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CAPITOLO 1

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 1

Introduzione al Reverse Enginnering.

In questo primo capitolo, si fornirà una panoramica sulle tecniche impiegate per il rilievo di forme tridimensionali, dando anche un accenno al principio di funzionamento di ognuna esse e indicando i principali elementi di cui si compone il sistema che ne consente l’applicazione. Inoltre, verrà esposta anche una prima classificazione delle tecniche descritte, realizzata in base alle caratteristiche intrinseche di ciascuna di esse.

Infine, nell’ultimo paragrafo del presente capitolo, si concentrerà l’attenzione su quella categoria di tecniche di rilievo della forma a cui appartengono, come si vedrà in seguito, i sistemi di visione stereo per il rilievo delle forme tridimensionali, che sono il tema principale di questo lavoro.

1.1 Le tecniche per il rilievo di forme tridimensionali.

Diverse sono le tecniche per il rilievo delle forme tridimensionali esistenti oggi e molteplici sono le modalità per cui vengono adoperate; infatti, oltre ai loro svariati impieghi in ambito industriale, esse sono applicate, per esempio, anche in ambito medico o nel rilievo di beni d’interesse artistico.

Queste tecniche sono comunemente note anche come tecniche di Reverse Engineering, cioè come tecniche di ingegneria al contrario, proprio perché consentono d’invertire il processo canonico che porta dal progetto al prodotto e, partendo da un modello fisico del prodotto, ne rendono disponibile la ricostruzione matematica tridimensionale, cioè il progetto. Spesso, si parla anche di digitalizzazione tridimensionale o di ricostruzione 3D di un oggetto, per indicare appunto l’applicazione di una tecnica di Reverse Engineering all’oggetto stesso. Per comprendere come operano le suddette tecniche, si può iniziare col descriverne a grandi linee le due principali fasi di funzionamento, che sono: il processo di rilievo della forma vero e proprio e il processo di ricostruzione matematica dell’oggetto rilevato.

Il processo di rilievo della forma dell’oggetto, cioè la cosiddetta cattura della forma, viene eseguito mediante dispositivi costituiti da un sensore e da un eventuale sistema che lo

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movimenta oltre ad un software predisposto alla conversione dei dati acquisiti dal sensore in un insieme di punti detto nuvola di punti.

Il processo di ricostruzione dell’oggetto rilevato, invece, altro non è che un’elaborazione della nuvola di punti, ottenuta per convertirla in un formato di rappresentazione tradizionale (ad esempio in formato CAD) e quindi consente anche di definire la forma e le dimensioni dell’oggetto stesso, con le relative tolleranze.

1.2 La classificazione delle tecniche di Reverse Engineering.

Le tecniche di Reverse Engineering, spesso denominate semplicemente tecniche RE (essendo RE l’acronimo di Reverse Engineering), si possono suddividere in tecniche a contatto e tecniche senza contatto, a seconda del tipo di sensore impiegato nel processo di cattura della forma (Figura 1.1).

Figura 1.1: classificazione delle tecniche di Reverse Engineering.

Le prime impiegano un sensore di tipo meccanico, cioè un sistema tastatore (che può essere monostilo o multistilo), ed effettuano l’acquisizione della forma mediante un processo di rilevazione per punti. Questo processo, prevede che il tastatore venga movimentato, da un apposito sistema, lungo il percorso formato dai punti di rilevazione (Figura 1.2).

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La durata temporale della fase di acquisizione, dipende direttamente dalla forma del percorso compiuto dal tastatore e cioè dal numero e dalla disposizione spaziale dei punti che ne fanno parte. Quindi, si avrà una fase di acquisizione di durata tanto più elevata, quanto maggiore è la precisione che si vuole ottenere, ovvero, quanto maggiore è il numero dei punti da rilevare. Le tecniche acustiche si rifanno alle metodologie SONAR applicate in campo navale (Figura 1.3), sfruttando il ritorno di onde sonore riflesse dalle superfici scansionate e calcolando il tempo impiegato dalle onde per ritornare alla sorgente. La metodologia risente fortemente di errori dovuti all’ambiente, veri e propri rumori; inoltre determinare il punto di origine dell’onda riflessa risulta piuttosto laborioso. Per contro l’uso di ultrasuoni permette di rilevare dati sotto la superficie del pezzo, estendendo l’analisi a punti non raggiungibili altrimenti.

Figura 1.3: esempio di funzionamento delle tecniche acustiche.

