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Capitolo 3 In Italia nasce un codice deontologico per parlare di immigrazione

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Capitolo 3

In Italia nasce un codice deontologico per parlare di immigrazione

“Il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune” I Promessi sposi, capitolo XXXII

Libertà di stampa e discriminazione razziale

In questo paragrafo ci si propone di raccogliere le fonti legislative e giurisprudenziali italiane più rilevanti in materia di discriminazione e libertà di stampa. La libertà di espressione in Italia è sancita dall’art. 21 della Costituzione in cui si afferma il “diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Altro testo normativo fondamentale è la legge n.68 del 1963 istitutiva dell’Ordine dei giornalisti. A livello giurisprudenziale assumono particolare rilevanza due pronunce attinenti alla libertà di espressione: una sentenza della Corte d’appello e una della Cassazione Penale. Nella sentenza della Corte d’appello di Roma del 16 gennaio 1991 si afferma che il legittimo esercizio del diritto di cronaca, quale manifestazione della libertà di pensiero costituzionalmente protetta, ancorché comporti la diffusione della notizia di fatto disonorevole, presuppone l’utilità sociale dell’informazione, la verità e l’esatta rappresentazione dei fatti narrati e la

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correttezza delle espressioni usate1.

La sentenza della Corte di Cassazione del 29 marzo 1985, relativa all’apologia di genocidio, ritenendo il delitto di apologia di genocidio un reato di pura condotta, stabilisce che il comportamento apologetico debba essere sanzionato indipendentemente dal verificarsi di un pericolo concreto di provocazione del genocidio, a causa “della sua intollerabile

disumanità, per l’odioso culto dell’intolleranza razziale che esprime, per l’orrore che suscita nella coscienza civile”2.

Lo status dello straniero in Italia risulta regolato da un insieme di disposizioni e regole derivanti da fonti normative di diverso grado gerarchico. Ci sono norme di fonte costituzionale, regole e trattati internazionali, in particolar modo comunitari, e norme interne di grado primario e secondario. L’Italia, nella Costituzione, riconosce la pari dignità e l’uguaglianza davanti alla legge di tutti i cittadini indistintamente, sono dunque garantiti a tutti i cittadini la “solidarietà politica, economica e sociale” (art.2), la “pari dignità sociale” e l’uguaglianza davanti alla legge “senza distinzione di sesso,di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali” (art.3). L’articolo 10, comma 2, stabilisce che “la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”. Il legislatore ha voluto chiarire come la normativa interna non debba essere in contraddizione con le norme di fonte extranazionale. Il comma 3 dello

1Cass. pen., sez. I, 29 marzo 1985, in Foro Italiano, 1992, I, 942.

Progetto Tuning in to Diversity

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stesso articolo sancisce il c.d. “diritto d’asilo” per lo straniero “al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana”. Le disposizioni della Carta costituzionale assicurano quindi al cittadino straniero, la dignità, l’uguaglianza davanti alla legge, il diritto d’asilo e la libertà di espressione. La legge n. 962 del 19673, emanata in attuazione della Convenzione per la

prevenzione e la punizione del crimine di genocidio del 1948, punisce la distruzione parziale o totale di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso; l'imposizione di marchi o segni distintivi a persone in ragione dell'appartenenza a un gruppo nazionale,etnico, razziale o religioso; il semplice accordo a commettere genocidio; la pubblica istigazione e l'apologia di genocidio4.

La legge n. 13 ottobre 1975, n. 654 (legge Reale) fu varata in esecuzione della Convenzione internazionale sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale di New York del 19655 e modificata dalla Legge n.85 del 2006 “Modifiche al codice penale in materia di reati d'opinione”. Legge n. 205/93 “Misure urgenti in materia di discriminazione razziale etnica e religiosa” (legge Mancino) orienta ad un’applicazione più decisa degli “strumenti di prevenzione e repressione dei fenomeni di intolleranza e di violenza di matrice xenofoba o antisemita”6.

La legge n. 45 del 1995, intitolata “Misure urgenti per prevenire fenomeni 3Legge sulla prevenzione e repressione del crimine di genocidio, Gazz. Uff. 31 ottobre 1967, n.

272.

4Art. 1, art. 6, art. 7, art. 8

5www.onuitalia.it/diritti/discriminazione.html 6

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di violenza in occasione di competizioni agonistiche”, riprende le sanzioni previste nella legge Mancino.

Nella legge 6 marzo 1998 n. 407detta Turco-Napolitano, l’art. 41, intitolato

“Discriminazione per motivi razziali etnici, nazionali o religiosi”, elenca le fattispecie nelle quali si può parlare di ‘discriminazione razziale’, si evidenzia l’aspetto più attinente alla comunicazione e ai media:

[compie atto di discriminazione] Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di pubblico servizio o la persona esercente un servizio di pubblica necessità che nell’esercizio delle sue funzioni compia od ometta atti nei riguardi di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità, lo discriminano ingiustamente.

La legge introduce inoltre per la prima volta un articolo sull’“azione civile contro la discriminazione” (Art.42) il cui comma 1 recita:

Quando il comportamento di un privato o della pubblica amministrazione produce una discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, il giudice può, su istanza di parte, ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione.

