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Capitolo Terzo I CASI DI APPLICAZIONE DIFFERENZIATA DEL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 1.

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110 Capitolo Terzo

I CASI DI APPLICAZIONE DIFFERENZIATA DEL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA

1. Il ''no'' del Regno Unito alla moneta unica

Il Trattato di Maastricht ha avviato la formazione dell’Unione Economica e

Monetaria in tre distinte fasi 1 ed ha attribuito al Regno Unito la facoltà di

scegliere se aderire o meno alla moneta unica, previa comunicazione al Consiglio

2. Il 27 ottobre 1997 il governo del Regno Unito, ha annunciato di non voler

partecipare alla terza fase dell’Unione monetaria europea. Quando il 1° gennaio

1 Con la prima fase, iniziata già nel 1990, si è attuata la completa liberalizzazione dei movimenti di capitali, il completamento del mercato unico e il blocco del paniere ECU. Con la seconda, iniziata il 1993, si sono avviate le politiche di convergenza tra le economie degli Stati membri, si è istituito l’Istituto Monetario Europeo e si sono compiuti gli atti preparatori per l’istituzione della Banca Centrale Europea e del Sistema Europeo delle Banche Centrali. Infine con la terza, iniziata nel 1999 e terminata nel 2002, si è fissato un tasso di cambio irrevocabile tra le monete dei paesi aderenti all’UEM, sono entrate in funzione la BCE e il SEBC, si è abolito l’ECU e si è quindi introdotto l’euro

2 La previsione della deroga, contemplata dall’art. 109 K del Trattato di Maastricht, ha avuto il duplice scopo di salvaguardare il carattere vincolante del Trattato e dell’Unione Economica e Monetaria e di consentire ai paesi ancora indecisi come la Gran Bretagna di scegliere sull’adozione della moneta unica in un secondo momento. Le disposizioni che alla Gran Bretagna sono derivate dalla deroga sono state opportunamente elencate nel «Protocollo su talune disposizioni relative al Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord», Protocollo n. 11 allegato al Trattato di Maastricht. Al punto 1, 2° comma, è stabilito che «a meno che il Regno Unito notifichi al Consiglio che intende passare alla terza fase (dell’Unione Economica e Monetaria), esso non ha nessun obbligo di farlo». Al punto 10, è stabilito che «qualora il Regno Unito non passi alla terza fase, gli è consentito cambiare la propria notifica in qualsiasi momento successivamente all'inizio di detta fase».

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111 2002, l’euro ha fatto la sua definitiva comparsa in dodici paesi, il Regno Unito ha conservato la propria moneta nazionale, la sterlina inglese. I motivi alla base del lungo dibattito se partecipare o meno all’UEM, si sono incentrati essenzialmente sulla rinuncia all’autonomia della politica economica e l'abbandono della sterlina. Una volta nell’UEM, il Regno Unito non potrebbe più utilizzare la propria politica valutaria, a causa dell’eliminazione del tasso di cambio tra l’euro e la sterlina e la politica monetaria, delegata ad un istituto centrale comune, anche se la Banca d’Inghilterra competente in politica monetaria potrebbe partecipare comunque al Sistema Europeo di Banche Centrali (SEBC) competente in materia di politica monetaria europea. Questo, perché l’UEM rappresenta una forma di unione monetaria completa che prevede, oltre agli accordi internazionali che vincolano le rispettive politiche monetarie nazionali, l’osservanza di specifiche regole valutarie come ad esempio, la sostituzione delle monete nazionali con una moneta unica. Non sempre vi è coincidenza tra unione monetaria e moneta unica; esistono anche altre unioni monetarie incomplete che istituiscono soltanto dei sistemi valutari in cui le diverse monete nazionali sono collegate ad una semplice moneta di conto, senza però corso legale.

2. La decisione di non partecipare alla moneta unica nell'interesse nazionale

La partecipazione del Regno Unito all’Unione Economica e Monetaria, dalla fine degli anni '90 ai primi anni del 2000 è stata condizionata dal superamento di cinque test economici che mirano ciascuno a individuare se ci siano i presupposti per beneficiare dei vantaggi di una moneta unica. In questi ultimi anni, il ciclo economico del Regno Unito si è pian piano allineato a quello degli altri paesi europei ponendo fine ad un periodo storico che la vedeva spesso divergere dal resto dell’Europa, tanto che spesso hanno preso piede dibattiti sull'opportunità di

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112 entrare a far parte della moneta unica. Nonostante questo, restano alcune differenze significative che hanno fatto abbandonare l'idea di entrare a far parte del club "euro". Ovviamente, la riduzione delle barriere commerciali, dei costi di transazione, l’eliminazione del rischio di cambio, la possibilità di usufruire di nuove tecnologie e di mercati molto più vasti sono indubbi elementi positivi per l’economia britannica. Possiamo quindi concludere che da una normale analisi costi e benefici, al momento non esistono le condizioni minime perché il Regno Unito possa trarre profitto dal suo ingresso nell’UEM. Sebbene questo comporti rinunciare a tutte le potenzialità che dall’UEM deriverebbero, la decisione di parteciparvi non sarebbe nell’interesse nazionale.

3. Segue: i cinque test economici

Prima dell'annuncio da parte del governo britannico di non aderire al gruppo dei paesi europei che avrebbero adottato l’euro, sono stati effettuati una serie di studi basati su cinque particolari test economici che riguardano aspetti macroeconomici e riflettono in sostanza gli interessi economici di lungo termine dei cittadini britannici. Idealizzati nel 1997 dall'ex ministro delle finanze, Gordon Brown e dal suo assistente di allora Ed Balls. I test concernono aspetti economici di primaria importanza tra cui la convergenza tra cui l'allineamento del ciclo economico britannico con quello dei paesi dell’Unione; la flessibilità dei mercati europei ad adattarsi prontamente ai cambiamenti economici e far fronte agli eventuali shock economici; gli effetti dell’euro sugli investimenti nel Regno Unito; sui servizi finanziari e sull’industria, gli eventuali effetti sulla crescita, la stabilità e sull’occupazione. E’ evidente quindi che la decisione di non aderire all’UEM fin dal primo momento sia stata una conseguenza dei risultati appurati dai testi economici, sebbene quasi tutti i parametri imposti da Maastricht fossero

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113 pienamente soddisfatti. In sostanza il governo inglese si è occupato di verificare se le scelte adottate a livello europeo fossero compatibili con quelle inglesi. Il primo test ha il compito di verificare la convergenza tra i parametri economici britannici e quelli dei paesi dell’area euro, cioè stabilire se l'andamento economico del Regno Unito sia in sincronia con quelli degli altri paesi europei. Il test rappresenta anche la risposta del governo britannico alle richieste dell’Unione per aderire alla moneta unica europea. Le richieste avanzate dall'Unione europea mirano a livellare le evidenti differenze economiche, in modo che una volta nell’UEM, tutti i paesi possano proseguire insieme e parallelamente. Almeno nei primi anni di vita dell'euro, quando il governo inglese si riserva la possibilità di aderire in un secondo momento, la convergenza, su alcuni fattori -come il prodotto interno lordo, il tasso di interesse, il tasso d’inflazione, le condizioni del mercato del lavoro e il tasso di cambio tra la sterlina e l’euro- viene mantenuta in modo costante, per evitare che, nel momento in cui si decida di entrare nell’euro, le proprie politiche fiscali e monetarie non debbano subire drastici cambiamenti. Onde evitare come già successo ad alcuni paesi come Irlanda e Grecia, costretti ad una transizione verso l’UEM in modo alquanto rapida dal momento che non erano in regola con i parametri comunitari all'entrata in vigore dell'euro. A differenza di Germania e Francia che hanno visto i loro tassi d’interesse convergere e il loro tasso di cambio non subire forti oscillazioni. Il Prodotto Interno Lordo è il più semplice e comune metro di valutazione della forza di un’economia di un paese. I dati rilevati forniscono un’idea di come il Regno Unito abbia fatto segnare negli anni pre-recessione, una crescita del PIL superiore a quella dell’area euro. I dati raccolti nella tabella qui riportata evidenziano come la decisione di non partecipare all’UEM adottata nel 1997 fosse ampiamente giustificata, visto che in quell’anno il PIL del Regno Unito era superiore a quella dell’area euro di quasi un punto percentuale, per cui una partecipazione anticipata avrebbe potuto penalizzare il ciclo produttivo britannico.

