 dicembre 1997 a Kyoto, Giappone, in occasione della

“Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici”

(UNFCCC), il Protocollo di Kyoto è un accordo internazionale per contrastare l’innalzamento di temperatura riducendo le emissioni in atmosfera dei principali gas serra.

Per entrare in vigore ufficialmente, l’accordo prevedeva la firma di 55 Nazioni, le quali rappresentavano il 55% delle emissioni nocive, responsabili dell’effetto serra, causate dall’uomo.

L’obiettivo fu raggiunto il 16 febbraio 2005, grazie alla ratifica da parte della Russia. Attualmente i Paesi che aderiscono al protocollo sono 191 più un’organizzazione. Il Canada è l’unico paese ad aver ritirato la partecipazione, mentre gli Stati Uniti, anche se responsabili del 36.2% (Del Dot, 2019) delle emissioni complessive, hanno aderito ma non ratificato. Caso diverso per Nazioni come Cina, India e Brasile che, pur avendo ratificato regolarmente l’accordo, sono esenti dalle riduzioni di emissioni di anidride carbonica.

I gas a cui si applicano le riduzioni del protocollo di Kyoto sono:

 CO2: anidride carbonica, prodotta in tutte le attività energetiche, industriali e nei trasporti

 CH4: metano, prodotto dalle discariche di rifiuti, dagli allevamenti zootecnici e dalle coltivazioni di riso

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Capitolo 2: Gli effetti ambientali

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 NO2: protossido di azoto, prodotto nel settore agricolo e nell’industria chimica

 HFC: idrofluorocarburi, impiegati nelle industrie chimiche e manifatturiere

 PFC: perfluorocarburi, impiegati nelle industrie chimiche e manifatturiere

SF6: esafluoruro di zolfo, impiegato nelle industrie chimiche e manifatturiere.

Figura 7 Emissioni CO2 dovute ai combustibili fossili dal 1960 al 2019

Ciascuno dei gas elencati ha un proprio potenziale di riscaldamento globale (GWP) che esprime il contributo del gas all’effetto serra, in relazione a quello della CO2, il cui potenziale di riferimento è posto uguale a 1. Ogni valore di GWP è calcolato per uno specifico intervallo di tempo (generalmente 20, 100 o 500 anni).

Il Protocollo di Kyoto si articola in due fasi. Nella prima, che comprende il periodo dal 2008 al 2012, ai Paesi firmatari è stato richiesto di ridurre le emissioni dei principali gas serra inquinanti di almeno il 5.2% rispetto ai livelli

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Capitolo 2: Gli effetti ambientali

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del 1990. La percentuale precisa cambiava per ogni Paese in base alla quantità di emissioni. Con l’emendamento di Doha, 8 dicembre 2012, si entra nella seconda fase del Protocollo di Kyoto ha esteso gli impegni dei Paesi firmatari fino al 31 dicembre 2020, imponendo la riduzione delle emissioni dei gas serra fino al 18% rispetto ai livelli del 1990. Nel secondo periodo è inoltre stato aggiornato l’elenco di gas serra con l’aggiunta del trifluoro di azoto (NF3), gas incolore utilizzato nella fabbricazione dei televisori a schermo piatto.

Per il raggiungimento di questi obiettivi, il trattato ha previsto l’uso di tre strumenti:

 Joint Implementation; questo metodo prevede la possibilità, per le imprese appartenenti ai Paesi firmatari, di realizzare progetti per ridurre le emissioni degli altri paesi soggetti a vincoli anch’essi. Lo scopo è quello di generare zero emissioni in entrambi i Paesi.

 Clean Development Mechanism; è un meccanismo che permette ai Paesi industrializzati di compensare le proprie emissioni con l’avvio di progetti finalizzati alla riduzione delle emissioni nei Paesi in via di sviluppo (per esempio con l’esportazione di tecnologie per generare energia pulita o implementazione di zone verdi).

 International emissions trading; riguarda l’opportunità di vendere e acquistare diritti di emissione. Se un Paese firmatario riesce a ridurre le proprie emissioni di una percentuale maggiore rispetto a quella prevista dal trattato, può vendere “l’eccesso” ad un Paese che non riesce a raggiungere la quota stabilita.

I risultati della seconda fase del Protocollo ancora non sono stati elaborati, sono disponibili solamente quelli del primo periodo, dal 2008 al 2012. Secondo quanto pubblicato da Igor Shishlov in “Climate Policy”, l’attuazione del Protocollo ha portato esiti positivi. La maggior parte Paesi che hanno sottoscritto il Protocollo di Kyoto hanno raggiunto l’obiettivo sulle emissioni di gas serra.

Soltanto 9 Paesi hanno registrato emissioni più alte dei livelli stabili, superando di poco la percentuale prevista: Austria, Danimarca, Islanda, Giappone,

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Capitolo 2: Gli effetti ambientali

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Liechtenstein, Lussemburgo, Norvegia, Spagna e Svizzera. Si è dimostrato efficiente anche l’uso dei tre meccanismi.