Sulla base di questa legge sono stabilite discipline e norme sulla condizione dello straniero per quanto attiene a: occupazione, alloggio, istruzione,formazione, servizi sociali e socio assistenziali e le rispettive sanzioni in caso di mancata ottemperanza di tali disposizioni.

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Il decreto legislativo n. 286 del 25 luglio 19988, intitolato “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, riunisce tutto il materiale legislativo, inclusa la legge 6 marzo 1998 n. 40, attinente alla condizione degli immigrati per quanto riguarda: ingresso, soggiorno,ricongiungimenti familiari, controllo delle frontiere.

La direttiva 2000/43/CE del 29 giugno 20009 che sancisce il princìpio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica è stata recepita in Italia dal D.Lgs. 215/2003 . I campi di applicazione previsti sono: occupazione, orientamento e formazione professionale, condizioni di lavoro, affiliazione in organizzazioni di lavoratori, protezione sociale, assistenza sanitaria, prestazioni sociali, istruzione, alloggio. Il princìpio della parità di trattamento è affermato a livello europeo nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea10

firmata a Nizza il 7 dicembre del 2000. L’articolo 21 della Carta di Nizza vieta infatti :

“qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la

razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali”.

Anche il Trattato che istituisce la Comunità europea11 (TCE), come modificato dal 8 www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/98286dl.html

9 www.pariopportunita.gov.it/images/stories/nuova.../dir_2000_43_ce.pdf 10 www.europarl.europa.eu/charter/pdf/text_it.pdf

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Trattato di Nizza del 2001, all’articolo 13, reca alcune disposizioni in materia di razzismo e xenofobia conferendo al Consiglio europeo il compito di adottare gli opportuni provvedimenti volti a combattere qualsiasi discriminazione, tra cui quelle fondate sulla razza, l’origine etnica o la religione. Infine già il Codice Penale (Codice Rocco) del 1930 prevedeva degli strumenti che possono essere adattati indirettamente all’esigenza dei cittadini stranieri di essere tutelati nel caso siano vittime di distorte rappresentazioni da parte dei mass media 12.

I codici che hanno preceduto la Carta di Roma

A partire dalla metà degli anni Novanta, con l'avvento di nuove ondate migratorie dall'area balcanica, sono state diverse le occasioni di dialogo nate tra giornalisti, associazioni, istituzioni locali e nazionali per discutere in merito alla corretta rappresentazione dei migrati per un’informazione non razzista. In alcuni casi si è partiti con la stesura di carte dei princìpi, come è accaduto per l’adozione della Carta di Treviso, ma tali iniziative hanno avuto scarso seguito fra i giornalisti italiani. E' il caso ad esempio della Dichiarazione d’impegno per un’informazione a colori (1993-1994), della Carta di Ercolano (1995) e delle Raccomandazioni per

un’informazione non razzista (1996).

La Dichiarazione d’impegno per un’informazione a colori, redatta e sottoscritta da giornalisti, nasce con lo scopo di offrire ai colleghi meno preparati in materia di immigrazione una serie di criteri da seguire, il testo

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fu presentato alla FNSI e alla RAI, ma non ebbe alcun seguito, anzi venne visto dalla categoria come un’ingerenza nel lavoro dei giornalisti. I firmatari della Dichiarazione si impegnavano a combattere gli stereotipi sull’immigrazione, a non relegare l’immigrazione alla sola cronaca nera e a denunciare ogni episodio di discriminazione e razzismo che accadesse nell'ambito dell'informazione.

La Carta di Ercolano nasce come un “codice comportamentale” e prevedeva la nascita di un Giurì nazionale che vigilasse sul rispetto dei princìpi in essa contenuti. In realtà si riuscì a creare esclusivamente un osservatorio sui mass media e i Paesi in via di sviluppo all’interno del CIPSI13e il documento si limitò a essere da stimolo per successivi convegni e studi. La Carta stabiliva che la raccolta delle informazioni e delle immagini non doveva mutarsi in“una una forma di violenza fisica o

psicologica”, che le fonti e le statistiche si dovevano astenere da “giudizi che non siano attestati da prove”, ed infine che il linguaggio e sopratutto i

titoli dovevano evitare “giudizi sommari e discriminazioni istigando alla

violenza”14.

Nel biennio 1995-199615 il Consiglio d’Europa sostenne la Campagna europea dei giovani contro il razzismo, la xenofobia e l’intolleranza, durante la settimana di sensibilizzazione, tenutasi a Roma dal 18 al 24

13Coordinamento di iniziative popolari di solidarietà internazionale

14 Cospe (a cura di) Libertà di stampa e discriminazione razziale, 2003, p.9

15Nel 1995 il Consiglio d’Europa ha adottato la raccomandazione n.1277 su immigrati, minoranze etniche e media. Consultabile sul sito http//assembly.coe.int

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marzo 1996, il Dipartimento per gli Affari Sociali per l'occasione costituì un gruppo di lavoro formato da giornalisti che, dopo diverse giornate di discussione, misero su carta le Raccomandazioni per un’informazione

non razzista.

