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Leadholm et al., 2014)

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Academic year: 2021

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7. DISCUSSIONE

Per quanto ne sappiamo, questo è il primo studio che indaga la relazione tra sintomi psicotici e suicidalità in individui con disturbi dell’umore per mezzo di un approccio di spettro.

La maggioranza degli studi infatti, ha valutato la presenza di ideazione e/o comportamenti suicidari confrontando pazienti sulla base della presenza di sintomi psicotici quali deliri e allucinazioni, riportando risultati contraddittori (Akiskal e Benazzi, 2005; Song et al., 2012; Pawlak et al., 2013; Leadholm et al., 2014).

I nostri dati non mostrano significative differenze per quanto riguarda la suicidalità valutata con il MOODS-SR tra soggetti con disturbi dell’umore psicotici e soggetti con disturbi dell’umore non psicotici. In accordo ai criteri DSM-IV, la presenza di caratteristiche psicotiche è stata valutata rispetto alla presenza di deliri e/o allucinazioni.

Tuttavia, valutando il campione dello studio per mezzo dello strumento di spettro SCI-PSY, che include non solo sintomi tipici positivi come deliri e allucinazioni ma anche sintomi atipici, sottosoglia e manifestazioni negative, i nostri risultati suggeriscono che ulteriori dimensioni riguardanti lo spettro psicotico possono avere un significativo rapporto con la suicidalità lifetime.

In particolare le regressioni logistiche indicavano che la suicidalità lifetime è da correlarsi significativamente al dominio della Sensitività Interpersonale dello SCI-PSY sia nel campione globale sia nei sottocampioni di pazienti con o senza sintomi psicotici dell’umore. Inoltre, su pazienti con disturbi psicotici dell’umore è emerso un rapporto significativo tra suicidalità e il dominio Paranoide del SCI-PSY, mentre su pazienti senza disturbi psicotici dell’umore

è emerso un rapporto significativo con il dominio Schizoide.

Alcuni studi precedenti riportavano un collegamento tra suicidalità e Sensitività Interpersonale. In un campione di 1.986 reclute dell’Air Force è stato trovato che maggiori livelli di Sensitività Interpersonale distinguono gli

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individui che intraprendono condotte autolesive da coloro che non sono inclini a tali comportamenti (Klonsky et al., 2003). Engin e colleghi (2009) hanno trovato la Sensitività Interpersonale tra i fattori di rischio per i pensieri suicidi in un campione di 1.992 studenti del primo anno di università.

Coerentemente, in un campione non clinico di 312 soggetti, Gupta e colleghi (2013) riscontravano che la Sensitività Interpersonale risulta mediare la relazione tra l’insoddisfazione per l’aspetto fisico e le idee suicide.

Per quanto concerne i campioni clinici, Stepp e altri (2008) hanno valutato il rapporto tra stili di aggregazione e auto-lesionismo su 406 pazienti con un ampio range di disturbi mentali, sia di Asse I sia di Asse II, mettendo in rilievo che questo rapporto è discutibilmente mediato dalla Sensitività Interpersonale.

Un’ipotesi plausibile è che la Sensitività Interpersonale, rendendo gli individui inclini a sentirsi facilmente feriti o respinti, potrebbe indurli ad evitare di approcciare gli altri, creando in loro aspettative pessimistiche sull’esito dei loro rapporti interpersonali. Come conseguenza, questi soggetti potrebbero progressivamente sviluppare sentimenti di inadeguatezza personale e stati emozionali negativi quali la depressione o l’ansia.

E’ stato dimostrato che evitare gli altri e l’isolamento sociale possono essere associati a un incremento del rischio di suicidio (Yuryev et al., 2013; Seguin et al., 2014; Dell’Osso et al., 2015).

I nostri dati mostrano inoltre un rapporto tra il dominio Paranoide del SCI-PSY e la suicidalità su soggetti con disturbi dell’umore psicotici. A questo proposito, un incremento nei comportamenti paranoici è stato indicato come fattore di rischio per il suicidio su soggetti con schizofrenia (Saariner et al., 1999). Inoltre, il sottotipo schizofrenia paranoide è stato ripetutamente associato a un elevato rischio di suicidio rispetto ad altri tipi di schizofrenia (Candido et al., 2002; Fenton et al., 1997).

