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7. Il giudizio delle Erinni: Dike e la cultura arcaica

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7.

Il giudizio delle Erinni: Dike e la cultura arcaica

E’ mia intenzione approfondire qui alcune delle questioni concernenti l’ambito del diritto e l’attuarsi della giustizia nella società antica, per vedere come e in che misura tali concezioni si leghino alla rappresentazione delle Erinni.

Ancora una volta, evidentemente, il nostro discorso farà perno sull’Orestea l’opera teatrale che sviluppa in maggior grado un’articolata riflessione sul ruolo delle istituzioni nella società ateniese del V sec. a. C.

Ciò avviene sulla base di una serie di assonanze e similitudini che dal mito e dalla cultura primitiva, in cui esso è inscritto, rimandano allo spazio della cultura contemporanea al drammaturgo, e viceversa; e non si tratta mai di una compenetrazione senza attriti.

Quello che mi interessa maggiormente in questa sintesi è tornare sul confronto di queste due culture ed esplorare la presenza di un substrato arcaico all’interno delle formule con cui si esprime il diritto. Vedremo che le Erinni si collocano in un ambito che L. Gernet ascrive al cosiddetto prediritto e che trova diverse corrispondenze in fonti che faremo via via dialogare con Eschilo.

Il recupero del primitivo, lo si rileverà più specificamente nel capitolo sul mondo magico, ha la funzione di scavare nel profondo, di suggerire all’attenzione un livello della realtà che va di là della percezione immediata, e le Erinni nelle Eu. si pongono contemporaneamente sia in questa dimensione sia in un terreno neutrale dove il conflitto si sospende e viene sostituito da una mediazione. In questo ambito più esteso dell’esercizio della punizione e dei compiti di giustizia il discorso di Eschilo evidenzia aspetti che sono centrati, per esempio, sulla figura di Zeus come suprema divinità giudicante.

Ma cominciamo per prima cosa dall’analisi della funzione di giustizia delle Erinni in Omero e in altre testimonianze precedenti l’elaborazione tragica.

C’è innanzi tutto un passo molto interessante dell’Il. (XIX, 259) in cui Agamennone fa giuramento, chiamando a testimoni Zeus, la Terra, il Sole e le Erinni punitrici degli spergiuri. In questi versi si tratta di un rito articolato in una preghiera alle divinità che tutelano la giustizia e fanno capo a Zeus, e nel sacrificio che ratifica quanto dichiarato dal sovrano. Il sacrificio viene compiuto col bronzo,

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strumento rituale legato alle potenze ctonie: “iJvstw nu§n Zeu;ı prw§ta, qew§n uJvpatoı kai; ajvristoı,/ Gh§ te kai; jvHelioı kai; jErinuveı, aiJv q j uJpo; gai§an/ ajnqrwvpouı tivnuntai, oJvtiı k j ejpivorkon ojmovssh°”. “Mi sia testimone per primo Zeus, il dio massimo e sommo, la Terra, il Sole e le Erinni che sotto terra puniscono gli uomini che giurano il falso ”.

Ma c’è un ulteriore aspetto che vale la pena mettere in evidenza e che si ritrova anche altrove. E’ l’invocazione al Sole, che qui compare accanto alla Terra, come rappresentante dell’ordine cosmico chiamato a garantire il compiersi della giustizia.

Si tratta della credenza, ben attestata nelal cultura greca, nel Sole come testimone di ciò che avviene sulla Terra.

Agisce probabilmente nello strutturarsi di questo pensiero, l’idea che la luce è in grado di mostrare tutte le cose, dunque anche le colpe di cui una persona si macchia. Commettere un delitto, infrangere le regole della giustizia, significa andare contro un oridine del mondo e dunque mettere a repentaglio le basi stesse su cui la vita è organizzata.

Una concezione simile la si ritrova in un frammento di Eraclito, nel quale il riferimento al sole, che non può varcare la misura, esprime l’interruzione di un ordine di cui è contemporaneamente garante e testimone. A livello metaforico questa immagine esprime l’uscita dalle regole di comportamento, che le Erinni sono subito pronte a punire, in quanto esecutrici di giustizia. Vediamo in dettaglio questa testimonianza :

JvHlioı ga;r ojuc uJperbhvsetai mevtra: eij de; mhv, jErinuveı min Divkhı ejpivkouroi ejxeurhvsousin “Il sole infatti non varcherà la misura; se no le Erinni ministre della Giusizia sapranno trovarlo”.198

Il tono è quello di un ammonimento da cui emerge l’affascinante associazione tra il Sole, le Erinni e Divkh. Attraverso l’adynaton si rafforzare il contesto in cui operano le Erinni che si connotano come dee potenti, guardiane dell’ordine di natura.

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E sempre sul nesso tra Erinni ed esercizio della giustizia nelle fonti pre-tragiche mi sembra interessante la testimonianza di Alceo che attesta il carattere persecutorio delle dee in rapporto ai giuramenti. Si tratta di un frammento da cui traiamo i seguenti versi:

to;n jvUrraon de; pa[i§d]a pedelqe°vt°w° khvnwn jE[rivnnu]ı wjvı pot j ajpwvmnumen tovmonteı ajv::[ /:]n°::

“E l’Erinni di costoro insegua il figlio Irrao come allora giuravamo”199

Sebbene questa testimonianza sia particolamente lacunosa e il nome dell’Erinni risulti integrato, siamo di fronte all’invocazione della dea da parte di chi, attraverso il giuramento, si schiera automaticamente dalla parte della ragione, rivendicando un diritto. Ciò che ci riporta agli inizi della nostra riflessione. I documenti che ho qui citato sono indubbiamente interessanti per la ricostruzione delle prerogative punitive delle Erinni oltre che del loro raggio di azione. Ed è altrettanto indubbio che per il suo ritratto Eschilo attinga a questi attributi.

Vediamo quindi come l’idea di giustizia emerge all’interno dell’Orestea.

Nel famoso discorso di Egisto a conclusione dell’A. 1577 seg., l’omicida esordisce rivolgendosi alla luce benigna del giorno che apporta giustizia (fevggoı euj§fron hJmevraı dikhfovrou). E subito dopo menziona le Erinni che hanno tessuto i drappi in cui è avvolto Agamennone, ricostruendo una storia del gevnoı degli Atridi che ha la funzione, nella logica del pensiero manifestato da Egisto, di corroborare la sua posizione in quanto esecutore di giustizia.

Ma c’è pure un’altra linea della giustizia che dall’A. porta alle Ch. e approda alla vendetta di Oreste, la quale mette in moto il meccanismo di riscatto e riabilitazione attraverso il processo delle Eu.