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114 PRODOTTO INTERNO LORDO dal 1997 al 2004

Fonte: statistics.gov.uk

Riguardo al livello generale dei prezzi, vale a dire il tasso d’inflazione, negli anni precedenti all'entrata in vigore dell'euro, si attestava su livelli particolarmente bassi rispetto al resto dell'Europa mentre dal 2006 si registra un'inversione di marcia. Sebbene il tasso d’inflazione soddisfacesse abbondantemente i criteri di Maastricht, il Regno Unito ritiene che non fosse conveniente all'epoca adottare l'euro, dal momento che i dati confermavano il primato inglese rispetto ai paesi continentali, quindi entrare nell'eurozona avrebbe comportato maggiori problemi rispetto ai benefici. 3,3 2,9 2,4 3,1 2,1 2,8 2,4 2,7 2,4 2,9 2,8 3,5 1,4 0,9 1,2 1,9 0,0 0,5 1,0 1,5 2,0 2,5 3,0 3,5 4,0 1997 1999 2001 2003

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115 INFLAZIONE dal 2002 al 2012 *

*Fonte: Bank of England

Dal 1997, la valuta britannica si è costantemente rafforzata su quella europea, grazie anche alla perdita di valore di quest’ultima nei confronti pure del dollaro. Pertanto, la decisione del governo britannico di entrare a far parte dell’UEM deve essere necessariamente preceduta, oltre che dalla ovvia fissazione del tasso di cambio euro/sterlina, anche dalla constatazione almeno di un parziale riallineamento della sterlina rispetto all’euro. Tuttavia i dati annuali sull’inflazione mostrano come a partire dal 2011 i due indici dei prezzi tendano a mostrare un andamento convergente verso il target del 2% (sebbene l’obiettivo non sia stato ancora raggiunto). Le previsioni sull’inflazione sono positive, le stime per il 2015 sono state ulteriormente corrette al ribasso mostrando un valore di poco inferiore al 2% nel terzo trimestre 2015. Un altro obiettivo che si prefigge il test sulla convergenza è quello di verificare se la struttura economica del Regno Unito sia tendenzialmente uguale a quella degli altri paesi dell’area euro. La misura della convergenza, che ribadiamo provvede a fornire a tutti i paesi dell’UEM la stessa possibilità di far fronte agli shock economici, non deve infatti essere riferita soltanto ad indici macroeconomici seppur molto rilevanti. E’ necessario analizzare anche il peso che ciascun settore ha all’interno di ogni paese membro e sul prodotto interno lordo. Strettamente connesso al test sulla convergenza, il secondo test riguarda la flessibilità, cioè la capacità del mercato di far fronte ad eventuali

0,0 1,0 2,0 3,0 4,0 5,0 2000 2002 2004 2006 2008 2010 2012 Euro Area Regno Unito

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116 shock economici in modo efficiente e particolarmente veloce. La flessibilità è un aspetto molto importante perché permette al sistema di avviare un proficuo processo di ristrutturazione che minimizza gli effetti negativi derivanti da uno shock e soprattutto fa sì che questi durino il meno possibile. Il test sulla flessibilità analizza i mercati del lavoro, dei prodotti e dei capitali, e dimostra subito che tra il Regno Unito e i paesi dell’UEM esiste una certa divergenza. Il mercato del lavoro britannico è stato da sempre molto più flessibile e in questi ultimi anni, grazie

soprattutto all’incremento del part-time, la flessibilità è addirittura aumentata.3

3 L’EMU and Labour Market Flexibility hanno evidenziato che la Gran Bretagna, insieme a Giappone, Svizzera, Usa e Canada, presenta il più alto tasso di flessibilità del mercato del lavoro, rispetto ai paesi dell’UEM che invece sono caratterizzati da una scarsa elasticità, con l’eccezione di Austria, Germania e Irlanda.

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117 I benefici si sono avuti soprattutto nell’occupazione, la cui crescita ha portato il Regno Unito ad avere un tasso di disoccupazione più basso dell’intera area OCSE,

persino inferiore a quello degli Stati Uniti. Anche i salari hanno contribuito alla crescita della flessibilità, grazie soprattutto alla loro capacità di adeguarsi alle

situazioni di calo della domanda di lavoro. Abbiamo visto infatti che in caso di shock e di calo dell’occupazione, uno degli strumenti in grado di rilanciare la

produzione è la possibilità di abbassare il livello dei salari e permettere così alle imprese di riassumere i lavoratori. E questa capacità risulta determinante in

particolar modo quando gli shock sembrano avere effetti duraturi, capaci cioè di frenare la ripresa dell’economia oltre un ragionevole numero di anni. Il grafico mostra infatti come l’aumento del tasso di disoccupazione dovuto allo shock petrolifero del 1973 sia durato per molti anni. Nel Regno Unito però si può notare come la maggiore flessibilità del mercato del lavoro abbia permesso la ripresa dell’occupazione già a partire dal 1984, mentre i paesi facenti parte dell’UEM hanno dovuto attendere per quasi un altro decennio.

Fonte: European Commission: Statistical Annex of the European Economy, Spring 2003 Un importante contributo alla flessibilità del mercato britannico proviene anche dall’adattabilità dei prezzi all’interno del mercato produttivo. In effetti, come il

livello dei salari deve poter modificarsi per permettere alle imprese di fronteggiare gli effetti negativi degli shock, così anche i prezzi dei prodotti devono essere

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5

10

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1960

1968

1976

1984

1992

2000

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118 particolarmente flessibili per superare la congiuntura sfavorevole. E anche a questo riguardo, il Regno Unito mostra una sostanziale differenza rispetto agli altri paesi europei, soprattutto per il fatto che il mercato britannico risulta essere il meno regolamentato tra i paesi dell’UEM, con la più bassa presenza di fattori restrittivi e con il più basso tempo necessario per costituire una società. (Nel Regno Unito sono sufficienti soltanto sette giorni lavorativi perché una società possa essere costituita, rispetto invece all’Italia dove ne occorrono circa trentacinque). Pertanto, un’eventuale partecipazione potrebbe comportare una legislazione di mercato più vincolata, con la conseguenza che la diminuzione della

flessibilità aumenterebbe il rischio che gli effetti di uno shock durino più a lungo.4

Le differenze in termini di flessibilità tra Regno Unito e UEM sono dunque pericolosamente evidenti. Per concludere, anche il mercato dei capitali denota nel Regno Unito una rilevante flessibilità che permette di minimizzare gli effetti derivanti da uno shock economico. La adattabilità del mercato dei capitali è infatti molto importante, tanto che alcuni sostengono che sia un meccanismo equilibratore più efficace della stessa politica fiscale. In effetti, grazie alla flessibilità dei capitali gli operatori hanno la possibilità di scegliere tra una vasta gamma di opzioni ed attuare così un’allocazione ottimale delle risorse. L’UEM mostra invece una bassa integrazione del mercato dei capitali, a differenza degli Stati Uniti a cui spesso hanno fatto riferimento i sostenitori della moneta unica europea. I costi delle transazioni finanziarie all’interno dell’UEM sono più alti di quelli all’interno dei singoli paesi e l’introduzione dell’euro ha solo modificato la struttura del mercato dei capitali, non anche migliorata. Ci sono ancora barriere naturali come la lingua e le diverse legislazioni, che impediscono all’UEM di essere pienamente integrata capace di rispondere in un unico modo alle sfide che provengono dall’ambiente circostante. In conclusione, anche il test sulla

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TURNER A., In the market for flexibility, in Britain in Europe, The London School of Economics and Political Science, pag.166.

