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2 A Larderello si produce il 10% dell’energia geotermica mondiale

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Academic year: 2021

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CA P I T O L O 7 – LI N E E G U I D A P E R L A R I N C O V E R S I O N E D E I V I L L A G G I E Q U A R T I E R I O P E R A I

7.1 La situazione dei villaggi e quartieri operai oggi

Nei capitoli 2, 3 e 4 è stata fatta una descrizione di alcuni villaggi e quartieri operai, costruiti durante la prima fase dell’industrializzazione, che si trovano in Europa e in Italia. Si è visto come, nella maggior parte dei casi, le attività produttive che avevano dato origine ai vari insediamenti sono, in tempi diversi e per motivazioni spesso legate a problemi economici1, cessate.

In Italia, Larderello è uno dei pochi villaggi rimasti ancora attivi che basa la sua economia sulla presenza dei soffioni boraciferi, oggi sfruttati per produrre energia geotermica2, ma, in larga parte, gli insediamenti industriali hanno perso la loro connotazione d’origine e si sono trasformati in semplici aree residenziali non più legate ad un’industria. Nel momento in cui viene meno la fabbrica, e con essa la figura dell’industriale paternalista, si assiste al decadimento di questi agglomerati urbani, perché vengono a mancare, oltre ai mezzi di sussistenza, tutte quelle strutture di welfare promosse dall’imprenditore per controllare i propri dipendenti.

Nel tessuto urbano, questi episodi sono ancora riconoscibili e identificabili in maniera abbastanza precisa e netta, perché sono caratterizzati da un disegno rigido che si articola secondo un sistema di maglie ortogonali definite dagli assi viari, dalla presenza di aree industriali e sono collocati in prossimità di corsi d’acqua.

In alcuni casi, la lungimiranza delle amministrazioni locali ha permesso che questi luoghi mantenessero la loro integrità e caratteristiche, diventando così modelli esemplari di realtà industriali ottocentesche, come è accaduto, ad esempio, per Bourneville in Gran Bretagna e per il Villaggio Leumann in Italia, dove le municipalità hanno tutelato con apposita legislazione gli edifici residenziali e le strutture ad essi connesse3.

L’ottimo stato di conservazione ha elevato alcuni villaggi operai a Patrimonio Nazionale UNESCO, come nel caso di New Lanark, Saltaire, Grand Hornu e Crespi

1 Le cause possono essere crisi finanziarie a livello generale oppure cattive gestioni, ma anche necessità di ingrandire gli spazi produttivi.

2 A Larderello si produce il 10% dell’energia geotermica mondiale.

3 Si vedano i paragrafi 2.3.4 e 3.4.3.

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d’Adda, tanto per citare alcuni esempi, e questo ne ha consentito la riconversione in luoghi turistici, meta ricercata per gli appassionati di archeologia industriale.

Naturalmente si tratta di eccellenze e quindi di situazioni isolate e sporadiche. Ma cosa ne è stato di analoghi insediamenti meno noti o comunque meno rappresentativi nel panorama nazionale, come ad esempio quelli descritti che si trovano nel territorio comunale di Lucca?

Nel caso di alcuni quartieri, questi sono stati assorbiti completamente dalla città o dal borgo limitrofo, perdendo in parte la loro caratterizzazione. Il riferimento è, ad esempio, alle strutture realizzate a Lucca da Balestreri, che sono state totalmente inglobate nel paese di Ponte a Moriano, che nel tempo si è espanso, o a quelle, sempre a Lucca, della Cucirini Cantoni Coats, sin dall’inizio già parzialmente inglobate nel tessuto edilizio preesistente. In questi due casi la testimonianza più forte è rimasta quella delle fabbriche, che non hanno subito sostanziali cambiamenti rispetto alla loro edificazione e sono ancor oggi riconoscibili e apprezzabili per le loro qualità architettoniche, che denunciano l’epoca in cui sono stati costruiti.

Il problema che si riscontra, invece, per il Piaggione non è la perdita di identità del luogo dal punto di vista urbanistico e architettonico, perché non sono state fatte modifiche invasive all’impianto originale dell’insediamento, quanto piuttosto la mancanza di una specificità della zona, che, con la chiusura della fabbrica, si è trasformata ormai in un quartiere dormitorio, tagliato in due dalla strada statale 12 del Brennero che ne aveva sancito la nascita.

