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Diritto Commerciale n Diritto di recesso. n Diritto di recesso

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n Diritto di recesso

Tribunale Roma, 15 gennaio 2020 – Pres. Di Salvo – Rel. Cardinali – Fondazione Cassa di Risparmio di Verona Vicenza e Belluno (avv.ti Barenghi, Fois e Luchi) – Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (avv.ti Irti, Libertini, Arnaud e Bellucci).

Societa` – Societa` di capitali – Diritto di recesso – Criteri di liquidazione – Disciplina applicabile – De- rogabilita`

Anche a voler riconoscere a Cassa Depositi e Prestiti natura di societa` a partecipazione pubblica di diritto singolare, costituita per il perseguimento di una speci- fica missione di pubblico interesse, e la conseguente possibilita` di derogare, per legge, alle specifiche dispo- sizioni di diritto comune dettate dal codice civile per il tipo sociale prescelto non puo` attribuirsi alla disposizio- ne statutaria che, in caso di recesso, preveda che il valore di liquidazione venga determinato in misura pari alla frazione del capitale sociale per cui e` esercitato il recesso e che tale valore venga decurtato, con riferimen- to agli utili degli esercizi sociali sino al 31/12/08 com- preso, della differenza tra il dividendo preferenziale spettante alle medesime azioni, un’efficacia normativa idonea a legittimare una deroga ai principi previsti per il recesso dei soci di societa` per azioni, ne´ una tale deroga puo` rinvenirsi in altre disposizioni di legge in vigore alla data di esercizio del recesso.

Omissis – Premesso, per le ragioni gia` espresse nella sentenza non definitiva, che l’accertamento, incidenter tan- tum, dell’invalidita` della clausola in questione, ai fini del- l’accertamento del diritto dell’attrice di ottenere la liquida- zione della propria partecipazione in base ai criteri di cui all’art. 2437 ter c.c., senza tener conto della deroga disposta dalla clausola statutaria di cui la stessa attrice asserisce l’invalidita`, non e` preclusa dalla natura pubblicistica del- l’atto con il quale e` stato approvato l’originario statuto della Cassa, si deve dunque valutare, in primo luogo, quale sia la normativa applicabile alla fattispecie in questione, con par- ticolare riguardo alle specifiche caratteristiche della Cassa Depositi e Prestiti S.P.A., societa` costituita per legge a seguito della trasformazione in societa` per azioni dell’ente pubblico Cassa Depositi e Prestiti per il perseguimento degli scopi di interesse generale da essa tradizionalmente perseguiti e attualmente partecipata dal socio pubblico di maggioranza e da soci privati di minoranza in possesso dei requisiti previsti dalla normativa che ha attuato la privatiz- zazione. Sotto questo profilo, ritiene il collegio che, anche a voler riconoscere alla Cassa natura di societa` a partecipa- zione pubblica di diritto singolare, costituita per il perse- guimento di una specifica missione di pubblico interesse, e la conseguente possibilita` di derogare, per legge, alle spe- cifiche disposizioni di diritto comune dettate dal codice civile per il tipo sociale prescelto, nel caso di specie, non puo` attribuirsi alla disposizione statutaria in questione un’efficacia normativa idonea a legittimare una deroga ai principi previsti per il recesso dei soci di societa` per azioni, ne´ una tale deroga puo` rinvenirsi in altre disposizioni di

legge in vigore alla data in cui la Fondazione ha esercitato il recesso.

Le disposizioni statutarie, originarie o intervenute per modifiche successive, infatti, ancorche´, nel primo caso, adottate con decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, si risolvono pur sempre nell’esercizio dell’autono- mia negoziale attribuita ai soci dall’ordinamento nei limiti dallo stesso individuati, e l’eventuale superamento di tali limiti, salva la valutazione di legittimita` costituzionale, po- trebbe essere disposto solo da fonti normative di rango primario, alle quali le norme di rango secondario possono dare attuazione nell’ambito del perimetro individuato dalle prime.

La deroga dei principi previsti in materia di recesso e di liquidazione della quota del socio receduto contenuta nella disposizione statutaria in questione, d’altra parte, non si rinviene in nessuna delle norme dettate dal D.L. 30 settem- bre 2003, n. 269, con il quale e` stata disposta la trasforma- zione della Cassa Depositi e Prestiti in societa` per azioni, ne´

in alcuna norma di legge intervenuta prima del recesso esercitato dalla Fondazione attrice, e non puo` essere de- sunta in via interpretativa dalle specifiche disposizioni che hanno creato il sistema attraverso il quale e` stata attuata la privatizzazione. Le ragioni di ordine politico o economico che hanno indotto il legislatore a trasformare la Cassa in societa` per azioni – prevedendo che lo Stato rimanesse azionista di maggioranza, la possibilita` di acquisto delle altre azioni da parte di soggetti privati, fra i quali la Fon- dazione odierna attrice, la determinazione del capitale so- ciale nella misura indicata nel decreto legge e le ulteriori specifiche modalita` organizzative nello stesso indicate – hanno sicuramente condizionato in modo legittimo le scelte adottate in sede di redazione dello statuto con riguardo alle previsioni di regole di funzionamento compatibili con i principi dettati in materia di societa` per azioni – quali la previsione della emissione di azioni privilegiate, la conver- sione automatica di dette azioni in azioni ordinarie e l’in- serimento di particolari ipotesi di recesso da parte dei soci titolari di azioni privilegiate –, ma non possono giustificare, ad avviso del collegio, le scelte adottate con riguardo a regole di funzionamento della societa` che deroghino tali principi, quale il criterio da adottare per la determinazione del valore della partecipazione del socio receduto, salvo che la deroga costituisca una conseguenza necessaria del siste- ma normativo, anche di diritto singolare, predisposto per attuare la privatizzazione. Tale rapporto di consequenziali- ta` necessaria non puo` rinvenirsi nell’esigenza di creare un meccanismo idoneo ad adeguare il prezzo versato dai soci privati per acquistare dal socio unico le azioni privilegiate, senza prevedere alcun sovrapprezzo, al valore effettivo del patrimonio della societa`, che al momento dell’acquisto non era determinato, attraverso la deroga dei principi che rego- lano gli effetti della cessazione della qualita` di socio e i diritti del socio receduto alla liquidazione della propria partecipazione. La scelta operata dal legislatore di attuare la privatizzazione dell’Ente Cassa Depositi e Prestiti attra- verso la sua trasformazione in societa` per azioni comporta infatti che, salve espresse deroghe disposte nel provvedi- mento legislativo che ha attuato tale scelta o in provvedi- menti normativi successivi – deroghe che, nel caso di spe- cie, non sono rinvenibili, quanto meno prima del recesso esercitato dalla Fondazione attrice –, i rapporti fra i soci –

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nel caso di specie, fra socio venditore di parte delle sue azioni e acquirente delle stesse – non possano incidere sui rapporti fra soci e societa` e sui diritti dei primi nei con- fronti della seconda – nel caso di specie, sui diritti del socio receduto alla liquidazione della propria partecipazione –.

All’intervento normativo richiamato dalla convenuta con riguardo alla legge di conversione del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, d’altro canto, non puo` attribuirsi efficacia retroattiva idonea a disciplinare i rapporti derivanti dal recesso esercitato prima dell’entrata in vigore della legge di conversione – che ha per la prima volta affermato il principio per il quale, ‘‘in caso di recesso, quanto alla de- terminazione del valore di liquidazione delle azioni privile- giate, si applicano le vigenti disposizioni dello statuto della CDP’’ (art. 36, comma 3-septies)’’ – ne´ natura di norma di interpretazione autentica, incompatibile con la sua portata derogatoria dei principi dettati dalla legge in materia di liquidazione della quota del socio receduto: principi che, per quanto si e` detto, non possono considerarsi modificati in via interpretativa dalla normativa che aveva disciplinato la privatizzazione della Cassa.

Ne discende che la clausola statutaria che prevede che la quota del socio receduto sia valutata con riguardo al suo valore nominale, anziche´ con riguardo al suo valore effetti- vo, non potrebbe che essere considerata invalida, se ad essa dovesse attribuirsi portata derogatoria dei principi sanciti dall’art. 2437 ter c.c., e, infatti, la stessa Cassa fonda gran parte delle sue difese sul presupposto che la detta norma debba essere interpretata nel senso di consentire, anche per le societa` di diritto comune, che, in ipotesi di recesso con- venzionale, lo statuto possa stabilire regole diverse per la liquidazione della partecipazione del socio receduto.