Anche dal punto di vista economico può essere considerato un successo. Gli Stati Uniti, in seguito appoggiati da Canada, Russia e Giappone, sostenevano che il Protocollo di Kyoto sarebbe stato economicamente insostenibile, ma Shishlov ha confermato che le politiche legate al clima hanno rappresentato un basso costo per i Paesi coinvolti, circa lo 0.1% del Pil.

2.2.3 L’Accordo di Parigi

Per la prima volta, il 12 dicembre 2015, a Parigi, è stato stipulato un accordo giuridicamente vincolante, valido per tutti i Paesi in egual modo, eliminando la distinzione tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo.

L’Accordo di Parigi impegna tutte le parti firmatarie a ridurre le proprie emissioni di gas serra, contenendo l’aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2°C. Entro il 2020 i governi dovevano presentare le strategie a lungo termine da adoperare per raggiungere entro il 2030 o il 2050 il target fissato dal trattato. Affinché l’Accordo entrasse in vigore, almeno 55 paesi hanno dovuto depositare i loro strumenti di ratifica, rappresentando il 55% delle emissioni totali di gas serra. Attualmente i Paesi firmatari sono 190, inclusi gli stati membri dell’Unione Europea.

I punti principali dell’Accordo sono cinque:

 Mitigazione. I governi hanno concordato di mantenere l’aumento medio della temperatura mondiale ben al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali come obiettivo a lungo termine. Puntano inoltre a limitare l’aumento a 1.5°C, poiché ciò ridurrebbe i rischi e gli impatti dei cambiamenti climatici

 Trasparenza e Resoconto globale. Ogni 5 anni i governi dovranno riunirsi per valutare i progressi per il raggiungimento degli obiettivi. In aggiunta, ogni Paese deve comunicare agli altri Stati membri e all’opinione pubblica quali piani stanno attuando

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Capitolo 2: Gli effetti ambientali

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 Adattamento. L’Accordo punta sia ad aumentare la capacità degli Stati membri di affrontare i problemi relativi ai cambiamenti climatici che ad aiutare i Paesi in via di sviluppo a sostenere i costi per adattarsi a questi cambiamenti

 Perdite e danni. L’Accordo riconosce l’importanza di minimizzare le perdite e i danni connessi agli effetti negativi dei cambiamenti climatici, promuovendo dunque la cooperazione per migliorare la comprensione, l’azione e il sostegno in diversi campi, come per esempio la preparazione alle emergenze e l’assicurazione contro i rischi

 Assistenza. I governi hanno stabilito di mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2025 e dopo questo periodo verrà stabilito un nuovo obiettivo.

Fino al 2020 le prospettive per il raggiungimento dei limiti richiesti dall’Accordo di Parigi non erano delle migliori poiché alcuni Paesi non avevanoo ancora fornito dati e programmi da analizzare, tra questi gli Stati Uniti, responsabili del 15 % del totale delle emissioni (ilPost, 2019). Nel gennaio 2021, il presidente degli USA Biden ha deciso di rientrare nell’Accordo di Parigi (Liberatore, 2021) ponendo ambiziosi obiettivi al proprio Paese.

2.3 Pandemia e Impatto ambientale

Il 2020 ha visto come protagonista un virus che ha interessato oltre 100 Paesi. I governi sono stati costretti ad attuare dei piani di emergenza di chiusura totale, provocando seri danni all’economia delle Nazioni colpite.

Il SARS-CoV-2 è un tipo di zoonosi, cioè una malattia che si trasmette dagli animali all’uomo. Secondo quanto pubblicato dal WWF in “Pandemia, l’effetto boomerang della distruzione degli ecosistemi”, dietro questa patologia si nasconde il commercio illegale di animali selvatici vivi e di loro parti del corpo, considerando dunque l’uomo la causa primaria della pandemia. Il 75% delle malattie umane sono di origine animale e il 65% sono trasmesse da animali

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Capitolo 2: Gli effetti ambientali

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selvaggi. È proprio la zoonosi di origine selvatica che potrebbe rappresentare in futuro la più consistente minaccia per la salute della popolazione mondiale.

La relazione tra il lockdown causato dalla diffusione del Coronavirus e l’ambiente risulta essere complicata. Da un lato vediamo migliorare la qualità dell’aria e la pulizia delle acque, dall’altro vediamo una sofferenza del settore energetico. Le attività industriali sono state chiuse a livello globale e, tra i vari settori colpiti, il trasporto è stato quello che ha subito più danni, provocando un minor consumo di energia e una minore domanda di petrolio.

Considerando il lato “positivo”, il primo cambiamento favorevole, dal punto di vista ambientale, lo troviamo nelle emissioni di biossido di azoto, NO2. È considerato un inquinante altamente reattivo, la cui principale fonte è l’inquinamento da traffico. Con il blocco del trasporto le emissioni di NO2 sono diminuite di circa il 25%. La qualità dell’aria ha un effetto importante sulla salute umana. La prolungata esposizione all’aria inquinata aumenta il fattore di rischio e la vulnerabilità a un virus che colpisce le vie respiratorie.