7.2 Il “volume zero” e la rigenerazione urbana sostenibile

«Non c’è dubbio che, prima di consumare nuove porzioni di territorio, bisogna indirizzarsi verso la ristrutturazione e la riqualificazione delle aree dismesse; è però anche vero che bisognerebbe considerare, in questo caso, la necessità di interventi di demolizione e ricostruzione»4.

Il tema del “volume zero”, inteso come recupero dell’esistente in contrapposizione alla realizzazione di nuove edificazioni su terreni incontaminati, è un argomento molto attuale e dibattuto, legato soprattutto alla questione della sostenibilità ambientale.

Il consumo di suolo fa sì che ogni giorno ettari di terreno siano destinati ad edificazione di varia natura, in obbedienza a una logica di sviluppo che non trova, in realtà, alcuna giustificazione nelle reali necessità del nostro corpo sociale, ma solo nella soddisfazione del meccanismo di speculazione finanziaria. La crescita indiscriminata dei consumi determina quella di energia, causando, oltretutto, una serie di problemi legati allo smaltimento dei rifiuti e dei materiali non riciclabili.

Anche Renzo Piano, durante Eurocities5 2011, si è occupato della questione del consumo di territorio, affermando che: «È tempo di costruire sul costruito, di

4 Tamassociati, Vivere insieme. Cohousing e comunità solidali, 42.

5 Eurocities è un’organizzazione fondata nel 1986 dai sindaci di sei grandi città europee (Barcellona, Birmingham, Francoforte, Lione, Milano, Rotterdam) e comprende oggi 140 città in più di trenta

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riqualificare l’esistente, di non consumare più suolo. […] L’idea antica, che non si butta via niente […] ha a che fare con l’idea di parsimonia, non con quella di avarizia. Non sprecare spazi è una grande qualità. […] Le città europee non devono più crescere per esplosione urbana, ma per implosione. Non possono continuare a mangiare territorio, non possono continuare a esplodere. […] L’esplosione delle città è già avvenuta nel Dopoguerra. Siamo nel secolo nuovo, è evidente che non si può continuare a costruire nuove periferie, spesso desolate e con costi sociali enormi»6.

La consapevolezza che le risorse naturali disponibili non sono infinte ci porta a riflettere sul loro utilizzo: per poterle tramandare alle generazioni future, dobbiamo dosarle e questa considerazione, in campo edilizio, sta portando verso una nuova gestione degli spazi costruiti dismessi o abbandonati. Il loro recupero e la loro riqualificazione, infatti, consentono di non dover consumare ulteriormente suolo per aggiungere nuova cubatura edilizia a quella già esistente.

Purtroppo “costruire nel costruito” è un processo decisamente più complesso rispetto all’edificare su aree libere fabbricabili, perché ci si trova ad operare in un contesto definito, che ha già una sua precisa connotazione e soprattutto una storia alle spalle, per cui, quando si va ad intervenire su queste aree, spesso si hanno due opzioni, entrambi verosimili: da un lato, c’è la possibilità di modificare edifici o spazi architettonici per riportarli ad uno stato di possibile utilizzo e, talvolta, ad una nuova destinazione funzionale, ma dall’altro c’è anche la possibilità di demolire le costruzioni esistenti, per sostituirle con altre più efficienti, soprattutto in termini energetici e funzionali, optando così solamente per un recupero della cubatura presente.

Non esiste una ricetta valida in assoluto per ogni circostanza e per ogni contesto territoriale. I metri cubi, di per sé, non sono né buoni né cattivi, ma è importante impegnarsi a non aumentare le quantità complessive di volume edificato e possibilmente eliminare le volumetrie inutili, quelle mal pianificate o mal progettate, quelle dannose dal punto di vista ambientale o paesaggistico, attuando operazioni di recupero e riconversione, quindi trasformando i tessuti esistenti.

L’obiettivo del “volume zero” è limitare al massimo i nuovi impieghi di suolo a fini insediativi e infrastrutturali, consentendo queste operazioni esclusivamente qualora non sussistano alternative di riutilizzazione e riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti, non certo il congelamento dello stato dell’edilizia allo status quo, perché non avrebbe senso, considerando che il territorio, il paesaggio, persino le aree rurali sono il frutto di un continuo divenire per opera dell’uomo.