A tale riguardo, il citato art. 2437 ter, dopo aver sancito il diritto del socio receduto di ottenere la liquidazione delle azioni per le quali ha esercitato il recesso, prevede, al se- condo comma, con riferimento alle societa` non quotate in borsa, che ‘‘il valore di liquidazione delle azioni e` determi- nato dagli amministratori... tenuto conto della consistenza patrimoniale della societa` e delle sue prospettive reddituali, nonche´ dell’eventuale valore di mercato delle azioni’’ e, al quarto comma, che ‘‘lo statuto puo` stabilire criteri diversi di determinazione del valore di liquidazione, indicando gli elementi dell’attivo e del passivo del bilancio che possono essere rettificati rispetto ai valori risultanti dal bilancio, unitamente ai criteri di rettifica, nonche´ altri elementi su- scettibili di valutazione patrimoniale da tenere in conside- razione’’. La norma di cui al quarto comma dell’art. 2437 ter e` stata interpretata, in modo pressoche´ unanime in giurisprudenza e dottrina, nel senso che i ‘‘criteri diversi’’

ivi menzionati abbiano una funzione integrativa dei princi- pi indicati nel secondo comma, attribuita alla autonomia statutaria nei precisi limiti indicati nella stessa norma, e, comunque, diretta a pervenire ad una valutazione del va- lore reale della partecipazione, secondo alcuni necessaria- mente piu` favorevole rispetto a quella che deriverebbe dal- l’applicazione dei criteri indicati nel secondo comma, se- condo altri, anche peggiorativa, purche´ il risultato finale non sia del tutto avulso dal valore effettivo della quota al momento del recesso. Dovendosi condividere questa impo- stazione, si deve dunque ritenere che lo statuto non possa prevedere criteri che, come nel caso de quo, prescindano del tutto dal valore reale della quota di partecipazione, riferendosi al valore meramente nominale, del tutto disan- corato dall’effettiva consistenza patrimoniale della societa`.

Da tale conclusione non ci si puo` discostare, ad avviso del collegio, neppure per le ipotesi di recesso esercitato al di fuori delle ipotesi legali, usufruendo della facolta` attri- buita al socio dallo statuto per ragioni diverse da quelle previste dai commi 1, 2 e 3 dell’art. 2437 c.c., come ora e`

consentito dal quarto comma dello stesso articolo. In pro- posito, infatti, si deve rilevare che la nullita` della clausola statutaria che deroga ai principi previsti nell’art. 2437 ter c.c. deriva dalla contrarieta` della previsione statutaria alle norme imperative contenute in tale articolo, indipendente- mente dalla contrarieta` o meno della previsione statutaria alla norma imperativa contenuta nell’art. 2437 c.c., che vieta ogni patto volto ad escludere o a rendere piu` gravoso l’esercizio del diritto di recesso con esclusivo riferimento alle ipotesi di recesso legale previste dal primo comma dello stesso articolo, e che l’art. 2473 ter c.c. non reca alcuna distinzione fra cause di recesso legali e cause di recesso statutarie al fine di dettare diversi criteri di liquidazione della quota del socio receduto.

Fatte queste premesse, si deve dunque ritenere che l’in- terpretazione secondo la quale, nei casi di recesso statuta- rio, all’autonomia statutaria si possa attribuire il potere di derogare al principio della necessaria corrispondenza del valore della quota da liquidare al socio receduto al suo valore reale alla data del recesso non puo` trovare giustifi- cazione nella considerazione che il recesso statutario costi- tuisce una tutela aggiuntiva, rispetto a quella prevista dalla legge, dei diritti del socio, tutela che, in quanto tale, non incide sulle prerogative irrinunciabili del socio previste in caso di recesso legale e potrebbe essere modulata, nell’am- bito dell’autonomia negoziale, con previsione di effetti, in termini di diritti alla liquidazione della quota, diversi da quelli previsti nei casi in cui la tutela sia prevista in modo inderogabile dalla legge. Distinguere i diritti del socio re- ceduto per una causa prevista dalla legge da quelli del socio receduto per una causa prevista dallo statuto, ipotizzando, nel secondo caso, che lo statuto possa prevedere che al socio spetti la liquidazione della quota in misura diversa da quella che la legge impone in caso di recesso legale – valore commisurato alla consistenza patrimoniale della so- cieta`, da valutarsi in base a criteri elastici, ma sempre ad essa correlati – non pare consentito, in mancanza di espli- cita previsione normativa. Si deve, infatti, ritenere che l’e- voluzione legislativa in materia di riconoscimento della pos- sibilita` di recesso per il socio delle S.P.A. abbia introdotto un sistema unitario nel quale l’ampliamento delle cause di recesso, fino a comprendervi quelle liberamente predeter- minate dai soci, non ha modificato il regime delle conse- guenze che ne derivano: conseguenze che non vi e` ragione di diversificare una volta riconosciuta l’equivalente idoneita`

a giustificare il recesso delle ragioni individuate dalla legge e di quelle individuate dai soci.

Per tali ragioni la liquidazione della quota della Fonda- zione attrice effettuata dalla Cassa con riguardo al suo va- lore nominale deve ritenersi illegittima, in quanto fondata sulla previsione statutaria di un criterio di valutazione da ritenersi in contrasto con il disposto dell’art. 2437-ter c.c., con la conseguenza che il valore della quota del socio re- ceduto, in mancanza di altri criteri individuati nello statuto conformemente al disposto di tale norma, deve essere de- terminato ai sensi del secondo comma della stessa. A tale scopo e` stata disposta la CTU, alle cui conclusioni il col- legio ritiene di doversi attenere, essendo congruamente motivate ed immuni da vizi logici. I consulenti, infatti,

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hanno chiaramente esposto, con argomentazioni del tutto condivisibili, le ragioni per le quali, stante la natura di titoli di partecipazione al capitale e non di strumenti finanziari dei titoli in questione, al fine di determinare il valore della partecipazione della Fondazione al momento del recesso, si debba avere riguardo, come disposto dall’art. 2437 ter c.c., alla consistenza patrimoniale della societa` e alle sue pro- spettive reddituali, nonche´ all’eventuale valore di mercato, e non al prezzo implicito ricavabile dal rapporto di conver- sione delle azioni privilegiate in azioni ordinarie secondo i meccanismi previsti nello statuto che, peraltro, hanno su- bito rilevanti modifiche nel corso del tempo. Hanno inoltre posto in evidenza le ragioni per le quali l’integrazione della valutazione attraverso l’utilizzazione del criterio del valore di mercato, che avrebbe astrattamente potuto risentire de- gli effetti della conversione prevedibili al momento del re- cesso, non avrebbe portato a risultati apprezzabili, in con- siderazione delle specifiche caratteristiche della societa` e della conseguente inesistenza di un mercato attivo espres- sivo dei valori effettivi. Hanno quindi determinato il valore

economico della Cassa Depositi e Prestiti al tempo del recesso della Fondazione, motivando esaurientemente la scelta del metodo di valutazione ritenuto piu` adeguato, in un range compreso tra un minimo di 19 miliardi di euro (come indicato nella perizia redatta dalla Deloitte e dalla Cassa, in occasione della determinazione del valore di con- versione delle azioni privilegiate, e come posto a fondamen- to della domanda spiegata in via principale dall’attrice nel- l’atto di citazione) e un massimo di 21 miliardi di euro.

Considerato che la Fondazione deteneva una partecipazio- ne del 2,566857% e che, in termini di diritti patrimoniali, economici e amministrativi, le azioni privilegiate dovevano considerarsi equivalenti alle azioni ordinarie, i consulenti sono quindi giunti alla conclusione che il valore della quota di partecipazione azionaria dell’attrice determinato con la delibera del consiglio di amministrazione della Cassa del 29/1/13 non corrisponde al valore reale della quota, deter- minabile secondo i criteri legali alla data del recesso. [...]. – Omissis.

Sull’ammissibilita` della liquidazione della partecipazione del socio recedente al nominale: il caso CDP

Maria Lucia Passador*

La decisione in commento rileva per la novita` e la peculiarita` delle questioni che affronta, dimostrando come ancor oggi sia tutt’altro che sopito l’interesse tanto per la natura giuridica di Cassa Depositi e Prestiti quanto per la (derogabilita` della) valorizzazione della quota del socio recedente al momento dell’esercizio del proprio diritto. La Corte ha ritenuto la clausola sulla liquidazione della quota ‘‘al nominale’’ – che piu` precisamente prevedeva il valore di liquidazione venisse determinato in misura pari alla frazione del capitale sociale per cui e` esercitato il recesso e poi decurtato, con riferimento agli utili degli esercizi sociali sino al 31/12/08 compreso, della differenza tra il dividendo preferenziale spettante alle medesime azioni – illegittima in quanto fondata sull’utilizzo di un criterio non conforme a quello contemplato dall’art. 2437-ter, 2º comma, c.c.

Il tenore letterale della clausola sul valore di liquidazione delle azioni privilegiate per cui e`

esercitato il recesso

La decisione in commento rileva per due ordini di ragioni: per la novita` e la peculiarita` delle questioni che affronta, dimostrando come ancor oggi sia tutt’al- tro che sopito l’interesse per la natura giuridica di Cassa Depositi e Prestiti, come pure per la valutazione della quota del socio recedente al momento dell’eser- cizio del proprio diritto.

Nel caso in esame, la Fondazione Cassa di Rispar- mio di Verona, Vicenza e Belluno aveva convenuto in giudizio la Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (d’ora innanzi, anche, CDP) per veder riconosciuta la nul- lita` della clausola di cui all’art. 9 dello statuto origi- nario di CDP (e la conseguente illegittimita` della deliberazione del consiglio di amministrazione con cui era stato determinato il valore della quota al mo- mento del recesso esercitato da parte attrice nel no-

vembre 2012): ai sensi di tale clausola, il valore di liquidazione della quota del socio receduto avrebbe dovuto essere infatti ‘‘determinato in misura pari alla frazione del capitale sociale per cui e` esercitato il recesso e [...] decurtato, con riferimento agli utili degli esercizi sociali sino al 31 dicembre 2008 com- preso, della differenza tra il dividendo preferenziale spettante alle medesime azioni’’. L’attrice, titolare delle azioni privilegiate di CDP (v. infra par. 2 per ulteriori dettagli)

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, ricorreva pertanto per veder rico- nosciuto un valore di liquidazione in corrispondenza all’esercizio del recesso determinato ai sensi dell’art.

