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Introduzione

Il superamento della fenomenologia da parte di Lévinas è un’«oscillazione» continua, come è stato rilevato da Derrida, tra «la lettera e lo spirito dello husserlismo»1, interpretato secondo prospettive diverse e riletto attraverso lo specchio deformante dell’ontologia heideggeriana.

Il dialogo con la filosofia di Husserl è aperto alle contaminazioni e ai ripensamenti; i primi scritti sull’opera del filosofo tedesco sono studi di carattere accademico, animati dal proposito di far conoscere in Francia il pensiero fenomenologico.

Fin dalla tesi di dottorato, La teoria dell’intuizione nella fenomenologia di

Husserl, scritta negli anni ’30, il nostro autore individua la portata

rivoluzionaria della scienza husserliana, nel porre la domanda fondamentale sul «“senso” dell’essere»2.

Si tratta di un’approccio «eretico» ai temi delle Idee, che risente dell’influenza di Essere e Tempo. Lévinas riconosce due direzioni alla coscienza, una immanente, dell’andare verso di sé, tipica dell’epoché, e un’altra trascendente, rappresentata dal movimento dell’intenzionalità, del riferirsi ad altro. In un primo tempo si cerca una conciliazione tra le due tendenze, ma esse si rivelano irrimediabilmente opposte; una distinzione che resterà intatta nella riflessione matura di Totalità e Infinito.

1 J. Derrida, Violence et Métaphysique. Essai sur la pensée d’Emmanuel Lévinas, in «Revue de

Métaphysique et de Morale», 69, 1964, poi in L’écriture et la différence, Seuil, Paris 1967, tr. it.

La scrittura e la differenza, a cura di G. Pozzi, Einaudi, Torino 1971, p. 109.

2 E. Lévinas, La théorie de l’intuition dans la phénoménologie de Husserl, Alcan, Paris 1930, Vrin

1963, 1978, tr. it. La teoria dell’intuizione nella fenomenologia di Husserl, a cura di S.Petrosino, Jaca Book, Milano 2002, p. 8; d’ora in poi THI.

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2 Il saggio del ’40, L’opera di Edmund Husserl, testimonia l’atteggiamento ambiguo del filosofo lituano nei confronti dell’epoché: essa è valutata come affermazione della libertà del soggetto; ma negli scritti posteriori, si denuncia il solipsismo dell’io trascendentale e l’astrazione di un cogito che si rifugia in se stesso, annichilendo il mondo.

La preferenza è accordata all’intenzionalità, intesa come rinvio a una realtà ulteriore, fino a quando anche questo concetto è esposto alla critica, nel suo significato di «adeguazione»: di tensione verso l’altro che prevede, sempre, un ritorno allo stesso.

Il giudizio sull’opera di Heidegger risente della medesima ambivalenza: inizialmente l’autore di Sein und Zeit è lodato per aver risvegliato l’attenzione della filosofia alla sonorità del verbo «Essere»3, ma l’apertura dell’ente verso l’essere, nelle sue implicazioni più profonde, è considerata, a partire dai testi del dopoguerra, secondo il valore opposto di una chiusura inesorabile, in quanto il Dasein è «ciò che noi sempre siamo»4, un’identità che ci rende prigionieri di noi stessi (être rivé).

Lévinas sostiene la necessità di uscire dall’ontologia e di abbandonare il presupposto fenomenologico per rivolgersi ad Autrui, a ciò che l’io «non è» e che non può possedere come rappresentazione.

3 Id., Ethique et Infini. Dialogues avec Philippe Nemo, Fayard et Radio France, Paris 1982, Le

livre de Poche, Paris 1984, tr. it. Etica e Infinito. Dialoghi con Philippe Nemo, Città Nuova, Roma 1984, Città Aperta, Troina 2008, p. 60; d’ora in poi EI

4 Cfr. M. Heidegger, Sein und Zeit, «Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische

Forschung», VIII, 1927, tr. it. Essere e tempo, a cura di F. Volpi, trad. it. di P. Chiodi, Longanesi, Milano 2005, § 12, p. 73; d’ora in poi ET

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3 L’itinerario del pensatore lituano è stato paragonato a un’onda che si infrange sempre sulla stessa riva5, nello sforzo di misurarsi con i temi teorici del suo tempo; il tentativo ostinato di indagare sulla capacità della filosofia di restituire il senso dell’umano non si realizza, tuttavia, in un ritorno alle «cose stesse», ma nella volontà di andare oltre.

