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Legge di Stabilità 2016: termini riaperti per l assegnazione di beni ai soci

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28 Ottobre 2015

Anche per le società operative

Legge di Stabilità 2016: termini riaperti per l’assegnazione di beni ai soci

Il disegno di legge di Stabilità per il 2016 ha riaperto una finestra temporale per beneficiare dell’applicazione di un’imposta sostitutiva ridotta in riferimento all’assegnazione o alla cessione agevolata di beni ai soci, nonché alla trasformazione agevolata in società semplice. L’intervento si rivolge non solo alle società di comodo, come accaduto in passato, ma anche alle società c.d. operative. In particolare, l’art. 11 del disegno di legge prevede, nell’ambito delle misure di razionalizzazione fiscale per le imprese, una disciplina di favore per l’assegnazione o la cessione agevolata di beni ai soci, nonché per la trasformazione agevolata in società semplice.

di Stefano Loconte - Professore a contratto di Diritto Tributario e Diritto dei Trust, Università degli Studi LUM “Jean Monnet” di Casamassima, Avvocato, Giusy Antonelli - Loconte & Partners

Nell’ambito delle misure di razionalizzazione fiscale per le imprese, il disegno di legge di Stabilità 2016 prevede (art. 11) una disciplina di favore per l’assegnazione o la cessione agevolata di beni ai soci, nonché per la trasformazione

agevolata in società semplice.

Il disegno di legge ha infatti riproposto una misura da tempo auspicata, in modo particolare, dalle società c.d. di comodo, sottraendo queste ultime all’applicazione dello speciale regime penalizzante di cui all’art. 30, legge. n. 724/1994.

Invero, l’intervento in questione si pone in linea con le disposizioni normative approvate, da ultimo, con la legge n.

244/2007 (legge Finanziaria 2008), che regolava, in una nuova versione, lo scioglimento agevolato delle società considerate di comodo, più volte oggetto di interventi normativi pregressi.

Tra le peculiarità di tale intervento spicca, in primo luogo, la circostanza secondo cui la norma non si rivolge alle sole società di comodo, con la conseguenza che, in caso di assegnazione, cessione o trasformazione, possono beneficiare del regime agevolato anche le società operative.

L’art. 11, infatti, trova applicazione nei confronti delle società in nome collettivo, in accomandita semplice, a

responsabilità limitata, per azioni e in accomandita per azioni, a condizione che i relativi soci risultino iscritti nel libro soci, ove prescritto, alla data del 30 settembre 2015, ovvero che vengano iscritti entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge in commento, in forza di titolo di trasferimento avente data certa anteriore al 1° ottobre 2015.

In riferimento al genus delle società di comodo, peraltro, il testo dell’art. 11 non opera alcuna distinzione tra i soggetti c.d.

non operativi ai sensi del già richiamato art. 30, legge n. 724/1994 e quelli in “perdita sistemica” di cui all’art. 2, D.L. n.

138/2011, giacchè non possono essere riscontrate limitazioni soggettive in merito all’applicabilità della norma all’una o all’altra categoria.

Sono previsti, invece, alcuni limiti in relazione ai beni oggetto di assegnazione o cessione agevolata, in quanto tali operazioni possono riguardare soltanto i beni immobili diversi da quelli strumentali per destinazione - diversi, cioè, da quelli utilizzati esclusivamente per l’esercizio dell’impresa commerciale - e per i beni mobili iscritti in pubblici registri, anch’essi a condizione che non siano strumentali all’attività di impresa. La medesima restrizione sotto il profilo oggettivo è rinvenibile in tema di trasformazione agevolata in società semplice, ammessa solo qualora la società abbia per oggetto esclusivo o principale la gestione delle predette tipologie di beni.

Venendo all’entità dell’agevolazione in commento, la base di calcolo per l’applicazione dell’imposta agevolata è data dalla differenza tra il valore normale del bene assegnato, o rientrante nel patrimonio della società trasformata, e il costo fiscalmente riconosciuto dei beni.

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Nel caso di assegnazioni di beni immobili, tuttavia, è previsto che il valore normale possa opzionalmente essere costituito dal valore catastale ottenuto applicando i coefficienti moltiplicatori previsti dall’art. 52, comma 4, primo periodo, D.P.R. n. 131/1986 alla rendita risultante in catasto.

All’importo così determinato è applicabile l’imposta sostitutiva di imposte sui redditi e IRAP nella misura dell’8% ovvero del 10,5% nel caso in cui la società risulti di comodo in almeno due dei tre periodi di imposta precedenti a quelli in corso al momento dell’assegnazione, della cessione o trasformazione. È altresì prevista un’imposta sostitutiva sulle riserve in sospensione d’imposta annullate, pari al 13%.

Con specifico riferimento alla cessione agevolata, è inoltre possibile calcolare l’imposta sostitutiva sul corrispettivo della cessione, se inferiore al valore normale del bene, in misura comunque non inferiore ad uno dei due valori.

In caso, invece, di assegnazione di azioni o quote, si assume come valore normale il maggiore tra il costo fiscalmente riconosciuto e quello determinato in funzione del valore del patrimonio netto della partecipata. In quest’ultima ipotesi, per i soci assegnatari il valore normale del bene assegnato non rappresenta un utile in natura, tuttavia, è previsto che tale valore normale riduca il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione detenuta dal socio assegnatario.

Infine, per quanto riguarda le imposte indirette, viene prevista la riduzione alla metà dell’imposta di registro eventualmente dovuta per l’assegnazione, nonché l’applicazione dell’imposta ipotecaria e catastale in misura fissa.

Il termine per gli atti di assegnazione, cessione o trasformazione agevolata è fissato al 30 settembre 2016. L’imposta sostitutiva sulle plusvalenze deve essere versata:

- per il 60% entro il 30 novembre 2016 e - per il rimanente 40% entro il 16 giugno 2017.

Copyright © - Riproduzione riservata

Home Care Premium

Proroga al 30 giugno 2016 per il progetto Home Care Premium 2014

Differito il termine del progetto Home Care Premium al 30 giugno 2016. L’INPS, con messaggio n. 6573 del 27 ottobre 2015, comunica che tale decisione è stata assunta in ragione della numerosità dei soggetti coinvolti e della difficoltà a disporre di dati certi relativi alla spesa per prestazioni integrative e gestionali.