2437-ter c.c., e quindi in relazione alla consistenza patrimoniale e alle prospettive economiche della so- cieta` al momento del suo esercizio, come risultanti dall’accertamento compiuto in corso di causa. E cio`

sul riflesso che, prevedendo invece la disposizione di cui all’art. 9, 3º comma, dello statuto un valore di liquidazione differente, esso non poteva considerarsi legittimo nel periodo temporale antecedente all’e-

* Il contributo e` stato sottoposto, in forma anonima, alla valu- tazione di un referee.

1Sulla natura giuridica delle azioni privilegiate, cfr., ex multis, G.F. Campobasso, Diritto Commerciale. Diritto delle societa`9, II, Torino, 2015, 209 e nota 32; M. Cian, La liquidazione della quota del socio recedente al valore nominale (in margine ad una clausola

statutaria in deroga ai criteri legali di valutazione delle azioni), in Riv. Dir. Soc., 2010, 301 e segg.; C. Costa, Conversione di azioni privilegiate a voto limitato in ordinarie: assemblee speciali, poteri e limiti, in Banca Borsa, 1983, II, 474 e segg. e A. Asquini, Le azioni privilegiate a voto limitato, in Riv. Societa`, 1961, 929 e segg.

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missione del parere del Consiglio di Stato 7 novem- bre 2012, n. 8172

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e all’introduzione dell’art. 36, comma 3º-septies, L. 17 dicembre 2012, n. 221

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, secondo cui tali condizioni economiche per la con- versione erano volte a consolidare la permanenza di soci privati nell’azionariato di CDP. Conseguente- mente richiedeva l’eliminazione della clausola illegit- tima e la liquidazione della propria partecipazione azionaria al momento dell’esercizio del recesso ‘‘in base a criteri di realistica corrispondenza alla consi- stenza patrimoniale della societa`, alla sua redditivita`

e all’eventuale valore di mercato delle azioni di cui e`

parola dell’art. 2437-ter, 2º comma, c.c.’’. Domanda accolta dal Tribunale di Roma con un processo ar- gomentativo che ha sostanzialmente investito due questioni: la derogabilita` statutaria di una norma imperativa da parte dello statuto di una societa` per azioni portatrice di interessi pubblici; i margini di elasticita` dei criteri di valutazione delle azioni del recedente previsti dall’art. 2437 c.c.

L’evoluzione di Cassa Depositi e Prestiti.

Osservazioni statutarie post trasformazione e conseguenze della sua natura in punto di disciplina

Per affrontare la questione dell’ammissibilita` della clausola statutaria sub iudice su cui era stato chiamato a pronunciarsi il Tribunale di Roma e, preliminarmen- te, per meglio comprendere i contorni della vicenda, appare imprescindibile compiere una disamina delle caratteristiche principali dell’istituzione finanziaria che ha attraversato, dal 1863 ad oggi, la storia econo- mica del nostro Paese

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. CDP, inizialmente operante quale direzione generale del Ministero del Tesoro pre- valentemente nell’amministrazione delle casse di ri- sparmio postali e dell’erogazione di mutui long-term, senza personalita` giuridica, ma con autonomia conta- bile e amministrativa, divenne, in seguito alla L. 13 maggio 1983, n. 197, azienda autonoma dello Stato con personalita` giuridica, autonomia patrimoniale e di bilancio con funzioni d’intermediazione finanziaria

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sempre nello stesso ambito

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. Infine, nel 2003, CDP

2Per tutti, a commento, v. K. Peci, La conversione delle azioni Cassa depositi e prestiti S.p.A. Il parere del Consiglio di Stato, in Giornale Dir Amm., 2013, 623 e segg., il quale conclusivamente evidenzia che ‘‘[i]n tale ottica, il ruolo delle fondazioni in CDP assume particolare importanza non solo in quanto investitori di lungo termine, radicati sul territorio e capaci di coinvolgere il sistema creditizio nelle attivita` di CDP, bensı` anche perche´ esse hanno dimostrato di non soffrire di particolari timori reverenziali nei confronti del socio di maggioranza’’ (a 630); G. Di Cecco, Recesso convenzionale e convertibilita` automatica delle azioni con determinazione convenzionale del valore dei titoli. Note a margine del parere del Consiglio di Stato sulle regole statutarie della Cassa Depositi e Prestiti s.p.a. e del successivo intervento del legislatore, in Ianus, 2012, 279 e segg., spec. 284 e segg. e S. Simone, Cassa depositi e prestiti: organismo di diritto pubblico?, in Giornale Dir Amm., 2008, 155 e segg.

3Nello specifico, l’intervento legislativo in questione (L. 17 dicembre 2012, n. 221) ha rivalutato ‘‘l’apporto iniziale del capi- tale delle Fondazioni, data la stima peritale del valore economico del patrimonio iniziale assai superiore a quello nominale (per un fattore pari a 1,7: 6,05 mld di euro rispetto ai 3,5 di nominale).

L’effetto economico della norma e` stato di rivalutare l’apporto iniziale delle Fondazioni di circa 2,250 miliardi e di abbassare il loro peso sul capitale ordinario dal 30 al 17%’’ (A. Macchiati, La Cassa Depositi e Prestiti dopo la trasformazione: ovvero ai posteri l’ardua sentenza, in Mercato concorrenza regole, 2013, 287 e segg., a 291 e seg. e note 12-13).

4Per una illustrazione attenta della prospettiva storica, cfr. A.

Donato, Il ruolo di holding di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A.:

profili giuridici attuali della gestione di partecipazioni come stru- mento di politica industriale, in Analisi Giur. Econ., 2015, 367 e segg.; A. Ninni, La Cassa Depositi e Prestiti: il ritorno dello stato- guida (e oltre) in politica industriale, in Economia e politica indu- striale, 2013, 141 e segg., 145; E. Bani, La Cassa depositi e prestiti S.p.A. di diritto singolare, in Scritti in onore di Francesco Capri- glione, I, Padova, 2010, 269 e segg., 273; G. Napolitano, Le societa` pubbliche tra vecchie e nuove tipologie, in Riv. Societa`, 2006, 999 e segg.; G. Della Cananea, La societa` per azioni Cassa Depositi e Prestiti, in Giornale Dir Amm., 2004, 366 e segg., 371;

G. Sotto di Carlo-A. Volpe Prignano, Strutture e prospettive della Cassa Depositi e Prestiti S.p.A., in Riv. Banc., 2001, 61 e segg.; L.

Conte, Amministrare il risparmio: la Cassa depositi e prestiti da azienda a impresa-organo del ministero del Tesoro, 1850-1913, in Storia della Cassa Depositi e Prestiti. Dalle origini alla fine del Novecento, a cura di M. De Cecco e G. Toniolo, Roma-Bari,

2000, 91 e segg., 101; V. Malitesta, Sulla natura giuridica della cassa depositi e prestiti, in Riv. Trim. Dir. Pubb., 1998, 145 e segg.;

A. Marcelli, La Cassa depositi e prestiti, in I tribunali amministra- tivi regionali, 1992, II, 337 e segg.; Id., La Cassa Depositi e Prestiti, in Riv. Corte dei Conti, 1992, n. 4, 164 e segg.; G. Fortunato, La Cassa depositi e prestiti: un mostro tentacolare e misterioso, in I tribunali amministrativi regionali, 1991, a 193 e 200 (che la defi- nisce come ‘‘formidabile strumento di politica economica’’, ma anche come ‘‘mostro [dall’] identita` controversa e per le sue pe- culiarita` che non la rendono facilmente catalogabile nelle consuete categorie giuridiche); V. Barnato, La ristrutturazione della Cassa Depositi e Prestiti, in Riv. Trim. Dir. Pubb., 1986, 1084 e segg. e M.T. Salvemini, La Cassa depositi e prestiti: appunti per una di- scussione, Milano, 1978, 25.

5Sottolineano la natura di ‘‘intermediario finanziario’’ di CDP:

L. Enriques-F.M. Mucciarelli, Governance pubblica e privata delle politiche pubbliche per obiettivi: una proposta di riforma della go- vernance della Cassa Depositi e Prestiti, in Giur. Comm., 2019, I, 1014 e segg., a 1016 e nota 10; A. Donato, Il ruolo di holding di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A.: profili giuridici attuali della gestio- ne di partecipazioni come strumento di politica industriale, in Ana- lisi Giur. Econ., 2015, 373 e nota 12 (ove si evidenzia pero` la sua

‘‘natura oggettivamente bancaria’’, rinviando, sul punto, anche a F.M. Mucciarelli, Ma cos’e` diventata la Cassa depositi e prestiti?, in Mercato concorrenza regole, 2004, 355 e segg., a 371 e a R. Costi, L’ordinamento bancario5, Roma, 2012, 239 e segg.), 388 e note 40- 41; M.T. Salvemini, La posizione della Cassa Depositi e Prestiti, in Riv. Giuridica del Mezzogiorno, 2015, 681 e segg., a 682 (ove si rinvengono riferimenti al fatto che essa ‘‘doveva garantirsi che chi prendeva i soldi li potesse poi restituire, e fosse in grado di pagare un interesse’’).