Quando Oreste compare sulla scena alla fine delle Ch. di fronte alla veste di Agamennone macchiata di sangue si rivolge al padre Sole in grado di sorvegliare le azioni immorali. Egli vuole così assicurarsi l’aiuto contro i colpevoli del delitto e implicitamente rimanda alla prima invocazione in A. 1323 seg.,

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dove Cassandra, presentendo la morte, si era rivolta al Sole perché potesse compiersi la vendetta, peraltro indirizzando il suo discorso alla vacuità della sorte dei mortali: aJvpax ejvt j eijpei§n rJhsin hj; qrh§non qevlw/ ejmo;n to;n aujth§ı, hJlivou d j ejpeuvcomai/ pro;ı uJvstaton fw§ı †toi§ı ejmoi§ı timavroiı. Ciò che introduce alla situazione persecutoria evidenziata nelle Eu. e che serve ad articolare il dibattito attorno alla natura delle dee e al suo collocarsi entro le strutture della società.

Nelle Eu. infatti l’inseguimento delle Erinni trova continuamente un termine di paragone nelle istituzioni con le quali sono costrette a confrontasi e che hanno la funzione di mediare il loro impulso distruttivo.

Particolarmente espressivo risulta il nesso tra le Erinni e Ade messo in rilievo nelle Eu. (vv. 273-275):

mevgaı ga;r JvAidhı ejsti;n eujvqunoı brotw§n ejvnerqe cqonovı,

deltogravfw° de; pavnt j epwpa°§ freniv

In questo passo il Coro delle Erinni paventa per Oreste, ancora vivo, una persecuzione agli inferi che gli servirà come punizione esemplare per prendere coscienza dei tormenti di coloro che hanno commesso delle colpe: e in questo elenco di espianti non sono solo coloro che hanno agito contro i genitori, ma anche i colpevoli di empietà o che hanno recato offesa agli ospiti.

Ma c’è un dato ancora più sorprendente su cui vale la pena soffermarsi: Ade compare nelle vesti di giudice supremo dei morti (e che le Erinni siano sue ministre non stupisce dato che la loro azione è legata all’al di là) e questo suo ruolo viene a coincidere con quello che altrove viene attribuito a Zeus. Ora, il fatto che Ade venga qui a ricoprire le funzioni che precedentemente erano state attribuite a Zeus indica da una parte che Eschilo intende ritrarre Ade come un dio il cui esercizio di giustizia è sentito come essenziale e, allo stesso tempo, è chiara la sua intenzione di creare un punto di contatto tra i compiti di Ade e quelli di Zeus, che all’interno dell’Orestea, come altrove, è la divinità cui fa capo l’intero sistema di giustizia.200

200

Nelle Supp. Ade è definito un altro Zeus che tra i morti giudica gli uomini (Zeu;ı ajvlloı ejn kamou§sin uJstavtaı divkaı, v. 231).

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E che egli tende a questa sovrapposizione è messo in luce dall’uso del verbo che definisce l’attività di Ade che, si dice, “tutto sorveglia”: pavnt j ejpwpa°§, che non solo fa eco all’ejpivskopon del secondo stasimo delle Eu., attributo della paura e dunque delle Erinni, ma riprende alla lettera il vegliare di Zeus Vendicatore nei Th. (dove troviamo proprio lo stesso verbo, ejporavw).201

Sempre in questa sezione di testo delle Eu. vi è un’altra immagine che stabilisce un ponte con un passo molto simile di Eschilo che ci è stato restituito da un papiro di Ossirinco: si tratta del famoso frammento di Dike. In questo documento sono richiamate tre generazioni divine: Crono, Zeus che lo ha cacciato grazie all’aiuto di Dike, ed Ares, di cui si parla nella parte finale del frammento e che viene presentato come il violento figlio di Zeus ed Era. Eschilo ci suggerisce, pare, un gioco etimologico che comporta il richiamo ad ajrav, la maledizione, rendendo ancora più vivo il contrasto con l’operare della Giustizia. Ma ciò che maggiormente ci interessa qui è la formula usata per definire l’azione di Dike. Essa, si dice, scrive le colpe degli uomini sulla tavoletta di Zeus.

Un’affermazione che affiora subito dopo aver notato i compiti che esercita Dike nei confronti dei giusti e dei colpevoli.

[--Toi§ı d j auj§ ma]taivoiı[…….]f[

[-- Peiqou§ı ej]pw°dai§ı hj; kat j ijscuvoı trovpo[n] ;

[-- Gravfousa] tajmplakhvmat j ejn devltw° Diov[ς.]

Dike: “A coloro che sbagliano invece…..”

Coro: “Col fascino della persuasione oppure con l’uso della forza?” Dike: “Scrivendo le colpe nei registri di Zeus”.202

201

Cf. Eu. 275 e Th. 485.

202

Il papiro di Dike è il POxy. 2256 fr. 9 a = fr. 281a Nauck, 530 Mette (vv. 19-21). Vale la pena notare che il frammento comincia con iJvzei (siede) riferito a Zeus che ha preso il posto di Crono, battendolo con gli strumenti della giustizia. E’ interessante che questo concetto del restare, dello star saldi, sulla cui importanza si è già discusso, e che è espressione dei valori della cultura aristocratica, che in tal modo si dimostra legata all’idea di una stabilità necessaria per il funzionamento della società, si trovi qui associato a Zeus e alla definizione dell’operato della Giustizia. Nel primo stasimo delle Eu. le Erinni cantano come attuano la vendetta nei fatti di sangue. In questo contesto, dove si presentano come esecutrici di una giustizia che fa capo a Zeus, ma in cui gli dei non vogliono essere coinvolti, è enunciata la natura immutabile delle leggi di Dike. Questo mantenersi saldo della giustizia è espresso in termini particolarmente enfatici all’inizio della quarta strofa, che si apre con “mevnei gavr” (resta fisso), riferito appunto all’attuarsi della norma di giustizia, su cui vigilano implacabili le Erinni. Il verso si lega al tema del perdurare delle

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E pochi versi dopo la Giustizia dice di sé che siede onorata sul trono di Zeus (iJvzw Dio;ı qrovnoisin [hjgla]iüsmevnh). Dunque il potere di Zeus si unisce a quello della Giustizia che da lui deriva le proprie prerogative. Questa sorta di legame indissolubile che viene a crearsi tra Zeus mandante di Giustizia, Dike stessa e le Erinni sue rappresentanti, che ne richiamano le funzioni, sta alla base del pensiero eschileo.203 Nell’Orestea e nelle Eu. in particolare queste concezioni sono riprese e approfondite in relazione alla presenza delle Erinni e alla necessità di farle dialogare con gli dei e le istituzioni. Alla luce di queste comparazioni è possibile individuare una sorta di sostrato ideologico che, pur declinandosi in maniera differente, rimane saldo nella comunicazione dei medesimi valori. Come Zeus resta stabilmente nell’esercizio del suo governo così la Giustizia mantiene la sua forza e porta a compimento la sua volontà.