I giornalisti che sottoscrissero il documento pubblicarono un articolo per promuovere l’iniziativa nel proprio giornale. In realtà, dopo uno slancio iniziale, il testo non ebbe successo, poiché risultava sgradito all’Ordine dei Giornalisti. Il documento invita a non menzionare nazionalità, religione, cultura a meno che non siano informazioni imprescindibili al fine della comprensione della notizia, a valorizzare le differenze culturali e ad evitare generalizzazioni16.

L'inefficacia di questi documenti è dovuta al fatto che i codici di condotta, anche quelli di autoregolamentazione, non sono in generale ben visti nel nostro Paese. Gli ostacoli maggiori sono costituiti dalle caratteristiche intrinseche del sistema di informazione giornalistica, contro le quali spesso si scontra l'iniziativa, seppur necessaria del singolo giornalista, a causa del ridotto margine di autonomia concesso ai redattori rispetto alle scelte di indirizzo della direzione.

A partire dal giugno 2008 è entrata in vigore la Carta di Roma17, un documento di autoregolamentazione che tratta la delicata questione del rapporto tra mezzi di informazione e migranti, richiedenti asilo, rifugiati e vittime della tratta di esseri umani. Il codice deontologico è stato siglato

16 Ibidem, pag 10

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dal Consiglio Nazionale dei Giornalisti e dalla Federazione nazionale della Stampa Italiana e redatto in collaborazione con L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.

La decisione di scrivere questo codice deontologico segue l’accadimento di un tragico evento di cronaca che nel dicembre 2006 scosse il Nord Italia e passò alla memoria comune come la “Strage di Erba”.

Fin dalle prime ore dalla scoperta dell’efferata strage, avvenuta in una palazzina della tranquilla cittadina brianzola, gli organi di stampa, fuorviati anche dalle prime dichiarazioni degli inquirenti giunti sul posto, non ebbero dubbi su chi fosse il colpevole additando immediatamente, pur senza riscontro alcuno, il marito , padre e genero tunisino di tre delle vittime del delitto. Nelle ore successive al primo lancio della notizia da parte dell’Agenzia di stampa Ansa furono diversi i giornalisti che sprecarono parole di condanna per Azouz Marzouk, pregiudicato ed extracomunitario, ritenuto erroneamente, proprio a causa di queste due condizioni, autore del delitto.

Alle radici della questione: la strage di Erba dell'11 Dicembre 2006

Azouz Marzouk è un giovane tunisino, arrivato a Roma nel 2001, che ben presto si reca a Milano, l'uomo non ha un lavoro regolare ma può permettersi comunque automobili di lusso e vestiti firmati. Nella cittadina di Erba conosce Raffaella Castagna, volontaria presso una comunità di

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disabili. Il 24 marzo 2003 i due si sposano con rito civile a Villa Crevenna di Erba e il 6 settembre 2004 nasce il loro primo figlio, Youssef. Il 17 aprile 2005 Azouz viene arrestato e rinchiuso nel carcere di Como con l'accusa di spaccio e detenzione di sostanze stupefacenti. L'uomo, che inizialmente nega tutto dichiarandosi innocente, di fronte a delle prove che dimostrano la sua colpevolezza, ammette il reato e chiede il rito abbreviato. Alla fine del procedimento viene condannato a una pena detentiva di tre anni e sette mesi. L'uomo però sconta solamente sedici mesi e poi, all’inizio dell’agosto 2006 esce grazie all’indulto. La coppia si trasferisce nell’appartamento di via Diaz, dove intrattiene rapporti critici con i vicini Olindo Romano, nato nel1962, netturbino, e Rosa Angela Bazzi, colf presso alcune famiglie di Erba. La vicinanza tra le due famiglie diventa sempre più impossibile da sopportare: liti continue, insulti e aggressioni sono ormai all'ordine del giorno. La situazione degenera il 31 dicembre 2005 quando Raffaella chiama i carabinieri e denuncia di essere stata insultata e picchiata dai coniugi che l’accusavano di aver buttato di sotto la loro biancheria stesa ad asciugare. Raffaella chiede 5.000 euro per i danni fisici e morali subiti. Il processo viene fissato a distanza di un anno, il 13 dicembre 2006. Due giorni dopo la strage.

La notte della strage: “Tutta colpa del marocchino”

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vengono sgozzati tre donne e un bambino e ferito gravemente un uomo, sono le 23.03 dell’11 dicembre 2006 quando l’ANSA lancia la prima agenzia che diffonde la notizia della strage di Erba: “ Strage Brianza:

uccide compagna, figlio, due donne e brucia casa. Erba (Como), 11 dicembre 2006”.

La prima ad essere uccisa è Raffaella Castagna, stessa sorte è toccata alla madre, Paola Galli, 57 anni, colpita cinque volta alla testa e cinque alla gola, infine, sul divano, giace sgozzato il figlio di Raffaella, Youssef, 2 anni e 3 mesi, ucciso da due coltellate alla gola. Sulle scale della palazzina, viene rinvenuta senza vita la vicina di casa Valeria Cherubini, 50 anni, e il marito Mario Frigerio in fin di vita.