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119 flessibilità non è al momento soddisfatto, per cui un’imminente partecipazione del Regno Unito nell’UEM non è al momento un’ipotesi realistica. Il terzo test dal cui successo dipende l’ingresso del Regno Unito nell’UEM riguarda l’effetto che l’euro potrebbe avere sugli investimenti britannici nei diversi settori dell’economia, visto che da sempre gli investimenti in capitale sono considerati la chiave per produttività, crescita e sviluppo dell’economia in generale. A causa dell’instabilità economica e della debolezza dell’offerta degli anni passati, il Regno Unito presenta un’economia meno intensiva dal punto di vista degli investimenti di capitale rispetto agli altri paesi dell’Unione, che ha relegato la stessa agli ultimi posti in termini di produttività. A tal proposito, il governo si sta già impegnando affinché le imprese britanniche aumentino i loro investimenti e si riduca così il gap con gli altri paesi. E questo a prescindere dalla decisione del Regno Unito di aderire o meno all’UEM. Tuttavia, la partecipazione britannica all’euro potrebbe aumentare la propensione ad investire, visto che si creerebbero i presupposti per una maggiore stabilità economica. Il quarto riguarda il mercato

finanziario e l’effetto che su di esso potrebbe avere la moneta unica.5 Il Regno

Unito dispone del più importante mercato finanziario e valutario d’Europa, la City di Londra, che per diversi motivi ha attratto capitali di tutto il mondo. L’ingresso del Regno Unito nell’UEM potrebbe quindi essere considerato come un elemento perturbativo dell’equilibrio e dello sviluppo raggiunto dal mercato finanziario. Ciò nonostante, vista la sua particolare struttura, tale preoccupazione sembra non essere rilevante. In effetti, la maggior parte delle attività finanziarie della City non sono denominate in sterline, bensì nelle diverse valute internazionali, compresa l’euro. E quest’ultimo rappresenta la principale moneta nella quale sono denominate la maggior parte delle attività dei mercati finanziari europei, come

5 MAYHEW J., London: Financial Centre of Europe, in Britain in Europe, The London School of Economics and Political Science, pag. 35.

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120 Parigi e Francoforte. Pertanto, la sostituzione della sterlina con l’euro non cambierà di molto la struttura del mercato. L’ingresso del Regno Unito nell’UEM non rappresenterebbe un costo. Al massimo, occorrerà rinominare le attività in euro e fare un’adeguata campagna informativa perché i soggetti interessati siano messi al corrente delle conseguenze. Si tratta comunque di costi di breve periodo e sicuramente non determinanti per scegliere di non partecipare all’UEM. Diversi fattori quindi spingono per l’ingresso del Regno Unito e della City nell’UEM. L’adozione della moneta unica europea in sostituzione della sterlina determinerebbe sicuramente un maggiore sviluppo del mercato finanziario londinese e una sua maggiore integrazione, eliminando quindi l’attuale struttura frammentata dovuta alla denominazione delle attività nelle diverse monete internazionali. L’ingresso nell’UEM porterebbe enormi vantaggi agli investitori dando loro la possibilità di diversificare maggiormente i loro portafogli e di operare in un mercato notevolmente più grande. Sebbene, nel grafico sotto riportato il Regno Unito non goda di una posizione estremamente felice tra debito pubblico e PIL, è l’unico, insieme alla Germania, a godere della tripla A concessa da Standard & Poor’s. La Repubblica italiana è ben sette gradini più in basso.

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121 RAPPORTO DEBITO PUBBLICO E PIL 2012

L'inflazione è in continua crescita, a un ritmo più sostenuto rispetto ai paesi dell'Unione Europa, tuttavia la City continua ad attrarre investimenti da tutto il mondo. Una spiegazione sta nel fatto che il Regno Unito è fuori dalla zona euro. La sterlina ha mantenuto il suo status di moneta internazionale (come valuta di riserva e mezzo di pagamento degli scambi mondiali) ed è protetta da una banca centrale che stampa moneta senza limiti quando è necessario. Dunque, la consapevolezza che la Banca d’Inghilterra svolgerà fino in fondo la sua funzione di prestatrice di ultima istanza per le banche e per il governo, rassicura gli investitori. Sotto l’aspetto puramente economico, dall’entrata dell’euro nel 1997, il

trend positivo che ha caratterizzato i servizi finanziari britannici non ha dato segnali di arresto, segno evidente che, dentro o fuori dell’UEM, il mercato

0,0000 20,0000 40,0000 60,0000 80,0000 100,0000 120,0000 140,0000 160,0000 2012

Grecia Italia Portogallo Irlanda

Belgio Francia Regno Unito Spagna

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122 finanziario londinese è ancora considerato un luogo attraente nel quale investire i capitali. L’ultimo test decisivo per l’ingresso del Regno Unito nell’UEM ha una portata molto più generale dei precedenti e non a caso chiude l’analisi. Il test si propone di stabilire se, in linea generale, l’adozione della moneta unica possa favorire crescita, stabilità e occupazione, aspetti questi fondamentali per il raggiungimento di un elevato livello di vita. In sostanza, sebbene la stabilità economica sia un obiettivo comune sia per il Regno Unito che per l’UEM, le politiche attraverso le quali si mira a raggiungerla sono molto diverse. Non solo. Mentre nel Regno Unito c’è un perfetto coordinamento tra la politica monetaria, fiscale e finanziaria, tutte fissate dal governo che si avvale poi delle altre autorità economiche, nell’UEM invece c’è una singola politica monetaria e tante politiche fiscali e finanziarie quante sono gli stati partecipanti. Pertanto, non solo occorre coordinare la politica monetaria europea con quelle fiscali e finanziarie a livello nazionale, ma anche le stesse diverse politiche fiscali e finanziarie. Le differenze esistenti tra il Regno Unito e l’UEM e lo scarso e difficile coordinamento delle politiche comunitarie potrebbero quindi non assicurare la stabilità economica, fondamentale per operare in un ambiente sicuro e proficuo. In seguito allo studio “The Five Economic Tests” dal quale risultava chiaramente l’economia UE e quella del Regno Unito non erano convergenti e che economia del paese non era flessibile, il 30 ottobre del 1997 Gordon Brown dichiarò che il Regno Unito non avrebbe adottato l’euro come moneta per la propria economia. Più di sedici anni sono passati dalla dichiarazione di Brown, l'economia britannica ed europea hanno subito alti e bassi ma è rimasta costante l'opposizione del Regno Unito alla moneta unica.

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4. La politica sociale europea: le differenze tra Maastricht e Amsterdam

E’ noto che, in origine, l’integrazione comunitaria mirava essenzialmente al perseguimento di obiettivi economici e collegati alla realizzazione del Mercato Unico. Il Trattato di Maastricht, introduce una significativa riforma in merito alla materia sociale. In particolare, il Protocollo sulla politica sociale, rappresenta uno stratagemma per ampliare la dimensione sociale dell’azione comunitaria superando l’opposizione del Regno Unito che era fermamente deciso a contrastare qualsiasi intervento comunitario in materia sociale; per cui nel 1992 il Protocollo addizionale è sottoscritto soltanto dagli altri undici Stati membri e successivamente anche dai nuovi Stati entrati a far parte dell’Unione. L’accordo sulla politica sociale, allegato al Protocollo, amplia gli obiettivi dell’intervento comunitario in ambito sociale inserendo l’informazione e la consultazione dei lavoratori, la parità uomo-donna e lo stipendio minimo: in questi settori, e soprattutto nell’ambito della fissazione delle condizioni di lavoro, il Consiglio delibera a maggioranza qualificata degli Stati firmatari; in tutti gli altri settori (ad esempio le condizioni di lavoro dei cittadini dei paesi terzi) è invece richiesta l’unanimità. La dimensione sociale idealizzata da Jacques Delors era un ambito che Margaret Thatcher e i suoi successori hanno fermamente contrastato. Con parole del ministro conservatore e successivamente primo ministro, Michael Portillo: ''Il governo non tollererà da parte del legislatore europeo, interferenze non gradite sulle condizioni sociali, che imporranno nuovi costi ai lavoratori, faranno perdere in termini di competitività le imprese e ridurranno il numero dei posti di lavoro. Abbiamo deciso di non aderire alla politica sociale e la decisione non

cambierà".6 Come risultato alle obiezioni sollevate dai vari politici, il Protocollo

sulla politica sociale non viene firmato dal Regno Unito ma viene adottato da

6

Discorso di M. Portillo allora segretario del lavoro del 27 Luglio 1994, C.PILKIGTON, Britain in European Union Today, Manchester University Press, 1995 pag. 167