L'Home Care Premium è il progetto, rinnovato annualmente dall’INPS, che mira a valorizzare l'assistenza domiciliare per le persone disabili e non autosufficienti, attraverso un contributo "premio" finalizzato alla cura a domicilio di tali soggetti. E' inoltre previsto un ulteriore percorso assistenziale, che consiste in un intervento economico per i soggetti non autosufficienti residenti presso strutture residenziali o per i quali sia valutata l'impossibilità di assistenza domiciliare.

L’INPS con messaggio n. 6573 del 27 ottobre 2015 comunica che la Direzione Centrale sta procedendo ad una analisi di impatto della prestazione Home Care Premium, al fine di ridisegnarla ed assicurare che la stessa possa raggiungere il maggior numero possibile di potenziali beneficiari.

In ragione della numerosità dei soggetti coinvolti e della difficoltà a disporre di dati certi relativi alla spesa per prestazioni integrative e gestionali, l’Istituto con determinazione assunta in data 26 ottobre 2015, ha deciso di differire al 30 giugno 2016 il termine del Progetto Home care premium 2014, originariamente fissato al 30 novembre 2015.

A cura della Redazione

Copyright © - Riproduzione riservata INPS, messaggio 27 ottobre 2015, n. 6573

Assunzioni a tempo indeterminato

INPGI: sgravio contributivo triennale su presentazione di istanza

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Lo sgravio contributivo triennale previsto dalla Legge di Stabilità 2015 si applica anche alle assunzioni a tempo indeterminato di giornalisti. L’INPGI ha fissato i criteri per la fruizione dello erogazione dello sgravio con delibera del Consiglio di amministrazione n. 52 dello scorso 15 ottobre. La delibera precisa che l'esonero contributivo è riconosciuto per le assunzioni a tempo indeterminato già effettuate a decorrere dal 1° gennaio 2015, ma subordina il diritto all’agevolazione alla presentazione da parte del datore di lavoro di apposita istanza all’atto dell'assunzione.

di Giuseppe Buscema - Consulente del lavoro, Commercialista e Revisore legale in Catanzaro

A dieci mesi dall’entrata in vigore anche l’INPGI prende posizione sullo sgravio triennale previsto dalla legge di Stabilità 2015 (legge n. 190/2014).

In risposta all’interrogazione parlamentare n. 5-06236 dell’On. Barbanti, nella seduta del 22 ottobre scorso alla Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, il Ministero del lavoro ha chiarito che l’esonero triennale previsto dal comma 118 dell’articolo 1 della legge n.190/2014 si applica anche alle assunzioni a tempo indeterminato di giornalisti.

Il sottosegretario del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali Teresa Bellanova, con risposta in forma scritta, ha infatti evidenziato che, nel quadro dei principi di autonomia gestionale, l’INPGI - Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani - con delibera del Consiglio di amministrazione n. 52 dello scorso 15 ottobre approvata dai Ministeri vigilanti, ha fissato i criteri per l'applicazione delle disposizioni in materia di esonero contributivo previste dalla legge di Stabilità per il 2015, che, pertanto, troveranno applicazione anche con riferimento alle assunzioni a tempo indeterminato dei giornalisti, il cui rapporto assicurativo venga costituito presso detto ente. Tale delibera precisa, inoltre, che l'esonero contributivo è riconosciuto per le assunzioni a tempo indeterminato già effettuate a decorrere dal 1° gennaio 2015.

Tuttavia, rispetto all’applicabilità retroattiva, viene sottolineato che la spettanza dell’agevolazione è condizionata alla presentazione da parte del datore di lavoro di apposita istanza all’atto dell'assunzione ovvero abbia richiesto l'attribuzione del benefici di cui alla delibera INPGI n. 50 del 2014.

Non è chiaro l’esatto significato del riferimento alla predetta delibera del 2014 che riguarda il regime delle agevolazioni per le nuove assunzioni di giornalisti previsto dal DPCM 30 settembre 2014.

Si tratta, infatti, del decreto attuativo previsto dall’art. 1, comma 261, della Legge n. 147/2013 (Legge di Stabilità 2014), che ha istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il «Fondo straordinario per gli interventi di sostegno all'editoria».

Ma tale decreto disciplina i criteri e le modalità di concessione ed erogazione, per l'anno 2014, delle limitate risorse del Fondo appositamente stanziate.

I benefici contributivi, infatti, era previsto che venissero attribuiti entro l’importo stanziato annualmente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e, comunque, nel rispetto del limite massimo di aiuti di Stato previsto dal Regolamento comunitario sugli aiuti di importanza minore regime “de minimis”

Come è noto, invece, lo sgravio triennale non prevede (salvo per il settore agricolo) alcuna istanza per la concessione ne risulta un aiuto di Stato, come ha chiarito anche l’INPS con la circolare n. 17 del 2015.

Oltretutto la successiva circolare dell’INPGI n. 9 del 10 dicembre 2014, che ha fatto seguito alla citata delibera n. 50 del 2014, ha precisato che le imprese che a far data dal 30 settembre 2014 (data di adozione del DPCM) avessero già assunto giornalisti “potevano inoltrare all’INPGI – tempestivamente e comunque entro e non oltre 30 giorni dalla data della circolare - domanda di attribuzione delle agevolazioni contributive e/o di revisione di quelle eventualmente già concesse in base a diversa normativa”.

A tal fine, è stato previsto l’utilizzo del modello SGRV.1.

La predetta circolare n. 9/2014 ha chiarito altresì che le aziende interessate, una volta autorizzate dall’INPGI ad operare lo sgravio contributivo, potevano recuperare gli importi arretrati spettanti in compensazione con eventuali partite a debito ovvero chiedere il rimborso degli stessi.

In definitiva nessuna decadenza per il pregresso.

Tornando allo sgravio triennale previsto dalla legge di Stabilità 2015, va peraltro rilevato che la posizione dell’INPGI che condiziona l’applicazione a far data dalla data di assunzione alla prestazione della relativa istanza non appare coerente con la disciplina regolatoria del beneficio contenuta nel citato comma 118 dell’articolo 1 della legge n. 190/2014 che,

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infatti, non prevede alcuna istanza preventiva.

Oltremodo, anche in considerazione dei dieci mesi di ritardo con cui giunge la conferma della spettanza dello sgravio ed in attesa che vengano diffuse apposite istruzioni, non si ritiene possa conseguire per il datore di lavoro la perdita dell’incentivo per il solo fatto di non aver effettuato una richiesta di cui si disconosceva la necessità.