Fin dalle prime ore gli investigatori non sembrano avere alcun dubbio sulla tragedia. L’ipotesi è che un pregiudicato marocchino, convivente di una donna italiana, Raffaella Castagna, abbia ucciso a coltellate la donna, il figlio, la madre della convivente e la vicina di casa, oltre a ferirne il marito. Il marocchino, infine avrebbe dato fuoco all’appartamento per cancellare le prove e darsi alla fuga. Dell’uomo, scarcerato qualche mese fa grazie all’indulto, non vi è traccia. Di lui per ora è noto solo il cognome, Marzouk. Le indagini dureranno 28 giorni, durante le quali gli investigatori seguiranno diverse piste, fino a lunedì 8 gennaio alle ore 13, quando due auto dei carabinieri giungeranno in via Diatz per portare via Rosa e Olindo Romano, autori dell’efferata carneficina che confesseranno dopo un giorno e mezzo di interrogatori.

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Il primo lancio d’agenzia è insolitamente cristallino: si cerca Marzouk, marito di Raffaella, padre del piccolo Youseff, genero di Paola Galli, la mamma di Raffaella, e vicino di casa di Valeria Cherubini e suo marito Mario Frigerio. La stampa fa proprio questo primo lancio che riporta tre errori: Marzouk non è marocchino, ma tunisino; l'uomo non è il convivente, ma il marito di Raffaella, ma l'abbaglio più grande, scaturisce dall'oggettiva assenza di Marzouk ed è alimentato dalle dichiarazioni del procuratore capo di Como Alessandro Maria Lodolini che fin dai primi momenti svela ai cronisti: «Sospettiamo che l’autore dei delitti sia il

marito. Abbiamo buone possibilità di prenderlo»18 . Azuz Marzouk ha tutti i requisiti per essere il responsabile della strage efferata: è straniero, giunto in Italia dalla Tunisia, è pregiudicato, ha scontato in carcere una pena di un anno e quattro mesi per spaccio di droga e adesso è di nuovo libero grazie all’indulto ed infine non si trova, particolare che indica chiaramente una fuga. Nelle ore seguenti è tutto un susseguirsi di titoli e notizie: “Gli inquirenti puntano sul genero extracomunitario appena

uscito dal carcere”, “Caccia a un marocchino” .

Tre ore dopo i fatti il Tg1 della notte apre “con una terribile notizia di

cronaca, strage a Erba, uccise quattro persone, incendiata la casa. All’appello manca il convivente della donna, un marocchino con precedenti penali, recentemente scarcerato grazie all’indulto”.

Ore 23.26, il Tg2: “Strage in un appartamento a Erba in provincia di

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Como, tre donne e un bambino. Secondo le prime ricostruzioni le persone sono state sgozzate e poi l’abitazione è stata data alle fiamme. Il convivente marocchino non si trova”. Lo stesso accade sulle reti Mediaset.

Ore oo.45 il Tg1 rilancia “ Sospetti sul convivente tunisino con precedenti

per droga”

Ore 1.02 il Tg5: “Orribile strage a Erba. Un tunisino ha ucciso la moglie

italiana, il figlioletto, la madre di lei, una vicina di casa. Poi il tunisino si è dato alla fuga, non prima di aver incendiato l’appartamento. Ha precedenti per droga. È stato scarcerato grazie all’indulto. Lo stanno cercando in tutta la Lombardia”.

Ore 1.10 il Tg4, durante la rassegna stampa, sottolinea che “l’assassino” è

stato scarcerato grazie all’indulto”19.

Mentre tutti sono impegnati ad accusare Azouz, Giorgio Gandola, direttore de “La Provincia di Como” dal maggio dello stesso anno, è forse l'unico ad usare prudenza ed in un suo editoriale afferma che per lui è troppo presto per emettere sentenze. Fino a questo punto dunque non sono gli assassini a sviare le indagini ma sono gli inquirenti stessi che prendono un enorme abbaglio interpretando l’assenza di Marzouk come una fuga. Il dibattito mediatico si sposta immediatamente sul problema della presenza di immigrati in Italia e nelle redazioni politiche di quotidiani e telegiornali si comincia a puntare il dito contro l’indulto approvato dal Parlamento il 31 luglio 2006. Nel corso della notte non tardano ad arrivare le dichiarazioni

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del mondo della politica: per Maurizio Gasparri (AN) “Chi ha votato l’indulto ha contribuito a questo eccidio”, sulla stessa linea Maurizio Castelli (Lega Lombarda): “La strage di Erba è il tragico effetto

dell’indulto”. Borghezio della Lega Nord, tuona “Quel che è successo a Erba può succedere, in ogni momento, dovunque personaggi non integrati semplicemente perché non integrabili, hanno trovato nel nostro territorio e, purtroppo, anche in Padania facile accoglienza, ottusa tolleranza, favoritismi politico-sociali d’ogni genere. È ora di finirla”.

Da Milano anche Pier Gianni Prosperini, assessore regionale di Allenza Nazionale non fa mancare la sua opinione “ Per sgozzare un bambino deve

essere un animale, quindi non può essere uno di noi. La modalità è tipicamente islamica, fondamentalista e integralista”20.