Il principio di riduzione del consumo di suolo non è certo una novità di questi giorni: già la Legge Regionale Toscana 1 del 2005, che risale ormai a 11 anni fa, è incentrata sul contenimento delle risorse e orientata al recupero e alla

stati europei. Eurocities si occupa di portare all’attenzione dell’Unione Europea le necessità delle città in ambito economico, politico, sociale e culturale.

6http://genova.repubblica.it/cronaca/2011/11/03/news/l_appello_di_renzo_piano_costruire_sul_cost ruito-24351330/

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riqualificazione di aree degradate e dismesse. Questo non si significa che non si costruisce più, ma che lo si fa in maniera consapevole, sfruttando potenzialità già disponibili.

A proposito di recupero dell’esistente, si sente sempre più spesso parlare di

“rigenerazione urbana sostenibile”, intendendo con questa espressione l’insieme delle operazioni volte alla valorizzazione di parti della città attraverso interventi che non riguardano solo il rinnovamento edilizio mirato al raggiungimento di elevate prestazioni energetiche, indirizzate all’azzeramento di emissioni di CO2, ma soprattutto la riorganizzazione dei luoghi pubblici attraverso, ad esempio, interventi sulla mobilità che mirano a separare percorsi pedonali e veicolari, favorendo spostamenti in bicicletta o a piedi, e ad incentivare l’utilizzo dei mezzi pubblici di trasporto.

Rigenerare vuol anche dire arrestare il consumo di nuovo territorio, densificando alcune zone solo a fronte della liberalizzazione di altre aree urbanizzate, da convertire in luoghi di aggregazione e servizi, in grado dare un ordine alle periferie e trasformale, da spazi marginali, in luoghi integrati nel tessuto edilizio e sociale della città.

Nell’ambito di operazioni di rigenerazione urbana, si riqualificano e ristrutturano costruzioni ormai prive di valore, ponendo attenzione alla qualità edilizia e architettonica degli interventi e agli standard innovativi in campo energetico, tecnico e ambientale. Questi piani di riqualificazione e ristrutturazione di edilizia residenziale si accompagnano alla realizzazione di infrastrutture, di aree per il commercio, di spazi adibiti a verde e di parcheggi, così da riportare a nuova vita non solo le architetture ma anche i luoghi.

«Rigenerare una città non significa solamente intervenire sugli aspetti estetici del paesaggio urbano, ma usare l’architettura come indicazione di una trasformazione più profonda e radicale in grado di riportare l’uomo al centro di tutte le riflessioni. È importante ricordarsi che il progetto deve farsi interprete del modo in cui le persone si muovono e si relazionano tra loro e nei confronti degli spazi che abitano.

Rigenerare significa continuare a trasformare il territorio, lavorando soprattutto negli spazi tra le cose e conferendo senso di appartenenza al principio di spazio collettivo. È lo spazio tra le cose il motore di ogni processo rigenerativo di qualità, poiché unico elemento su cui riporre le certezze per il domani. Il mondo è cambiato e nell’urbis non ci si stanzia più per l’eternità, ma in modo sempre più transitorio.

[…] La dimensione “ecologica” della città, cioè comprendere come abitare al meglio e qualitativamente luoghi e territori, deve divenire sempre più fondamento di ogni azione progettuale, in particolar modo negli spazi pubblici degradati, del verde delle aree tecnologiche e produttive abbandonate o dismesse, creando le condizioni affinché vengano reintegrate nel tessuto urbano e avviando la loro riqualificazione allo scopo di limitare la dispersione e la disaggregazione sociale. Se le nostre città, come modello abitativo stanziale, sono giunte alla fine di un ciclo,

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l’architettura ha il dovere di rendersene conto e prendersene cura facendosi carico di interpretare nuovi modi di essere città e quindi comunità»7.

Attraverso interventi di rigenerazione urbana sostenibile, si vuol dare un nuovo volto ad aree degradate e si vogliono renderle efficienti per molto tempo, rinnovando e riqualificando costruzioni e spazi pubblici, senza più consumare suolo, ma risparmiando energia, costruendo strategie coraggiose su temi complessi come il traffico e la gestione dei rifiuti, in un disegno a scala territoriale vasta, declinato in realizzazioni puntuali.