In definitiva, si ritiene che non si possa incorrere in alcuna decadenza dell’agevolazione laddove le condizioni previste dall’articolo 1, comma 118 della legge n.190/2014 alle quali si aggiunge la regolarità prevista dall’articolo 1, commi 1175 e 1176 della legge n296/2006 siano rispettate.

In particolare, ricordiamo che l’agevolazione spetta in relazione alle assunzioni a tempo indeterminato con

esclusione dei contratti di apprendistato di lavoratori che nei sei mesi precedenti la data di assunzione non risultano occupati con contratto a tempo indeterminato.

L’esonero non spetta inoltre ai datori di lavoro in presenza di assunzioni relative a lavoratori in riferimento ai quali il rapporto con contratto a tempo indeterminato risulta intercorso nell’arco temporale ottobre-dicembre 2014, anche in societa■ controllate o collegate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile o facenti capo, anche per interposta persona.

Non può godere dell’incentivo, inoltre, il datore di lavoro che abbia per lo stesso lavoratore già goduto dello sgravio a prescindere dalla durata del beneficio.

Come anticipato, è necessario altresì rispettare i requisiti previsti per il rilascio del DURC ai sensi del Decreto Interministeriale 30 gennaio 2015, in vigore dal luglio scorso, nonché i contratti collettivi nazionali di lavoro, ovvero quelli di secondo livello, stipulati dalle associazioni sindacali di categoria comparativamente più rappresentative sul piano nazionale .

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Fisco Inferno

Studi di settore, gravi incongruenze e ricostruzione fondata: una valida strategia difensiva?

È necessario che l’accertamento sia plausibile: gli studi di settore non costituiscono una deroga al principio della tassazione dei redditi effettivi e, pertanto, deve essere ragionevole affermare che il contribuente abbia effettivamente conseguito l’ammontare che risulta dagli studi. Ma quale è la ragione per cui l’incongruenza deve essere grave? I motivi possono essere due: perché il legislatore vuole evitare l’emissione di accertamenti per rettifiche di ammontare risibile e quindi antieconomici. Oppure perché assume l’approssimazione insita negli studi e ritiene che solo in caso di forte discrepanza essi diano risultati accettabilmente convincenti.

di Alberto Marcheselli - Professore di Diritto Finanziario e Giustizia tributaria nell’Università di Genova - Avvocato In questa ultima puntata non ci resta che esplorare, per completare l’analisi degli strumenti di difesa del contribuente dagli studi di settore, la possibilità di fondarsi sul fatto che il comma 3 dell’art. 62-sexies del D.L. n. 331/1993, richiede che la discrepanza dei valori dichiarati rispetto a quelli risultanti dagli studi integri “gravi incongruenze”.

L’aggettivo “gravi” attribuisce per caso al contribuente qualche possibilità di difesa più ampia che non d’ordinario?

Nell’art. 62-sexies compaiono un aggettivo e un avverbio: “gravi”, riferito alle incongruenze e “fondatamente” riferito al procedimento di ricostruzione dell’imponibile.

Un primo significato della disposizione è ovvio, già solo adoperando il buon senso. È necessario che l’accertamento sia plausibile: lo studio di settore non costituisce una deroga al principio della tassazione dei redditi effettivi e, pertanto, deve essere ragionevole affermare che il contribuente abbia effettivamente conseguito l’ammontare che risulta dagli studi.

A ben vedere, però, a stabilire la necessità di questa condizione è sufficiente l’avverbio fondatamente.

Resta sul tappeto la questione del significato da attribuire al fatto che le incongruenze devono essere gravi.

La giurisprudenza di merito ha talora ritenuto che tale aggettivo indichi la necessità del superamento di una soglia minima, talvolta espressamente fissata. Non vi è dubbio che questa soluzione sia linguisticamente corretta. Nel

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linguaggio giuridico l’aggettivo “grave”, contrapposto a “lieve”, segnala un requisito quantitativo: il fatto che una

grandezza non sia di piccola entità. Come tutti i concetti relativi, è però del tutto illusorio pensare di fissare una volta per tutte la soglia superata la quale si arrivi alla gravità. Nei valori esiste una serie continua e non discreta e la gravità, comunque, è qualità che dipende dal contesto complessivo.

Ma quale è la ragione per cui l’incongruenza deve essere grave?

Se non ci si inganna, solo due possono essere i motivi.

O perché il legislatore vuole evitare l’emissione di accertamenti per rettifiche di ammontare risibile, e quindi antieconomici.

Oppure perché assume l’approssimazione insita negli studi e ritiene che solo in caso di forte discrepanza essi diano risultati accettabilmente convincenti.

Tuttavia, la prima alternativa o esprime una cosa ovvia e di poco rilievo pratico (nessun accertamento se l’importo da accertare è di pochi spiccioli) oppure esprimerebbe l’attribuzione agli uffici di un potere dispositivo della pretesa che, da un lato, non trova molte corrispondenze nell’ordinamento tributario (forse nell’esercizio dei poteri di autotutela) e, dall’altro, non è neanche certo che corrisponderebbe a un interesse del contribuente (evitare accertamenti che rendono meno del loro costo è finalità certamente apprezzabile, ma è da domandarsi se sarebbe motivo di annullamento del medesimo, visto che si tratta di accertamento che non lede le ragioni dirette del contribuente).

Resta la seconda possibilità.

Se, tuttavia, il motivo è il carattere approssimativo della determinazione effettuata con gli studi, l’aggettivo “gravi” non fa altro che ricadere nell’area di significato di quel “fondatamente”: l’accertamento deve essere plausibile.

Torniamo al punto di partenza, insomma e tale aggettivo non esprime alcun concetto autonomo e innovativo. Sul piano della tecnica difensiva, tuttavia, l’enfasi legislativa sul concetto di gravità e sulla fondatezza fornisce importanti strumenti suggestivi e ulteriori appigli, di ordine retorico e argomentativo, per contestare la pretesa fiscale.