6Ampiamente, per un’approfondita ed aggiornata analisi degli scopi e dell’evoluzione di CDP, che ‘‘dal 2003 ha progressivamen- te assunto la funzione di detenere partecipazioni in societa` indu- striali o finanziarie [ed e` cosı`] il candidato naturale a svolgere il ruolo di ‘‘braccio’’ delle politiche pubbliche per obiettivi (e, in ultima istanza, della politica industriale del Governo)’’, v. L. En- riques-F.M. Mucciarelli, Governance pubblica e privata delle po- litiche pubbliche per obiettivi: una proposta di riforma della gover- nance della Cassa Depositi e Prestiti, in Giur. Comm., 2019, I, 1014 e segg., a 1016 e note 10-12, a 1017 e seg. e nota 20. Ai medesimi AA. si rinvia anche per una disamina comparata del sistema tedesco (la Kreditanstalt fu¨r Wiederaufbau) e cinese (la State-owned Assets Supervision and Administration Commission) (a 1018 e segg.).

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diveniva oggetto di un importante processo di trasfor- mazione in societa` per azioni

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(D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni nella L.

24 novembre 2003, n. 326), processo volto primaria- mente a garantire un equilibrio tra la gestione separata e quella ordinaria della stessa

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. In tale sede, veniva richiesta l’emanazione di due decreti (non aventi na- tura regolamentare e dunque ‘‘sottratti al vaglio degli organi di garanzia, ossia al parere del Consiglio di Stato ed al vaglio di legittimita` della Corte dei Con- ti’’

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), il primo (decreto del Ministro dell’Economia) determinava il capitale di CDP in 3,5 miliardi di Euro, il secondo (decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) ripartiva lo stesso in azioni dal valore nomi- nale di 10 Euro cadauna (245.000.000 di esse erano azioni ordinarie e 105.000.000 privilegiate). Tale ca- pitale era sostanzialmente corrispondente al vecchio fondo di dotazione, mentre il fondo di riserva era trattenuto dal Tesoro, con il trasferimento di alcune attivita` e passivita` al MEF

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. Sulla sua determinazione – ed occorre evidenziarlo nell’ottica delle riflessioni che seguiranno in punto di recesso – la Corte dei Conti avrebbe espresso taluni dubbi: essendo la de- terminazione dei valori enucleata nella relazione giu- rata di stima sı` compiuta da soggetti ‘‘di adeguata esperienza e qualificazione professionale ‘nominati dal ministero’, ma ‘anche in deroga agli articoli del codice civile’ che disciplinano la materia dei conferi- menti alle societa`, la stima dei conferimenti stessi, il pagamento delle quote, ecc.’’

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. Dubbi non privi di fondamento, se si considera che, nel volgere di pochi mesi dalla costituzione della S.p.A., rispettivamente al 31 dicembre 2004 e al 31 dicembre 2005, il patrimo- nio di CDP gia` ammontava a 4.381.137.000 e a

5.755.101 Euro, lasciando cosı` intendere l’esistenza di una plusvalenza inespressa

12

.

Le azioni privilegiate – decisamente rilevanti in re- lazione alla sentenza che ci occupa – venivano cedute a sessantacinque Fondazioni bancarie ‘ad un prezzo pari al valore nominale delle azioni stesse’, fissato,

‘quanto a dette azioni privilegiate’, ai sensi della L.

n. 474/1994 e, peraltro, confermato dalla valutazione effettuata da JP Morgan, consulente del citato mini- stero.

Nello specifico, nell’ambito della trasformazione, parte attrice aveva acquistato 940.000 azioni privile- giate, corrispondenti al 2,5669% del capitale sociale;

cosı` risultando a tutti gli effetti – come gli altri azioni- sti ‘‘privilegiati’’

13

– statutariamente autorizzata ‘‘a de- tenere quote di minoranza del capitale’’ (art. 5, com- ma secondo) e chiamata a sopportare le perdite sep- pure in via postergata (art. 7, comma quarto). Alle azioni privilegiate (i.e. alle Fondazioni) veniva in tal modo attribuito uno ‘‘sbilanciato potere negoziale’’

per convincere le Fondazioni ‘‘a entrare nel capitale per ottenere piu` facilmente riconosciuta la natura di market unit per la CDP e cosı` portarla fuori dal peri- metro della PA’’

14

.

Lo statuto recava infatti alcune previsioni degne di nota proprio in relazione alle azioni privilegiate, espli- citamente richiamate dai giudici romani

15

. In primo luogo, l’art. 9 dello statuto prevedeva la conversione automatica delle azioni privilegiate in azioni ordinarie a far data dal 1º gennaio 2010 con un rapporto di conversione fissato dall’organo consiliare sulla base della perizia di un esperto al fine di individuare il valore effettivo del patrimonio netto della societa`, no- minato dall’organo amministrativo d’intesa con il co-

7Sugli effetti della privatizzazione di CDP (e sul passaggio della stessa da strumento di politica economica teso a raccogliere risor- se delle famiglie, ma anche a finanziare gli enti pubblici a tassi concorrenziali rispetto a quelli di mercato, a S.p.A., intrinseca- mente diretto alla massimizzazione del profitto), F.M. Mucciarelli, Ma cos’e` diventata la Cassa depositi e prestiti?, in Mercato concor- renza regole, 2004, 364 e seg. e sulle molteplici problematiche dell’operazione, C. Ibba, Societa` pubbliche e riforma del diritto societario, in Riv. Societa`, 2005, 1 e segg.; G.B. Portale, Fondazioni

‘‘bancarie’’ e diritto societario, in Riv. Societa`, 2005, 23 e segg., spec. 30 e segg.; G. Napolitano, Le societa` pubbliche tra vecchie e nuove tipologie, in Riv. Societa`, 2006, 999 e segg., spec. 1010 e segg.

8Cio` viene rilevato in Corte dei Conti, Sezione del controllo sugli enti, Relazione sul risultato del controllo eseguito sulla gestio- ne finanziaria della Cassa depositi e prestiti S.p.A. per l’esercizio 2013, Delibera n. 4/2015, 2015, 9. Sulle linee generali della tra- sformazione, ampiamente, F.M. Mucciarelli, Ma cos’e` diventata la Cassa depositi e prestiti?, in Mercato concorrenza regole, 2004, 358 e segg., il quale si sofferma altresı` sulla disamina della gestione tradizionale, a 355 e segg.

9F.M. Mucciarelli, Ma cos’e` diventata la Cassa depositi e pre- stiti?, in Mercato concorrenza regole, 2004, 362 e segg., par. 4, ove l’A. sottolinea criticamente la natura non regolamentare dei de- creti del 5 dicembre 2003.

10Art. 3, D.M. 5 dicembre 2003.

11Deliberazione n. 14/2004 (riportata anche in A. Macchiati, La Cassa Depositi e Prestiti dopo la trasformazione: ovvero ai po- steri l’ardua sentenza, in Mercato concorrenza regole, 2013, a 297 e

nota 20).

12CDP, Bilancio dell’esercizio 2005, consultabile all’indirizzo https://www.cdp.it/resources/cms/documents/bilancio_2005.pdf.

13Secondo i dati riportati nel piu` recente studio sulla compa- gine azionaria di CDP (L. Enriques - F.M. Mucciarelli, Gover- nance pubblica e privata delle politiche pubbliche per obiettivi: una proposta di riforma della governance della Cassa Depositi e Prestiti, in Giur. Comm., 2019, I, 1022 e nota 30), essa si compone del MEF (per una quota pari all’82,77% del capitale), di fondazioni bancarie (per una quota pari al 15,93%) e di azioni proprie (per una quota pari all’1,3%).

Riflette sulla progressiva diminuzione del numero delle azioni attribuite alle fondazioni (cui era stato inizialmente attribuito un

‘‘pacchetto invitante’’ di azioni privilegiate) anche A. Donato, Il ruolo di holding di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A.: profili giuridici attuali della gestione di partecipazioni come strumento di politica industriale, in Analisi Giur. Econ., 2015, 387 e nota 37.

14Cosı` A. Macchiati, La Cassa Depositi e Prestiti dopo la tra- sformazione: ovvero ai posteri l’ardua sentenza, in Mercato concor- renza regole, 2013, 287 e segg., a 291. Nello stesso senso, D.

Colaccino, La dismissione e la razionalizzazione di partecipazioni societarie dello Stato, in Giornale Dir Amm., 2012, 1189 e segg.

15Per una disamina di altre disposizioni statutarie, aventi ad oggetto i poteri del MEF, le modalita` di trasferimento a CDP di partecipazioni azionarie statali, v. A. Donato, Il ruolo di holding di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A.: profili giuridici attuali della gestio- ne di partecipazioni come strumento di politica industriale, in Ana- lisi Giur. Econ., 2015, 374 e segg.