Figura 8 Emissioni NO2 (ANCLER)

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Capitolo 2: Gli effetti ambientali

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Anche per le emissioni di gas serra si parla di miglioramenti poiché in Europa si è registrato una riduzione di emissioni pari al 7.6% (Gorini and Bianchi, 2020) e, anche in questo caso, il blocco dei trasporti è stato il principale motivo.

Questi effetti temporanei sono però bilanciati dall’aumento dei rifiuti di plastica usa e getta (mascherine, guanti, contenitori), determinato da motivazioni di ordine sanitario.

Purtroppo, la riduzione delle emissioni di alcuni gas serra dovuta alle misure di contenimento, non fa sperare bene se si guarda a lungo termine. Questa diminuzione, che in alcuni paesi risulta essere temporanea, ha un effetto nullo sulle concentrazioni totali accumulate in atmosfera per decenni.

Andando a considerare il settore energetico dal punto di vista economico, le ricadute sui sistemi elettrici hanno suscitato particolare attenzione. Il fermo delle attività produttive ha portato un crollo della domanda elettrica e, conseguentemente, il calo della generazione e dei prezzi all’ingrosso.

Figura 9 Prezzi medi mensili dell’energia elettrica nelle principali borse europee (€/MWh) (ENEA 2020)

Come risulta dalla Figura 8, l’andamento del PUN 2020 è negativo. Il Prezzo Unico Nazionale è il prezzo zonale di riferimento di vendita dell’energia elettrica nella borsa. Viene definito ogni ora per ogni giorno sulla base della domanda e dell’offerta. Si rilevano valori più alti nelle ore in cui è più difficile e costoso produrre energia.

Alla riduzione generale dei prezzi hanno contribuito diversi fattori, tra cui l’uso delle fonti rinnovabili, che sono stati tutti amplificati dal lockdown.

L’ultimo effetto da considerare è la biodiversità. Secondo gli scienziati di tutto

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Capitolo 2: Gli effetti ambientali

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il mondo, tra le cause della diffusione di malattie infettive emergenti, vi sono fattori importanti, come la distruzione della biodiversità. A causa delle condizioni ambientali generate dall’uomo, determinati equilibri degli ecosistemi, delle popolazioni o degli individui che sono in grado di impedire la diffusione di microrganismi responsabili di alcune malattie vengono meno.

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Capitolo 3: I Biocarburanti

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Capitolo 3: I Biocarburanti

Tra i principali cardini della società odierna, i trasporti svolgono un ruolo essenziale nella società e nell’economia. Se per una buona qualità della vita sono fondamentali, lo stesso non si può dire per l’ambiente. Il primo problema lo si può osservare proprio con le infrastrutture. Esse occupano grandi fasce di suolo contribuendo all’espansione urbana e alla frammentazione degli habitat. Per quanto riguarda l’energia, i trasporti consumano un terzo di tutta l’energia finale nell’UE e la maggior parte proviene dal petrolio. Questo porta i trasporti ad essere responsabili di oltre un quarto delle emissioni di gas serra nell’Unione Europea (Agenzia Europea dell’Ambiente, 2020) e ad essere, inoltre, un ostacolo per il raggiungimento degli obiettivi per la protezione dell’ambiente.

3.1 Emissioni di inquinanti atmosferici dovute ai trasporti

Negli ultimi decenni il settore dei trasporti europeo è riuscito a ridurre le emissioni di alcuni degli inquinanti atmosferici principali. Essenziali per il raggiungimento di questi risultati sono stati i provvedimenti finanziari e l’introduzione di standard relativi alle emissioni. In misura minore hanno collaborato l’uso dei carburanti alternativi e la diminuzione della domanda di trasporto.

L’inquinamento dei veicoli a motore è attribuito principalmente ai gas di scarico che essi producono con la circolazione, in particolare con la produzione di polveri sottili e, nel caso di motori termici, fumi emessi dal tubo di scappamento.

I gas di scarico delle auto contribuiscono sensibilmente all’aumento delle

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emissioni di anidride carbonica, aggravando il problema dell’effetto serra e riscaldamento globale. Il 30% delle emissioni totali di CO2 in Europa deriva dal settore dei trasporti, il cui 72% è prodotto dal trasporto stradale e il restante è occupato dai trasporti aereo, navale e ferroviario (Attualità. Parlamento Europeo.

2020).

In generale, quando si considera la quantità di CO2 emessa da una determinata vettura, si considera anche il processo di produzione, di smaltimento e l’usura della stessa auto.

Un fattore importante da considerare è il tipo di carburante utilizzato, poiché a seconda del combustibile bruciato, l’entità delle emissioni varia.

Tabella 1 Variazione emissioni CO2 in base al tipo di carburante (Q. ECO NEWS, 2017)

Prendendo in esame il trasporto stradale, oltre l’anidride carbonica, si osservano altri tipi di inquinanti atmosferici (Informative Inventory Report 2020):

 CO: monossido di carbonio. Generalmente la sua emissione risulta circoscritta ai veicoli a benzina. La sua presenza è legata ai processi di combustione che utilizzano combustibili. Risulta essere molto più pericoloso per la salute dell’essere umano e più nocivo per l’ambiente rispetto alla CO2. Dal 1990 al 2018 le quantità di CO liberate

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nell’atmosfera dal trasporto su strada sono diminuite del 92%, ma contemporaneamente sono aumentate del 62% le emissioni per usi domestici.