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124 undici Stati, ovvero tutti gli Stati membri ad eccezione del Regno Unito. Ma solo tre anni più tardi, il governo laburista guidato da Tony Blair decide di accettare tutti i termini della politica sociale ed implementare riguardo a quest'ultima le misure già adottate dagli altri quattordici membri. Ad Amsterdam la politica sociale viene incorporata al Trattato di Roma in modo che ci sia cornice unitaria per tutti gli Stati membri. Esso segna una tappa importante, in quanto da un lato permette di consolidare i meccanismi posti in essere dal Trattato di Maastricht, dall'altro definisce una serie di orientamenti sociali prioritari a livello comunitario, in particolare in materia di occupazione.

5. Il Trattato di Amsterdam: l'estensione al Regno Unito della politica sociale

comunitaria

Con il manifesto del 1997 il partito laburista asserisce che si sarebbe impegnato ad accettare la collaborazione in materia di Politica Sociale facendo notare che: ''Una sedia vuota al tavolo delle negoziazioni sarebbe stato un disastro per il Regno Unito. Useremo la nostra partecipazione per promuovere l'impiego e la flessibilità non gli alti costi sociali''. Nel momento in cui la politica sociale viene estesa anche al Regno Unito sei direttive entrano in vigore o stanno per essere negoziate. Si tratta in particolare:

• della direttiva 94/45/CE riguardante l'istituzione del comitato aziendale europeo

del 1994

•della direttiva sul 94/36/CE concernente l'accordo quadro sul congedo parentale

del 1994

•della direttiva 97/80 riguardante l'onere della prova nei casi di discriminazione

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•della direttiva 97/81 sul part time del 1981

• della direttiva 99/70 sui lavori a tempo determinato del 1999

•della direttiva 2002/14 che istituisce quadro generale relativo all'informazione e

consultazione dei lavoratori del 2002

Queste direttive sono ora estese al Regno Unito. Durante il primo governo Laburista vincitore delle elezioni del 1997, molti altri progetti legislativi vengono ora discussi o approvati all'interno della nuova politica sociale suscitando non poche controversie all'interno della fila politiche britanniche. In particolar modo

l'Intitute of Directors, 7ha più volte sottolineato l'ingerenza della legge comunitaria

nel Regno Unito. Un modello sociale che prevede una stretta regolamentazione ed un alto livello di tassazione non può essere che in contrasto con i principi dell'liberismo economico britannico. Gli inglesi auspicherebbero ad una

legislazione europea più incentrata sulla concorrenza, sull'iniziativa

imprenditoriale e su un modello in cui i datori di lavoro sono liberi di stabilire relazioni dirette con i loro dipendenti senza i vincoli imposti dalla stretta regolamentazione europea del mercato del lavoro. Anche all'interno del partito conservatore si percepisce un certo disagio riguardo all'impegno sottoscritto circa la politica sociale. Nel 1999 Michael Portillo cambia idea rispetto a pochi anni prima, prende atto che le conseguenze disastrose ipotizzate prima di accettare la politica sociale, ancora non si sono verificate e ribadisce egli stesso che se il partito conservatore tornerà al potere nessun tentativo di sbarazzarsi della legislazione attuale sarà intrapreso. Tuttavia, Michael Howard, in qualità di

7 L’Institute of Directors è un’associazione non politica che annovera tra i propri membri grandi aziende a capitale pubblico così come piccole imprese. Fondata nel 1903, oggi conta più di 55.000 membri e garantisce una rete di rapporti in grado di collegare gli angoli più remoti del mondo degli affari. www.iod.com

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126 segretario di Stato dichiara l'eventuale possibilità di un opting out dalle disposizioni sulla politica sociale ora inserite nel Trattato di Roma.

6. La mancata adesione del Regno unito agli accordi di Schengen

Nel corso degli anni '80 si è aperto un dibattito sul significato di libera circolazione delle persone. Inizia a prendere campo un dibattito portato avanti da alcuni Stati membri sul concetto di libera circolazione. Il progetto in questione, imponeva di mantenere i controlli alle frontiere per distinguere i cittadini europei da quelli dei paesi terzi. Altri Stati membri auspicavano invece una libera circolazione per tutti, con la conseguente abolizione di detti controlli alle frontiere. Vista l’impossibilità di giungere a un accordo, Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi hanno deciso nel 1985 di creare fra di essi un territorio senza frontiere, il cosiddetto «spazio Schengen», dal nome della città lussemburghese nella quale sono stati firmati i primi accordi. In virtù della firma del Trattato di Amsterdam, tale cooperazione intergovernativa è stata integrata nell’Unione europea (UE) il 1° maggio 1999. Dopo il primo accordo tra i cinque paesi fondatori, firmato il 14 giugno 1985, è stata elaborata una convenzione, firmata il 19 giugno 1990 ed entrata in vigore nel 1995, che ha permesso di abolire controlli interni tra gli Stati firmatari e di creare una frontiera esterna unica lungo la quale i controlli all’ingresso nello spazio Schengen vengono effettuati secondo procedure identiche. Sono state adottate norme comuni in materia di visti, diritto d’asilo e controllo alle frontiere esterne onde consentire la libera circolazione delle persone all’interno dei paesi firmatari senza turbare l’ordine pubblico. Per conciliare libertà e sicurezza, la libera circolazione è stata affiancata dalle cosiddette “misure compensative” volte a migliorare la cooperazione e il

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127 coordinamento fra i servizi di polizia e le autorità giudiziarie al fine di preservare la sicurezza interna degli Stati membri e segnatamente per lottare in maniera efficace contro la criminalità organizzata. È in questo contesto che è stato sviluppato il Sistema d’informazione Schengen (SIS). Il SIS è una base di dati sofisticata che consente alle competenti autorità degli Stati Schengen di scambiare dati relativi all’identità di determinate categorie di persone e di beni. Lo spazio Schengen si è esteso progressivamente a quasi tutti gli Stati membri. Gli accordi sono stati firmati dall’Italia il 27 novembre 1990, dalla Spagna e dal Portogallo il 25 giugno 1991, dalla Grecia il 6 novembre 1992, dall’Austria il 28 aprile 1995 e da Danimarca, Finlandia e Svezia il 19 dicembre 1996. Repubblica ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Polonia, Slovenia e Slovacchia si sono unite il 21 dicembre 2007 mentre la Svizzera si è associata il 12 dicembre 2008. Bulgaria, Cipro e Romania non sono ancora membri a pieno titolo dello spazio Schengen; i controlli alle frontiere tra questi e lo spazio Schengen persisteranno fino a quando il Consiglio europeo non deciderà che le condizioni per l'abolizione dei controlli alle frontiere esterne sono state rispettate. Conformemente al Protocollo allegato al Trattato di Amsterdam, l’Irlanda ed il Regno Unito possono avvalersi, in tutto o in parte, delle disposizioni dell’acquis di Schengen dopo una decisione del Consiglio votata all’unanimità dagli Stati firmatari e dal rappresentante del governo dello Stato interessato.