«La scommessa è integrare le grandi innovazioni del nostro tempo - la banda larga, l’interazione virtuale, gli spostamenti intercontinentali - con elementi che solo in apparenza sembrano d’altri tempi, come il micro scambio, le banche del tempo, il chilometro zero, persino il baratto. Nella rete mondiale di nodi urbani di un sistema complesso rinasce la necessità della piccola comunità, dell’unità di vicinato capace di integrare e mediare. Anche questa sarà rigenerazione, la capacità di coniugare il lontano e il vicino, i movimenti sociali via twitter e gli orti urbani di quartiere. Il disegno di un progetto così complesso necessita di una grande varietà di autori e competenze e di vera capacità di sintesi»8.

Per attuare questo tipo di interventi è necessaria un’azione sinergica coerente con le strategie comunali e intercomunali finalizzate al miglioramento delle condizioni urbanistiche, abitative, socio-economiche, ambientali e culturali degli insediamenti umani e mediante strumenti di intervento elaborati con il coinvolgimento degli abitanti e di soggetti pubblici e privati interessati.

7.3 Perché riconvertire villaggi e quartieri operai secondo il modello del cohousing

Nel precedente paragrafo si è visto che il suolo è una risorsa limitata, in larga misura non riproducibile, non solo per quantità, ma anche e soprattutto per specificità: se una certa porzione di terreno è utilizzata consapevolmente, definendone l’assetto in funzione di un progetto di territorio qualitativo, sostenibile, capace di bilanciare efficacemente interessi inevitabilmente contrapposti, si è di certo operata la migliore scelta possibile e dal punto di vista dell’interesse pubblico, quella risorsa è stata correttamente utilizzata e non banalmente consumata.

Questo ragionamento vale sia per i suoli disponibili in aree già urbanizzate e trasformate che, a maggior ragione, per il territorio extraurbano. In questa chiave di lettura va da sé che molto spesso la più corretta utilizzazione della risorsa suolo è quella dettata da ineludibili esigenze di tutela ambientale e/o paesaggistica (il consumo zero) mentre altre volte la scelta più giusta è legata ad esigenze di recupero o di rigenerazione urbana, o, altre ancora, alla realizzazione di una nuova

7AndreaBoschetti; Michele De Lucchi; Leopoldo Freyrie; Giovanni Furlan, Superurbano. Sustainable urban regeneration (Venezia, I: Marsilio, 2011), 19-20.

8Leopoldo Freyrie, “Rigenerazione Urbana Sostenibile,” Architettura e città, no. 7 (Luglio 2012): 71.

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infrastruttura, di un parco territoriale, di un intervento di edilizia sociale in aree a forte tensione abitativa.

In Italia, il patrimonio edilizio inutilizzato è considerevole e il suo recupero e la sua valorizzazione rappresentano una sfida difficile ma anche una straordinaria opportunità di rigenerazione per molte aree del paese. La disponibilità crescente di spazi è generata principalmente da processi di deindustrializzazione e di delocalizzazione produttiva, ma anche dalla necessità di riconversione di infrastrutture pubbliche9 e di riattivazione di spazi pubblici mal progettati o scarsamente valorizzati all’interno di città sottoposte a una crescente esclusione sociale e urbana, rese ancora più acute dalla crisi economica. In questo quadro si stanno diffondendo esperienze di rigenerazione urbana e innovazione sociale fondate sul coinvolgimento attivo degli abitanti.

Spesso, nel caso di aree industriali, il centro del progetto di recupero è lo stabilimento produttivo, che per la sua natura si presta bene, ad esempio, ad essere riconvertito in spazi espositivi e per allestimenti museali. Questa scelta è giustificata dal fatto che si tratta delle attività più versatili da inserire in ogni tipo di edificio, ma non esiste una funzione più o meno adatta: tutto si basa sulle condizioni al contorno, cioè sul contesto. Ad esempio, se si considera un complesso industriale, ci saranno edifici in ottimo stato di conservazione e altri invece in pessimo stato. Potrebbero esserci edifici di alto valore architettonico e costruttivo, mentre altri potrebbero essere stati aggiunti e realizzati in un secondo momento ed essere lontani quindi dal progetto originale. Ovviamente, il recupero non prende in considerazione solamente il fabbricato, ma l’intera area dove esso si colloca.