(6)

mitato di supporto degli azionisti privilegiati. Onde operare la conversione, le azioni privilegiate avrebbe- ro dovuto essere oggetto di valorizzazione applicando il criterio stabilito da un’altra disposizione statutaria (e precisamente dall’art. 9, comma terzo), ossia al va- lore nominale. Si prevedevano altresı` una maggioranza rafforzata (pari all’85% ex art. 14, comma secondo ) per poter modificare lo statuto di CDP, cosı` da non permettere al MEF di imporre una modifica statutaria senza il consenso ‘‘almeno di una parte (ancorche´

minoritaria) delle fondazioni bancarie socie di CDP’’

16

, e un dividendo preferenziale (art. 30, com- ma secondo) con incremento o diminuzione del prez- zo di recesso in presenza di un delta tra dividendo preferenziale e percepito.

Va altresı` precisato che lo statuto attribuiva ai tito- lari delle azioni privilegiate la facolta` di versare una somma a titolo di conguaglio azioni per la differenza tra il valore dell’azione ordinaria e di quella privile- giata nell’ultimo trimestre del 2012, come pure di recedere laddove non intendessero avvalersi della conversione automatica, vedendosi cosı` attribuito il valore come sopra determinato.

Nel 2009 il testo statutario veniva modificato posti- cipando i termini per la conversione automatica, eli- minando il dividendo preferenziale e precisando al- l’art. 9 che il prezzo di recesso doveva essere determi- nato sottraendosi la ‘‘differenza tra il dividendo effet- tivamente percepito dalle stesse azioni privilegiate ed il dividendo preferenziale [eliminato pero` nel 2009]

originariamente loro spettante’’.

In questo quadro normativo e statutario si staglia il tema attorno al quale gravita anche la sentenza in commento. Se, come noto, CDP era all’atto della sua fondazione una ‘‘societa` legale’’

17

e il suo primo testo statutario aveva natura pubblicistica

18

, necessita preliminarmente – anche per le considerazioni che seguiranno in punto di derogabilita` – comprendere se la societa` fosse, dopo la trasformazione, da qualifi- care come societa` a partecipazione pubblica di ‘‘dirit- to singolare’’ o ‘‘a fattispecie esclusiva’’

19

, oppure qua- le S.p.A. soggetta alla disciplina di diritto societario

comune. Il fatto che, ai sensi del provvedimento isti- tutivo di CDP (art. 5, 4º comma, D.L. n. 269/2003), sia stato un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri a fissarne i cardini statutari condurrebbe ad aderire alla prima lettura, ammettendo la derogabilita`

della disciplina di diritto comune anche entro limiti piu` ampi di quanto espressamente indicato. Al con- tempo, l’ammissibilita` di un aggiornamento delle di- sposizioni statutarie, che lo stesso articolo contempla, costituirebbe un argomento decisivo a favore di una diversa interpretazione, dunque nel senso di un pro- gressivo allineamento al diritto societario comune. A rafforzare tale posizione si pongono anche l’evoluzio- ne della disciplina delle societa` pubbliche di diritto speciale o singolare, che si e` progressivamente ridotta ed avvicinata al diritto comune

20

, e la dottrina ammi- nistrativistica, che ritiene la societa` pubblica ‘‘un ‘mo- dello’ all’interno dello schema della societa` per azio- ni

21

. Proprio questa seconda esegesi rileverebbe deci- samente nell’interpretazione della specifica clausola che ci occupa, in assenza di disposizioni specifiche (e di ‘‘diritto singolare’’) nel D.L. n. 269/2003.

Quanto asserito richiede un approfondimento rela- tivo all’influenza, contestata, di componenti pubblici- stiche nella societa` proprio ai fini di una possibile derogabilita` rispetto alle norme di diritto comune.

Il Tribunale premette infatti che ‘‘l’accertamento, incidenter tantum, dell’invalidita` della clausola in que- stione, ai fini dell’accertamento del diritto dell’attrice di ottenere la liquidazione della propria partecipazio- ne in base ai criteri di cui all’art. 2437-ter c.c., [...], non e` precluso dalla natura pubblicistica dell’atto con il quale e` stato approvato l’originario statuto della Cassa’’. Tale affermazione indurrebbe a ritenere, dun- que, che nemmeno la natura pubblicistica dell’ente potrebbe giustificare una deroga rispetto alla discipli- na codicistica del recesso, in linea con il recente Testo unico in materia di societa` a partecipazione pubblica (art. 1, 3º comma, D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175), che precisa come le norme del diritto societario comune e le norme generali di diritto privato debbano continua-

16L. Enriques-F.M. Mucciarelli, Governance pubblica e privata delle politiche pubbliche per obiettivi: una proposta di riforma della governance della Cassa Depositi e Prestiti, in Giur. Comm., 2019, I, a 1022. Gli AA. suggeriscono sul punto l’opportunita`, laddove gli obiettivi siano specificati nello statuto di CDP, di prevedere una sunset clause degli obiettivi medesimi, cosı` da comportare una perdita di efficacia della stessa ove non modificata o riconfermata.

17C. Ibba, Le societa` legali, Torino, 1992, 4 e segg.

18Sulla natura giuridica di CDP, cfr. M. Cardi, Cassa Depositi e Prestiti e Bancoposta: identita` giuridiche in evoluzione, Bari, 2012, 143 (che la considera una agenzia autonoma); Consiglio di Stato, 12 febbraio 2007, n. 550, in Giornale Dir. Amm., 2008, 2, 155 e segg., con nota di Simone (che la definisce come organismo di diritto pubblico); T.A.R. Sicilia, Palermo, 8 aprile 2002, n. 904, in Foro Amm. TAR, 2002, 1401 e segg., con nota di Lottini (che la reputa una agenzia ministeriale); V. Malintesta, Sulla natura giu- ridica della Cassa Depositi e Prestiti, in Riv. Trim. Dir. Pubb., 1998, 145 e segg. (ante trasformazione); Cass. civ., Sez. un., 23 febbraio 1998, n. 1948, in Mass. Giur. It., 1998; in Lav. nella p.a.,

1998 e segg., con nota di Pasqua; in Giornale Dir. Amm., 1998, 449 e segg.; in Rass. Avv. Stato, 1998, I (che la ritiene un ‘‘ente pubblico economico’’).

19C. Ibba, Societa` di diritto speciale, in Trattato delle societa` per azioni, diretto da Colombo e Portale, VIII, Torino, 1992, spec. a 526. Recentissimamente, sull’esclusione di CDP dal perimetro di applicazione del Testo Unico in materia di societa` a partecipazio- ne pubblica in quanto la stessa e` ritenuta societa` ‘‘di diritto sin- golare’’ (art. 1, comma quarto, lett. a, D.Lgs. 19 agosto 2016, n.

175), v. L. Enriques-F.M. Mucciarelli, Governance pubblica e privata delle politiche pubbliche per obiettivi: una proposta di rifor- ma della governance della Cassa Depositi e Prestiti, in Giur.

Comm., 2019, I, 1014 e segg., a 1017 e nota 18.

20Cosı` C. Ibba, Societa` pubbliche e riforma del diritto societario, in Riv. Societa`, 2005, a 19 e nota 49, ove l’A. richiama G. Oppo, Pubblico e privato nelle societa` partecipate, in Riv. Dir. Civ., 2005, I, 157 e segg., par. 3.

21F. Fracchia, La costituzione delle societa` pubbliche e i modelli societari, in Dir. Econ., 2004, 589 e segg.

(7)

re a trovare applicazione laddove non espressamente derogate.

Passando poi a considerare lo stesso tema a seguito della trasformazione in societa` per azioni, i giudici evidenziano come – ‘‘anche a voler riconoscere alla Cassa natura di societa` a partecipazione pubblica di diritto singolare, costituita per il perseguimento di una specifica missione di pubblico interesse, e la con- seguente possibilita` di derogare, per legge, alle speci- fiche disposizioni di diritto comune dettate dal codice civile per il tipo sociale prescelto, nel caso di specie, non possa attribuirsi alla disposizione statutaria in questione un’efficacia normativa idonea a legittimare una deroga ai principi previsti per il recesso dei soci di societa` per azioni, ne´ una tale deroga puo` rinvenirsi in altre disposizioni di legge in vigore alla data in cui la Fondazione ha esercitato il recesso’’. Una deroga non sarebbe possibile in forza di una previsione statutaria, di un atto di autonomia negoziale che valichi i limiti fissati dall’ordinamento, e nemmeno di una disposi- zione prevista dal decreto di trasformazione in S.p.A.

Se, infatti, alcune clausole (una per tutte: la suddetta conversione automatica) trovano il proprio fonda- mento nelle ‘‘ragioni di ordine politico o economico’’

che hanno condotto alla trasformazione, i giudici ri- tengono non esservi giustificazioni per ‘‘le scelte adot- tate con riguardo a regole di funzionamento della societa` che deroghino’’ ai principi dettati in materia di societa` per azioni.

L’iter argomentativo del Tribunale romano

Affrontate rilevanti questioni pregiudiziali

22

ed at- tribuita a CDP natura inizialmente pubblicistica, i giudici si sono interrogati, nella decisione in epigrafe, sull’applicabilita` (ovvero sulla derogabilita`) dell’art.