Tuttavia, per quanto ne sappiamo, il rapporto tra sintomi paranoici e suicidalità non è stato specificatamente valutato su soggetti con disturbi dell’umore.

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Al contrario, tra individui con disturbi dell’umore non psicotici, abbiamo trovato un rapporto tra suicidalità e il dominio Schizoide del SCI-PSY. Questo dominio analizza sintomi quali la mancanza di risonanza emotiva, con tendenza ad essere scarsamente emotivi e non romantici, la tendenza all’essere isolati che è tipica dell’autismo e dello schizoidismo e la religiosità, la superstizione, il pensiero magico e i pensieri bizzarri tipici del soggetto schizotipico.

Numerosi dati indicano che la comorbidità con disturbi di personalità di cluster A incrementa il rischio di suicidio in pazienti con diversi disturbi mentali inclusi i disturbi dell’umore (Leverich et al., 2003; Bolton et al., 2010;

Teraishi et al., 2014). D’altro canto, dati crescenti indicano che i tratti autistici possono rappresentare un fattore di rischio per il suicidio e aumentare la probabilità di intraprendere comportamenti suicidari dotati di un maggior grado di letalità in pazienti depressi (Kato et al., 2013; Takara e Kondo 2013).

Tale letteratura risulta coerente con recenti dati che indicano che i soggetti che commettono tentativi quasi fatali di suicidio mostrano una significativa bassa apertura verso gli altri, più tendenze schizoidi e più sentimenti di isolamento e difficoltà di comunicazione rispetto a coloro che compiono tentativi di suicidio che non comportano serie conseguenze mediche (Horest et al., 2012; Levi- Belz et al., 2014; Gvion et al., 2014).

Possiamo supporre che soggetti con sintomi dello spettro autistico e quelli con tratti schizoidi o schizotipici condividano esperienze di problemi interpersonali, mancanza di intimità e isolamento sociale (Dell’Osso et al., 2015). Tali sintomi, generalmente presenti sin dall’infanzia, portano a difficoltà nell’avere un supporto sociale e riducono la resistenza individuale agli eventi stressanti della vita (Dell’Osso e Dalla Luche, 2015), aumentando sentimenti di impotenza e di disperazione e, in definitiva, dando il via a pensieri e comportamenti suicidari.

Alcuni limiti del presente studio meritano di essere inclusi nell’interpretazione dei nostri risultati.

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Primo, il non aver incluso la valutazione della comorbidità di Asse II ci ha impedito di valutare il possibile impatto di un disturbo di personalità sui punteggi riportati allo strumento che valuta i sintomi dello spettro psicotico.

A questo riguardo, è opportuno precisare che il progetto dello studio originale non era volto a valutare la relazione tra suicidalità e le dimensioni dello spettro psicotico.

Secondo, la suicidalità è stata analizzata solo per mezzo di uno strumento di auto-valutazione (MOODS-SR), invece che per mezzo di una etero- valutazione clinica, motivo per il quale i dati riguardanti la suicidalità potrebbero essere considerati meno accurati. Tuttavia, alcuni dati della letteratura indicano che l’auto-valutazione della suicidalità ha un’affidabilità maggiore rispetto alla etero-valutazione, e che potrebbe addirittura essere utilizzata come fonte primaria di informazione sulla suicidalità (Joiner et al., 1999; Dell’Osso et al., 2009b; Stratta et al., 2012).

Terzo, questo è uno studio retrospettivo in cui l’utilizzo di strumenti lifetime, come lo SCI-PSY, non permette di stabilire se i sintomi psicotici precedono, seguono o compaiono contemporaneamente all’ideazione suicidaria.

Quarto, l’esclusione di individui con malattie gravi e disturbi neurologici possono aver dato una sottostima della suicidalità in pazienti con disturbi dell’umore.

Nell’ambito di questi limiti, i nostri dati riportano una significativa associazione tra suicidalità e alcune dimensioni appartenenti allo spettro psicotico in pazienti con disturbi dell’umore con o senza caratteristiche psicotiche secondo il DSM-IV.

I nostri risultati, pertanto, suggeriscono l’utilità potenziale dell’uso di un approccio di spettro nella valutazione dei fattori di rischio per il suicidio.

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