Quanto all’immagine della scrittura, nelle Eu. è Ade che sorveglia ogni cosa nelle tavolette della sua mente (deltogravfoı è l’aggettivo che indica l’annotare sul devltoı). L’evidente analogia è una conferma ulteriore della nostra interpretazione.204

Ma quello su cui ancora vorrei riflettere è il nesso tra l’azione delle Erinni e l’applicazione della norma di giustizia. Un discorso che in ogni caso ci riporta al rapporto tra le Erinni e le altre divinità olimpie, principalmente Zeus che nell’Orestea figura come mandante di giustizia, e Apollo col quale le dee risultano in contrasto. E proprio il caso di Apollo solleva una questione di fondo che è necessario spiegare: l’apparente contraddizione tra l’incarico punitivo delle Erinni e il ruolo di Apollo che è un portavoce dell’ordine olimpio alla stregua di Zeus. In altre parole, se le Erinni sono portatrici di giustizia, e ancor più risultano in collegamento con le altre divinità del Pantheon, in qualità di loro esecutrici, perché dovrebbero schierarsi contro Apollo? Nella soluzione di queso problema è importante non perdere di vista l’intento fondamentale di Eschilo, che consiste cioè nel rinsaldare le strutture in cui si articola la vita della collettività. Già a partire da questo si capisce come il contrasto

leggi che attraversa tutta la trilogia. L’espressione, che fra l’altro riprende il passo dell’ A. ai vv. 1563-1564, mostra l’inutilità delle congetture (quella di Heath accolta da Page, “movnai gavr”, e la banalizzazione di Dobree accolta da West, “mevlei”) che non hanno saputo cogliere la specificità di questo motivo. Sull’idea del restare cap. 6, p. 119.

203

Il nesso fra Dike e l’Erinni si trova anche in Soph. Aj. vv. 1389-1390 dove Teucro volge una maledizione agli Atridi invocando Zeus, la memore Erinni e Dike suprema esecutrice, “Toigavr sf j jOluvmpou tou§d j oJ presbeuvwn path;r/ mnhvmwn t j jErinu;ı kai; telesfovroı Divkh” (vv. 1389-1390). Anche qui, dunque, ci si ispira all’idea di una coazione di queste divinità.

204

L’immagine del devltoı, che denota l’attenzione per la cultura scritta in grado di rafforzare le azioni, e in questo caso di dare maggior efficacia alla pratica di giustizia, la si trova anche in Pr. 789, “ devltoi frenw§n”, “le tavolette della mente”, in relazione all’idea di memoria.

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delle Erinni, che pure dimostrano una grande verve, rafforzata a livello formale dall’impiego della sticomitia, non può mai spingersi troppo oltre, non può intaccare le fondamenta su cui si regge l’architettura della società.

La sticomitia interviene a far risaltare i tratti della loro natura persecutoria, incalzante, fin dagli inizi della tragedia, che si inaugura proprio con il contrasto tra le Erinni e Apollo, proseguendo con quello nei confronti di Atena (vv. 418-435, che pure si ricompone agilmente, tanto più che la dea arriva a ripetere le espressioni usate dal Coro nel secondo stasimo), per poi volgersi ai danni di Oreste (587-606) e continuare nella parte finale dove le Erinni avanzano incessantemente le loro richieste. La forza positiva della Erinni trova uno sbocco reale attraverso il loro inserimento nella povliı e può essere sanzionata soltanto dal processo. E non a caso l’espressione di questa specie di “riabilitazione” istituzionale tocca il suo culmine nel secondo stasimo, in concomitanza col discorso su Divkh.205 L’andare errando delle Erinni risulta mediato di volta in volta dal loro ritrovarsi negli spazi ben definiti delle istituzioni religiose e politiche: ecco ciò che dicevamo realizzarsi a livello visivo, per quanto concerne il dialogo tra la cultura arcaica e la dimensione istituzionale. Ed è anche per questo che Eschilo rifiuta le versione di Ferecide, secondo cui Oreste continuerebbe ad essere perseguitato dalle Erinni anche dopo il giudizio. Ciò che svuoterebbe completamente di significato il suo progetto all’interno del quale il processo rappresenta la svolta che permette di comprendere e ricomporre le tensioni liberate fino a quel punto.206

Ma sull’inserimento delle Erinni nel quadro delle istituzioni e la sua realizzazione concreta in termini di rappresentazione scenica vorrei spendere ancora qualche parola.

La scena delle Eu. ha caratteristiche del tutto peculiari in quanto l’intera vicenda dal v. 64 in poi si svolge in interni con tre cambi scenici, la cui analisi ha spesso fatto sollevare ai critici diverse difficoltà nei confronti della tesi che per l’appunto affermava l’assenza di skhnhv. Tuttavia le

205

Per l’interpretazione del concetto di giustizia nel secondo stasimo, A. H. SOMMERSTEIN, Eumenides, Commentary, pp. 177, 183: è interessante quanto detto da lui a commento del processo, che definisce “the centrepiece of the play and a turning-point of the trilogy”…. “it shows in action the new kind of Justice which is to replace the justice of private, instinctive, uncontrolled vengeance which has been the cause of so many disasters heretofore….and will also resolve and end the long sequence of crime…..”.

206

La testimonianza di Ferecide ci è nota attraverso uno scolio a Eur. Or. 1645: “Ferecide invece affarma che «anche in seguito le Erinni inseguono Oreste per la pianura di Parrasia. Egli si rifugia nel tempio di Artemide, e si siede come supplice presso l’altare. Le Erinni vanno contro di lui con l’intenzione di ucciderlo, e Artemide le trattiene. In seguito a ciò anche questa città viene chiamata Oresteio da Oreste»…..”, Fr. 202-203, in Ferecide di Atene Testimonianze e frammenti, p. 213, a cura di Paola Dolcetti, ed. dell’Orso.

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opposizioni che sono state mosse in proposito possono essere volte a favore della tesi stessa a cui ci riferiamo. Come ad es. per ciò che riguarda i seggi del tempio di Apollo su cui dormono le Erinni e che vengono poi riutilizzati dai giudici nel processo (il che ci aiuta anche a risolvere la questione del numero delle Erinni).