Lévinas intende aprire un varco nell’orizzonte del pensiero. Gli scritti inediti, redatti durante la prigionia, testimoniano la rilevanza attribuita alle parole che evocano il passaggio a una dimensione ulteriore: «Le pouvoir métaphorique des mots comme “au-delà”, “transcendant”, “à l’infini”, Dieu»6. Le riflessioni del nostro filosofo raggiungono un punto fermo, quando egli identifica l’oltre con l’altro, scorgendo in Autrui l’autorità in grado di comandare alla scienza una sensibilità nuova.

L’Infinito è l’idea che si avvicina di più ai limiti del concetto e che annuncia la presenza dell’alterità, spezzando il cerchio intenzionale, in quanto la noesi si rivolge a un noema incommensurabile: «Colui che pensa l’idea dell’infinito, è qualcosa di più di se stesso»7.

5 Cfr, J. Derrida, in La scrittura e la differenza, op. cit., p. 105-106, nota 1. Secondo Derrida lo

sviluppo dei temi in Totalità e Infinito «si svolge con l’insistenza infinita delle onde su di una spiaggia: ritorno e ripetizione, sempre, della stessa onda contro la stessa riva, in cui tuttavia tutto si rinnova e si arricchisce, riassumendosi ogni volta».

6 E. Lévinas, Carnets de captivité et autres inédits. Notes philosophiques diverses, I, Grasset &

Fasquelle, IMEC, Paris 2009, p. 267 ; d’ora in poi Carnets. Per una presentazione di questi testi di Lévinas, recentemente editi, vedi III.3.

7

Id., Riflessioni sulla “tecnica” fenomenologica, in Husserl, Cahiers de Royaumont, Philosophie n. III, Minuit, Paris 1959, poi in En découvrant l’existence avec Husserl et Heidegger, Vrin, Paris 1949, 2ª ed. aumentata 1967, 1994, tr.it. Scoprire l’esistenza con Husserl e Heidegger, a cura di F. Sossi, Raffaello Cortina, Milano 1998, p. 197; d’ora in poi EDE

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4 Lévinas, nel suo progetto anti-fenomenologico tenta di «portare il “di più nel di meno”»8, di arricchire la ricerca conoscitiva con la sovrabbondanza della metafisica e la metafisica con la grandezza dell’etica.

Vi sono state alcune epoche storiche, in cui la conoscenza filosofica ha mostrato la sua impotenza e la sua aridità. Davanti alla tragedia dell’Olocausto, il pensiero si è rivelato inerme; o, nel caso dell’adesione al nazismo di Heidegger, complice. Auschwitz ha sollevato la questione del male; di una colpa che gli intellettuali non hanno saputo «né evitare né comprendere»9. Gli anni del nazismo costituiscono la parte in ombra della riflessione del nostro filosofo, il non-detto, che continuamente ritorna, sotto le sembianze di una ricerca di evasione, che non si pone come puro

divertissement, ma come fuga in direzione di una responsabilità maggiore e di

una possibilità di salvezza.

La dedica di Altrimenti che essere riassume questa inquietudine: «A la mémoire des êtres les plus proches parmi les six millions d’assassinés par les nationaux-socialistes, à côté des millions et des millions d’humains de toutes confessions et de toutes nations, victimes de la même haine de l’autre homme, du même antisémitisme»10.

8

Id., De dieu qui vient à l’idée, Vrin, Paris 1982, 2ª ed. rivista e aumentata 1986, Le livre de

Poche, Paris 1995, p. 130, tr. it. della 1ª ed. Di Dio che viene all’idea, a cura di S. Petrosino, tr. it. di G. Zennaro, Jaca Book, Milano 1983, p. 105.