L' ex ministro della Giustizia Roberto Castelli intorno alle 12 e 30 del giorno successivo alla Strage rilascia alle agenzie una nuova dichiarazione polemica contro l' indulto e «i suoi devastanti effetti» che il provvedimento continuerà a produrre. Il rappresentante politico si scaglia contro il suo successore Clemente Mastella “Il ministro della Giustizia ha

una fortissima influenza sul Parlamento su una misura come questa, tanto è vero che, finché sono stato ministro io, le Camere non hanno mai votato questa legge”. Dopo circa mezz'ora il quadro del massacro di Erba

cambia velocemente, Azouz Marzouk non è il colpevole. A questo punto il Guardasigilli Mastella, che ha appena ricevuto una lettera minacciosa

20 http://archiviostorico.corriere.it/2007/gennaio/13/Azouz_ora_chiede_politici_fargli_co_9_070 113013.shtml?refresh_ce-cp

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contenente un bossolo, alza la voce e reagisce contro Castelli e Maurizio Gasparri, che aveva parlato dell'indulto come di “un' autentica vergogna” di cui aveva chiesto debito conto a quanti l' hanno votato. Mauro Fabris, presidente dei deputati dell' Udeur, chiede le scuse di Castelli e Gasparri evidenziando come l' indulto sia un mezzo per “dare addosso all' esecutivo

con tutti i mezzi, compreso quello di criminalizzare i singoli ministri, anche per responsabilità che non hanno”21.

Nel giro di poche ore dunque lo scenario delle indagini cambia e i carabinieri accertano che Marzouk non è in fuga bensì è in Tunisia da una settimana. La sinistra dunque riprende vigore nel difendere l' indulto, così parla il ministro per l' Attuazione del programma Giulio Santagata, che nota come “ancora una volta” sia stata utilizzata una vicenda “i cui

contorni sono tutti da definire” per emettere “una sentenza annunciata contro l' indulto e le politiche del governo mentre Mastella diventa oggetto di intimidazioni inaccettabili”. Segna un dietrofront anche l' Italia

dei valori, se Silvana Mura, deputata vicina ad Antonio Di Pietro nella prima mattina definiva l' indulto “una scelta sbagliata”, a fine giornata il capogruppo alla Camera Massimo Donadi ammette che “le polemiche sullo

sconto, in questo momento, appaiono francamente fuori luogo”. Nello

Palumbo dell'Ulivo mette in guardia dal rischio di legare all' indulto “fatti

di cronaca nera che sono una costante della nostra società”22.

21

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/12/13/la-politica-indulto-la-destra-accusa-poi.html?ref=search

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Nel frattempo i lettori dei quotidiani iniziano a inviare lettere e commenti di odio. A questo punto delle indagini non si esclude che Marzouk potrebbe comunque esserne stato la causa della strage: gli investigatori pensano a un regolamento di conti, a una vendetta di qualcuno. Intanto nei telegiornali si sprecano i collegamenti dei giornalisti con alle spalle il grande cancello verde della corte di via Diaz 25, una vecchia cascina da poco ristrutturata in cui vivono una ventina di famiglie. Le speranze di fare chiarezza sull'accaduto sono legate alla vita di Mario Frigerio, l’unico sopravvissuto, che al suo risveglio dal coma, indica il colpevole:Olindo. La notizia resterà strettamente riservata fino al 2 gennaio 2007.

L’11 gennaio 2007, ad un mese esatto dalla strage, un nuovo dispaccio Ansa informa: “Erba: i coniugi confessano la strage premeditata, per l’accusa fu Rosa Bazzi a uccidere il piccolo Youssef perché piangeva. Olindo Romano e Rosa Bazzi, incastrati da una macchia di sangue nella loro auto, sono crollati e hanno confessato tutto. I coniugi Romano vengono arrestati nella tarda mattinata di lunedì 8 gennaio 2007 , uno shock per la comunità che il quotidiano La Padania esprime in dialetto “Du di nost”, ovvero due di noi23.

«Nessuno mi ha chiesto scusa. Neanche i politici, quelli della Lega Nord e

di Alleanza Nazionale, ad esempio Calderoli, si sono fatti sentire per chiedere scusa. Per scusarsi con un extracomunitario che hanno ingiustamente accusato».Così Azouz Marzouk, intervistato da Giancarlo

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Magalli, nella trasmissione di Raidue "Piazza Grande”dell’11 gennaio 2007, commenta la serie di accuse infamanti di cui è rimasto ingiustamente vittima nei giorni successivi alla strage. Azouz Marzouk precisa che le scuse «non sono arrivate neanche da familiari e persone che conosco da

anni. Nessuno tra i vicini si è fatto vivo e questo mi ha fatto male, nessuno ha chiesto scusa e sono tanti gli sguardi di colpevolezza che mi rivolgono».

«La solidarietà mi è arrivata dagli estranei. Persone che non conosco, che mi fermano per strada per farmi le condoglianze e darmi forza. Ho ricevuto lettere, aiuti economici da persone che ringrazio»24.

L’Europarlamentare leghista Borghezio spiega che “la reazione che io e

altri parlamentari della Lega abbiamo avuto in quelle ore non era dettata da xenofobia ma dalle notizie diffuse dagli organi di informazione sulla base di verità ufficiali”. Borghezio dice di “sentire di dover prendere le distanze da quelle dichiarazioni rilasciate a caldo, ritirando quindi le espressioni che possono aver associato questi fatti a Marzouk fermo restando quanto dichiarato sui suoi precedenti penali”.