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7. Il Protocollo allegato al Trattato di Amsterdam sulla posizione del Regno

Unito con riferimento al Titolo relativo a visti, asilo, immigrazione ed altre politiche relative alla libera circolazione delle persone

Il Protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda, previsto dal Trattato di Amsterdam, era più flessibile di quello sulla Danimarca perché prevedeva maggiori possibilità di partecipare (opting-in) alle misure comunitarie. Il Trattato di Amsterdam autorizzava oltre alla Danimarca anche Regno Unito e Irlanda a rimanere fuori dalle misure adottate in ambito di visti, asilo, immigrazione e cooperazione giudiziaria in materia civile, materie che erano appena state «comunitarizzate». Si legge all’articolo 4 del Protocollo allegato al Trattato di Amsterdam sull’integrazione dell’acquis di Schengen nell’ambito dell’Unione

europea: «L’Irlanda e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, i quali

non sono vincolati dall’ "acquis" di Schengen, possono, in qualsiasi momento, chiedere di partecipare, in tutto o in parte, alle disposizioni di detto "acquis"». Tuttavia a differenza della Danimarca, il Regno Unito e l’Irlanda potevano notificare entro tre mesi dalla presentazione di una proposta o di un’iniziativa al Consiglio la loro volontà di partecipare all’adozione ed applicazione di una delle misure proposte; mentre la Danimarca poteva partecipare solo dopo che il Consiglio avesse adottato l’atto e solo se le misure previste costituissero uno sviluppo sull’acquis di Schengen. La differenza fondamentale risiede nel fatto che gli altri due Stati potevano optare per la loro partecipazione fin dall’avvio del procedimento legislativo e quindi influenzare il contenuto di un provvedimento che poi avrebbero dovuto applicare, oltre al diritto di notificare in qualsiasi momento, senza limiti di tempo l’intenzione di partecipare all’adozione di una misura del Consiglio. Come la Danimarca, Regno Unito e Irlanda continuavano a partecipare pienamente al terzo pilastro (il titolo VI del precedente TUE sulla cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale) che il Trattato di Amsterdam non aveva «comunitarizzato», fatti salvi i profili disciplinati dall’acquis di Schengen. Le norme relative alla partecipazione o meno all’acquis di Schegen del Regno Unito e dell’Irlanda, sono contenute nel sopracitato

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129 Protocollo Schengen che prevede la facoltà per questi ultimi due paesi di partecipare in tutto o in parte a loro richiesta, alle disposizioni di tale acquis previa decisone positiva del Consiglio, espressa all’unanimità degli Stati membri del sistema Schengen. Il Consiglio ha effettivamente adottato due decisioni, già citate nel paragrafo precedente, la decisione 2000/365/CE per il Regno Unito e la decisione 2002/192/CE per l’Irlanda che autorizzano i due Stati a partecipare ad alcune disposizioni dell’acquis di Schengen. In entrambe le decisioni si stabilisce che, una volta notificata la loro volontà di partecipare, il Regno Unito e l’Irlanda si presumono irrevocabilmente vincolati a partecipare a tutte le successive proposte

dirette a sviluppare l’acquis di Schengen al quale prendono parte. 8 In più

occasioni il Consiglio ha ribadito che l’acquis di Schengen è stato concepito e funziona come un insieme coerente che deve essere accettato integralmente ed applicato da tutti gli Stati che sostengono il principio dell’abolizione dei controlli alle frontiere e ritiene quindi che qualsiasi partecipazione parziale, in questo caso del Regno Unito e dell’Irlanda debba rispettare la coerenza dei principi alla base del Trattato stesso. Il governo britannico, in passato si è dimostrato bendisposto a partecipare in misura maggioritaria all’acquis di Schengen. Nel 2005 il Regno Unito in un ricorso promosso di fronte alla Corte di Giustizia sostenne di avere il diritto di partecipare a uno degli ampliamenti dell’acquis di Schengen anche in assenza dell’autorizzazione preventiva del Consiglio, si trattava della creazione del

Frontex, l’agenzia delle frontiere.9 Molteplici sono le decisioni con cui il Consiglio

della Unione europea ha esteso la validità di alcuni regolamenti riguardanti il Trattato di Schengen anche alla Gran Bretagna ed Irlanda del Nord. Si tratta spesso

8 Art 8 della decisione sul Regno Unito decisione num. 2000/365/CE e art. 6 par.2 della decisione sull’Irlanda decisione num.2002/192/CE

9 Regolamento (CE) 2007/2004 del Consiglio del 26 Ottobre 2004 che istituisce un’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa delle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione Europea "Frontex" (GU L 349 del 25 novembre 2004 pag.1)

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130 di disposizioni che hanno come obiettivo la gestione informatica dei dati, emblematica è la richiesta del Regno Unito di partecipare ad alcune disposizioni dell’acquis di Schengen riguardanti l’istituzione di un’agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi di tecnologia dell’informazione nel settore della libertà sicurezza e giustizia (decisione 2000/365/CE) oppure la decisione di partecipare all’ordine di protezione europeo (direttiva 2011/99/UE). Tuttavia, sebbene siano presenti molteplici casi in cui il Regno Unito ha notificato la propria intenzione di aderire a normative inerenti al Trattato di Schengen, la maggior parte delle normative a riguardo non trovano applicazione in quest’ultimo Stato membro. Ad esempio in riferimento alla procedura di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini dei paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uni Stato membro (direttiva 2011/98/UE), il Regno Unito ha deciso di non parteciparvi; oppure in riferimento alla direttiva 2008/115/CE che riguarda norme e procedure applicabili al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, o ancora in riferimento all’istituzione di un’agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne (regolamento 2007/2004 CE) ancora una volta il Regno Unito ha optato per non prendere parte al regolamento in questione sebbene all’articolo 38 si legga che l’agenzia dovrebbe agevolare l’organizzazione di interventi operativi in cui gli Stati membri possano avvalersi e delle attrezzature che Irlanda e Regno Unito saranno disposti ad offrire.

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8. Il Regno Unito e il processo di riforma che ha condotto al Trattato di

Lisbona

L’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il 1 dicembre del 2009 ha concluso una fase durata ben otto anni di aspre negoziazioni, che hanno visto come protagonisti dapprima 15 paesi per arrivare nella fase conclusiva a 27 paesi. La fase iniziale dei

negoziati coincide con la Dichiarazione di Laeken del 15 dicembre 200110 nella

quale si stabiliva la necessità di un testo ambizioso a livello europeo che ripartisse in modo chiaro le competenze tra Unione e Stati membri, semplificando gli strumenti giuridici obsoleti, colmando il deficit democratico, rafforzando il ruolo dei parlamenti nazionali nel processo legislativo comunitario ed infine integrando il tutto con la Carta dei diritti fondamentali adottati a Nizza nel dicembre del

2000.11 Il vantaggio della «Costituzione» europea era quello di essere leggibile per

tutti, ma le forti incomprensioni tra i vari Paesi Membri (soprattutto dopo i «no» dei referendum francese e olandese del 2005) e le critiche virulente da parte della stessa opinione pubblica che chiedeva a gran voce di essere consultata più spesso sulle questioni europee e sulle intese approvate a porte chiuse a Bruxelles, hanno rallentato il progetto della Costituzione europea fino al definitivo accantonamento con il Trattato di Lisbona. I motivi del dibattito acceso e duraturo sono ancora in

10 Un anno dopo il Trattato di Nizza, il Consiglio europeo riunito a Laeken ha adottato, il 15 dicembre 2001, una "Dichiarazione sul futuro dell'Unione europea" ovvero "Dichiarazione di Laeken" che impegna l'Unione a diventare più democratica, più trasparente e più efficace. Questa dichiarazione pone sessanta questioni attinenti al futuro dell'Unione, riunite attorno a quattro tematiche: la ripartizione e la definizione delle competenze, la semplificazione dei trattati, l'architettura istituzionale e la via verso una Costituzione per i cittadini europei. Per darvi risposta, la dichiarazione ha convocato una Convenzione che ha riunito le parti interessate al dibattito sul futuro dell'Unione.