Ciononostante non è facile trovare un piano generale di recupero che riguardi non solo lo stabilimento produttivo ma anche le strutture ad esso connesse, quali possono essere quelle presenti in un villaggio o quartiere industriale. Da questa considerazione nasce l’idea di gettare le linee di guida per la rigenerazione di aree industriali comprensive di fabbriche, residenze e servizi, così da valorizzare un’intera area nel suo complesso e non un solo edificio, seppur mettendolo in relazione con il suo contesto.

Il Villaggio Leumann, ad esempio, rappresenta un caso virtuoso. A partire dal 1972, con la crisi tessile torinese e la cattiva gestione degli eredi, il cotonificio inizia la sua decadenza e si sviluppa un acceso dibattito per difendere l’insediamento da mire speculative. Il complesso riesce a salvarsi grazie all’intervento del Comune di Collegno, attualmente proprietario degli edifici, che procede all’assegnamento delle abitazioni vuote per mantenere in vita il villaggio. Nel 2007 si assiste alla chiusura definitiva dell’azienda che ne aveva promosso la nascita, ma il villaggio ha ormai trovato una sua identità, a metà tra un museo a cielo aperto e un “normale”

insediamento residenziale. Stessa sorte per Crespi d’Adda, Patrimonio UNESCO, che negli ultimi mesi è tornato alla ribalta delle cronache per la polemica legata al fatto che l’industriale Antonio Percassi10 voglia trasformare le fabbriche dismesse nel quartier generale della holding di sua proprietà, l’Odissea Srl. Da un lato, c’è chi ritiene che il piano proposto da Percassi sia invasivo e poco coerente con la storia

9 Ad esempio, caserme, edifici scolastici, tribunali.

10 Antonio Percassi (1953), è un ex-calciatore, dirigente sportivo e industriale.

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del luogo, dall’altra c’è chi ritiene che l’imprenditore bergamasco sia l’unico in grado di salvaguardare una ricchezza storica del territorio11.

A Larderello, invece, si sta tentando un’operazione diversa, cioè quella di ripopolare il villaggio e di rilanciare il territorio non solo da un da un punto di vista residenziale, ma anche sociale e culturale attraverso la vendita di 25 abitazioni a condizioni economicamente favorevoli, grazie all’accordo stilato tra il Comune di Pomarance ed ENEL Servizi12, proprietaria degli immobili.

Che cosa accade, però, nei casi di villaggi e quartieri operai che non hanno l’importanza e soprattutto la riconoscibilità di questi casi eccellenti? In queste circostanze, la situazione è notevolmente diversa, come si rileva al Piaggione. Qui sono numerose le denunce di stato di abbandono da parte delle autorità comunali, non tanto riguardo alla gestione delle residenze, quanto alla decadenza di spazi e servizi collettivi e pubblici e delle infrastrutture. Alcuni edifici della fabbrica, acquistata nel 2007 da un’industria cartaria13 dopo anni di abbandono, sono stati in parte recuperati, ma altri si trovano in condizioni precarie e necessitano di un intervento di ristrutturazione o, eventualmente, una demolizione. Proprio in casi come questi, un progetto di rigenerazione urbana sostenibile che riguardi l’insediamento nel suo complesso, quindi comprensivo degli spazi residenziali, produttivi e collettivi, unita all’impiego del modello abitativo del cohousing, potrebbe portare alla rinascita del luogo e ad una sua nuova identità, pur mantenendo intatte le sue radici. Le potenzialità dell’area, proprio perché nata come villaggio operaio ottocentesco, ci sono, anche se nascoste e quindi dimenticate: basta pensare alla presenza della linea ferroviaria Lucca-Aulla, che consente l’utilizzo di mezzi collettivi per gli spostamenti, ma che al momento non è sfruttata a seguito della chiusura della stazione. C’è poi la presenza del fiume Serchio, che tramite un canale di derivazione alimentava i macchinari del cotonificio e che potrebbe essere sfruttato per produrre energia per l’intero insediamento, visto che la fabbrica non è più attiva. Altro fattore fondamentale è la vicinanza di boschi e colline e di un contesto ambientale e naturale di pregio, spesso ricercato da chi vuol fare esperienza di cohousing. Infine, un aspetto importate per chi fa cohousing, già presente in questo paese, è l’idea di comunità che unisce gli abitanti, per i quali l’associazionismo è un punto di forza: infatti, al Piaggione, sono presenti sia un gruppo sportivo (Gruppo Sportivo Circolo il Piaggione), sia un’associazione culturale (Associazione Culturale Arcobaleno).