In ultimo, deve rilevarsi che una norma espressa limita la rilevanza degli studi come notizia di reato. Si può notare, peraltro, come la norma abbia chiarito meglio, rispetto a quella analoga in materia di coefficienti presuntivi, che le risultanze degli studi non valgono come notizia di reato solo nel senso di non determinare l’obbligo per gli uffici di rapporto alla Autorità Giudiziaria. Tale disposizione non esclude, cioè, che tali risultanze possano essere trasmesse o che, comunque, acquisite dal Pubblico Ministero, possano valere come presupposto per l’inizio di indagini.

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Il chiarimento del MIUR

Commercialisti: nessun vincolo di sede per l’esonero dalla prima prova d’esame

Il diritto all’esonero dalla prima prova scritta dell’esame di abilitazione alla professione di dottore commercialista ed esperto contabile spetta nei confronti di tutti i candidati che abbiano conseguito un titolo di studio all’esito di un corso di laurea in convenzione. A tal fine, perciò, non assume alcun rilievo la sede universitaria presso la quale l’aspirante commercialista abbia conseguito il titolo. Lo ha chiarito il MIUR rispondendo ad un quesito formulato dal Consiglio nazionale della categoria.

Il Ministero dell’Università e della Ricerca, rispondendo ad un quesito del Consiglio nazionale dei Commercialisti, ha fornito alcuni chiarimenti in merito all’esonero dalla prima prova scritta dell’esame di abilitazione alla professione di dottore commercialista ed esperto contabile. La notizia è stata diffusa dallo stesso CNDCEC con la nota informativa n. 80 del 21 ottobre 2015.

Nello specifico, il MIUR ha chiarito che tale diritto spetta nei confronti di tutti i candidati che abbiano conseguito un titolo di studio all’esito di un corso di laurea in convenzione con l’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili competente territorialmente.

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In sede di valutazione dei requisiti del candidato, pertanto, non assume alcun rilievo la sede territoriale ed universitaria presso la quale il titolo di studio è stato conseguito. Tale conclusione, peraltro, risulta in linea con l’orientamento più volte espresso dal CNDCEC in risposta ai quesiti posti da diversi Ordini territoriali.

A cura della Redazione

Copyright © - Riproduzione riservata CNDCEC, nota informativa 21/10/2015, n. 80

Allegato

CIG e mobilità

Legge di Stabilità 2016: rifinanziati gli ammortizzatori sociali in deroga per il 2016

Il disegno di legge di Stabilità 2015 prevede il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga per il 2016 al fine di favorire la transizione verso il nuovo sistema degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, contenuta nel D.Lgs. n. 148 del 2015 attuativo del Jobs Act. Il rifinanziamento, per l’importo di 250 milioni di euro, riguarda le ipotesi di proroga e/o concessione del trattamento di CIG e mobilità in deroga per il periodo dal 1°

gennaio 2016 e fino al 31 dicembre 2016

di D. Morena Massaini - Consulente del lavoro, pubblicista

All'interno del testo della Legge di Stabilità, al vaglio del Parlamento, è collocato l'art. 20 sul rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga al fine di favorire la transizione verso il riformato sistema degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, giusto quanto previsto dal recente decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148 varato nel quadro del Jobs Act.

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Il prospettato intervento opera come segue:

Fondo sociale per l'occupazione

1) viene disposto l'incremento della autorizzazione di spesa prevista dal d.l. n. 148/93 per il Fondo per l'occupazione confluito poi nel Fondo sociale per l 'occupazione e la formazione di cu al d.l. n. 185/08.

L'incremento e' disposto per il 2016 ed e' destinato al finanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga disciplinati nella Legge Fornero.

In tale sede (art. 2, commi 64-66) si e' stabilito che, per gli anni 2013-2016 il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, può disporre, sulla base di specifici accordi governativi e per periodi non superiori a dodici mesi, in deroga alla normativa vigente, la concessione, anche senza soluzione di continuità, di trattamenti di integrazione salariale e di mobilità, anche con riferimento a settori produttivi e ad aree regionali, nei limiti delle risorse finanziarie a tal fine destinate nell'ambito del Fondo sociale per occupazione e formazione.

I trattamenti concessi possono essere prorogati, sulla base di specifici accordi governativi e per periodi non superiori a 12 mesi, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. La misura dei trattamenti è ridotta del 10% nel caso di prima proroga, del 30% nel caso di seconda proroga e del 40% nel caso di proroghe successive.

I trattamenti di sostegno del reddito, nel caso di proroghe successive alla seconda, possono essere erogati esclusivamente nel caso di frequenza di specifici programmi di reimpiego, anche miranti alla riqualificazione professionale. Bimestralmente il Ministero del lavoro e delle politiche sociali invia al Ministero dell'economia e delle finanze una relazione sull'andamento degli impegni delle risorse destinate agli ammortizzatori in deroga.

Le maggiori risorse saranno recuperate agendo:

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- Per 100 milioni di euro sul fondo costituito presso il Ministero del lavoro ai sensi della legge n. 190/2014

- Per 150 milioni di euro sul Fondo di cui alla legge n. 247/07 creato per favorire il pensionamento di soggetti dediti a particolari lavori con conseguente riduzione del fondo concernente le misure di accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti.

2) resta fermo quanto previsto dal decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 1° agosto 2014, n. 83473 concernente la "Definizione dei nuovi criteri per l'erogazione degli ammortizzatori sociali in deroga".

Proroga CIG e mobilità in deroga Cio' premesso,

a) il trattamento di CIG in deroga alla normativa vigente può essere concesso o prorogato, a decorrere dal 1° gennaio 2016 e fino al 31 dicembre 2016, per un periodo non superiore a tre mesi nell’arco di un anno

b) A decorrere dal 1° gennaio 2016 e sino al 31 dicembre 2016, in parziale rettifica di quanto gia' stabilito (cfr. art. 3, c. 5, del richiamato decreto), il trattamento di mobilità in deroga alla vigente normativa

- non può essere concesso ai lavoratori che alla data di decorrenza del trattamento hanno già beneficiato di prestazioni di mobilità in deroga per almeno tre anni, anche non continuativi

- per i restanti lavoratori il trattamento può essere concesso per non più di quattro mesi, non ulteriormente prorogabili, più ulteriori due mesi nel caso di lavoratori residenti nelle aree di cui al D.P.R. n. 218 del 1978. Per tali lavoratori il periodo complessivo non può comunque eccedere il limite massimo di tre anni e quattro mesi.

c) Le regioni e province autonome di Trento e Bolzano possono disporre la concessione dei trattamenti di integrazione salariale e di mobilità, anche in deroga ai criteri di cui al DM n. 83473, in misura non superiore al 5% delle risorse ad esse attribuite, ovvero in eccedenza a tale quota disponendo l’integrale copertura degli oneri connessi a carico delle finanze regionali ovvero delle risorse assegnate alla regione nell’ambito dei piani o programmi coerenti con la specifica destinazione.