11 Il Trattato di Lisbona pone le basi normative per l’ulteriore sviluppo di quella che è stata efficacemente definita l’architettura aperta dell’European Human Right Law. NICO KRISH, “The Open Architecture of European Human Rights Law, London School of Economics and Political Sciences dept. Law,WPS, 11-2007 October

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132 parte legati alle diatribe tra euroscettici e fautori dell’integrazione europea, soprattutto sul fronte del riconoscimento della Carta di Nizza e dell’allargamento dei poteri dell’Unione. Tuttavia, l’accordo del 2007 recepisce gran parte delle innovazioni contenute nella costituzione europea. Sebbene la portata innovativa del Trattato fosse stata riconosciuta e apprezzata da molti paesi, sono stati necessari tempi tecnici molto lunghi dovuti in parte al fatto che l’entrata in vigore del Trattato è stata subordinata alla ratifica da parte di tutti gli Stati membri in alcuni dei quali le divergenze in materia si sono fatte sentire più che in altri. Infatti, le ragioni dell’opinione pubblica che ha avversato l’entrata in vigore del Trattato sono state alimentate dalle posizioni assunte dal governo britannico e dal governo polacco, in relazione al riconoscimento dell’effetto vincolante alla Carta di Nizza ed all’abbandono del principio dell’unanimità per le decisioni in materia di giustizia e sicurezza interna. Proprio grazie all’azione di contrasto del governo inglese, si è deciso di non includere nel Trattato l’intero testo della Carta di Nizza, optando per il richiamo indiretto. Il governo inglese è, da sempre, sensibile agli argomenti degli euroscettici, secondo cui la Carta di Nizza e l’allargamento dei poteri dell’Unione in tema di giustizia penale determinerebbe, una lesione degli interessi economici nazionali e, sul fronte della giustizia, una perdita di autonomia

ed un inquinamento delle tradizioni del common law12. D’altra parte, il governo

britannico ha da sempre avversato l’implementazione dei principi proclamati dalla Carta di Nizza, tanto che al momento della sua introduzione l’allora premier Tony Blair dichiarò candidamente che “Our case is that it should not have legal status and we do not intend it to”.13 Successivamente, durante le trattative per la stesura del Trattato, i politici inglesi hanno lottato per limitare l’efficacia della carta,

12 Per una sintesi degli argomenti di coloro che avversano la ratifica del Trattato di Lisbona si veda Open Europe, 'Guide to the Constitutional Treaty', www.open-europe.co.uk.

13 Tony Blair 11.12.2000. Si veda anche la dihchiarazione dell’allora ministro per gli affari europei Keith Vaz, secndo la quale la Carta di Nizza “it will not be legally enforceable”, 22.11.2000.

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proponendo di inserirla soltanto come Protocollo aggiuntivo14. Tuttavia, di fronte

alla ferma posizione della quasi totalità dei governi europei, i britannici hanno seguito la politica del minor danno, accettando l’introduzione del richiamo indiretto della Carta di Nizza nel Trattato ed imponendo l’introduzione del cosiddetti opt-out, ovvero di un Protocollo allegato al Trattato che contenesse uno strumento giuridico idoneo ad impedire che le previsioni della Carta di Nizza potessero essere invocate come vincolanti di fronte alla corti britanniche. Analogamente, a fronte delle forti pressioni esercitate nel Regno Unito, anche la Repubblica di Irlanda, ha esercitato il diritto di opt-in ovvero di aderire caso per caso alle decisioni prese a maggioranza in materia di polizia, sicurezza e cooperazione giudiziaria in campo penale. Significativa è la decisione di partecipare all’adozione e applicazione della direttiva 2011/92/UE sullo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, da parte del Regno Unito e Irlanda. In materia di cooperazione giudiziaria penale e civile numerose sono le richieste da parte di questi ultimi due Stati membri che hanno notificato la loro intenzione a partecipare all’adozione e all’applicazione di alcune decisioni e regolamenti tra cui la decisione quadro 2008/977/GAI relativa alla protezione dei dati personali trattati nell’ambito della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale, oppure il regolamento (UE) numero 604/2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata da uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (rifusione) ed infine l’intenzione di partecipare alla direttiva 2010/64 riguardo alla interpretazione e traduzione nei procedimenti penali. Tutto questo appare in linea con l’elaborazione

14 In realtà la strategia del governo inglese è stata caratterizzata da una ferma opposizione all’introduzione di tutte le più significative innovazioni introdotte dal Trattato, dalla personalità giuridica dell’Unione, all’introduzione del princpio della maggioranza qualificata per materie come la giustizia, alla creazione di un “procuratore europeo”.

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134 giurisprudenziale delle corti britanniche – e dell’House of Lords in particolare – in materia di relazioni tra diritto europeo e diritto nazionale e di tutela dei diritti umani. Infatti, le decisioni dei giudici inglesi degli ultimi venti anni riconoscono pacificamente il primato del diritto comunitario sul diritto interno ed applicano le

norme europee come parte integrante del diritto inglese15, in base al principio

dell’interpretazione conforme del diritto interno rispetto al diritto europeo16.

Peraltro, negli ultimi anni la House of Lords ha reso alcune sentenze particolarmente importanti in materia di tutela dei diritti fondamentali, citando abbondantemente non solo le fonti normative vincolanti, ma anche la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e della Corte di Giustizia

delle Comunità Europee ed i principi proclamati dalla Carta di Nizza17. Tutto

questo non deve far pensare che il Regno Unito sia ben disposto ad accettare tout court la normativa comunitaria in materia di procedura penale. Particolarmente interessante è la posizione di questo Stato membro in merito alla direttiva 2011/36/UE riguardo alla prevenzione e repressione della tratta di esseri umani, in quanto ha deciso in un primo momento di non aderire alla direttiva in questione (5

15 Si veda la relazione di Lord Bernard Rix alla Commissione Affari Legali del Parlamento Europeo in materia di relazioni tra diritto britannico e diritto europeo: Rr Hon Lord Justice Rix, European Parliament Committee on Legal Affairs, 11 June 2007, ove si afferma esplicitamente che “community law is of course regarded in England as E nglish Law”.

16 Tra le più rilevanti decisioni della House of Lords che hanno affermato la prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno e sull’affermazione del principio dell’interpretazione conforme si veda: Garland v. British Rail Engineering Ltd [1983] 2 AC 751, Pickstone v. Freemans plc [1989] AC 66, Litster v. Forth Dry Dock & Engineering Co Ltd [1990] 1 AC 546, Regina v.Secretary of State for Transport, ex parte Factortame Ltd (No 2) [1991] 1 AC 603, e la recente decisione Dabas v. High Court of Justice in Madrid, Spain [2007] 2 WLR 254 in materia di mandato d’arresto europeo.

17 Nel solo 2007 si contano ben 19 pronunce della House of Lords relative a tematiche connesse alla tutela dei diritti fondamentali ed all’applicazione di fonti comunitarie e molte di esse hanno fatto riferimento ai principi della Carta di Nizza: tra le più importanti, va ricordata la Dabas, già richiamata nella nota precedente

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135 aprile 2011) per poi cambiare opinione, notificando alla Commissione l’intenzione

di accettare la direttiva il 14 luglio 2011.18

9. L’opt-out del Regno Unito in merito alla Carta dei diritti fondamentali

dell’UE

In sede della Conferenza Intergovernativa che ha varato il Trattato di Lisbona il Regno Unito e la Polonia hanno ottenuto di essere escluse dal campo di applicazione della Carta di Nizza. Per il Regno Unito appare una posizione di ripiego rispetto all’originaria intransigenza rispetto all’ingresso della Carta di Nizza nel diritto comunitario primario, tanto che gli antieuropeisti intransigenti hanno parlato di una sconfitta, ritenendo che l’opt-out ottenuto dal governo britannico sia assolutamente inutile a garantire che il sistema giuridico inglese rimanga immune dall’applicazione vincolante della Carta di Nizza. Molti

18 A riguardo è opportuno citare la direttiva 2013/48/UE relativa al diritto di avvalersi di un difensore nel processo penale e nel procedimento di esecuzione del mandato d’arresto europeo ed al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale di comunicare con i terzi e con le autorità consolari, anche in questo caso il Regno Unito ha deciso di non aderirvi. Posizione analoga in merito alla direttiva 2013/33/UE sull’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (rifusione).18 Strettamente connessa a quest’ultima direttiva, le direttive 2013/32/UE sul riconoscimento e la revoca dello status di protezione internazionale (rifusione)e la direttiva 2011/95/UE che concerne le norme sull’attribuzione a cittadini dei paesi terzi o apolidi della qualifica di beneficiario di protezione uniforme, il Regno Unito ha deciso in entrambi i casi di non partecipare.