9 Id., Entre nous. Essais sur le penser-à-l’autre, Grasset, Paris 1991, Le livre de Poche, Paris 1993,

tr. it. Tra noi. Saggi sul pensare all’altro, a cura di E. Baccarini, Jaca Book, Milano 1998, p. 158; d’ora in poi EN. «Qui – ma anche negli eventi che si sono svolti dal 1933 al 1945 e che il sapere non ha saputo né evitare né comprendere – sta la ragione per la quale la mia riflessione si allontana dalle ultime posizioni della filosofia trascendentale di Husserl, o almeno, delle sue formulazioni».

10 Id., Autrement qu’être ou au delà de l’essence, Nijhoff, La Haye 1974, trad. it. Altrimenti che

essere o al di là dell’essenza, a cura di S. Petrosino e M.T. Aiello, Jaca Book, Milano 1983; d’ora

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5 L’umanità è stata ferita, annientata in modo sistematico, senza che nessuno abbia opposto resistenza. Lévinas si confronta con la verità dello sterminio di massa, di cui anche la sua famiglia è stata vittima e reagisce, proponendo una filosofia che riconosce l’altro uomo come un assoluto.

Autrui diviene legge, e in quanto tale, non può essere messo tra parentesi, non dev’essere né umiliato, né cancellato. «Vedere un viso è già udire: “Non ucciderai”, è udire: “giustizia sociale”. E tutto ciò che posso udire da Dio e attribuire al Dio invisibile, dev’essermi venuto attraverso la stessa e unica voce»11.

Alla responsabilità verso l’essere, inaugurata da Heidegger, si sostituisce un

nuovo compito etico. Questa scelta è condizionata dal sospetto che la Cura abbia fallito, che il «guardiano dell’essere» non sia stato in grado di fare da custode all’umanità. Il dramma di Auschwitz si è consumato perché l’uomo non ha saputo preservare la verità del volto del suo fratello, dando la precedenza ad altri valori.

L’avventura del pensiero ha mostrato i suoi limiti nel logocentrismo e nella fedeltà a un ego, che attribuisce intellegibilità al reale solo a partire dalla propria visione. Scrive il nostro autore: «Penso all’affermazione di Cartesio, secondo la quale il cogito può darsi il sole e il cielo; l’unica cosa che non può darsi è l’idea dell’Infinito»12.

La conoscenza è «per essenza una relazione con ciò che viene eguagliato e inglobato, con ciò di cui si sospende l’alterità, con ciò che diventa immanente,

11

Id., Difficile Liberté. Essai sur le judaïsme, Albin Michel, Paris 1963, ed. rivista e completa 1979, Le Livre de Poche, Paris 1984, tr. it. parziale Difficile libertà. Saggi sul giudaismo, trad. e introd. a cura di G. Penati, La scuola, Brescia 1986, p. 59; d’ora in poi DL

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6 perché è alla mia misura e alla mia portata»13. Il carattere irrapresentabile dell’infinito, che sfugge all’assimilazione, incarna, allora, una risorsa, per liberare il sapere dalla forma dell’appagamento e del dominio14.

«Nella conoscenza», conclude Lévinas, «c’è un impossibilità di uscire da sé»15. Il Dasein heideggeriano è invischiato in questo circolo vizioso, dove il senso dell’esserci è dato dall’essere: «Anche le scoperte più sorprendenti finiscono per essere assorbite, comprese, con tutto ciò che di “prendere” si trova nel “comprendere”»16.

In Essere e tempo, l’essere-con gli altri, il Miteinandersein, è un esistenziale costitutivo e preliminare; un dato ovvio. Il nostro autore, al contrario, traccia un percorso che dall’io procede alla scoperta dell’altro, seguendo l’iter husserliano della costituzione dell’intersoggettività.

Mentre Husserl, tuttavia, riscontrava nell’alterità un alter ego, un’altra

monade, Lévinas porta alle estreme conseguenze l’asimmetria del rapporto a

due: Autrui è un enigma. Non è un fenomeno di cui si può fare un’esperienza fenomenologica.