Gli effetti dei suddetti trattamenti non possono prodursi oltre la data del 31 dicembre 2016.

Infine, si prevede la proroga per il 2016 dell'applicazione della disposizione di cui all'articolo 1, comma 315, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, nel limite di 12 milioni di euro; detta norma concerne la concorrenza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali agli oneri di funzionamento e ai costi generali di struttura della società Italia Lavoro Spa.

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Senza sanzioni e interessi

IMU agricola: prima rata 2015 entro il 30 ottobre

Entro il termine del 30 ottobre 2015 deve essere effettuato il versamento della prima rata IMU, anno 2015, sui terreni agricoli. Alla proroga del termine di versamento, disposta in sede di conversione in legge del decreto Enti Locali n.

78 del 2015, si accompagnano altri due benefici: non sono applicati né la sanzione per tardivo versamento né gli interessi per tardivo versamento. La proroga si inserisce in un contesto di carattere più generale, che ha modificato l’imposizione/esenzione per i terreni agricoli.

di Girolamo Ielo - Dottore commercialista e revisore contabile, esperto finanza territoriale

L’art. 8, comma 13-bis, D.L. n. 78 del 2015 (convertito con modificazioni in legge n, 125 del 2015) stabilisce che “per l’anno 2015 il pagamento della prima rata dell’imposta municipale propria sui terreni agricoli […] è effettuato, senza applicazione di sanzioni ed interessi, entro il termine del 30 ottobre 2015”.

In virtù di questa disposizione i soggetti tenuti a versare l’IMU sui terreni agricoli:

-

sono tenuti a versare il primo acconto IMU 2015 entro il termine del 30 ottobre 2015;

-

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per i versamenti effettuati entro detto termine non si applicano le sanzioni e gli interessi per tardivo versamento.

Per evitare di effettuare versamenti non dovuti occorre rammentare che l’art. 1, D.L. n. 4/2015, ha riordinato le esenzioni IMU in materia di terreni agricoli. La disposizione stabilisce che:

a)

a decorrere dall’anno 2015, l’esenzione dall’IMU si applica ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, ubicati nei comuni classificati totalmente montani di cui all’elenco dei comuni italiani predisposto dall’ISTAT. Questi criteri si applicano anche all’anno di imposta 2014.

b)

a decorrere dall’anno 2015, l’esenzione dall’IMU si applica ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, ubicati nei comuni delle isole minori di cui all’allegato A della legge n. 448/2001.

Sono le isole Tremiti (San Nicola: San Nicola, San Domino, Capraia, Pianosa), Pantelleria, le isole Pelagie ( Lampedusa: Lampedusa, Lampione, Linosa), le isole Egadi (Favignana: Favignana, Levanzo, Marettimo, Formica), Ustica, le isole Eolie (Lipari: Lipari, Vulcano, Alicudi, Filicudi, Stromboli, Panarea), Salina, le isole Suscitane (San Pietro: Sant’Antioco, San Pietro), le isole Nord Sardegna (La Maddalena: La Maddalena, Caprera, Santo Stefano, Spargi, Santa Maria, Budelli, Razzoli, Mortorio, Tavolara, Molara, Asinara), le isole Partenopee (Procida: Capri, Ischia, Procida, Nisida, Vivara), le isole Ponziane (Ponza, Palmarola, Zannone), Ventotene, Santo Stefano, le isole Toscane (Elba: Elba, Pianosa, Montecristo), Isola del Giglio, Giannutri, Formiche di Grosseto, Capraia, Gorgona, Secche della Meloria, Arcipelago di Porto Venere (Palmaria, Tino, Tinetto).

Questi criteri si applicano anche all’anno di imposta 2014.

c)

a decorrere dall’anno 2015, l’esenzione dall’IMU si applica ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali , iscritti nella previdenza agricola, ubicati nei comuni classificati parzialmente montani di cui allo stesso elenco ISTAT. Questa esenzione si applica ai terreni posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali, iscritti nella previdenza agricola, anche nel caso di concessione degli stessi in comodato o in affitto a coltivatori diretti e a imprenditori agricoli professionali, iscritti nella previdenza agricola. Questi criteri si applicano anche all’anno di imposta 2014.

d)

a decorrere dall’anno 2015, dall’IMU dovuta per i terreni ubicati nei comuni di cui all’allegato 0A al D.L. n. 4/2015, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali, iscritti nella previdenza agricola, determinata ai sensi dell’art. 13, comma 8-bis, D.L. n. 201/2011, si detraggono, fino concorrenza del suo ammontare, 200 euro. Nell’ipotesi in cui nell’allegato 0A al D.L. n. 4/2015, in corrispondenza dell’indicazione del comune, sia riportata l’annotazione parzialmente delimitato (PD), la detrazione spetta unicamente per le zone del territorio comunale individuate ai sensi della circolare del MEF n. 9 del 14 giugno 1993. La detrazione si applica ai terreni posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali, iscritti nella previdenza agricola, anche nel caso di concessione degli stessi in comodato o in affitto a coltivatori diretti e a imprenditori agricoli professionali, iscritti nella previdenza agricola. Questi criteri si applicano anche all’anno di imposta 2014;

e)

per l’anno 2014 nonché per gli anni successivi, resta ferma l’esenzione per i terreni a immutabile destinazione agro-silvo-pastorale a proprietà collettiva indivisibile e inusucapibile che, in base al decreto 28 novembre 2014, non ricadano in zone montane o di collina.

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Locazioni di immobili inferiori a trenta giorni

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Per il Fisco, ostacolo in salita per l’individuazione delle locazioni di immobili c.d.

“brevi”

Con la risposta, in data 22 ottobre 2015, all’Interrogazione Parlamentare n. 5-06730, il Viceministro dell’economia e delle finanze, Enrico Morando, ha rappresentato le difficoltà dell’Agenzia delle entrate nel “monitorare” le locazioni di immobili c.d. “brevi”, data l’attuale disciplina fiscale. Per il proposto coinvolgimento degli intermediari di tali locazioni sorgerebbero delle “criticità”, considerata l’esistenza di piattaforme di intermediazione “on line”

riconducibili a soggetti non residenti in Italia.