2437-ter c.c. ad una S.p.A. ‘‘di diritto singolare’’, par- tecipata prevalentemente da un socio pubblico di maggioranza, costituita onde perseguire ‘‘una specifi- ca missione di pubblico interesse’’ e cosı` potendo de- rogare alle disposizioni specifiche di diritto comune eventualmente non applicabili. Al riguardo, i giudici hanno concluso per l’impossibilita` di attribuire ‘‘alla disposizione statutaria’’ in questione ‘‘un’efficacia nor- mativa idonea a legittimare una deroga ai principi previsti per il recesso dei soci di societa` per azioni, ne´ [che] una tale deroga possa rinvenirsi in altre di- sposizioni di legge in vigore alla data in cui la Fonda- zione ha esercitato il recesso’’.

E` la stessa Corte a richiamare testualmente la por- tata delle disposizioni (o meglio dei frammenti dell’u- nica disposizione) qui rilevante, dacche´, mentre il 2º comma dell’art. 2437-ter c.c., con riferimento alle so-

cieta` non quotate in borsa, stabilisce che il valore di liquidazione delle azioni sia determinato dagli ammi- nistratori in ragione della ‘‘consistenza patrimoniale della societa` e delle sue prospettive reddituali, nonche´

dell’eventuale valore di mercato delle azioni’’, il 4º comma ammette invece l’applicazione di criteri diffe- renti, ‘‘indicando gli elementi dell’attivo e del passivo del bilancio che possono essere rettificati rispetto ai valori risultanti dal bilancio, unitamente ai criteri di rettifica, nonche´ altri elementi suscettibili di valutazio- ne patrimoniale da tenere in considerazione’’.

Muovendo dal piano letterale a quello interpretati- vo, i giudici capitolini rammentano – in senso adesivo – come il 4º comma sia stato letto ‘‘in modo pressoche´

unanime in giurisprudenza e dottrina, nel senso che i

‘‘criteri diversi’’ ivi menzionati abbiano una funzione integrativa dei principi indicati nel 2º comma, attri- buita alla autonomia statutaria nei precisi limiti indi- cati nella stessa norma, e, comunque, diretta a perve- nire ad una valutazione del valore reale della parteci- pazione, secondo alcuni necessariamente piu` favore- vole rispetto a quella che deriverebbe dall’applicazio- ne dei criteri indicati nel 2º comma, secondo altri, anche peggiorativa, purche´ il risultato finale non sia del tutto avulso dal valore effettivo della quota al mo- mento del recesso’’ (corsivi aggiunti). Ne discende che i criteri debbono essere ritenuti inammissibili, poiche´

essi prescindono invero dal valore effettivo della quo- ta di partecipazione, ‘‘riferendosi al valore meramente nominale, del tutto disancorato dall’effettiva consi- stenza patrimoniale della societa`’’.

Codeste asserzioni troverebbero – a loro dire – ap- plicazione senza differenziazione alcuna tanto rispetto alle clausole di recesso previste dalla legge quanto rispetto a quelle previste dallo statuto. Infatti, se, per un verso, l’autonomia statutaria ha ampliato le cause di recesso, per altro verso, essa non ha profilato diversificazione alcuna sul piano delle conseguenze, cosı` parificando gli effetti delle ragioni (legali o statu- tarie) idonee a giustificare il recesso. In conclusione, secondo il Tribunale, la clausola de qua deve ritenersi illegittima e, conseguentemente, tale deve ritenersi anche la liquidazione della quota effettuata al valore nominale.

Sulla derogabilita` del criterio legale di valutazione della quota, specificamente in presenza di ipotesi statutarie di recesso

Come noto, a seguito della Riforma del 2003, nel segno del ‘‘rafforzamento della posizione del socio uscente’’ e ‘‘con l’obiettivo di attribuire allo stesso una somma analoga al valore effettivo delle azioni’’

23

,

22Per una dettagliata analisi di tali questioni, preliminarmente risolte dal Tribunale di Roma con sentenza (non definitiva) del 23 giugno 2016, successivamente impugnata, e dalla Corte d’Appello competente con decisione del 16 ottobre 2019, v. M. Stella Rich- ter jr, Recesso dalla Cassa Depositi e Prestiti s.p.a. e quantificazione del valore della partecipazione, in Riv. Societa`, 2020, n. 2/3, in

corso di pubblicazione. Tra esse, viene confermata la competenza del giudice ordinario in ragione dell’acquisita natura privatistica dello statuto di CDP post modifiche.

23Le espressioni sono tratte da P. Piscitello, Commento sub art.

2437-ter c.c., in Le societa` per azioni, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, Milano, 2016, II, 2528 (che compie pure riferimento

(8)

sono stati profondamenti incisi anche i criteri di cal- colo del valore di liquidazione

24

. In linea con il deci- sum, i tre parametri previsti dall’art. 2437-ter c.c., ossia quello patrimoniale, quello reddituale e quello connesso a prezzi di mercato, debbono essere appli- cati congiuntamente

25

, pur ammettendosi la discre- zionalita` tecnica necessaria di combinare i diversi me- todi di valutazione patrimoniali, reddituali, patrimo- niali-reddituali, finanziari, comparativi o multipli

26

. La dottrina ha affrontato esplicitamente il tema del richiamato rapporto tra i commi 2º e 4º dell’art.

2437-ter c.c., giungendo tuttavia a ‘‘vedute non uni- formi’’ sull’ampiezza delle deroghe consentite dal 4º comma

27

. Secondo l’opinione prevalente, tale comma reca una elencazione esemplificativa e non esaustiva del novero delle deroghe consentite

28

.

Ritenendo ammissibile l’applicazione a CDP della disciplina di diritto comune (per le considerazioni di cui infra, par. 2), l’autonomia statutaria attribuita alle societa` relativamente alla fissazione di regole diverse per la liquidazione della partecipazione del socio re- ceduto appare costituire un elemento determinante in

favore di una valorizzazione di tale quota al valore nominale. Non risulta parimenti chiaro, invece, se si debbano valutare le azioni del socio receduto secondo il criterio di cui all’art. 2437-ter, 2º comma, c.c. al ricorrere delle sole ipotesi di recesso obbligatorio ex all’art. 2437, comma 1º e 2º, c.c. oppure al ricorrere di qualsiasi causa di recesso, anche di fonte statutaria.

Al riguardo – premesso come non sia aprioristica- mente possibile comprendere se l’avvalersi di un de- terminato metodo possa condurre ad un risultato fa- vorevole o meno nella prospettiva del socio

29

–, se- condo un solido orientamento dottrinale, una clausola che preveda un trattamento economico meno favore- vole di quello previsto ex art. 2437-ter c.c. e` ammissi- bile ‘‘tranne che per le ipotesi ineliminabili di reces- so’’

30

. In senso conforme, anche la prassi notarile ha osservato che ‘‘la determinazione del valore di liqui- dazione delle quote o azioni, nella ipotesi di cause convenzionali di recesso, puo` essere disciplinata da criteri liberamente stabiliti dall’atto costitutivo o dallo statuto, anche in totale deroga ai criteri di liquidazio- ne fissati dalla legge per le cause legali di recesso’’

31

.

a G. Marasa` (Commento sub art. 2437-ter c.c., in Commentario romano al nuovo diritto delle societa`, diretto da F. D’Alessandro, Padova, 2011, II, 2, a 795), il quale afferma la valutazione secondo le nuove regole possa condurre a risultati economicamente piu`

favorevoli al socio, senza pero` escludere che i nuovi criteri con- sentano di addivenire ad un valore di liquidazione inferiore rispet- to a quello risultante dall’applicazione delle disposizioni previgen- ti), ma, in tal senso, nell’immediatezza della riforma, gia` P. Mar- chetti, Il potere decisionale gestorio nella s.p.a., in Le grandi opzioni della riforma del diritto e del processo societario. Atti del Convegno (Abano Terme, 5-7 giugno 2003), a cura di G. Cian, Padova, 2004, 469 e seg., che evidenzia come alla riforma consegua ‘‘un raffor- zamento del potere gestorio’’ e ‘‘della stabilita` nei confronti della contendibilita`’’.

24Per tutti, cfr. M. Ventoruzzo, Recesso e valore della parteci- pazione nelle societa` di capitali, Milano, 2012, 61 e segg.

In giurisprudenza, sull’importanza di valutare fattori multipli, tra cui la consistenza patrimoniale della societa`, anche nella pro- spettiva della continuita` aziendale (going concern) (Cass. civ., 15 luglio 2014, n. 16168, in Mass., 2014, 558) e sull’importanza di contemplare, inter alia, la ‘‘consistenza patrimoniale della societa`’’, il ‘‘patrimonio risultante dall’ultimo esercizio’’ (che implica la non vincolativita` dei dati contabili), le ‘‘prospettive reddituali’’ (che operano come correttivo della situazione patrimoniale) [...]’’

(Trib. Roma, 5 marzo 2013, in Riv. Dir. Comm., 2013, II, 343, con nota di Paciello e in Corriere Giur., 2013, 1396 e segg., con nota di Rossi).

25M. Ventoruzzo, Recesso e valore della partecipazione nelle societa` di capitali, Milano, 2012, 70 e segg. (per una disamina sinanco delle problematiche riscontrabili nella disciplina pre-Ri- forma, v. anche 66 e segg.); M. Ventoruzzo, I criteri di valutazione delle azioni in caso di recesso del socio, in Riv. Societa`, 2005, a 369, ove anche i necessari riferimento alla dottrina aziendalistica circa i metodi di valutazione del patrimonio e della capacita` reddituale della societa`; M. Caratozzolo, Criteri di valutazione delle azioni del socio recedente nelle s.p.a. (I parte), in Societa`, 2005, 1209 e segg., a 1213 e segg.