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136 autorevoli giuristi, ritengono sostanzialmente privo di utilità pratica l’opt-out

britannico dalla carta19. In sostanza, come lo stesso Tony Blair ha ammesso, il

Protocollo aggiuntivo contiene una dichiarazione chiarificatrice degli effetti della Carta nel Regno Unito, più che un vero e proprio opting-out del Regno Unito. L’esclusione dell’ambito di applicazione della Carta di Nizza, sembra essere un rimedio per placare gli animi in seguito ai forti gruppi di pressione esercitati dagli avversari dell’integrazione europea che hanno minato il processo di entrata in vigore del Trattato di Lisbona attraverso una vivace campagna politica finalizzata

ad impedirne la ratifica.20 Infatti appare evidente, fin dal primo momento che le

esclusioni previste dal Protocollo sono del tutto teoriche e non possono resistere di fronte al processo di integrazione europea, sia dal punto di vista politico che nella prospettiva della futura applicazione giudiziaria. Si legge chiaramente: “La Carta non estende la competenza della Corte di giustizia dell'Unione europea o di qualunque altro organo giurisdizionale della Polonia o del Regno Unito a ritenere che le leggi, i regolamenti o le disposizioni, le pratiche o l'azione amministrativa della Polonia o del Regno Unito non siano conformi ai diritti, alle libertà e ai principi fondamentali che essa riafferma.”. L’incongruenza tra quanto teoricamente affermato nella Conferenza Intergovernativa e quanto avviene successivamente nei tribunali britannici appare sotto gli occhi di tutti. Infatti, il diritto comunitario – di cui fanno parte integrante anche le decisioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – ha effetto vincolante in tutti gli Stati e, come è ormai consolidato, prevale sul diritto nazionale. Conseguentemente, appare evidente che una decisione presa dalla Corte in un caso riguardante uno dei diritti riconosciuti dalla Carta di Nizza, originato in uno Stato membro, avrà comunque un effetto vincolante per le corti britanniche, tenuto conto del fatto che la

19 B. Waterfield, Blair’s traty opt-out is worthless, admits EU, Thelegraph, 12.7.2007.

20 In tal senso operano vasti settori del mondo politico britannico, alcuni organi di stampa (come il Telegraph) o il movimento euroscettico Open Europe.

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137 giurisprudenza della Corte rientra tra le fonti del diritto comunitario. Inoltre, appare oscuro il significato della previsione immediatamente successiva, secondo cui, per evitare dubbi, nessuna delle previsioni del titolo IV della Carta (in materia di solidarietà sociale, diritti dei lavoratori, famiglia, sicurezza sociale, salute, protezione dell’ambiente e dei consumatori) può creare dei diritti azionabili di fronte ad un organo giudiziario interno, a meno che non si tratti di diritti già

garantiti dalla normativa nazionale. 21 Infatti, se si è sentito il bisogno di ribadire

l’inefficacia interna di eventuali nuovi diritti creati dal titolo IV della Carta, parrebbe che gli stessi estensori del Protocollo abbiano avuto dubbi concreti sulla reale efficacia pratica della esclusione generale. In ogni caso, non sembra che nemmeno la precisazione sul titolo IV sia idonea ad evitare che le corti nazionali britanniche e polacche possano e debbano osservare l’effetto vincolante della giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, anche in riferimento a casi riguardanti diritti non espressamente previsti dalle leggi nazionali. Non va dimenticato che la legislazione interna del Regno Unito come del resto quella di gran parte degli stati membri deve essere comunque interpretata alla luce dell’inderogabile primato del diritto comunitario, dal momento che è da

quest’ultimo fortemente influenzata. 22 Quindi non è remota la possibilità che le

corti britanniche siano chiamate a pronunciarsi su casi che riguardino la salvaguardia di uno dei diritti fondamentali garantiti anche dalla Carta di Nizza. Nonostante l’opt-out, la Carta di Nizza esercita una efficacia indiretta nel Regno Unito e verosimilmente si porranno problemi di compatibilità di alcune previsioni di diritto interno con i principi proclamati dalla carta (ad esempio: diritti sociali,

21 “In particolare e per evitare dubbi, nulla nel titolo IV della Carta crea diritti azionabili dinanzi

a un organo giurisdizionale applicabili alla Polonia o al Regno Unito, salvo nella misura in cui la Polonia o il Regno Unito abbiano previsto tali diritti nel rispettivo diritto interno.”

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138 legislazione antiterrorismo, detenzione prolungata senza imputazione, valutazione negativa silenzio dell’imputato).

10.Il «Procollo 21» allegato al Trattato di Lisbona in merito alla posizione del

Regno Unito rispetto allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia

La posizione differenziata del Regno Unito e Irlanda introdotta dal Protocollo allegato al Trattato di Amsterdam, viene ripresa dal Trattato di Lisbona, attraverso il Protocollo 21 che consente a questi Stati di sottrarsi alle norme del Trattato in materia di cooperazione giudiziaria civile e agli atti di diritto derivato adottati su questa base, riservandosi, tuttavia, il diritto di partecipare alle misure proposte (opting-in). Il Regno Unito e l'Irlanda non partecipano all'adozione da parte del Consiglio delle misure proposte a norma della parte terza, titolo V del Trattato sul

Funzionamento dell'Unione Europea, intitolato "Libertà sicurezza e giustizia",23

mentre il Protocollo n. 22, riguardante la Danimarca, prevede invece un diritto di opting-out generale, senza che questo Stato possa partecipare a singoli atti. L’art. 7 prevede però la possibilità che la Danicarca ripensi la sua posizione, comunicando agli altri Stati membri la volontà di rinunciare a tutte o parte delle riserve contenute nel Protocollo. Gli atti adottati nel quadro della cooperazione giudiziaria

23 Per le decisioni del Consiglio che devono essere adottate all'unanimità si richiede l'unanimità dei membri del Consiglio, ad eccezione dei rappresentanti dei governi del Regno Unito e dell'Irlanda.

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139 civile non si applicano in linea di principio a Regno Unito, Irlanda e Danimarca. Così era già previsto, sotto il vigore del Trattato di Amsterdam in virtù del richiamo, effettuato dall’ex art. 69, ai Protocolli (allora n. 4 e 5) allegati al Trattato medesimo. Il quadro giuridico è rimasto immutato anche in seguito all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, al quale sono allegati analoghi Protocolli, il n. 21 per Regno Unito e Irlanda ed il n. 22 per la Danimarca. L’uniformazione in materia di diritto internazionale privato e processuale appare dunque incompleta sotto il profilo soggettivo, considerato l’atteggiamento della Danimarca, mentre per ciò che concerne la posizione del Regno Unito e dell’Irlanda, questi due Stati fino ad oggi hanno quasi sempre collaborato ed è probabile che continuino a farlo. Va però detto che la Danimarca ha concluso con la Comunità due accordi nel 2005 volti ad estendere ad essa la disciplina uniforme contenuta nei regolamenti 1348/2000 (poi sostituito dal Regolamento n. 1393/2007) e nel Regolamento 44/2001. Occorre infine osservare che il Trattato di Lisbona, purtroppo, con riguardo al campo della cooperazione giudiziaria in materia civile pone oggi le condizioni per una riconsiderazione della situazione in senso più restrittivo. La Dichiarazione n. 26 annessa all’atto finale del Trattato consente, infatti, agli Stati membri di non partecipare ad una qualsiasi misura fondata sul titolo V del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, qualora ne facciano esplicita richiesta. Inoltre l’art. 81 par. 3 TFUE prevede che, per l’adozione di atti nel settore della famiglia, sia necessario il consenso di tutti gli Stati membri e prevede un potere di veto da parte di un solo Parlamento nazionale. L’unico rimedio per evitare che non si prosegua nel processo di integrazione nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile potrebbe essere il ricorso al meccanismo della cooperazione rafforzata, reso più facile e spedito dal Trattato di Lisbona (art. 20 TUE), che ha però lo svantaggio di creare una Europa a "geometria variabile".