Tabella 2 Emissioni CO (Gg) dal 1990 al 2018 causate dal trasporto stradale (ISPRA 2020)

 PM10: materiale particolato. Si tratta di particelle piccolissime, liquide o solide, in sospensione nell’aria, prodotte dalla combustione che contengono fumo e polvere. Queste particelle risultano pericolose per l’uomo poiché possono causare asma, bronchite e lo sviluppo di formazioni cancerogene. Le emissioni di particolato dovute al trasporto stradale rappresentano, nel 2018, il 12% del totale e rispetto al 1990 sono diminuite del 40%

Tabella 3 Emissioni PM10 (Gg) dal 1990 al 2018 causate dal trasporto stradale (ISPRA 2020)

 NOx: ossidi di azoto. In generale, l’inalazione di queste sostanze è pericolosa soprattutto per persone che soffrono di malattie respiratorie croniche o malattie cardiache. L’ossido di azoto emesso dai motori degli autoveicoli contribuisce alla formazione del particolato PM10 secondario. Circa il 43% del totale delle emissioni di NOx nel 2018 è rappresentato dal trasporto su strada. Rispetto al 1990 si osserva una diminuzione del 69%

Tabella 4 Emissioni NOx (Gg) dal 1990 al 2018 causate dal trasporto stradale (ISPRA 2020)

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 NMVOC: composti organici volatili non metanici (non methane volatile organic compound). È stato stimato che le emissioni di NMVOC hanno l’effetto globale di aumentare il tempo di vita del metano e, di conseguenza, il livello di ozono. Dal 1990 al 2018 le emissioni risultano in netta diminuzione in ogni settore. In totale si è riusciti a ridurre la presenza di questi composti in atmosfera del 54%.

Tabella 5 Emissioni NMVOC (Gg) dal 1990 al 2018 causate dal trasporto stradale (ISPRA 2020)

 C6H6: benzene. La principale fonte di emissione è legata all’uso dei carburanti nel settore del trasporto. Essendo un composto molto volatile è facile per l’uomo inalarlo o avere un contatto cutaneo e i rischi per la salute non sono da sottovalutare. Alcuni studi hanno mostrato delle correlazioni tra l’esposizione al benzene e alcune forme di leucemia. Il settore dei trasporti stradali ha ridotto le emissioni del 95.6% tra il 1990 e il 2018, grazie a delle innovazioni dei carburanti.

I miglioramenti tecnologici degli ultimi anni hanno portato notevoli contributi sulle emissioni dei gas serra dovute al settore del trasporto, soprattutto per quanto riguarda i composti organici volatili dai tubi di scappamento e le emissioni evaporative.

3.2 Carburanti a minore impatto ambientale

Tra le misure adottate per ridurre le emissioni di gas serra si può trovare l’utilizzo di carburanti a minor impatto ambientale, in particolare i biocarburanti. Possono essere ottenuti dalle sostanze organiche, come le materie prime agricole, le biomasse, le alghe o il legno. Essi sono considerati una risorsa rinnovabile poiché la loro produzione si basa su fattori e materie prime che hanno un tempo

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di rigenerazione breve. Potendo sostituire benzina e diesel, risultano importanti per diminuire l’utilizzo dei combustibili fossili.

I principali biocarburanti sono:

 Biodiesel

 Bioetanolo

 Biogas.

Il biodiesel si ottiene dalla lavorazione dell’olio vegetale ed è adatto per prendere il posto del diesel/gasolio. Il bioetanolo è il sostituto vegetale della benzina ed è realizzato tramite il processo di fermentazione di prodotti agricoli molto ricchi di zuccheri. Il biogas è ricavato dalla fermentazione anaerobica degli scarti organici di origine animale e vegetale.

Anche a livello europeo ci si focalizza sui biocarburanti adottando strategie e incentivi. In particolare l’Unione Europea ha imposto a tutti i membri l’obiettivo intermedio di soddisfare almeno il 2 % della domanda di energia nazionale tramite l’uso di carburanti a minor impatto ambientale.

L’Italia prova a raggiungere questo obiettivo tramite il decreto del 2 marzo 2018.

Scendendo nel particolare il decreto prevede l’utilizzo del biometano nel settore dei trasporti, favorire le riconversioni degli impianti a biogas e promuovere l’incentivazione di impianti di produzione di altri biocarburanti avanzati. Per quanto riguarda l’ultimo punto, è previsto un riconoscimento di un valore pari a 375€ per ogni CIC (Certificati di Immissione in Consumo di biocarburanti) riconosciuto, per una durata massima di dieci anni (GSE, 2014).