Sia il tempio di Apollo, sia il tempio di Atena sull’Acropoli (di cui resta qualche traccia nei pressi dell’Eretteo) sia il bouleuthvrion sull’Areopago, dove si riunisce il collegio giudicante, appaiono agli spettatori dal loro interno. Ma non basta. L’interno si carica di un significato completamente diverso rispetto alle due tragedie precedenti: mentre nell’A. e nelle Ch. siamo di fronte a uno spazio privato, quello della casa, che si connota per il suo carattere sinistro e sconvolgente, tanto che Oreste stesso lo fugge terrorizzato, nelle Eu. si tratta dello spazio degli edifici pubblici. Questa dimensione, sebbene non sia priva di tensioni a causa della presenza delle Erinni, assolve comunque a una funzione rassicurante. Potremmo quindi così sintetizzare:

privato → sconvolgente ( gevnoı)

pubblico → rassicurante ( povliı)

Si noti ancora, che lo spazio privato nell’A. e nelle Ch. non è mai utilizzato da tutte le persone insieme (attori e coro), mentre questo avviene nello spazio pubblico delle Eu.

Così i giudici che occupano i seggi delle Erinni in numero di undici (dodici con Atena), non ci da solo una testimonianza numerica del fatto che le Erinni fossero dodici, ma diviene anche un simbolo della sequenza storico-culturale che nella tragedia viene rappresentata: la progressiva integrazione delle dee nelle istituzioni della povliı.207

207

Sulla questione del numero delle Erinni è intervenuto G. HERMANN, Opuscula, vol. II, Lipsiae, 1827, che si è pronunciato in maniera sfavorevole alla riduzione a tre del coro delle Erinni nella tragedia di Eschilo. Tra le diverse argomentazioni adduce il fatto che per certe divinità, quali appunto le Erinni e le Grazie, la religione greca ammettesse variazioni e oscillazioni sul numero. Si basa inoltre sul paragone tra Erinni e jvAraiv, le quali risultano infinite nella tradizione e dunque dovrebbero suggerire un numero indefinito anche per le Erinni che a loro vengono associate (Aesch. Eu. 417; G. HERMANNI, o.c., p. 126). Inoltre alla fine delle Ch. Oreste, invocando Apollo, dice che le dee sono sempre più numerose; anche questa affermazione dovrebbe presupporre che siano più di tre. (Ch. 1057, “Apollo signore, ecco loro sono sempre più numerose , stillano dagli occhi un sangue ributtante”). Cf. cap. 1, p. 22, n. 37.

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E il secondo stasimo delle Eu., dove fra l’altro l’immagine dei troni delle Erinni è messa in collegamento con quella della Giustizia, (e sembra suggerire all’immaginario degli spettatori una sovrapposizione tra le due realtà anticipatrice di quanto si vedrà nel processo) si apre con un’affermazione preoccupata delle conseguenze che a livello istituzionale potrebbe avere l’assoluzione di Oreste.

nu§n katastrofai; nevwn

qesmivwn, eij krathvsei divka <te> kai; blavba tou§de mhtroktovnou:

pavntaı hjvdh tovd j ejvrgon eujcereiv- a° sunarmovsei brotouvı:

(Ch. 490-495)

wj§ Divka,

wj§ qrovnoi t j jErinuvwn: tau§tav tiı tavc j aj;n path;r hj; tekou§sa neopaqhvı oij§kton oijktivsait j, ejpei- dh; pivtnei dovmoı Divkaı. (Ch. 511-516)

Quello della necessità della giusta punizione del colpevole per non recare un cattivo esempio alla comunità che potrebbe ad esso ispirarsi, è un tema di estrema importanza in quanto le Erinni si mostrano in questo modo cointeressate alla magistratura dell’Areopago, che vedono in pericolo se Oreste sarà riconosciuto incolpevole. Ciò che da ulteriore conferma a quanto si è detto fin qui a proposito dell’inserimento delle Erinni nello “spazio pubblico”. Lo stasimo tocca un punto culminante

Per le riflessioni sulla scena delle Eu. e i suoi significati si veda l’art. di V. DI BENEDETTO, Le Eumenidi: una tragedia di interni e senza skhnhv in Filologia e forme letterarie, in AA. VV., Filologia e forme letterarie. Studi offerti a Francesco Della Corte, Urbino 1987, I, pp. 121-139.

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proprio nell’ammonimento delle Erinni a non profanare l’altare di Giustizia prendendolo a calci (vv.538- 540).208

Ora, così come l’azione delle dee risulta compresa e integrata nelle istituzioni, pure sul piano religioso, espressione potente della sfera pubblica che attraverso il culto manifesta la propria coesione, esse risultano esecutrici di un ordine superiore, incarnato dalle divinità olimpie facenti capo a Zeus. E proprio Zeus appunto non è mai messo in discussione dalle Erinni. Figura anzi come mandante delle dee nelle Ch. vv. 380-417, dove Zeus, Ate, l’idea di giustizia, le Erinni e le jAraiv dei morti si trovano associate nella medesima invocazione contro gli uccisori di Agamennone: Zeu§ Zeu§, kavtwqen ajmpevmpwn/ uJsterovpoinon ajvtan (vv. 382-383), “Zeus, Zeus, tu che fai salire l’Ate dal basso, rovina che alla fine punisce”. Il richiamo all’Erinni e all’idea della punizione risulta peraltro rafforzato oltre che dall’invocazione di Ate, dall’uso dell’aggettivo “uJsterovpoinon” che nella parodo dell’A., lo abbiamo già notato, è riferito proprio alle dee (v. 59).

La punizione e dunque la vendetta del delitto avviene attraverso il coinvolgimento di tutti questi elementi il cui massimo rappresentante è Zeus. In particolare, le parole di Elettra (vv. 395-399) risultano ricche di riferimenti. Le preghiera a Zeus è legata al desiderio di giustizia (e già prima Zeus, lo abbiamo visto, era stato definito da Oreste come capace di far salire Ate dagli inferi), ma tale invocazione risulta rafforzata dalla richiesta di ascolto rivolta alla Terra e alle potenze ctonie (e il Coro subito dopo ci chiarisce che si tratta dell’Erinni).209

E ancora, a voler risalire le orme di un termine come sivnoı (danno, punizione), si scopre ancora una rete di relazioni che dall’A. porta alle Eu. Nel primo stasimo dell’A., l’invocazione a Zeus con cui il Coro esordisce si lega al concetto di giustizia della quale il sovrano degli dei è custode e garante. Egli

208

Per altre considerazioni a proposito dell’immagine dei troni delle Erinni cf. cap. 6 pp. 119-120 e n. 190.