Ci troviamo quindi di fronte ad un territorio ricco, che può essere rinnovato attraverso l’attivazione di risorse già presenti ma non utilizzate e che può crescere sia dal punto di vista economico che sociale che culturale.

11 A favore dell’intervento di Percassi c’è anche Maria Grazia Crespi Asquer di Flumini, classe 1928, pronipote diretta del fondatore del villaggio operaio, la quale ritiene il progetto l’unica occasione di rinascita possibile del villaggio industriale.

12 Il protocollo rientra nel progetto Rivivere Larderello, che negli anni scorsi ha consentito ai cittadini del territorio di acquistare, a condizioni particolarmente vantaggiose, numerosi alloggi di proprietà Enel. Il progetto iniziale ha visto un investimento di 7 milioni di euro da parte di Enel per le infrastrutture e un impegno importante del Comune per completare alcuni servizi essenziali, come il teleriscaldamento e offrire così condizioni ottime di vivibilità nel villaggio.

13 http://iltirreno.gelocal.it/lucca/cronaca/2015/03/30/news/torna-un-azienda-nell-ex-cotonificio- 1.11147018

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Il caso del Piaggione non è certo un caso isolato, in Italia esistono sicuramente analoghi esempi di villaggi e quartieri operai per cui può essere messa in atto una rigenerazione che preveda l’inserimento di residenze di tipo cohousing.

Perché proprio questo tipo di abitazioni?

I motivi principali sono, fondamentalmente, due: vivere in cohousing ha molti punti in comune con l’abitare in un villaggio o quartiere operaio, come ad esempio il senso di collettività dei residenti e la condivisione di spazi comuni e, inoltre, questo modo di vivere consente, in tempi di crisi come quelli che stiamo affrontando, di avere a disposizione alloggi e servizi con costi che sono sostenibili da più fasce di popolazione e che quindi sono appetibili per molti. Non secondaria in questi casi è, poi, la possibilità di ricorrere a fonti energetiche rinnovabili come l’acqua, che rende questi luoghi allettanti per le associazioni che si occupano di cohousing, molto attente alla gestione delle risorse e alla tutela dell’ambiente, che con il loro intervento possono dar nuovamente vita a questi centri in maniera contemporanea, proponendo valide soluzioni attuali.

7.4 Come riconvertire villaggi e quartieri operai secondo il modello del cohousing: le linee guida

Gli insediamenti industriali presenti nel nostro territorio hanno una storia:

non sono sempre stati come oggi li conosciamo, cioè musei a cielo aperto o aree degradate, secondo la fortuna cui sono andati incontro; in passato hanno rivestito un ruolo importante, erano centri produttivi che davano lavoro a molte persone, aumentando il benessere collettivo e, in generale, sono stati, piccoli o grandi che fossero, un punto di riferimento per il territorio in cui si trovavano.

Alla luce della ricerca fatta sui villaggi e quartieri operai e sul modello abitativo del cohousing, rielaborando le considerazioni effettuate in merito al recupero e alla valorizzazione di luoghi degradati secondo i principi del “volume zero” e della rigenerazione urbana sostenibile, di seguito si riportano le linee guida per la riconversione degli insediamenti industriali, divise per fasi.

L’obiettivo di queste linee guida è proporre una strategia per affrontare interventi di recupero volti alla riconversione di insediamenti industriali ottocenteschi, riducendo o eliminando le difficoltà che attualmente impediscono la diffusione di questi progetti di trasformazione urbana.

L’idea è che sia possibile favorire la divulgazione di questi interventi, a normativa vigente, attraverso la realizzazione progressiva di termini di riferimento per le buone pratiche, così da standardizzare le procedure di attuazione.

Condizioni essenziali alla strategia sono il perseguimento di progetti di trasformazione urbana convenienti per la collettività sul piano economico e sociale ed una definizione condivisa dei progetti fra attori istituzionali e portatori di interesse.