Borghezio ripete di essere “dispiaciuto e rammaricato” e, interrogato, si

spinge a pronunciare la parola “scusa”, non senza aggiungerci un “ma”: “chiedo volentieri scusa per averlo in qualche modo associato a questi fatti ma non per averlo definito spacciatore”. Tuttavia la realtà che ne è

emersa “rappresenta invece un fosco quadro di esplosione di follia

24 http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2007/01_Gennaio/12/erba_politici.shtml? refresh_ce-cp

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omicida che non appartiene alla nostra cultura e sul quale dobbiamo interrogarci non senza aver espresso rammarico per aver dato credito a notizie che si sono rilevate senza fondamento” conclude Borghezio.

La nascita della Carta di Roma: dal dibattito alla stesura del Codice

Proprio la strage di Erba e le facili quanto errate accuse al tunisino Azouz Marzouk contribuiranno nei mesi a seguire a riaprire il dibattito sui diritti dei migranti protagonisti di fatti di cronaca e a mettere in luce quanto fosse carente la deontologia giornalistica nella regolamentazione rappresentazione mediatica delle persone migranti. Nel gennaio 2007 parole di condanna giunsero da parte dell’allora Funzionario portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati 25e attuale Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini dal 201326 che scrisse una nota intitolata “L’Erba cattiva dell’informazione”, pubblicata sulla prima pagina dell’edizione nazionale dell’Unità il 20 gennaio 2007 all’allora Direttore Antonio Padellaro27. Nella nota la Boldrini auspica che i mezzi di informazione arrivino a “capitalizzare” sulla vicenda di Erba che rappresenta “una lezione per quanti si sono precipitati a colpo sicuro a

puntare l’indice contro ‘arabo spietato’”. Un altro punto messo in luce

25 Incarico ricoperto dal 1998 al 2012

26 È la terza donna, dopo Nilde Iotti e Irene Pivetti, a ricoprire questo ruolo

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nella lettera è il linguaggio dei media italiani rispetto al fenomeno degli arrivi via mare. Un linguaggio “allarmistico e bellico, simile a quello usato

nei conflitti, nelle contrapposizioni tra entità ostili”. “Le coste siciliane sono prese ‘d’assalto’, Lampedusa è ‘assediata’, la gestione dell’immigrazione è ‘lotta ai clandestini’. La situazione peggiora - viene

posto in evidenza - quando si parla di immigrati arabi che vengono

principalmente ritratti dalla stampa italiana in collegamento ad attività …/… giudiziarie o nel contesto del terrorismo internazionale, come se, mutatis mutandis, gli italiani venissero prevalentemente rappresentati all’estero nei processi di mafia”. Per quanto riguarda i rifugiati, la lettera

pone l’accento sul fatto che “raramente i media fanno una

differenziazione terminologica tra rifugiato, richiedente asilo, immigrato, clandestino, extracomunitario e profugo. Termini che spesso vengono usati come sinonimi, senza alcuna attenzione alla connotazione giuridica di ciascuna parola.” Nel ricordare che il rifugiato è una persona

in pericolo che ha ottenuto protezione in Italia, nella lettera viene anche sottolineato che “l’esposizione mediatica di richiedenti asilo, rifugiati e

beneficiari di protezione umanitaria, con tanto di nome cognome, foto o immagini di primo piano, senza apportare nessuna accortezza o precauzione, può essere molto pericolosa. Questo trattamento rende rintracciabile chi è fuggito da una persecuzione e espone anche i familiari rimasti a casa a possibili ritorsioni.”

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le rappresentanze dei giornalisti a sviluppare una riflessione era stato lo stesso Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) attraverso un comunicato stampa diffuso il 19 gennaio 2007 .

“L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, prendendo

spunto dalla strage di Erba e dopo un’approfondita riflessione in seno all’Agenzia voluta dallo stesso Rappresentante per la Regione del Mediterraneo, Walter Irvine, ha lanciato oggi la proposta di elaborare, insieme ad altri soggetti competenti in materia, un codice deontologico per la stampa, mirato a tutelare immigrati e rifugiati. Un gruppo di lavoro composto da accademici, esperti di comunicazione e giornalisti redigerà un testo che, auspicabilmente con il contributo della Federazione Nazionale della Stampa Italiana e dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti, potrà diventare una Carta di autoregolamentazione della stampa nelle materie dell’immigrazione e dell’asilo”

Il dibattito che ne nacque tra chi all'interno dell'Ordine sosteneva la necessità del codice e chi paventata un controllo troppo stretto della libertà di stampa culminerà nell’adozione da parte dell’Ordine dei giornalisti e della Federazione della Stampa della Carta di Roma, nome con cui si indica il “Protocollo deontologico concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti”. A raccogliere l’invito al confronto sono infatti la Federazione nazionale della Stampa (FNSI) e l’Ordine dei giornalisti, che avviano i lavori per redigere un testo che sarà approvato dal Consiglio nazionale dell’Ordine tra l’aprile e il giugno del 2008. Roberto Natale,

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allora presidente della Federazione Nazionale Stampa Italiana28: “Ci siamo

detti che i temi dell’immigrazione e della multiculturalità hanno acquisito nella nostra società una rilevanza tale da meritare un’attenzione particolare. Abbiamo perciò lavorato ad approfondire e specificare i richiami generali contenuti nella Carta dei doveri, di cui la categoria si è dotata dal 1993 e che resta il fondamentale riferimento deontologico. Non vogliamo caricare sulle nostre spalle di giornalisti tutte le responsabilità: non siamo noi ad avere inventato e praticato quella che è stata definita l’ ”imprenditoria politica della paura”29.