209

Nella strofa pronunciata da Oreste (vv. 380-385) la funzione di Ate corrisponde a quella delle Erinni ed è qualificata come collaboratrice di Zeus. Tra l’altro la capacità attribuita a Zeus di “far salire” le potenze degli inferi ha il sapore della formula magica che è indirizzata a suscitare l’energia dei morti, quindi rimanda a una dimensione rituale in cui abbiamo visto manifestarsi l’idea di vendetta e affondare le radici del prediritto. E ancora il Coro, in questa sezione di testo, si esprime in termini molto vicini a quelli del terzo stasimo dell’A.: anche qui il sentimento vola davanti all’animo (nell’A. era il senso di paura) e si attribuisce alle viscere una capacità sensibile che comporta il loro annerimento in seguito ad una percezione negativa. Questo contatto col terzo stasimo a me pare sottolineare con maggior forza la centralità del ruolo delle Erinni come ministre di giustizia, visto che anche laggiù esse vengono chiamate in causa in quanto ispiratrici della paura e in un contesto in cui pure è evocata l’idea di giustizia, sviluppata nell’immagine della nave che getta parte del carico e si salva (riferimento alla modestia che si lega all’azione di Zeus garante del ciclo di produzione della terra che permette la sopravvivenza). Che Eschilo fosse interessato al tema della comunicazione coi defunti, e dunque alla credenza che il morto possa continuare a intervenire tra i vivi, lo deduciamo dai frammenti superstiti di una tragedia: gli Yucagwgoiv, “Evocatori di anime”. La vicenda potrebbe in qualche modo essersi ispirata alla Nevkuia dell’ Od. Per i frammenti e l’argumentum fabulae si veda Fr. 273-278R, vol. III.

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ha il potere, come è detto subito in apertura del canto, di inviare l’accecamento (ajvth). La ricostruzione dell’adulterio di Elena e della guerra di Troia si trova all’interno di un discorso che affronta il tema della rovina della casa per via dell’eccesso che fa perdere di vista la Giustizia. E quando Dike è oltraggiata non c’è salvezza per l’uomo: prevpei dev, fw§ı aijnolampevı, sivnoı, v. 389. Anche in questo caso, vediamo, è chiamata in causa la luce (fw§ı) che però si connota in maniera negativa ed è associata alla colpa. Peraltro questo stasimo ha una complessità e una profondità tematica a cui ho già avuto modo di accennare, che dalla dimensione del dolore privato nella casa degli Atridi si apre a considerare il dolore collettivo dei morti in battaglia, identificando così un eccesso nella guerra in sé che trascende ogni altra riflessione. Su questa catena impressionante di lutti che colpiscono la società si salda ancora una volta l’immagine delle nere Erinni delle quali si dice che oscurano col tempo colui che ha fortuna senza giustizia:

tw§n poluktovnwn ga;r oujk ajvskopoi qeoiv, kelai- nai; d j jErinuveı crovnw° tuchro;n ojvnt j ajvneu divkaı (A. 461-464)

E questa idea della punizione “nel tempo” rimanda ancora una volta al loro attributo di A. 59. L’intervento delle Erinni scaturisce dall’attenzione che gli dei rivolgono a chi infrange la norma di giustizia. Esse, dunque, anche in questa formulazione sembrano iscriversi all’interno di un ordine divino nel quale il loro compito è quello di agire contro chi è responsabile dei dolori altrui. Tra l’altro, questa terza strofa, si apre evidenziando un altro concetto che abbiamo visto essere strettamente legato alla presenza delle Erinni, quello di ajrav, che qui è scagliata dal popolo: dhmokravntou d j ajra§ı (v.458). E subito dopo il Coro rileva per sé il restare dell’ansia, con enfasi particolare sia per l’iterazione fonica sia perché sia mevnei che mevrimna sono posti a inizio di verso.

Zeus, custode della norma di giustizia, scaglia dagli occhi il fulmine di chi va oltre misura (v. 470): e nel contravvenire alla giustizia si pone anche l’azione di un re che si fa distruttore di città. E fin dall’inizio la dichiarazione di fede nello Zeus protettore degli ospiti lo collega il canto sia alla parodo

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sia al secondo stasimo dell’ A. La vicenda di Elena, rievocata in tutte e tre le parti corali, che infrange il diritto dell’ospite ed è inviata a Troia dallo xevnioı Zeuvı (v. 61 e cf. Zeuvı xenivou, v. 748) per ottenere risarcimento in previsione dei molti lutti che la sua presenza nella città di Priamo avrebbe causato, risulta coerente con la riflessione sulla norma di giustizia violata e le conseguenze che questo comporta.210 E vale la pena ricordare che la lunga parodo dell’ A. contiene l’Inno a Zeus centro di un articolato ragionamento sull’idea di saggezza che si accompagna e si salda a quello sulla giustizia, proemiale all’intera trilogia.

Infine, nel terzo stasimo dell’ A. la storia del leoncino in qualche modo rende gli sviluppi dei fatti di Troia ancor più paradigmatici, offrendo la continuazione dei motivi fin qui enunciati. Il concetto di Ate chiude proprio la strofa dedicata al racconto del cucciolo di leone allevato in casa, e in questa occasione avviene il riferimento al sivnoı, a proposito della strage compiuta dall’animale (v.734). Quindi alla nozione di Giustizia, con cui lo stasimo si conclude, è introdotta dal tema della dismisura che porta alla rovina, mentre la giustizia esige modestia, in quanto risplende nelle case fumose, quindi abitate da gente semplice (ancora una volta si fa leva sulla nozione di luce che ha un rilievo maggiore in quanto contrasta con l’oscurità delle povere dimore in cui la gente conduce una vita giusta). Così, quando nel primo stasimo delle Eu. ritroviamo l’aggettivo ajsinhvı vi avvertiamo l’eco delle occorrenze nell’A. dove si collega all’idea della punizione e al compiersi della norma di giustizia: “ajsinh;ı d j aijw§na dioicnei§”, “senza danno egli trascorre la sua vita” (Eu. 315), così dicono le Erinni a proposito della loro ira che risparmia chi non ha le mani macchiate di colpe. E in questo modo esse danno all’aggettivo, e quindi alle loro funzioni, un significato molto più ampio che va al di là del semplice delitto di sangue. C’è inoltre da rilevare il fatto che qui le Erinni si collegano all’azione di Zeus, diventando portavoci della cocezione arcaica secondo cui la divinità abbatte chi più sta in alto (è evidente che anche qui si qualificano come esecutrici della volontà di Zeus). Ma i contatti col primo stasimo dell’A. continuano anche nell’immagine della scura caligine che avvolge la casa: in questo caso però essa non rivela la povertà e la modestia degli abitatori (là era il fumo di una condizione umile) ma si connota negativamente riferendosi alla follia del proprietario la cui malvagità lo spinge all’errore:

210

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pivptwn d j oujk oij§den tovd j uJp j ajvfroni luvma°: toi§on ejpi; knevfaı ajndri; muvsoı pepovtatai, kai; dnofera;n tin j ajclu;n kata; dwvmatoı aujda§tai poluvstonoı favtiı.