L’apertura ai processi decisionali inclusivi, cioè di impianto partecipativo, serve a ridurre l’imprevedibilità del processo decisionale, cioè a ridurre la probabilità che, a processo decisionale già avviato, compaiano nuovi attori imprevisti, o a ridurre l’impatto sul processo decisionale conseguente alla loro

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inattesa comparsa nel dibattito. È importante intervenire sul problema dell’incertezza e imprevedibilità del processo decisionale, senza indulgere a scorciatoie solo apparenti quali la riduzione degli attori del processo decisionale o dei tempi della procedura, costruendo un patrimonio di esperienze di riferimento, e adottando approcci decisionali inclusivi. Insomma: certezza sui tempi della decisione, prima che tempi brevi.

Fase conoscitiva

1. Individuazione dell’area (villaggio o quartiere operaio) su cui operare la riconversione: la prima cosa sicuramente da fare è andare alla ricerca di un insediamento industriale, appartenente alla prima fase dell’industrializzazione, che richieda un intervento di rigenerazione urbana, perché si trova in una situazione di degrado e/o abbandono, pur essendo ricco di potenzialità, perché queste non sono sfruttate adeguatamente.

2. Individuazione degli elementi riconducibili al villaggio o quartiere operaio ottocentesco: identificato l’insediamento, è opportuno, attraverso una ricognizione sul luogo, attraverso la consultazione di catasto e archivio storico, identificare le strutture che fanno parte, sin dalla fondazione, dell’insediamento industriale.

Verosimilmente, oltre alla fabbrica (che, nel tempo, è molto probabile abbia subito modifiche ed ampliamenti), si possono riconoscere residenze operaie, collettive (edifici a caserne) o singole (villette mono o plurifamiliari, fino ad un massimo di 4 nuclei) ed edifici ad uso comune e pubblico, come ad esempio, la chiesa, il teatro (spesso trasformato in cinema), la scuola e/o l’asilo (anche queste verosimilmente modificate per rispondere alle normative che nel tempo hanno subito modifiche), gli orti di pertinenza delle case operaie e altre strutture come quelle descritte al cap.

5.

3. Valutazione dello stato di fatto degli elementi identificati al punto 2:

trovati gli elementi caratteristici del villaggio, è opportuno valutare:

• le modifiche apportare rispetto all’impianto originale,

• lo stato di conservazione attuale,

• la proprietà degli edifici.

È doverosa una puntuale classificazione del patrimonio esistente, in funzione del valore storico, sociale ed economico dei manufatti e del contesto dei tessuti. Inoltre è importante accertare a chi appartengono edifici residenziali ed edifici ad uso collettivo, per programmarne un recupero e/o una rifunzionalizzazione plausibili.

4. Valutazione delle infrastrutture presenti: l’insediamento è in prossimità di strade statali, autostrade o della ferrovia? Ci sono piste ciclabili e marciapiedi per favorire l’uso della bicicletta e lo spostamento a piedi?

5. Ricerca degli strumenti urbanistici (a scala comunale e regionale) che consentono di conoscere le previsioni degli amministratori per l’area individuata:

prima di procedere cad un eventuale progetto di rigenerazione dell’insediamento, è opportuno conoscere le norme che lo regolano e la presenza di eventuali vincoli, come, ad esempio, quello idrogeologico o paesaggistico.

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6. Ricerca dell’esistenza di un gruppo di cohousing (locale o no) che possa essere interessato ad insediarsi nell’area scelta: se l’obiettivo è quello di inserire, nell’insediamento individuato, un cohousing, è fondamentale trovare subito un gruppo di persone da coinvolgere, perché la progettazione (sia essa nuova costruzione che ristrutturazione) richiede sin da subito la loro presenza, per definire insieme a progettisti, amministratori e a tutte le persone coinvolte nel processo, gli obiettivi da raggiungere. È opportuno che il gruppo di cohousers sia costituito da persone di età diversa ed estrazione culturale differente, per poter avere un apporto di più esperienze diversificate tra loro.

Alla fine di questa prima fase, in cui si valutano lo stato dei luoghi, le normative vigenti e si identifica un’associazione di cohousing da coinvolgere nel progetto, si passa alla seconda fase, quella propositiva, in cui, attraverso un processo di partecipazione, si individuano gli obiettivi di un possibile progetto e si procede con la redazione di un piano esecutivo e finanziario.