Non tutti i Paesi possono usufruire delle proprie riserve di petrolio grezzo poiché non ne posseggono, sono quindi costretti a chiedere ad altre nazioni. I costi di importazioni che i governi devono sostenere sono sempre più elevati, per cui l’uso dei biocarburanti potrebbe portare benefici anche a livello economico.

La produzione mondiale è andata incontro a incrementi annui. Infatti se nel 2000 si contavano 187 mila barili di petrolio equivalente al giorno, nel 2019 si è arrivati a 1.8 milioni. Gli Stati Uniti sono i maggiori produttori di biocarburanti nel mondo, tanto da rappresentare, nel 2019, il 38% della produzione globale.

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Figura 10 Maggiori produttori di biocarburanti (Sönnichsen, 2021)

Scendendo più nel dettaglio, in particolare in Italia, si va ad analizzare il consumo di energia nel settore dei trasporti.

Figura 10 Andamento dei consumi finali di alcuni prodotti energetici nei Trasporti (GSE, 2020)

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Secondo i bilanci Eurostat aggiornati al 2018, questi rappresentano il 33.8% dei consumi energetici totali del Paese. Prendendo in considerazione il periodo 2005-2018, dalla Figura 10 si osserva una progressiva diminuzione dei prodotti petroliferi (-17%). Le benzine subiscono una contrazione del 46% nell’arco di tempo considerato, mentre diesel/gasolio del 9%. Le altre fonti prese in esame, invece, mostrano una crescita rilevante. Il GPL (gas di petrolio liquefatto) rivela un aumento del 57% e il gas naturale del 288% (da 380 ktep a 1.093).

I consumi elettrici complessivi, come tram, ferrovie, metropolitane o autoveicoli elettrici, sono aumentate del 16%. Senza ombra di dubbio, la crescita più rilevante la vedono i biocarburanti. Grazie soprattutto ai meccanismi pubblici che obbligano la miscelazione di una minima quantità di biocarburanti con i carburanti che immettono in commercio (benzina e gasolio), si osserva un aumento del 608%. Nel 2018 il volume dei biocarburanti immessi in consumo in Italia ammonta al 4.3% (1.250 ktep) dei consumi complessivi di benzine e gasolio fossili (29.247 ktep) (GSE, 2020).

Tabella 6 Consumi finali di energia nel settore dei Trasporti in Italia per modalità, anno 20018 (GSE, 2020)

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Nonostante sia in netto aumento l’uso dei biocarburanti, nel 2018 rappresentano soltanto il 3.2% dei consumi finali di energia nel settore dei Trasporti in Italia (Tabella 6). Il consumo più importante resta comunque quello dei prodotti petroliferi, 91.5%, in particolare diesel/gasolio (54.8%), utilizzati quasi il triplo della benzina (19.4%). Dalla tabella risulta anche chiaro come la maggior parte dei consumi energetici si concentrino sul trasporto stradale (83.2% del totale) poiché risulta anche l’unica modalità che può sfruttare quasi l’intera gamma dei prodotti energetici.

3.3 Il Biodiesel

Il biodiesel è un combustibile bio, cioè ottenuto da fonti rinnovabili come per esempio oli vegetali o grassi animali. È un liquido trasparente color ambra, con una viscosità simile a quella del gasolio derivato dal petrolio. In Italia è utilizzato principalmente per alimentare impianti di riscaldamento, mentre come combustibile da autotrazione è impiegato nelle aziende di trasporto.

A livello europeo la norma prevede che venga miscelato al normale gasolio in piccole percentuali, fino al 7%. Non risulta possibile però utilizzarlo puro poiché non è compatibile con gli impianti di iniezioni e i sistemi di trattamento dei gas di scarico delle diesel più moderne.

L’Unione Europea è il maggiore produttore di biodiesel. Nel 2019 ha rappresentato il 38% del mercato, in particolare, la Germania risulta essere il leader in questo settore, con una produzione di circa 2.492.000 tonnellate in un anno (Figura 10).

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Figura 11 Produzione di Biodiesel nel 2019 (Lorne and Bouter, 2020)

3.3.1 Processo di produzione e materie prime

Il biodiesel è ottenuto tramite un processo chimico di transesterificazione. I trigliceridi dell’olio vegetale, o grasso animale, vengono fatto reagire con un alcol in presenza di un catalizzatore.

Figura 12 Reazione di formazione di un trigliceride

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Un trigliceride è un estere della glicerina, in cui tutti e tre i gruppi ossidrilici sono stati ossidati. Si ottengono facendo reagire, tramite una reazione di esterificazione, 3 molecole di acido grasso con una molecola di glicerina (C3H8O3).

L’alcol usato, per motivi economici, è a catena corta e peso molecolare ridotto, tipicamente metanolo (CH3OH) o etanolo (CH3CH2OH). L’uso di alcoli a catena più lunga migliora le proprietà del prodotto ottenuto dalla reazione, ma dal punto di vista della resa, abbiamo una minore efficienza. Il catalizzatore può essere sia acido, basico o si può avere una catalisi enzimatica. Industrialmente la transesterificazione in presenza di un catalizzatore basico risulta avere un tempo di reazione ed una temperatura di processo minore, nonché una resa migliore.