Se le Meditazioni cartesiane analizzavano la possibilità di costituire l’esperienza dell’estraneo all’interno della coscienza; il nostro filosofo sovverte questo risultato e descrive il collasso dell’esperienza e della

13 Ibid.

14 Id., La coscienza non intenzionale, in EN, p. 160. «Come se il pensiero pensasse secondo la sua

misura per il fatto di potere – in quanto incarnato – raggiungere ciò che pensa. Pensiero e psichismo dell’immanenza: della sufficienza a sé. È proprio questo il fenomeno del mondo: il fatto che nel percepire è assicurato un accordo tra il pensabile e il pensante, che il suo apparire è anche un darsi, che la sua coscienza è una soddisfazione, come se appagasse un bisogno. Forse è questo che Husserl esprime quando afferma una correlazione – che è la correlazione tra il pensiero e il mondo. Husserl descrive il sapere teoretico nelle sue forme più complete – il sapere oggettivante e tematizzante – come appagante la misura dell’intenzione, l’intenzionalità vuota che si riempie».

15 EI, p. 75. 16 Ibid.

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7 coscienza attraverso l’Altro. L’incontro con il volto altrui rappresenta il principio di una rottura, non con la fenomenologia, che resterà sempre un metodo filosofico valido; ma della fenomenologia17, come sistema di sapere auto-orientato e autosufficiente.

L’autore si domanda: «L’intenzionalità è l’unico modo della “donazione di senso”?»18. «Un pensiero a misura del pensatore, non è questo un truismo?»19. Una conoscenza che mira all’unità della coscienza è povera e atea, nel senso che ignora l’ineffabile fuori di sé.

Nell’opera matura di Lévinas, la carezza diviene il simbolo del superamento del movimento fenomenologico: è un’apertura che non tenta di ricondurre l’altro a sé, ma che indugia nell’infinito.

La carezza non sa cosa cerca; non esige la totalità dell’oggetto, ma entra in contatto con un mistero. Essa suggerisce una soggettività non più autoreferenziale e insensibile, ma infinitamente ricettiva e attenta all’appello dell’altro uomo.

Il nostro filosofo evoca, tramite un passo del Talmud, la dialettica dell’«essere se stessi» e dell’«essere per l’altro», due momenti insostituibili e complementari nella definizione dell’identità: «Se non rispondo di me, chi è che risponderà di me? Ma se rispondo solo di me, sono ancora io?»20.

Oltrepassare la soglia della fenomenologia significa conquistare un’attenzione verso ciò che non è riconducibile al soggetto. Lévinas è

17 Come è stato sottolineato da F. Oggero, nel saggio Lévinas: lo sfondamento etico della

fenomenologia, in I. Poma, Le eresie della fenomenologia. Itinerario tra Merelau-Ponty, Ricoeur e Lévinas, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1996, pp. 67-73.

18 EN, p. 161. 19 Ibid.

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8 influenzato dalla categoria ebraica dell’esodo: mettersi in viaggio verso una meta da raggiungere non per se stessi, ma per l’avvenire dell’Altro.

Occorre «rinunziare ad essere il contemporaneo del risultato, agire senza entrare nella Terra Promessa»21, per un’identità che non si misura a partire dal possesso, ma dall’accoglienza senza misura.

Un «partire per partire» che, sin dal testo dell’Evasione, si distingue dal «partire per tornare», tipico del solipsismo, che fa coincidere il punto d’arrivo con quello di partenza. Il superamento della fenomenologia, per Lévinas, è qualcosa di più profondo di una semplice disputa teoretica: rappresenta il «superamento della propria epoca, il superamento di sé che esige l’epifania dell’Altro»22.

In un mondo dove Dio si mostra assente e la violenza della storia annienta i riferimenti e i valori, il cogito non basta a indicare la via, solo la responsabilità può costituire una traccia per il futuro.

Questa tesi si propone di avvicinare il senso della ricerca di Lévinas mediante lo studio delle opere giovanili, scritte prima di Totalità e Infinito, mettendo in luce il dialogo con le fonti filosofiche e ricostruendo il tentativo di rifondare la filosofia attraverso l’incontro con un volto umano, concreto e metafisico, di cui il pensiero non può esaurire la meraviglia.

21 E. Lévinas, Humanisme de l’autre homme, Fata Morgana, Montpellier 1972, tr. it., Umanesimo

dell’altro uomo, a cura di A. Moscato, Il Melangolo, Genova 2009, p. 68; d’ora in poi HAH.

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