(Eu. 377-380)

Lo stasimo si chiude con una forte accentuazione del dato delle tenebre che sottolinea con enfasi la natura delle Erinni, abitatrici del mondo ultraterreno dove non splende la luce. La giustizia di cui sono esecutrici si compie in un’oscurità dove non splende il sole (l’associazione tra Dike e la luce solare è qui ripresa in termini negativi).211 Ed è in questo stesso primo stasimo che l’Erinni afferma di essere depositaria di una legge stabilita dal fato (qesmovn moirovkranton Eu. 391-392) a lei assegnata dagli dei. Una formula che definisce le Erinni come custodi di un ordine regolato dal fato e dunque soggetto alla sfera di competenza delle Moire. A favore di questo potere cooperante delle Moire e delle Erinni Eschilo semina diversi indizi all’interno della trilogia e gioca sull’aspetto di una comune filiazione. Si pensi all’espressione di Eu. vv. 961-963 in cui le Moire sono dette matrokasignh§tai (perché figlie della Notte) e, insieme alle Erinni, daivmoneı ojrqonovmoi.

E sulle Erinni che vigilano sull’attuarsi dei disegni della sorte si veda la conclusione del secondo stasimo delle Ch. dove si dice che chi manca di rispetto a Zeus (sevbaı) è ferito dalla Giustizia, la cui base è l’incudine su cui viene forgiata dal Destino (Aij§sa) la spada con cui l’Erinni famosa e dalla mente profonda (kluta;/ bussovfrwn jErinuvı) vendica nel tempo (crovnw°) le antiche uccisioni.

Dall’analisi di tutti questi passi si configura uno spazio in cui l’Erinni agisce nel campo di Dike e viceversa. Nell’Orestea, dunque, c’è una linea precisa del discorso di Eschilo che gira attorno all’idea di giustizia che si attua attraverso l’intervento delle Erinni, portatrici di un punto di vista sul diritto che

211

Le parole conclusive dello stasimo sono “kai; dushvlion knevfaı ” (v. 396). Peraltro in questa parte finale si ha una proliferazione dei composti con dus- che in particolare chiudono il verso di ciascuna strofe, accentuando il senso di difficoltà, rovesciamento, negatività.

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gode di un’ampiezza affatto legata al delitto di sangue e che alla fine risulta allineata con la norma condivisa dalla povliı.212

Peraltro il fatto che le Erinni rivestano l’ufficio di perseguire e sanzionare il delitto è ben evidenziato dal loro attributo di poivnimoi, vendicatrici. In Aj. 843 l’eroe, prima di gettarsi sulla spada, si rivolge a Zeus, le Erinni e il Sole: tacei§ai poivnimoiv t j jErinuveı (tacei§ai peraltro fa eco al precedente tanuvpodaı del v. 837 “dai lunghi passi” o “dai passi veloci” che sottolinea il carattere del loro sopraggiungere inesorabile). E ancora in Soph. Tr. vv. 808-809 Illo accusa la madre Deianira di aver assasinato Eracle e le augura di essere punita dalla Giustizia vendicatrice (poivnimoı) e l’Erinni. Qui è Dike ad essere definita nell’esercizio della vendetta e la sua azione è registrata come concomitante a quella delle Erinni.213

Vorrei infine analizzare come nell’El. di Sofocle si configura il rapporto tra Dike e le Erinni. Si tratta innanzi tutto di distinguere tra il punto di vista dei personaggi e quello del Coro. Se si considera Oreste, vediamo che egli chiama in causa il principio di giustizia sia all’inizio della tragedia, quando si presenta come purificatore della casa, sia alla fine, quando spiega l’uccisione di Egisto come un atto di giustizia e fa appello al principio che chi agisce al di là delle norme dovrebbe essere punito. Ma questi accenni alla giustizia non sono affatto un tratto caratterizzante del personaggio: sono spunti sporadici che non danno luogo a un reale interesse da parte del personaggio. Oreste è tutto pervaso dal senso dell’intrigo, questo sì carattere fondamentale della sua personalità, ma la sua idea di giustizia non può dirsi per nulla paragonabile a quanto emerge dal kòmmos tra Oreste, Elettra e il Coro delle Ch. (v. 306 seg). Qualcosa di simile può dirsi per Elettra, la cui caratteristica di base è l’emarginazione e l’isolamento in cui si è venuta a trovare nella casa. E’ stata messa in evidenza da Vincenzo Di Benedetto la natura “anaforica” con cui essa si esprime: un elemento che non ha a che fare semplicemente con l’accentuazione della dimensione dolorosa in cui il personaggio si dibatte, ma che è rivelatore di una forza aggressiva intrinseca a Elettra. L’invocazione coinvolge Ade, Persefone, Hermes ctonio, l’ jArav e le Erinni di cui si dice che vedono le morti senza giustizia e i talami usurpati:

212

Si veda a questo proposito V. DI BENEDETTO, L’ideologia del potere e la tragedia greca, cap. 5, pp. 234-274. Sulla contiguità d’azione tra Dike e le Erinni si noti Ch. 310 dove si parla del grido della Giustizia che corrisponde a Ch. 400 in cui il grido della morte chiama l’Erinni. E ancora in A. 1432 Clitemnestra, nell’ambito di un solenne e giusto giuramento dal suo punto di vista, invoca Dike, Ate e l’Erinni a cui ha sacrificato Agamennone.

213

Si comprende come le cosiddette Poinaiv vengano talora identificate con le Erinni. Cf. HF 889. Sull’associazione tra Dike, Poinhv e l’Erinni si veda Plu. De sera numinis vindicta, 564.E.1-565.A.2.

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wj§ dw§m j jAi>vdou kai; Persefovnhı, wj§ cqovni j JErmh§ kai; povtni j jArav, semnaiv te qew§n pai§deı jErinuveı, aiJ;; tou;ı ajdivkwı qnh°vskontaı oJra§q j, aiJ; tou;ı eujna;ı uJpokleptomevnouı (El. 110-114)

L’anafora del v. 113 della monodia esprime la polemica nei confronti degli assassini del padre e accentua il compito punitivo delle Erinni.