Un’eventuale e specifica imposta sostitutiva tramite banche e poste, secondo il rappresentante governativo, ne diminuirebbe l’attuale gettito per l’Erario.

di Eleuterio Lancia

I canoni richiesti per le locazioni di brevi periodi di immobili abitativi o di una parte di essi praticate dai proprietari in forma privata e non imprenditoriale devono essere indicati nella dichiarazione dei redditi e sottoposti a tassazione Irpef.

Come recentemente chiarito dall’Agenzia delle entrate, per gli interessati è riconosciuta anche la facoltà di optare per il regime di imposta sostitutiva della c.d. “cedolare secca” di cui all’art. 3 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 Con l’Interrogazione Parlamentare viene chiesto di conoscere in primo luogo il gettito fiscale derivante da tali locazioni.

Inoltre, vengono sottolineate le difficoltà nel controllo e nella verifica della regolare dichiarazione di detti compensi che consentono al proprietario di evadere le imposte omettendo di dichiarare al Fisco le entrate conseguenti alla locazione dell’immobile.

Infatti, i contratti di locazione di durata non superiore a trenta giorni non sono soggetti a registrazione in termine fisso, ma solo a registrazione in caso d’uso.

Per ovviare a tale situazione, con l’Interrogazione Parlamentare viene proposta l’introduzione dell’obbligo per gli

intermediari delle locazioni di operare una ritenuta alla fonte a titolo d’imposta sulle somme girate ai proprietari a titolo di canone di affitto.

L’obbligo dovrebbe riferirsi alle piattaforme di prenotazione “online” o alle agenzie specializzate che supportano il proprietario nella locazione del proprio immobile.

Si dovrebbe altresì prevedere una modalità di pagamento attraverso banche e sportelli postali che agiscano da sostituto d’imposta prelevando, sull’importo del solo canone, come ritenuta a titolo di imposta sostitutiva, una cedolare secca del 10%.

Viene, quindi, chiesto di conoscere quali siano gli effetti, in termini di gettito fiscale, delle proposte sopra illustrate.

Nella risposta all’Interrogazione, il Vice Ministro non è stato in grado di fornire i dati del gettito fiscale relativo a tale tipologia di locazioni e, ciò, in quanto (riconoscendo implicitamente la difficoltà nei controlli evidenziata

nell’Interrogazione) i dati relativi al gettito delle locazioni non superiori a trenta giorni non sono estraibili né dalle

informazioni rilevabili dalle procedure informatiche per la registrazione degli atti né dalle dichiarazioni dei redditi, le quali, ai fini della determinazione della base imponibile e delle conseguenti imposte, evidenziano gli elementi reddituali

complessivi per singolo immobile.

Per quanto concerne la proposta di applicare l’imposta sostitutiva del 10% alle locazioni brevi, il rappresentante

governativo ha affermato “che la modifica normativa determinerebbe una perdita di gettito non quantificabile, in quanto, sulla base dei dati fiscali disponibili non si ha contezza dell’ammontare dei redditi oggetto della prospettata

agevolazione”.

Probabilmente, invece, l’introduzione di tale imposta sostitutiva da versarsi in maniera automatica e in un momento precedente alla corresponsione del canone, avrebbe ricadute positive in termini di aumento del gettito per l’Erario, comportando nel tempo l’emersione di una vasta area di base imponibile.

Infine, con riferimento alla richiesta di introduzione di nuovi obblighi in qualità di sostituto d’imposta in capo a soggetti che si occupano di intermediazione immobiliare, il Vice Ministro ha rappresentato le “criticità” nell’individuare le piattaforme di intermediazione on-line in quanto potrebbero essere riconducibili a contribuenti non residenti.

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Si ritiene, comunque, che tale questione possa essere efficacemente affrontata tramite un team di esperti dotati di mezzi e risorse adeguate in collaborazione con gli altri Stati dell’Ue, operazione questa che potrebbe comportare un

significativo incremento del gettito erariale, tenuto conto che i dati ISTAT evidenziano un numero considerevole di queste tipologie contrattuali ed in continuo aumento.

In assenza di qualsiasi iniziativa a livello operativo o legislativo, sarà sempre più difficile per il Fisco individuare le locazioni di immobili c.d. “brevi”.

Copyright © - Riproduzione riservata Camera dei deputati, Commissione Finanze, interrogazione parlamentare 21/10/2015, n. 5-06730

Corte UE: sentenza 22 ottobre 2015, Causa C 264/14

Valuta virtuale “bitcoin” ed esenzione IVA

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la sentenza del 22 ottobre 2015, causa C-264/14, stabilisce che le operazioni di cambio della valuta virtuale "bitcoin" contro la valuta tradizionale e viceversa sono esenti da IVA.

di Marcello Maiorino

La domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dinanzi alla Corte UE verte sull’interpretazione degli articoli 2, par 1, e 135, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/CE ed è stata presentata nel contesto di una controversia che oppone un contribuente svedese alla amministrazione finanziaria svedese in ordine all’assoggettamento ad IVA delle operazioni di cambio della valuta virtuale ‘bitcoin’ in una valuta tradizionale o viceversa, che il contribuente intende effettuare con la mediazione di una società.

Il contribuente intende effettuare, con la mediazione di una società, servizi consistenti nel cambio di valute tradizionali nella valuta virtuale ‘bitcoin’ e viceversa.

Dalla decisione del giudice ‘a quo’ risulta che la valuta virtuale ‘bitcoin’ è utilizzata principalmente per pagamenti tra privati via internet nonché in taluni negozi online che accettano detta valuta.

Questa valuta virtuale non ha un unico emittente ma viene creata direttamente in una rete tramite uno speciale algoritmo.

Il sistema della valuta virtuale ‘bitcoin’ consente la detenzione e la cessione anonime di valori in ‘bitcoin’ all’interno della rete da parte di utenti che hanno indirizzi ‘bitcoin’. Un indirizzo ‘bitcoin’ potrebbe essere comparato a un numero di conto corrente bancario.