Il giornalista Giovanni Maria Bellu, presidente dell’Associazione Carta di Roma in un articolo apparso su La Repubblica.it il 3 febbraio 2008 30 titolato Stampa e immigrazione, i danni della lentezza lamenta l'eccessiva lentezza nella stesura del codice deontologico, tale da superare addirittura i tempi della giustizia, e la continua opposizione di alcuni esponenti dell'Ordine nei confronti di un testo che, nella pratica, pareva essere indigesto a molti per la paura di attuare un ipercontrollo nei confronti della libertà di stampa dei giornalisti. Il giornalista Bellu prosegue giustificando l'urgenza di dotarsi di un codice deontologico per affrontare il tema dell'immigrazione riportando un grave fatto accaduto nei mesi successivi alla Strage di Erba:

28 Denominata in seguito FNSI

29 R. Natale, 2009, La Carta di Roma: la dignità dello straniero, in La deontologia del giornalista, a cura di M. Partipilo, p. 139, Centro di documentazione giornalistica

30http://www.repubblica.it/2005/b/rubriche/glialtrinoi/rifugiati-stampa/rifugiati-stampa.html?

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“Lo scorso 23 gennaio un gruppo di eritrei blocca per due ore l'ingresso del Centro di prima accoglienza di Cassibile per sollecitare la decisione della "commissione territoriale" che esamina le domande di asilo politico. Cinque dei manifestanti vengono arrestati dai carabinieri e accusati di sequestro di persona per aver impedito agli operatori di uscire dal Cpa”.

“Una volta arrestati, i cinque eritrei sono entrati nel circuito ordinario

della cronaca nera. La notizia è stata raccolta, come tante altre, dai cronisti del posto i quali, del tutto in buona fede, le hanno riservato un trattamento di routine. Hanno scritto i loro articoli, hanno riportati i nomi dei protagonisti. Tutto qua. Evidentemente non sapevano che scrivendo il nome e il cognome dei richiedenti asilo eritrei esponevano i familiari rimasti in patria al rischio di gravi ritorsioni, come ha segnalato Laura Boldrini alla direzione de La Sicilia di Catania”.

Il 10 ottobre 2008, in occasione della celebrazione della“Giornata dell'informazione”, l'allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, di fronte alle forze politiche e agli organi di stampa giunti al Quirinale, colse l'occasione per parlare di xenofobia e intolleranza31: "C'è il

rischio che la xenofobia e l'intolleranza possano addirittura sconfinare nel pregiudizio razzista". Il capo dello Stato ribadì che "non bisogna

generalizzare né indulgere in giudizi sommari" e al contempo è

necessario "vigilare, prevenire, intervenire, per impedire qualsiasi deriva

verso il razzismo".

Il Capo dello Stato nel suo discorso giudica "importante" la Carta di Roma consegnatagli dall'Ordine dei giornalisti e dalla Federazione della stampa

31 http://www.repubblica.it/2008/05/sezioni/politica/napolitano-cinque/napolitano-editoria/napolitano-editoria.html

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per l'occasione, complimentandosi "per la concretezza e la chiarezza

didascalica, come è necessario, per le indicazioni relative al modo di trattare i problemi e presentare l'immagine dei richiedenti asilo, dei rifugiati, delle vittime del traffico di esseri umani e dei migranti".

Il Contenuto del “Protocollo deontologico concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti”

Il documento denominato Carta di Roma32 è stato dunque redatto congiuntamente da FNSI e dal Consiglio Nazionale dell'Ordine dei giornalisti, seguendo i suggerimenti dei membri del Comitato scientifico composto da rappresentanti di: Ministero dell’Interno, Ministero della Solidarietà sociale, UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) / Presidenza del Consiglio – Dipartimento per le Pari Opportunità, Università La Sapienza e Roma III, giornalisti italiani e stranieri, tra aprile e giugno 2008 ed è entrato a far parte del bagaglio di strumenti di lavoro del giornalismo italiano. Lo scopo principale di tale protocollo è, come si è detto in precedenza, fornire le linee guida per il trattamento delle informazioni concernenti i richiedenti asilo, i rifugiati, le vittime della tratta ed i migranti nel territorio nazionale.