E tuttavia è uno spunto sporadico che non viene ripreso in seguito, la ripresa formale di un modulo che risulta incluso in una dimensione più ampia e che maggiormente interessa al poeta, e cioè la situazione di sconvolgimento psicologico vissuto da Elettra.

E veniamo al Coro. Esso si fa portavoce del concetto di divkh a un livello più intensamente espressivo rispetto agli spunti presenti nei personaggi. Chiaramente eschileo è il motivo del morto che vive sulla tomba e reca aiuto ai propri cari (al v. 482 seg. del primo stasimo si dice che Agamennone non è immemore). E nella strofa successiva, a fissare in una visione concreta l’attuarsi di Dike e del riscatto del diritto del morto, viene annunciato l’arrivo dell’Erinni che è detta dai molti piedi e dalle molte mani: JvHxei kai; poluvpouı kai; poluvceir aJ dei-/ noi§ı kruptovmena lovcoiı/ calkovpouı jErinuvı (vv. 489-491).

Della vendetta del morto e il suo operare concreto tra i vivi aveva già parlato Elettra a proposito della spiegazione del sogno fatto da Clitemnestra: il morto viene a riaffermare i suoi diritti piantando lo scettro nel centro della casa. L. Gernet a proposito del rito dell’interdizione rileva proprio il motivo del piantare lo scettro. Un rito complesso composto di una parte orale in cui l’accusatore-vendicatore pronuncia l’interdizione contro l’omicida e porta una lancia nel corteo funebre, piantandola sulla tomba e vegliando la sepoltura per tre giorni: il morto letteralmente combatte insieme ai suoi. Tramite

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il rito il vendicatore partecipa di una forza extraterrena che gli assicura il compimento della vendetta.214

E ancora in questo ordine di idee si pone il Coro immediamente dopo il delitto, facendo riferimento al compiersi delle maledizioni e al fatto che i morti bevono il sangue degli assassini.

Per ciò che concerne il terzo stasimo, il Coro parla delle cagne che sono all’interno della casa, evidentemente alludendo a Oreste e Pilade:

jvIdeq j oJvpou pronevmetai

to; dusevriston aij§ma fusw§n jvArhı: beba§sin ajvrti dwmavtwn uJpovstegoi metavdromoi kakw§n panourghmavtwn ajvfuktoi kuvneı:

(El. 1384-1388)

C’è una consonanza con l’immagine delle case che spirano morte (fovnon dovmoi pnevousin aiJmatostagh§) cui fa riferimento Cassandra nell’A. all’ingresso nella reggia (v. 1309): qui è Ares che

214

L. GERNET, o.c. Traggo da qui le osservazioni relative ai simbolismi che presiedono alle forme del diritto. Gernet analizza tre riti che ci riportano alla vicenda di Oreste e ci permettono di esplorare in atto nella società antica una sorta di meccanismo della “memoria rituale”, per così dire, in grado di produrre le moderne procedure giuridiche e di risultare ancora vivi al loro interno. I riti presi in considerazione sono: l’ejmbavteusiı, l’interdizione e la supplica. Il primo rimanda all’azione del “mettere il piede su qualcosa”: nel diritto ateniese designa l’erede. Qual è il nesso tra le due cose? Cominciamo dal verbo che sta dentro questa parola, e cioè baivnw. Esso indica il penetrare in uno spazio che può essere sacro e mitico, l’entrare in contatto con le forze che vengono dalla terra, il mettersi in comunicazione con una sorta di energia religiosa che viene dalle divinità dei morti. Oreste compie per l’appunto questa azione quando visita la tomba paterna. Un rito che ha peraltro la sua contropartita sacrilega nella danza di Egisto sul sepolcro di Agamennone assassinato, descritta nell’El. di Euripide, mentre nell’Or. è rappresentato dopo l’omicidio del sovrano intanto che invoca la Giustizia. E anche qui si direbbe sotteso un gesto rituale che ancor più ci interessa in quanto direttamente collegato al concetto di giustizia e su cui varrà la pena di ritornare. Quanto all’interdizione contro l’omicida (e cioè l’intimazione a non partecipare più agli atti religiosi e a non frequentare i santuari e i luoghi pubblici per via della contaminazione), la sua sopravvivenza nella procedura sarebbe attestata sotto la forma della citazione. A partire dal V sec. si trova rimpiazzata da una vera e propria azione giudiziaria. Infine, la supplica ha pure nel prediritto un ruolo molto esteso. Si avvale di materiali che appartengono alla ritualità religiosa (es. il ramo di ulivo) e di gesti che riconfermano quest’ambito: così la posizione assisa che rappresenta il dolore di chi supplica, ma rimanda anche alla postura del morto negli inferi o al condannato o candidato alla purificazione. C’è alla base di tutto questo l’idea di un diritto del morto, un’idea come dice Gernet “variabile e complessa”. E tale idea si esprime con forza attraverso il rituale e più ancora attraverso i gesti, che con evidenza ancora maggiore ne conservano il ricordo, se è vero, come dice Paul Connerton, che la memoria della società si trasmette per atti rituali, e il gesto oltre ad esserne una testimonianza potente ha un’immediatezza che si spinge al di là del contesto rituale stesso e per certi versi lo trascende. I gesti, cioè, risalgono ancora più indietro del rito. I corpi esprimono una memoria che ci mette in comunicazione con zone assolutamente remote della nostra cultura. Cf. P. CONNERTON, Come le società ricordano, Armando editore, trad. it. Sui diritti del morto cf. cap. 3 di questa analisi.

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soffia la strage (aiJ§ma) e la sua presenza si associa a quella dei persecutori che sono entrati nella casa (le cagne, cioè le Erinni).

Ma questa assimilazione da parte del Coro non comporta automaticamente che i due protagonisti si collochino all’interno del meccanismo di colpa-punizione in cui operano le Erinni. E’ un accenno che resta isolato e non ha affatto le implicazioni e gli sviluppi eschilei.215

A conclusione di questa analisi sulle Erinni e la giustizia, che ha riservato la maggiore attenzione all’Orestea, è risultato che le dee assolvono a una funzione destabilizzante e stabilizzante allo stesso tempo.216

Né fra le due cose bisogna pensare che intercorra un processo evolutivo.