Prima di porre in essere tali operazioni, il contribuente richiedeva un parere preliminare alla competente commissione tributaria per sapere se doveva essere versata l’IVA all’acquisto e alla vendita della valuta virtuale ‘bitcoin’. Nel parere rilasciato la commissione decideva nel senso che il contribuente svedese avrebbe prestato un servizio di cambio a titolo oneroso. Essa dichiarava che, tuttavia, tale servizio di cambio sarebbe ricaduto nell’esenzione prevista dal capo 3, articolo 9, della legge sull’IVA.

Detto parere è stato impugnato dinanzi alla Corte suprema amministrativa svedese, che sottoponeva al vaglio pregiudiziale della Corte UE le seguenti questioni.

Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della direttiva IVA debba essere interpretato nel senso che operazioni come quelle oggetto del procedimento principale, che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale ‘bitcoin’ e viceversa, costituiscano prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso, ai sensi di tale disposizione, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra, da una parte, il prezzo al quale l’operatore interessato acquista le valute e, dall’altra, il prezzo al quale le vende ai suoi clienti.

Nel giudizio principale, risulta che sussisterebbe tra la società del contribuente e le altre parti contraenti con detta società un rapporto giuridico sinallagmatico nell’ambito del quale le parti dell’operazione si impegneranno reciprocamente a cedere importi in una certa valuta e a riceverne il controvalore in una valuta virtuale a flusso bidirezionale o viceversa.

Risulta parimenti che tale società sarà retribuita per la sua prestazione di servizi da una controprestazione corrispondente al margine che essa integrerà nel calcolo dei tassi di cambio ai quali sarà disposta a vendere e

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acquistare le valute in parola. La Corte UE si è già pronunciata nel senso che risulta inconferente, ai fini della

determinazione del carattere oneroso di una prestazione di servizi, il fatto che detta retribuzione non assuma la forma del versamento di una provvigione o del pagamento di spese specifiche. Va considerato, sulla base di tali considerazioni, che operazioni come quelle oggetto del procedimento principale costituiscono prestazioni di servizi effettuate a fronte di una controprestazione che presenta un nesso diretto con il servizio prestato, vale a dire prestazioni di servizi a titolo oneroso ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della direttiva IVA.

La Corte UE pertanto, con riferimento alla prima questione dichiara che l’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della direttiva IVA va interpretato nel senso che costituiscano prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso, ai sensi di tale

disposizione, operazioni, che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale ‘bitcoin’ e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra, da una parte, il prezzo al quale l’operatore interessato acquista le valute e, dall’altra, il prezzo al quale le vende ai suoi clienti.

Con la sua seconda questione il giudice ‘a quo’ chiede, in sostanza, se l’articolo 135, paragrafo 1, lettere da d) a f), della direttiva IVA, vada interpretato nel senso che sono esenti dall’IVA prestazioni di servizi, come quelle oggetto del procedimento principale, che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale ‘bitcoin’

e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra, da una parte, il prezzo al quale l’operatore interessato acquista le valute e, dall’altra, il prezzo al quale le vende ai suoi clienti.

La valuta virtuale ‘bitcoin’, essendo un mezzo di pagamento contrattuale, non può essere considerata, da una parte, né come un conto corrente né come un deposito di fondi, un pagamento o un versamento. D’altra parte, a differenza dai crediti, dagli assegni e dagli altri effetti commerciali, di cui all’articolo 135, paragrafo 1, lettera d), della direttiva IVA, essa costituisce un mezzo di pagamento diretto tra gli operatori che l’accettano. Pertanto, operazioni come quelle oggetto del procedimento principale, non ricadono nella sfera di applicazione delle esenzioni previste da tale disposizione. Per quanto riguarda, in secondo luogo, le esenzioni previste dall’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva IVA, questa disposizione prevede che gli Stati membri esentino le operazioni relative, segnatamente, a ‘divise, banconote e monete con valore liberatorio’. Le esenzioni previste dall’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva IVA sono intese, in particolare a ovviare alle difficoltà collegate alla determinazione della base imponibile nonché dell’importo dell’IVA detraibile che sorgono nel contesto dell’imposizione delle operazioni finanziarie.

Le operazioni relative a valute non tradizionali, vale a dire diverse dalle monete con valore liberatorio in uno o più paesi, costituiscono operazioni finanziarie in quanto tali valute siano state accettate dalle parti di una transazione quale mezzo di pagamento alternativo ai mezzi di pagamento legali e non abbiano altre finalità oltre a quella di un mezzo di

pagamento.

Inoltre, nel caso particolare di operazioni quali le operazioni di cambio, le difficoltà collegate alla determinazione della base imponibile nonché dell’importo dell’IVA detraibile possono essere identiche, a prescindere dal fatto che si tratti di cambio di valute tradizionali, normalmente esentate in forza dell’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva IVA, o di cambio, da una parte, di tali valute contro, d’altra parte, valute virtuali a flusso bidirezionale che, senza essere mezzi di pagamento legali, costituiscono un mezzo di pagamento accettato dalle parti di una transazione, e viceversa.

Risulta pertanto dal contesto e dalla ‘ratio’ di detto articolo 135, paragrafo 1, lettera e), che un’interpretazione di tale disposizione secondo la quale essa disciplina le operazioni relative alle sole valute tradizionali si risolverebbe nel privarla di parte dei suoi effetti.

Nel procedimento principale, è pacifico che la valuta virtuale ‘bitcoin’ non abbia altre finalità oltre a quella di un mezzo di pagamento e che essa sia accettata a tal fine da alcuni operatori. Di conseguenza, si deve concludere che l’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva IVA disciplina anche le prestazioni di servizi, che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale ‘bitcoin’ e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra, da una parte, il prezzo al quale l’operatore interessato acquista le valute e, dall’altra, il prezzo al quale le vende ai suoi clienti.

Con riferimento infine, alle esenzioni previste dall’articolo 135, paragrafo 1, lettera f), della direttiva IVA, è sufficiente rammentare che tale disposizione disciplina, in particolare, le operazioni riguardanti ‘azioni, quote parti di società o

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associazioni, obbligazioni e altri titoli’, vale a dire titoli che conferiscono un diritto di proprietà su persone giuridiche, nonché su ‘altri titoli’, di cui si deve ritenere che essi abbiano natura comparabile a quella dei titoli specificamente menzionati nella medesima disposizione. Orbene, è pacifico che la valuta virtuale ‘bitcoin’ non costituisce né un titolo che conferisce un diritto di proprietà su persone giuridiche né un titolo di natura comparabile. Pertanto, le operazioni oggetto del procedimento principale non ricadono nella sfera di applicazione delle esenzioni previste

dall’articolo 135, paragrafo 1, lettera f), della direttiva IVA.