Allo stesso tempo però, ha lo svantaggio di essere molto sensibile all’acqua, si potrebbe dunque andare incontro ad una reazione indesiderata, la formazione di acidi carbossilici.

Figura 13 Reazione di transesterificazione (CTI 2000)

I prodotti della transesterificazione sono due: glicerolo e 3 molecole di esteri metilici (FAME, “fatty acid methyl esters”). Entrambi i prodotti vanno incontro ad una purificazione, il primo per ottenere biodiesel puro e il secondo per essere venduto (generalmente viene usato per produrre sapone).

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Capitolo 3: I Biocarburanti

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La reazione avviene in tre stadi e vede la formazione di prodotti intermedi quali digliceridi e monogliceridi.

Figura 14 Reazione di transesterificazione dettagliata (Bergamin, 2013)

Essendo ricavato principalmente da oli vegetali, il biodiesel utilizza la stessa materia prima impiegata per la produzione di oli vegetali: le piante oleaginose.

Le principali piante utilizzate sono (Sani et al., 2012):

 Soia

 Colza

 Girasole

 Palma da olio

 Cocco

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Capitolo 3: I Biocarburanti

 Mais

 Semi di cotone

 Canola

 Oliva.

Il Biodiesel può essere prodotto sia da oli vegetali che da oli esausti. L’utilizzo di questi ultimi porta l’impianto di produzione a prevedere una sezione di pretrattamento dell’olio prima di andare incontro alla transesterificazione per formare FAME.

Figura 15 Schema di processo per la produzione di biodiesel da olio esausto

3.3.2 Confronto tra Biodiesel e Diesel

La prima differenza tra i due composti si osserva dal punto di vista della struttura chimica. Le molecole di biodiesel sono costituite quasi interamente da esteri metilici degli acidi grassi, mentre il diesel è composto da circa il 95% da idrocarburi saturi e 5% di composti aromatici (Ciolkosz et al, 2009). Il biodiesel risulta avere una maggiore proprietà lubrificante, riuscendo a ridurre anche l’usura dei motori. Il punto di fusione è influenzato dalla natura e dalla quantità di esteri che contiene, generalmente il biodiesel ha un punto di fusione superiore a quello del gasolio. Il numero di cetano (indice di velocità di combustione e compressione necessaria per l’accensione) è superiore a quello del gasolio e quindi quando viene iniettato nel motore brucia più velocemente.

Contrariamente al gasolio, il biodiesel non è tossico ed è biodegradabile, riduce così le emissioni tossiche quando viene bruciato (Ciolkosz et al, 2009).

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Capitolo 4: Processo di produzione di Biodiesel a partire da olio di semi di soia con ASPEN Plus®

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Capitolo 4: Processo di produzione di Biodiesel a partire da olio di

semi di soia con ASPEN Plus®

Nel seguente capitolo si andrà ad analizzare il processo base catalizzato di produzione di biodiesel tramite il software di simulazione ASPEN Plus®

(sviluppato da Aspen Technology Inc.).

4.1 Analisi dello stato dell’arte

Il punto chiave del processo di produzione del biodiesel è la reazione di transesterificazione. Si possono utilizzare diversi tipi di alcol e catalizzatori.

Risulta ovvio come, cambiando queste materie prime, cambino anche le condizioni operative del processo, quali per esempio la temperatura di reazione o la quantità di catalizzatore necessario. Variando questi fattori si ha una diversa conversione di oli in esteri.

La temperatura di reazione è uno dei punti da analizzare poiché influenza la resa del processo di produzione. Generalmente si opera tra i 40 e 60 °C, in base al tipo di olio che si va ad analizzare. È importante precisare che la temperatura di reazione deve essere inferiore rispetto al punto di ebollizione dell’alcol per evitare l’evaporazione di quest’ultimo. Avendo preso in esame il metanolo la temperatura è stata impostata a 60 °C, poiché il suo punto di ebollizione è 64,7°C. Analizzando la figura 19 (Istiningrum et al., 2017) si possono osservare le diverse percentuali di conversione dei trigliceridi negli esteri metilici. La percentuale più alta si ha per 55 °C, con una resa dell’81,6 %. La base della figura 19 sono dei generici esteri metilici che si ottengono dalla conversione di

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quasi tutti gli oli vergini, quindi la resa varia anche in base al tipo di olio utilizzato per la produzione di biodiesel (cocco, palma, soia).

Figura 16 Effetto della variazione della temperatura (Istiningrum et al., 2017)

L’alcol più comunemente usato per la reazione di transesterificazione è il metanolo, grazie alla sua reattività e al suo basso costo rispetto agli altri. Secondo uno studio effettuato da Musa nel 2014, il biodiesel prodotto dal metanolo non forma azeotropi a contatto con l’acqua e può essere ricircolato. Il rapporto molare alcol/olio è uno dei fattori che più influenzano la resa del biodiesel. Il rapporto stechiometrico del metanolo sull’olio è 3:1, ma è necessario un rapporto molare più alto per aumentare la miscibilità tra alcol e trigliceride (Musa, 2014).