La carta,in sintesi, enuncia i seguenti princìpi:

1. Adottare termini giuridicamente appropriati sempre al fine di restituire

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al lettore ed all’utente la massima aderenza alla realtà dei fatti, evitando l’uso di termini impropri;

2. Evitare la diffusione di informazioni imprecise, sommarie o distorte riguardo a richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti. Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti e FNSI richiamano l’attenzione di tutti i colleghi, e dei responsabili di redazione in particolare, sul danno che può essere arrecato da comportamenti non corretti, che alimentino allarmi ingiustificati;

3. Tutelare i richiedenti asilo, i rifugiati, le vittime della tratta ed i migranti che scelgono di parlare con i giornalisti, precauzioni in merito all’identità ed all’immagine che non consentano l’identificazione della persona, al fine di evitare di esporla a ritorsioni contro la stessa e i familiari, tanto da parte di autorità del paese di origine, che di entità non statali o di organizzazioni criminali. Inoltre, va sempre tenuto ben presente che chi proviene da contesti socioculturali diversi, nei quali il ruolo dei mezzi di informazione è limitato e circoscritto, può non conoscere le dinamiche mediatiche e non essere quindi in grado di valutare tutte le conseguenze dell’esposizione attraverso i media;

4. Interpellare, quando ciò sia possibile, esperti ed organizzazioni specializzate in materia, per poter fornire al pubblico l’informazione in un contesto chiaro e completo, che guardi anche alle cause dei fenomeni. La Carta di Roma sviluppa le sue indicazioni a partire dal criterio deontologico contenuto nell’articolo 2 della legge istitutiva dell’Ordine, del

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rispetto della verità sostanziale dei fatti. È importante precisare questo aspetto per dimostrare come il protocollo non sia il parto di una corrente di giornalismo particolarmente sensibile alla questione immigrazione. Il testo è un invito a “fare per intero i giornalisti”, come dichiara ancora Roberto Natale, “anche quando trattiamo vicende spesso a elevata

incandescenza e ad alto tasso ideologico come quelle che coinvolgono gli immigrati” prosegue Anna Meli33. La prima richiesta avanzata dalla Carta di Roma è quella di utilizzare una corretta terminologia, sia dal punto di vista giuridico, sia per quanto concerne l’aderenza del racconto ai fatti accaduti. Nel giornalismo italiano infatti ricorre spesso un abuso e una confusione tra i cinque termini più utilizzati per parlare di uno straniero: immigrato, extracomunitario, clandestino, rifugiato e richiedente asilo. Le prime tre definizioni trasmettono un’idea negativa dello straniero, mentre le ultime due sono piuttosto neutrali. Spesso questi termini vengono utilizzati come fossero sinonimi, mentre, come viene chiarito anche dal glossario allegato al protocollo del 2008, essi indicano cinque diversi status giuridici di uno straniero. Al posto di clandestino si consiglia di utilizzare la locuzione “migrante irregolare” che non contiene in sé un eccezione emotiva.

La seconda indicazione che la Carta fornisce è quella di evitare la diffusione di notizie imprecise, sommarie o comunque distorte. In realtà si tratta niente di meno che di una regola generale che vale per ogni ambito

33 Autrice delle “Linee guida per l’applicazione della carta di Roma” in un’intervista dell’OdgT in http://www.assostampa.org/4450-la-carta-di-roma-codice-deontologico-per-la-tutela-dei-migranti/

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della professione giornalistica.

La Carta richiede inoltre di tutelare i richiedenti asilo, i rifugiati, le vittime della tratta e i migranti che decidono di parlare con i giornalisti, adottando nei loro confronti le dovute accortezze in merito all’identità e all’immagine per evitare l’identificazione della persona. I giornalisti devono essere consapevoli che chi proviene da un contesto diverso, in cui il ruolo dei mezzi di comunicazione di massa è sicuramente limitato, può non conoscere le dinamiche mediatiche e non essere in grado di valutare tutte le conseguenze dell’esposizione sui media.

Infine la Carta richiede di fornire al pubblico l’informazione in un contesto chiaro e completo attraverso, ad esempio, la consultazione di esperti e organizzazioni specializzate in materia di immigrazione.

Per evitare che queste indicazioni rimanessero impresse solo sulla carta, i rappresentanti di FNSI, Ordine dei giornalisti e UNHCR hanno individuato alcuni strumenti per aiutare i professionisti dell’informazione nel momento in cui si occupano di temi legati all’immigrazione. In particolare, i promotori della Carta di Roma hanno individuato due strade che avrebbero permesso al testo deontologico di entrare nelle redazioni. Il primo strumento suggerito è quello della formazione: a partire dal 2008 si parla del rapporto tra media e immigrazione durante le attività di formazione dei giornalisti, attraverso specifici programmi ideati dalle scuole di giornalismo riconosciute dall’Ordine e seminari per i praticanti. La seconda pratica per garantire l’applicazione della Carta di Roma è il

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monitoraggio costante dell’informazione, a tal fine è nato un Osservatorio autonomo, sorto dalla collaborazione tra diverse facoltà universitarie italiane e centri di ricerca che da tempo si occupavano del tema.

Lo scopo è quello di offrire ai direttori e a tutti i giornalisti materiale per comprendere i criteri più utilizzati nel riportare notizie che riguardano persone straniere, le conseguenze che producono sull’opinione pubblica e le eventuali correzioni da introdurre. Un’ultima variabile, di fondamentale importanza per una reale affermazione della Carta di Roma, è il rapporto dell'universo del giornalismo con le associazioni e le organizzazioni che lavorano sull’immigrazione e che avvertono in modo diretto le conseguenze di un’informazione molto spesso avventata.

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