La negatività e la positività appartengono alla natura delle dee e non sono affatto in contraddizione. La simultanea presenza di queste caratteristiche è ben rintracciabile all’interno delle Eu., qualora si analizzi la tragedia con una certa attenzione. Ci siamo ispirati alle osservazioni relative ai simbolismi che presiedono alle forme del diritto. Lo studioso L. Gernet si è occupato delle origini della procedura che permette di cogliere il manifestarsi di una mentalità giuridica e di avvicinare la comprensione del diritto arcaico, per approdare alla definizione del giudizio come ultimo anello di una catena rituale complessa le cui radici si perdono nel mito. Nella sua analisi, lo studioso francese sostiene che la procedura testimonia una serie di atti simbolici anteriori alla sua nascita, attraverso i quali è possibile rintracciare le forme secondo le quali si presenta, molto anticamente, la futura affermazione del diritto. I simbolismi, quasi si trattasse di scatole cinesi, contengono dei rituali e dentro i rituali troviamo custoditi elementi che appartengono alla sfera del sacro e più ancora a quelle zone della cultura magico-primitiva che si spingono molto addietro nella storia dell’uomo.

“La forma non è un prodotto della superstizione…..la forma è essenziale al diritto alle sue origini…..non è eccessivo dire che è psicologicamente creatrice”. E ancora, “il giudizio emana da un’autorità collettiva”.217

Il processo giuridico è un collettore di questi aspetti: si tratta di una creazione alle cui spalle è ancora possibile cogliere il passato. Anche facendo leva su tali elementi, Eschilo dialoga con il pubblico e

215

Per le riflessioni sul tema della giustizia e le Erinni nell’ El. di Sofocle si veda V. DI BENEDETTO, Sofocle, cap. 7, 2, Il ruolo delle Erinni e 7, 3, La disperazione di Elettra.

216

Sui mostri nel teatro di Eschilo B. DEFORGE, Eschyle, poète cosmique, pp. 238-239, Les belles lettres, 1986.

217

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dunque con la collettività a cui è destinato il suo messaggio, e finisce per mettere insieme una sorta di storia sociale, definita per l’appunto dal confronto delle culture “bipolari”, come si è detto, in cui egli costantemente trova i riferimenti al suo discorso e che ne rende più credibili gli sviluppi.

Il significato che attribuisce al giuramento prima del processo è in questo senso emblematico.

Eschilo sapeva che la procedura davanti all’Areopago esigeva un giuramento delle parti che però non aveva un valore probante come nella concezione primitiva del giudizio: esso introduceva l’azione. Nel prediritto il giuramento equivaleva a un giudizio, quando invece passò nel diritto civile cambiò funzione e significato e venne a inaugurare una serie temporale, definita con un inizio e una fine, che è per l’appunto il processo.

Se leggiamo nelle Eu. dal v. 429, possiamo notare le differenti posizioni su cui risultano schierate le Erinni e Atena nei confronti dell’accusato. Le Erinni rilevano che Oreste dovrebbe fare giuramento se volesse l’assoluzione, ma non può permettersi un atto simile in quanto giurare significherebbe ammettere la colpa del matricidio, ciò che darebbe loro automaticamente la vittoria. Le dee infatti esprimono un modello culturale primitivo per il quale la giustezza del matricidio diventa un fattore secondario: a contare è il fatto e non la coscienza.

Atena ribatte che “l’ingiustizia non prevale a forza di giuramenti”, cioè le cause non devono considerarsi vinte a mezzo dei giuramenti. E poco dopo si dibatte su chi possa dirimere la causa: Atena a questo proposito dice che il giudizio non può essere espresso da uomini ma neppure da lei che è una dea.218

E ancora, di seguito, ci si riferisce alla condizione di Oreste che ha assolto ai precetti rituali, arrivando come supplice: dunque il contesto del rito è evocato a breve distanza dall’annuncio dell’istituzione del consesso di giudici che formulerà la sentenza.

Il giuramento fa da ausilio all’esplicazione della giustizia e funge da prologo all’allestimento del processo. Esso risulta, per così dire, inglobato nella nuova cultura di diritto. Ma nel confronto tra le due culture si esprime la reminescenza della natura primitiva di quest’atto, e in questo senso si indica anche che non è una realtà trascurabile.

218

Secondo una versione del mito a presiedere lo svolgimento del processo sarebbero state dodici divinità. Così Eur. Or. 1650 e Demostene, che tra l’altro ci informa anche del rito del giuramento che nell’Areopago avverrebbe in piedi sulle carni di un animale immolato per l’occasione (Contra Aristocratem, XXIII, 65, 66, 67). Sull’operato dei giudici, l’istruzione dei processi, la discussione delle cause e i procedimenti di votazione si veda Arist. Ath. 65-69.

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Tra l’altro, lo abbiamo detto, il dibattito tra la cultura primitiva e quella contemporanea, e la simultaneità con cui ne vengono rappresentati gli aspetti, si realizza anche su un piano visivo, a livello dello spazio scenico, nel quale le tensioni e il loro esito assumono un’evidenza anche maggiore. E ancora una volta ci troviamo a constatare la sincronia e la polivalenza dei simboli che queste due culture producono. In ciò mi pare si comprenda pienamente anche l’incontro tra la negatività e la positività veicolate dalle Erinni.

Nella processione finale le dee non abbandonano le maschere paurose e sempre alla fine (v. 932) tornano le immagini del naufragio, come già nella chiusa del secondo stasimo, metafora coerente del resto col mito rappresentato: una spedizione per mare e una serie di ritorni infausti in cui è facile vedere punito l’eccesso dei capi partiti per la guerra. All’interno di questa griglia c’è lo spazio per altre riflessioni: Agamennone non è affatto un personaggio che esprime tracotanza e il monito alla moderazione che risuona fin dal terzo stasimo della prima tragedia vale non solo per la casa degli Atridi ma in generale come norma di comportamento a cui è bene che la collettività si ispiri per non incorrere nel naufragio. Ed è interessante che questo tipo di metafora dal terzo stasimo dell’ A., punto nodale per la presa d’atto della paura, raggiunga il secondo stasimo delle Eu., dove ancora una volta è della paura che si parla. E lo scoglio invisibile (ajvfanton ejvrma) su cui l’uomo fa naufragio nell’A. diventa qui lo scoglio di Giustizia su cui si abbatte l’antica ricchezza. Già nel terzo stasimo il cuore era presago di giustizia e si volgeva in vortici (divnaiı) che avevano compimento.

Nelle Eu. l’uomo che accumula beni senza giustizia resta prigioniero di un vortice ineluttabile (duspalei§ divna°) e a nulla vale la sua richiesta d’aiuto: è destinato a morire escluso e non riconosciuto dalla società.

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