26P. Piscitello, Commento sub art. 2437-ter c.c., in Le societa`

per azioni, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, Milano, 2016, II, 2529. L’elencazione dei metodi di valutazione principale, inve- ce, e` derivata dai Principi italiani di valutazione (versione nazio- nale dei noti International Valuation Standards), applicabili dal 1º gennaio 2016. Sulla determinazione del valore delle azioni ai sensi dei PIV, cfr. M. Di Sarli, La valutazione delle azioni nel recesso da

s.p.a. ‘‘private’’: una ricostruzione dei confini della discrezionalita`

tecnica degli amministratori, in Contratto e Impresa, 2018, 500 e segg.; R. Drisaldi, La valutazione delle partecipazioni in caso di recesso alla luce dei PIV, in Societa`, 2017, 367 e segg.; M. Speran- zin, Criteri di liquidazione della partecipazione nel caso di recesso da s.r.l. e autonomia statutaria, in Riv. Dir. Civ., 2016, 878 e segg.

e M. Bini, Il valore di liquidazione delle azioni di societa` non quotate a fini di recesso, in Societa`, 2014, 24 e segg.

27P. Piscitello, Commento sub art. 2437-ter c.c., in Le societa`

per azioni, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, Milano, 2016, II, 2536. Per una disamina della derogabilita` del criterio legale lato sensu inteso e delle varie posizioni dottrinali, v. M. Cian, La liquidazione della quota del socio recedente al valore nominale (in margine ad una clausola statutaria in deroga ai criteri legali di valutazione delle azioni), in Riv. Dir. Soc., 2010, 304 e segg. e relativa notazione bibliografica.

28Per tutti, M. Ventoruzzo, I criteri di valutazione delle azioni in caso di recesso del socio, in Riv. Societa`, 2005, a 410.

29M. Ventoruzzo, I criteri di valutazione delle azioni in caso di recesso del socio, in Riv. Societa`, 2005, a 417 e seg.

30P. Piscitello, voce Recesso, in Dizionari del diritto privato – Diritto commerciale, a cura di N. Abriani, Milano, 2010, a 693; M.

Cian, La liquidazione della quota del socio recedente al valore no- minale (in margine ad una clausola statutaria in deroga ai criteri legali di valutazione delle azioni), in Riv. Dir. Soc., 2010, 307 e segg. e relativa notazione bibliografica; V. Calandra Buonaura, Il recesso del socio nelle societa` di capitali, in Giur. Comm. 2005, I, a 314 e 316; G. De Nova, Il diritto di recesso del socio di societa` per azioni come opzione di vendita, in Riv. Dir. Priv., 2004, a 334 e seg.; M. Stella Richter jr, Diritto di recesso e autonomia statutaria, in Riv. Dir. Comm., 2004, I, 400 e seg.; D. Galletti, Commento sub art. 2437-ter c.c., in Codice ipertestuale commentato delle societa`, a cura di N. Abriani e M. Stella Richter jr, Torino, 2010, 1639 e segg., 1645; L. Salvatore, Il ‘‘nuovo’’ diritto di recesso nelle societa`

di capitali, in Contratto e Impresa, 2003, 629 e segg., a 638 e seg.

Piu` netta, ossia senza limitazione alle sole ipotesi non inelimi- nabili di recesso, e` la posizione espressa in S. Carmignani, Com- mento sub art. 2437-ter c.c., in La riforma delle societa`, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, Torino, 2003, I, 889 e segg., a 890 e seg.

Per un’estesa disamina tanto della derogabilita` in melius quanto in peius dei criteri, v. M. Ventoruzzo, Recesso e valore della parte- cipazione nelle societa` di capitali, Milano, 2012, 127 e segg.

31Consiglio Notarile di Milano, Massima n. 74 del 22 novembre 2005, in Consiglio Notarile di Milano, Massime notarili in materia

(9)

Ne conseguirebbe che se, da un lato, lo statuto po- trebbe non prevedere ulteriori fattispecie di recesso, dall’altro lato, esso potrebbe accordare tale possibilita`

a condizioni diverse rispetto a quelle applicabili ai casi ex lege. Al contrario, secondo un differente orienta- mento, la valorizzazione della partecipazione in ogni ipotesi di recesso deve essere effettuata al fine di com- piere una liquidazione al valore effettivo

32

, cosı` inco- raggiando la presenza nello statuto di metodi di valu- tazione precisi (che circoscrivano il perimetro dell’au- tonomia degli amministratori) e complessi (che, ad esempio, contemplino anche grandezze immateriali di durata ultrannuale

33

).

Conseguentemente, se l’autonomia si esplica nel senso di consentire la previsione di una determinata causa di recesso nell’articolato statutario, non vi e`

ragione di incentivare o disincentivare la stessa con una quantificazione ‘‘deformante’’ rispetto ai criteri di valutazione, finalizzata a conseguire risultati diversi rispetto al valore reale

34

.

L’effetto della clausola di conversione automatica Nel caso di specie, il problema assume un peso persino maggiore per effetto della presenza della clau- sola di conversione automatica delle azioni, che con- nota in modo diverso il caso in questione rispetto al normale recesso facoltativo e alla conseguente (pro- blematica) clausola di liquidazione delle azioni non al fair value. Se, infatti, si puo` dubitare, ma non esclu- dere a priori, l’ammissibilita` del recesso facoltativo a criteri sfavorevoli – poiche´ il socio potrebbe comun- que non abbandonare la compagine sociale e cosı`

mantenere il valore effettivo dell’azione realizzabile –, la presenza della suddetta clausola non permette al socio la libera scelta di disinvestire e, dunque, im- pone che la sua posizione venga tutelata con una va- lorizzazione al fair value. Peraltro e` innegabile come la conversione automatica e il recesso (entrambi al no- minale) producano un effetto collaterale, assimilabile a quello del patto leonino di esclusione dagli utili, vietato ex art. 2265 c.c.

35

.

societaria, con introduzione di P. Marchetti e presentazione di M.

Notari, Milano, 2018, 279. In senso conforme, v. anche Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, Massima H.H.8 (settembre 2015), in Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di atti societari, Milano, settembre 2019, a 189 e seg. ove si osserva come il recesso, cosı` come potrebbe non sussistere, conseguentemente non deve necessariamente seguire i criteri di cui all’art. 2437-ter c.c. in ordine alla quantificazione del relativo valore delle azioni per le quali sia esercitato; e che ritiene legittima pure la previsione di un ‘‘premio di maggioranza’’ o di uno ‘‘sconto di minoranza’’, a seconda che la partecipazione del recedente attribuisca o meno il potere di controllo della societa`.

Rispetto a quest’ultimo punto (ampiamente: P. Piscitello, Com- mento sub art. 2437-ter c.c., in Le societa` per azioni, diretto da P.

Abbadessa e G.B. Portale, Milano, 2016, II, 2534 e segg.), al contrario, non ammettono premi di maggioranza o sconti di mi- noranza, in quanto la partecipazione deve essere valutata in modo proporzionale rispetto al patrimonio sociale (pro quota): P. Paciel- lo, Recesso da societa` per azioni, premio di maggioranza e sconto di minoranza, in Riv. Dir. Comm., 2013, II, 365 e segg.; A. Toffo- letto, La valutazione di azioni e quote in caso di recesso: note a margine del contributo di Mauro Bini, in Societa`, 2014, 26 e segg.;

M. Bini, Il valore di liquidazione delle azioni di societa` non quotate a fini del recesso, in Societa`, 2014, 14 e segg.

32V. Di Cataldo, Il recesso del socio di societa` per azioni, in Il nuovo diritto delle societa`. Liber amicorum Campobasso, III, To- rino, 2007, a 237.

33P. Piscitello, Commento sub art. 2437-ter c.c., in Le societa`

per azioni, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, Milano, 2016, II, 2537 e seg.

La dottrina notarile evidenzia la necessita` di ‘‘interpretare re- strittivamente gli spiragli che nella lettera della legge assegnano un qualche ruolo all’autonomia privata (come emerge, ad esempio, dall’art. 2437-ter, c. 4, c.c.)’’ (G.A.M. Trimarchi, Il recesso del socio dai tipi societari capitalistici e applicativi notarili. Studio CNN n. 188-2011/I, marzo 2012, nota 49).