I metodi magnetici misurano l’intensità dei campi di particolari punti per determinarne la posizione; in particolare è largamente usata in campo medico la tecnica della risonanza magnetica che sfrutta la possibilità di attivare (magneticamente) particolari elementi all’interno del materiale da misurare e quindi ottenere risposte tali da determinare la loro posizione. Come per le applicazioni acustiche gli errori maggiori sono dati da influenze ambientali come campi esterni o dalle proprietà stesse dei materiali impiegati. Per contro anche con questo sistema è possibile ottenere misure interne (come nella risonanza) o di elementi non accessibili (Figura 1.4).

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Figura 1.4: esempio di risonanza magnetica.

Infine la classe dei sistemi ottici raggruppa tutte le tecniche che utilizzano sistemi che sfruttano la luce come sorgente (luce proiettata, luce naturale, laser, ecc…) per determinare le posizioni degli oggetti nello spazio. Negli ultimi anni, le tecniche RE ottiche sono quelle che si sono sviluppate in maniera più interessante, consentendo una sostanziale riduzione della durata della fase di acquisizione. Un tale sviluppo, è stato la naturale conseguenza dell’evoluzione che tutti i dispositivi ottici hanno subito di recente.

Queste tecniche, però, si possono ulteriormente classificare come attive e passive, a seconda che prevedano o meno un sistema d’illuminazione, oltre ad un dispositivo di acquisizione video, che rappresenta il vero e proprio sensore ottico.

Nelle tecniche RE ottiche di tipo attivo, vi è quindi un’interazione tra la sorgente luminosa e il dispositivo di acquisizione video, al fine di ottenere la digitalizzazione 3D dell’oggetto. La luce generata dalla sorgente, però, non è diffusa (come quella generata da una normale lampadina), ma coerente, cioè formata da un fascio di onde luminose in fase tra loro; queste tecniche, proprio perché sfruttano un fascio luminoso coerente, cioè “strutturato”, vengono anche dette tecniche RE a luce strutturata.

Al contrario delle precedenti, le tecniche RE ottiche di tipo passivo, non prevedono alcuna sorgente luminosa, ma sfruttano solo l’azione di un sistema di acquisizione video, per ottenere la digitalizzazione 3D di un oggetto. Esse hanno quindi un funzionamento analogo a quello del sistema visivo umano.

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1.3 Le tecniche di Reverse Engineering a luce strutturata.

Le tecniche RE a luce strutturata (cioè le tecniche RE ottiche attive) effettuano la digitalizzazione 3D di un oggetto, mediante l’interazione tra un sensore ottico e una sorgente di luce strutturata, cioè coerente, come si è già accennato. Esse vengono spesso indicate anche come sistemi SLD, oppure, più semplicemente, solo con la sigla SLD, che è l’acronimo delle parole inglesi Structured Light Devices.

Le tecniche RE su cui verte questo paragrafo però, in genere vengono suddivise in due categorie distinte; infatti, in base alla tipologia della sorgente luminosa impiegata, si avranno le tecniche RE a luce bianca e le tecniche RE a luce laser.

Tuttavia, nei sistemi SLD, indipendentemente dalla sorgente luminosa impiegata, il processo di cattura della forma si concretizza sempre mediante la proiezione di una serie di linee luminose, sull’oggetto da digitalizzare, da parte della sorgente stessa, e l’acquisizione delle immagini dell’oggetto illuminato, da parte del sensore ottico. In questo modo, si ottiene la nuvola di punti rappresentativa della forma dell’oggetto.

Tale nuvola di punti, viene successivamente elaborata dal software che presiede alla ricostruzione tridimensionale del particolare in esame; tuttavia, devono essere note le posizioni e le angolazioni relative della sorgente e del sensore ottico, rispetto allo stesso sistema di riferimento, affinché il software dedicato possa completare la digitalizzazione del particolare stesso.

In conclusione del presente capitolo, si vuole mettere in evidenza che nelle pagine seguenti l’attenzione verrà focalizzata sulle tecniche RE a luce bianca, perché tra esse figurano anche i sistemi di visione stereo per il rilievo delle forme tridimensionali, che sono l’argomento principale di questa tesi. In particolare, si analizzeranno i sistemi di visione stereo sviluppati presso la Facoltà d’Ingegneria Meccanica dell’Università di Pisa, nel Laboratorio di Sistemi CAD/CAE e Tecnologie di Visione Artificiale del DIMNP (Dipartimento d’Ingegneria Meccanica Nucleare e della Produzione).

Figura

Figura 1.1: classificazione delle tecniche di Reverse Engineering.
Figura 1.3: esempio di funzionamento delle tecniche acustiche.
Figura 1.4: esempio di risonanza magnetica.

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