Fase propositiva

1. Creazione di un gruppo attraverso cui attuare un percorso partecipativo: la progettazione partecipata favorisce il processo di valorizzazione delle risorse umane a disposizione, non solo in campo economico e sociale, ma anche in quello organizzativo, gestionale e decisionale. Inoltre, il coinvolgimento di più attori, dal gruppo di cohousing, agli abitanti dell’insediamento, agli amministratori agli stessi progettisti, consente una buona diffusione e uno scambio di informazioni e conoscenze sulla realtà locale e la messa in campo di nuovi punti di vista. Perché funzioni correttamente, il processo di partecipazione deve essere fortemente strutturato ed affidato ad esperti della metodologia, per concertare il nuovo progetto da insediare nell’area insieme alla cittadinanza e gli attori locali.

2. Individuazione degli obiettivi da raggiungere, che possono essere:

• rendere riconoscibili i luoghi e restituire loro identità e memoria attraverso un progetto tarato sulle reali esigenze espresse dal contesto, mettendo a disposizione spazi e servizi comuni dove poter allestire eventi culturali, artistici e ludici, per consentire una maggiore socializzazione e valorizzazione dell’insediamento;

• recuperare e riqualificare il patrimonio immobiliare esistente attraverso interventi di bioedilizia, per contribuire sia alla rigenerazione delle aree degradate dell’insediamento, sia alla riduzione del consumo di suolo, stabilendo, caso per caso, se sia più opportuno recuperare l’edificio o la sua cubatura;

• valutare e localizzare gli interventi, oltre che delle parti residenziali, dei servizi, inserendo ad esempio spazi per il coworking, dei sistemi di mobilità, privilegiando il trasporto lento e la mobilità dolce, e delle aree verdi, differenziandole in spazi “contemplativi” e produttivi, quindi prevedendo l’inserimento di parchi e di orti urbani e/o sociali;

• orientarsi verso la sostenibilità, intesa sotto diverse sfaccettature: da quella ambientale, che valorizzi la riduzione dei consumi e l’efficienza

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energetica, a quella sociale, che migliori la qualità della vita degli abitanti, a quella economica, generata da principi di condivisione e dalla valorizzazione di buone pratiche;

• concepire lo spazio pubblico non come semplice elemento residuale dell’edificato subordinato al flusso della viabilità ma come elemento della qualità urbana progettato in funzione degli abitanti; in questo modo, rinnovamento edilizio e qualità urbana risultano essere operazioni con ugual peso nel processo di rigenerazione;

3. Redazione di un progetto preliminare e di un piano finanziario sulla base degli obiettivi programmati: individuati gli obiettivi da raggiungere, è necessario procedere con la graficizzazione degli interventi ipotizzati e con lo studio dei costi che le operazioni previste comportano. In questo stadio del processo, si può verificare una modifica rispetto agli obiettivi iniziali, dovuta alla valutazione economica, che può risultare troppo alta.

4. Redazione del progetto e del piano finanziario definitivo: dopo aver verificato la corrispondenza tra obiettivi da raggiungere e finanze disponibili, si procede con la redazione di due strumenti fondamentali per la realizzazione del recupero, cioè i progetti esecutivo e finanziario definitivi.

Gli obiettivi da raggiungere con la rigenerazione di sistemi urbani, mediante l’impiego di soluzioni sostenibili, devono essere coerenti con le strategie comunali e intercomunali finalizzate al miglioramento delle condizioni urbanistiche, abitative, socio-economiche, ambientali e culturali degli insediamenti.

Fondamentale, in questo processo, è l’utilizzo di strumenti di intervento elaborati con il coinvolgimento degli abitanti già presenti nell’area e di soggetti pubblici e privati interessati.

Fase attuativa

1. Redazione del progetto definitivo: siamo alla fase finale del percorso, in cui si procede con l’elaborazione del progetto esecutivo, del capitolato d’appalto e del computo metrico.

2. Definizione dei contratti per la realizzazione delle opere previste: si selezionano aziende e imprese che eseguiranno i lavori.

3. Esecuzione delle opere: una volta effettuata la scelta delle ditte che eseguiranno i lavori, si procede alla loro esecuzione.

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Bibliografia

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