34In tal senso, oltre al gia` richiamato V. Di Cataldo (Il recesso del socio di societa` per azioni, in Il nuovo diritto delle societa`. Liber amicorum Campobasso, III, Torino, 2007, a 237), Trib. Roma, 5 marzo 2013, in Riv. Dir. Comm., 2013, II, 343, con nota di Pa- ciello e in Corriere Giur., 2013, 1396 e segg., con nota di Rossi;

G.F. Campobasso, Diritto Commerciale. Diritto delle societa`9, II, Torino, 2015, a 501, nota 21 e, in modo particolare, proprio con riferimento alla clausola dello statuto di CDP sui criteri di liqui- dazione delle azioni privilegiate, gia` nel 2004, F.M. Mucciarelli,

Ma cos’e` diventata la Cassa Depositi e Prestiti?, in Mercato, con- correnza, regole, 2004, spec. a 368. L’A. profila due differenti scenari (e le importanti conseguenze generali del secondo, ossia ove la clausola sia considerata nulla) ed osserva che ‘‘la validita`

della clausola dipende dall’interpretazione data a tale enunciato del codice civile. Se si ritenesse che esso consenta agli statuti di derogare in pejus e senza limiti ai criteri legali per la liquidazione dei soci recedenti, fino a farli assomigliare ad obbligazionisti senza pretese sull’attivo patrimoniale e sulle prospettive economiche dell’impresa, la clausola sarebbe valida. Se, pero`, si ritenesse, co- me sostenuto dai primi commenti e come mi pare piu` consono alla ratio ed alla lettera dell’articolo novellato, che l’art. 2437-ter, 4º comma, c.c. permetta allo statuto solo di precisare i criteri di valutazione del patrimonio [...], la clausola statutaria che indivi- dua i criteri di liquidazione del socio privilegiato recedente do- vrebbe essere considerata nulla e, quindi, sostituita de jure dal criterio legale previsto dall’art. 2437-ter, 2º comma, c.c. Se la seconda interpretazione e` corretta, il recesso rappresenterebbe un presidio piuttosto efficace del diritto al dividendo privilegiato e sarebbe, al contempo, una minaccia temibile per l’equilibrio patrimoniale della CDP, la quale se non distribuisce dividendi in misura pari al privilegio rischierebbe di vedersi sottrarre ingenti risorse, anche perche´ dopo la riforma del 2003, l’esercizio del recesso non puo` essere limitato o sospeso nel caso in cui le riserve disponibili non siano sufficienti, nel qual caso la societa` e` tenuta a ridurre il capitale o a sciogliersi. Certo, probabilmente quest’even- tualita` non si verifichera`, perche´ lo Stato interverra` riacquistando le azioni privilegiate dei recedenti, secondo il meccanismo dell’art.

2437-quater, c.c. per il quale in caso di recesso le azioni devono essere offerte in opzione agli attuali soci. Ma se cosı` fosse, il privilegio delle fondazioni verrebbe, di fatto, garantito dalla fisca- lita` generale’’.

35G.F. Campobasso, Diritto Commerciale. Diritto delle societa`9, II, Torino, 2015, a 501, nota 21. L’A. individua pertanto un duplice limite nel diritto del socio ad un’equa valorizzazione delle proprie azioni e nel divieto di patto leonino, ritenendo non con- vincente l’opinione di chi ammette criteri di valutazione penaliz- zanti per il recedente. Un altro A., esaminando una clausola con i medesimi caratteri di quella in esame (che a suo parere di fatto stabilisce in misura fissa la quota di liquidazione spettante al re- cedente), riflette sui rapporti di tale previsione statutaria con il divieto del patto leonino (M. Cian, La liquidazione della quota del socio recedente al valore nominale (in margine ad una clausola statutaria in deroga ai criteri legali di valutazione delle azioni), in Riv. Dir. Soc., 2010, 309 e seg.).

(10)

Inoltre, la necessita` di una valorizzazione al fair va- lue ogniqualvolta l’exit riguardi la partecipazione in una societa` non quotata pare essere sorretta da valide argomentazioni di natura sistematica, e precisamente dalle disposizioni in tema di riscatto, gradimento e covendita (art. 2437-sexies e art. 2355-bis, 2º comma, c.c.)

36

. E con ‘‘valorizzazione al fair value’’ e` possibile intendere qualsivoglia criterio (anche differente tra diverse categorie di azioni), a patto che si osservino i principi valutativi e si tenga conto della ragione del disinvestimento, assicurando condizioni eque ed al contempo tutelando l’intera compagine sociale e i di- versi stakeholders

37

.

Spunti conclusivi

In ultima analisi, la Corte ha ritenuto la clausola de qua (e la liquidazione della quota effettuata al valore nominale) illegittima in quanto implicherebbe l’utiliz-

zo di un criterio non conforme a quello contemplato dall’art. 2437-ter, 2º comma, c.c.

Purtuttavia, alla luce delle considerazioni compiute in punto di disciplina, pare opportuno in questa sede limitarsi a porre in rilievo due soli e non secondari aspetti, cosı` segnalando questioni che invero permet- terebbero di concludere in senso contrario.

In primis, sul piano letterale, l’art. 9 dello statuto potrebbe riferirsi ad una frazione del capitale econo- mico (e non del capitale nominale), perfettamente al- lineato al fair value. In tal caso, il valore delle azioni privilegiate sarebbe relato al valore del capitale eco- nomico come determinato secondo i criteri valutativi aziendali.

In secundis, occorre rammentare che, seppure cio`

non precluda azioni volte a far dichiarare la loro con- trarieta` a norme di legge, le clausole in esame sono state di fatto oggetto di approvazione unanime.

n Societa` di persone

Tribunale Roma, 11 dicembre 2019, n. 11042 – Giud.

Giordano – G.D. (avv. Mastracci) – Istituto Nazionale Previdenza Sociale ‘‘INPS’’ (avv. Adimari).

Societa` – Societa` di persone – Societa` in accomandita semplice – Attivita` di mero godimento – Legittimita`

E` legittima la societa` che, pur costituita nelle forme di cui agli artt. 2291 e segg. c.c., lungi dall’esercitare un’at- tivita` rientrante fra quelle integranti l’impresa commer- ciale, si limita ad un’attivita` di mero godimento dei beni di cui e` titolare.

Omissis. – Con ricorso depositato in data 7.8.19 e ritual- mente notificato, G.D. ha convenuto in giudizio l’Inps per sentir accertare e dichiarare la nullita` e/o l’inefficacia, ovvero annullare l’avviso di addebito n. (omissis), emesso per il pa- gamento di contributi richiesti dall’Inps in seguito all’iscrizio- ne della ricorrente nella gestione commercianti per il periodo 1/13-12/18. Istituitosi ritualmente il contraddittorio, l’INPS si e` costituito chiedendo il rigetto del ricorso siccome infon- dato. Il Tribunale osserva quanto segue. L’Inps ha iscritto la ricorrente nella gestione degli esercenti attivita` commerciale, in considerazione del suo ruolo di socia accomandataria della Gerim s.a.s. La ricorrente contesta la ricorrenza dei requisiti

per l’iscrizione nella gestione commercianti. Com’e` noto, in tema di previdenza obbligatoria, l’art. 29 co. 1 della legge 03.06.1975, n. 160, cosı` come modificato dall’art. 1 co. 204 legge 23.12.96 n. 662, dispone che ‘‘l’obbligo di iscrizione alla gestione assicurativa degli esercenti attivita` commerciali del- l’INPS sussiste per i soggetti che siano in possesso dei se- guenti requisiti: a) siano titolari o gestori in proprio di im- prese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita; b) abbiano la piena responsabilita` del- l’impresa ed assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione. Tale requisito non e` richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto di vendita nonche´ per i soci di societa` a responsabilita` limitata; c) partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualita` e prevalenza; d) siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri o ruoli’’. Quindi il presupposto imprescindibile per l’iscrizione alla gestione commercianti e` che vi sia un esercizio commer- ciale. La giurisprudenza di merito ha in proposito chiarito che ‘‘la locazione di immobili di societa` rappresenta per la socia di societa` di persone null’altro che una modalita` di godimento dei beni medesimi: ‘‘(...) non diversamente da

36Per la fattispecie del mero gradimento, si rammenta come il notariato fiorentino consideri legittima una clausola che consente il gradimento mero in tema di circolazione delle partecipazioni inter vivos, di durata contenuta entro il limite di cinque anni, anche senza alcun correttivo, o che attribuisca un diritto al corri- spettivo inferiore a quello determinato ex art. 2437-ter c.c. (Con- siglio Notarile dei Distretti riuniti di Firenze, Pistoia e Prato, Massima n. 13, Clausole limitative della circolazione delle azioni, in Orientamenti dell’Osservatorio sul diritto societario, Milano, 2016, 96 e segg.). V. anche M. Ventoruzzo, Recesso e valore della partecipazione nelle societa` di capitali, Milano, 2012, 146 e segg.

Per la fattispecie della covendita, v. la posizione del tribunale ambrosiano nella decisione del 31 marzo 2008 (in Societa`, 2008, 1373, con nota di Di Bitonto), del 1º ottobre 2008 (in Giur. It.,

2009, 389 e segg., con nota di Weigmann) e del 24 marzo 2011 (in Giur. It., 2011, 12 e segg., con nota di Luoni) e del notariato milanese e romano, che pongono come presupposto ineliminabile proprio il fatto che il diritto-l’obbligo di vendita delle azioni altrui non possa prescindere da una ‘‘equa valorizzazione’’, almeno pari al valore di recesso desumibile dall’applicazione dei criteri descrit- ti all’art. 2437-ter c.c. (cfr. Consiglio Notarile di Milano, Massima n. 88, 22 novembre 2005, in Consiglio Notarile di Milano, Massi- me notarili in materia societaria, con introduzione di P. Marchetti e presentazione di M. Notari, Milano, 2018, 317 e Massime 7-8 del Consiglio Notarile di Roma).

37M. Ventoruzzo, Recesso e natura della partecipazione nelle societa` di capitali, Milano, 2012, a 129.

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