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11. Il Regno Unito e la cooperazione giudiziaria in materia civile

Nel momento in cui entrano in gioco interessi intra-nazionali è naturale che possano sorgere problematiche su quale diritto applicare in sede giudiziaria. L’unione europea ha assunto un ruolo di grande rilievo nell’armonizzazione a livello comunitario delle norme giuridiche processuali degli Stati membri. In questa sede, verranno analizzati alcuni regolamenti in materia di diritto internazionale privato e in particolar modo in relazione alla posizione differenziata del Regno Unito, Irlanda e Danimarca che hanno di volta in volta espresso la loro volontà o meno di aderire ai regolamenti in questione, risulta emblematica a riguardo la decisione del Regno Unito ed Irlanda di partecipare al regolamento UE 606/2013 relativo al riconoscimento reciproco delle misure di protezione in materia civile. L’interesse della Comunità per la cooperazione giudiziaria in materia civile non è nuovo, ma risale ai primi anni del processo d’integrazione europea. Com’è noto, il Trattato di Roma stabiliva, all’art. 220 (oggi 293) l’impegno degli Stati membri ad iniziare a porre in atto negoziati per semplificare le formalità relative al riconoscimento ed all’esecuzione delle decisioni giudiziarie e dei lodi arbitrali. Questi sforzi hanno portato notevoli progressi in alcune materie, ma l’ideale dell’uniformità internazionale resta ancora molto lontano. Il diritto comunitario ci induce a ritenere che tale obiettivo è almeno in parte realizzabile sul piano regionale. L’attività normativa delle istituzioni comunitarie, ha subito una rapida crescita in seguito all’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam al punto che si può ormai parlare della tendenza del sistema di diritto internazionale privato europeo a sovrapporsi ai sistemi interni degli Stati membri e forse, a più lungo termine, a sostituirli. Con l’entrata in vigore del Trattato di

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Lisbona24 il 1 dicembre del 2009, l’adozione delle misure europee in merito

all’armonizzazione dei conflitti fra le norme è ora disciplinata dal Titolo V intitolato "Spazio di libertà sicurezza e giustizia" (articoli 67-68).25 In particolare si legge all’articolo 67(1) "L'Unione realizza uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel rispetto dei diritti fondamentali nonché dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri". Tra gli obiettivi del Trattato di Amsterdam, vi è quello di facilitare l'accesso alla giustizia, in particolare attraverso il principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali in materia civile. All’interno del titolo V, il capo III intitolato "Cooperazione giudiziaria in materia civile" pone le basi per una cooperazione giudiziaria nelle materie civili, fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali. (art.81). Il Protocollo 21 del Trattato di Lisbona del 2008, sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda rispetto allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, stabilisce che il Regno Unito e l’Irlanda non partecipano all’adozione da parte del Consiglio delle misure proposte a norma della parte III, titolo V del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Allo stesso modo, per quanto riguarda la Danimarca, anche questa si è avvalsa della clausola di non avvalersi delle misure adottate nell’ambito del titolo V, così come è stato stabilito nel Protocollo 22. A richiesta della Danimarca, il Protocollo 22 è accompagnato da un allegato che potrà sostituirsi alle disposizioni del Protocollo stesso qualora la Danimarca informi gli altri Stati membri, secondo le proprie norme costituzionali che non intende più avvalersi del Protocollo. L’allegato in questione riproduce in sostanza il Protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda ma quest’ultimo apre più ampie possibilità di accettazione delle misure dell’Unione di quanto faccia invece il

24 Il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, ha apportato ampie modifiche al Trattato sull'Unione europea e al Trattato che istituisce la Comunità europea.

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142 Protocollo per la Danimarca. Riguardo alla peculiare posizione di questi ultimi tre paesi, Regno Unito, Irlanda e Danimarca è necessario compiere una distinzione. L’Irlanda e il Regno Unito hanno deciso di partecipare all’adozione a buona parte delle misure che sono state adottate in merito al diritto internazionale privato (Titolo V del Trattato sulla Comunità europea). Costituisce un’eccezione, la decisione del Regno Unito e Irlanda di non partecipare all’adozione del regolamento 650/2012 sulla competenza, legge applicabile ed esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo. La Danimarca ha invece deciso di non prendere parte a nessuna delle misure eccetto nel caso di uno speciale accordo tra la Danimarca e il Regno Unito.

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12.1 Il Regolamento Bruxelles I (44/2001)

Fino al 1999, l’unico strumento per la semplificazione delle formalità in merito alla reciproca ricognizione dei Trattati era costituito dall’articolo 293 del TCE che impone agli Stati membri di avviare fra loro negoziati per semplificare le formalità relative al riconoscimento e alla reciproca esecuzione delle decisioni giudiziarie e delle sentenze arbitrali. Agli Stati membri era concesso di andare oltre il mero dato normativo e stipulare tra loro convenzioni. L’articolo in questione è stato abrogato in seguito all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, così le future misure in merito alla sfera del diritto internazionale privato sono disciplinate dall’articolo 81 del TFUE. Il più importante strumento nella sfera del diritto internazionale privato è costituito dal Regolamento Bruxelles 1 che sostituisce la Convenzione di Bruxelles del 1968 e quella di Lugano del 1988. Il Regolamento in questione concerne la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale negli Stati membri dell'Unione europea. Dopo essere stato adottato dal Consiglio Europeo il 22 dicembre del 2000, è entrato in vigore il 1 marzo del 2002 per quattordici Stati membri ad eccezione della Danimarca e dal 1 gennaio del 2007 è stato esteso anche alla Bulgaria e alla Romania. Al momento dell'entrata in vigore, la competenza giudiziaria tra la Danimarca e gli altri Stati membri continuava ad essere disciplinata dalla convenzione di Bruxelles del 1968. Tale eccezione relativa alla Danimarca si basa sul Protocollo n. 5 sulla posizione della Danimarca del 1997, allegato ai Trattati UE (ora Protocollo n.22). Il 19 ottobre 2005, l’UE ha firmato un accordo con la Danimarca concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, che estende le disposizioni del Regolamento a tale paese. L'accordo è stato approvato in nome dell’UE con la decisione 2006/325/CE del Consiglio del 27 aprile 2006 ed è entrato in vigore il 1° luglio 2007. A norma del Protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell'Irlanda allegato ai trattati, questi due paesi hanno notificato che

intendono partecipare all'adozione e all'applicazione del Regolamento. Tale

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144 Amsterdam- della creazione di uno spazio giudiziario europeo civile, all’interno del quale la competenza è ripartita tra i diversi Stati membri secondo regole comuni e le decisioni rese in uno Stato membro circolano sul territorio comunitario più facilmente di quelle rese all’esterno della Comunità europea. Nel campo di applicazione del Regolamento n° 44/2001, si deve includere la parte essenziale della materia civile e commerciale, indipendentemente dalla natura dell’organo giurisdizionale. È invece esclusa la materia fiscale, doganale ed

amministrativa. 26Tra gli obiettivi primari del Regolamento vi è l’esigenza di

individuare a priori il giudice competente senza esame del merito della

controversia.Il Regolamento mira inoltre a garantire il riconoscimento automatico

di pieno diritto della decisione negli altri Stati membri e a snellire le procedure di esecutività in seguito ad un controllo meramente formale dei documenti prodotti.

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