Per una reazione base catalizzata, il rapporto molare di metanolo su olio che permette di ottenere una resa del 98% è 6:1. Questo dato è stato ottenuto grazie a delle prove sperimentali effettuate da Phan e Phan (2008). Utilizzando un reattore in acciaio inossidabile con un catalizzatore basico, un tempo di reazione di 80 minuti ad una temperatura tra 30 °C e 50 °C, hanno osservato la resa della reazione. La conversione di olio in biodiesel aumentava dal 50% a 64% quando la frazione molare di metanolo in olio passava da 5:1 a 8:1 nei primi 60 minuti di reazione. Negli ultimi minuti la resa diminuisce del 16%.

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Figura 17 Effetto della variazione del rapporto molare metanolo/olio (Musa, 2014)

Aumentando ancora il rapporto molare a 9:1 si osserva una minore del 2%, mentre per un rapporto inferiore a 6:1 la reazione risulta incompleta. La diminuzione di resa è dovuta proprio all’eccesso di metanolo che va ad interferire nella separazione degli esteri con il glicerolo, aumentando la solubilità del glicerolo.

La resa del biodiesel può essere influenzata anche dal tipo di catalizzatore utilizzato. Generalmente vengono usati due tipi di catalizzatori basici, NaOH (idrossido di sodio) e KOH (idrossido di potassio). Spesso è anche utilizzato il metossido di sodio (CH3OH) poiché risulta più efficace rispetto all’idrossido di sodio a causa della formazione di una piccola quantità di acqua quando quest’ultimo viene miscelato con il metanolo. L’acqua va ad inibire la formazione del prodotto finale a causa dell’idrolisi e saponificazione (Freedman et al., 1984), per questo motivo si preferisce miscelare prima il catalizzatore e l’alcol e poi aggiungere l’olio. L’idrossido di sodio è comunque preferibile grazie al suo basso costo e alla sua elevata purezza rispetto al metossido di sodio.

Per quanto riguarda l’idrossido di potassio, questo risulta essere meno efficiente rispetto a NaOH. L’effetto del catalizzatore sulla efficienza della reazione è descritto in figura 21 (Meng et al., 2008), operando con un rapporto molare metanolo su olio pari a 6:1, per un tempo di 60 minuti a 50 °C. Prendendo in considerazione un range compreso tra 0,5-1,2 % in peso del catalizzatore rispetto

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all’olio, si può osservare che da 0,5 a 1 % la resa aumenta in maniera proporzionale all’incremento dell’idrossido di sodio. Per quest’ultimo valore si verifica il massimo della conversione, 85%. Da 1% a 1,2% si ha una diminuzione della resa e si originano delle emulsioni che aumentano la viscosità e portano la formazione di gel. Dunque l’aggiunta ottimale del catalizzatore (NaOH) deve essere l’1% in peso rispetto all’olio.

Figura 18 Effetto della variazione di catalizzatore (Meng et al., 2008)

L’ultimo fattore da considerare è il tempo di reazione.

Figura 19 Effetto della variazione del tempo di reazione (Meng et al., 2008)

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In base allo studio effettuato da Meng et al., 2008, per avere un perfetto contatto tra olio e reagenti devono essere ben mescolati tra loro. Per un tempo di reazione compreso tra 30 e 60 minuti, si ha un crescente aumento della resa del prodotto (figura 22). Da 60 a 90 minuti, la resa della reazione cresce così lentamente da risultare quasi costante (86%).

Per avere un miglioramento sulla resa o per valutare il processo anche dal punto di vista economico, sono state eseguite diverse prove sperimentali cambiando alcol e catalizzatori; di conseguenza anche le condizioni operative sono variate.

Uso di Etanolo come alcol

Una valida alternativa al metanolo, per produrre biodiesel da olio di semi di soia, è l’etanolo (CH3CH2OH), con il quale si può ottenere una resa pari a quella del metanolo. Anche in questo caso, utilizzando NaOH, si può andare incontro a saponificazione. Cambiando il tipo di alcol, cambia anche il rapporto molare alcol/olio.

Osservando la figura 23 (Silva et al., 2011), appare evidente come la produzione di esteri etilici aumenta con una maggiore concentrazione di etanolo.

Figura 20 Resa della produzione di biodiesel utilizzano etanolo (Silva et al., 2011)

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Un eccesso di etanolo però, anche in questo caso, rende difficile il recupero del glicerolo. Il rapporto molare etanolo/olio ottimale è 9:1, poiché si riesce ad arrivare ad una resa superiore al 95%. Anche la temperatura a cui far avvenire la reazione varia. Sempre dalla figura 23 si nota come la temperatura più favorevole sia 40 °C, lontana dal punto di ebollizione dell’alcol. L’utilizzo di olio di semi di soia ed etanolo (prodotto dalla canna da zucchero), permette di realizzare un biocarburante che deriva al 100% da fonti rinnovabili.