Tutto ciò premesso, la Corte UE perviene alla conclusione che l’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva IVA, debba essere interpretato nel senso che prestazioni di servizi, come quelle oggetto del procedimento principale, che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale ‘bitcoin’ e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra, da una parte, il prezzo al quale l’operatore interessato acquista le valute e, dall’altra, il prezzo al quale le vende ai suoi clienti, costituiscono operazioni esenti dall’IVA ai sensi di tale disposizione; inoltre l’articolo 135, paragrafo 1, lettere d) e f), della direttiva IVA, va interpretato nel senso che tali prestazioni di servizi non ricadono nella sfera di applicazione di tali disposizioni.

Copyright © - Riproduzione riservata Corte UE: sentenza 22/10/2015, Causa C 264/14

Corte di Cassazione, sentenza n. 39881/15

Responsabilità del professionista nel caso in cui trattenga i libri contabili di un cliente

Il professionista è responsabile civilmente e penalmente se trattiene i libri sociali del cliente e se non presenta le dichiarazioni fiscali come da conferimento d’incarico.

Di recente la corte di Cassazione si è espressa su una vertenza riguardante la responsabilità del professionista (commercialista) che aveva trattenuto le scritture contabili di un proprio cliente e che aveva omesso di presentare la dichiarazione Iva del cliente stesso, venendo meno così a quanto previsto dal conferimento d’incarico. Secondo la suprema corte il professionista operante in questa maniera è punibile per appropriazione indebita ed è obbligato a risarcire il danno.

di Matteo Pillon Storti

Un professionista (commercialista) veniva citato in giudizio da una società sua cliente, la quale lo accusava di appropriazione indebita aggravata, ai sensi dell’art. 646 e 61 n. 11 del codice penale.

La citazione si basava sul fatto che il professionista stesso non aveva restituito tempestivamente le scritture contabili della società sua cliente (per esempio, i libri sociali o i registri Iva) e inoltre aveva omesso di presentare la dichiarazione annuale Iva.

A causa di tale omissione, l’amministrazione finanziaria aveva emesso a carico della società una cartella di pagamento per le violazioni fiscali correlate, prontamente notificata alla società stessa.

Per questi motivi, come detto, la società citava in giudizio il professionista contestando appunto il reato di appropriazione indebita e richiedendo il risarcimento del danno subito.

Il giudice di primo grado assolveva l’imputato dal reato ascritto ma, di fronte a tale decisione, la parte civile impugnava la sentenza e in seguito, la corte d’Appello competente, in data 30/6/2014, modificava la decisione presa dal giudice di primo grado, condannando il professionista al risarcimento del danno.

Veniva riconosciuto anche il reato contestato di appropriazione indebita aggravata e veniva rimandato al giudice civile la quantificazione del risarcimento stesso. Inoltre la corte d’Appello condannava il professionista al pagamento delle spese legali fino ad allora maturate.

Il professionista condannato proponeva quindi ricorso in Cassazione richiedendo l’annullamento della sentenza di Appello in quanto innanzitutto la corte territoriale non aveva considerato in maniera corretta le regole riguardanti gli effetti

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della liquidazione delle società commerciali (art. 2495 cc).

In secondo luogo il ricorrente evidenziava come la parte civile, in sede processuale, non avesse dimostrato il danno economico subito, richiamando genericamente la ricezione della cartella di pagamento a suo carico ma non esibendo alcuna prova dell’avvenuto pagamento della cartella stessa.

Su questo caso la Corte di Cassazione, con sentenza n. 39881/15 (depositata il 5 ottobre 2015), evidenzia in primo luogo che i motivi del ricorso presentato non rientrano nell’elenco tassativo dei motivi richiesti per il ricorso in Cassazione, ai sensi del’art. 606 codice procedura penale, e per questo motivo le censure sollevate dal professionista non possono essere accolte.

In secondo luogo la Cassazione rileva come fra le motivazioni del ricorso del professionista vi sia una contestazione riguardo l’esistenza e la quantificazione del risarcimento.

Tali tipi di contestazioni però presuppongono la soluzione di questioni di fatto che per loro natura sono oggetto di valutazioni in sede di giudizio di merito e non in sede di giudizio di legittimità (tipico della Cassazione).

Quindi, concretamente, viene confermato che non spetta alla Corte di Cassazione risolvere questioni di fatto. Si fa altresì notare come anche la corte d’Appello si sia limitata, per quanto riguarda la quantificazione del risarcimento a rimandare la decisione al giudice competente in sede civile.

Sarà proprio e solo in tale sede che il professionista ricorrente potrà sollevare ogni appunto e far valere ogni eventuale sua ragione riguardante la quantificazione del risarcimento e, eventualmente, sull’effettività del danno patrimoniale subito dalla parte offesa.

Per queste ragioni la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

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Documenti correlati:Mancata restituzione della contabilità da parte del professionista: è appropriazione indebita

IVA

Operazioni soggettivamente inesistenti: onere probatorio dell’ignoranza a carico del cessionario

Nel caso in cui il fornitore effettivo del bene o della prestazione non sia l’emittente della fattura, ma altro soggetto, è compito del cessionario fornire la prova di non essere a conoscenza del fatto. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 19419 del 30 settembre 2015.

In ipotesi di fatturazione per operazione soggettivamente inesistente che abbia comportato l’acquisizione diretta, da parte del cessionario, di una prestazione eseguita da soggetto diverso dall’emittente della fattura (privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione), l’immediatezza dei rapporti fra l’emittente ed il destinatario della fattura è forte indice oggettivo capace di escludere l’ignoranza incolpevole del cessionario.

In tal caso, dunque, sarà il cessionario a dover provare di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era non l’emittente della fattura, ma altro soggetto.

A tal fine, peraltro, non rilevano i dati emergenti dalla contabilità, giacché è proprio la conformazione della fatturazione per operazione soggettivamente inesistente a postulare l’esistenza di documenti contabili che formalmente riferiscano gli acquisti al soggetto fittiziamente interposto.

A cura della Redazione

Copyright © - Riproduzione riservata Corte di Cassazione, sentenza 30/09/2015, n. 19419

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