 Uso di un catalizzatore acido

In un articolo di Zhang et al., 2003, viene paragonato un processo acido catalizzato (acido solforico, H2SO4) ad un processo base catalizzato. La prima differenza si osserva nel rapporto molare del metanolo sull’olio, che aumenta fino a 50:1, e del catalizzatore sull’olio, 1.3:1 Anche la temperatura di reazione si alza a 80 °C. Anche a livello di costi si ottengono diversi risultati. La reazione base catalizzata necessita di minori apparecchiature, ma il costo delle materie prime è superiore.

 Uso di metanolo supercritico

In queste condizioni viene utilizzato il propano come co-solvente (Morais e al., 2010). Il rapporto molare del metanolo sull’olio è 24:1, mentre quello del metanolo sul propano è 1:0,05. Da un punto di vista ambientale, questa alternativa risulta essere la più favorevole

4.2 Analisi di processo

Nel seguente lavoro di tesi l’alcol utilizzato per la reazione di transesterificazione è il metanolo (CH3OH), mentre il catalizzatore è basico ed è l’idrossido di sodio (NaOH). Poiché la reazione di transesterificazione ha come prodotti sia FAME che glicerolo, l’intero processo viene suddiviso in tre sezioni:

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 Sezione di Reazione

 Sezione di Purificazione del Biodiesel

 Sezione di Purificazione del Glicerolo.

La purificazione del glicerolo consente di vendere questo prodotto e non trattarlo come uno scarto.

L’olio di semi di soia utilizzato è un olio vergine, per questo può prendere direttamente parte alla reazione di transesterificazione senza nessuna sezione di pretrattamento (necessaria nel caso si utilizzi un olio esausto). I cinque acidi grassi dell’olio di semi di soia sono: acido linoleico (53.2%), acido oleico (24%), acido palmitico (11%), acido α-linoleico (7.8%) e acido stearico (4%). I rispettivi trigliceridi, formati dalla reazione del glicerolo con ciascuno degli acidi elencati, sono:

 Linoleina (C57H98O6)

 Trioleina (C57H104O6)

 Tripalmitina (C51H98O6)

 Trilinolenina (C57H92O6)

 Stearina (C57H110O6).

L’impianto produce circa 993 kg/h di biodiesel e 104 kg/h di glicerina, con un ingresso di 1000 kg/h di olio e 125 Kg/h di metanolo. Annualmente si ha una produzione di 125 tonnellate di biodiesel.

Poiché la reazione è base catalizzata, bisogna neutralizzare il catalizzatore con un acido. È stato utilizzato l’acido fosforico (H3PO4), il quale reagendo con NaOH porta alla formazione di acqua e un sale, il fosfato di sodio.

Equazione 1 Neutralizzazione catalizzatore

3𝑁𝑎𝑂𝐻 + 𝐻3𝑃𝑂4 𝑁𝑎3𝑃𝑂4+ 3𝐻2𝑂

Nel seguente caso, per prevedere l’attività dei coefficienti nel processo di simulazione, è stato utilizzato il modello termodinamico UNIF-DMD (modello Dortmund). Tra i quattro modelli appartenenti alla famiglia UNIFAC, la

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variazione del modello Dortmund fornisce una stima più accurata dei coefficienti di attività di infinita diluizione (Aspen Physical Property System, 2001).

La tabella 7 mostra il bilancio di materia globale dell’intero processo.

Tabella 7 Bilancio globale di materia

In figura 20 è riportato il flowsheet del processo di produzione, mentre in tabella 8 sono riportati i bilanci di materia.

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Figura 21 Schema processo di produzione con ASPEN Plus®

Tabella 8 Bilanci di materia

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49 4.2.1 Sezione di reazione

Figura 22 Flowsheet sezione di reazione

Nella sezione di reazione avviene la trasformazione dei trigliceridi in esteri metilici che formano il biodiesel.

 Transesterificazione

Metanolo (125 kg/h) e NaOH (10 kg/h) vengono mescolati insieme nel mixer MIX-1. Insieme al catalizzatore entrano 10 kg/h di ora. La miscela 1A, viene mandata nella pompa e subisce un innalzamento di pressione fino ad arrivare a 4 bar. La corrente OIL (1000 kg/h) subisce anch’essa un innalzamento di pressione prima di entrare nello scambiatore. Il flusso 2A incontra in controcorrente nello scambiatore H-1 del vapore a 152 °C. Il flusso 2B che esce dallo scambiatore a 60 °C, incontra nel mixer MIX-2 il flusso 1B (miscela di metanolo e catalizzatore) e il metanolo ricircolato. Quest’ultimo si trova alle condizioni operative del metanolo fresco, ossia 25 °C e 4 bar. La corrente 3 in uscita dal mixer presenta delle specifiche caratteristiche. In particolare il rapporto molare del metanolo/olio è 6:1 e la quantità di idrossido di sodio è l’1%

della quantità di olio. Nel reattore R-1 avviene la conversione, a 60 °C e 4 bar, di circa il 99% di olio in esteri metilici. Oltre che il biodiesel (994,801 kg/h), dal reattore uscirà (corrente 4) l’olio (10kg/h) e il metanolo (111,859 kg/h) che non

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