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(1)CONCLUSIONI Nel nostro Paese, l’ulteriore sviluppo e rafforzamento della previdenza complementare rappresenta di fatto una necessità

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Academic year: 2021

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CONCLUSIONI

Nel nostro Paese, l’ulteriore sviluppo e rafforzamento della previdenza complementare rappresenta di fatto una necessità. L’operazione di riequilibrio della spesa pubblica per le pensioni, attuata a partire dalle riforme degli anni novanta, insieme al delinearsi di tendenze demografiche particolarmente sfavorevoli, si sono tradotte in una progressiva riduzione delle prestazioni pensionistiche.

Il definitivo passaggio al sistema contributivo segnato con la riforma Fornero, con l’abbandono del metodo retributivo che elargiva assegni pensionistici del tutto scollegati con l’ammontare dei contributi versati, apre nuove scenari per i lavoratori che da soggetti passivi rispetto alla pensione erogata dall’INPS, dovranno imparare a prendere in mano il proprio destino previdenziale, divenendo sempre più soggetti attivi nell’ambito del controllo periodico del flusso contributivo, del riscatto degli anni del servizio militare o dell’Università, e non da ultimo, nell’auspicata scelta di una forma pensionistica complementare con la quale supportare la pensione pubblica di primo pilastro.

Nel nostro Paese, tuttavia, lo stadio di sviluppo del secondo pilastro pensionistico è ancora lontano dalla maturità; le prime esperienze di forme pensionistiche di nuova istituzione risalgono alla fine degli anni novanta e un consistente incremento di adesioni è avvenuto soltanto a seguito della riforma del 2005.

Alla fine del 2012 i dati forniti dalla Covip indicano che i lavoratori iscritti alle forme di previdenza complementare sono circa 5,8 milioni, pari ad un quarto dei lavoratori occupati, il che, tradotto in termini di risorse accumulate (più di 104 miliardi di euro) equivale al 6,7% del PIL. Alla luce delle tensioni che hanno interessato i mercati finanziari in questo periodo, e nonostante il contesto economico caratterizzato da una profonda crisi sia da un punto di vista produttivo, che occupazionale, la previdenza complementare ha continuato a mantenersi su un sentiero di crescita, seppur moderata, ottenendo un risultato che può ritenersi positivo. La crescita degli ultimi anni mostrato una preferenza

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rivolta ai piani individuali di tipo assicurativo, privi della contribuzione del datore di lavoro, a discapito delle forme ad adesione collettiva.

La fase di accumulo e quella di erogazione di un piano di previdenza complementare risultano essere strettamente correlate e interdipendenti.

Entrambi i momenti infatti, presuppongono delle scelte impegnative in capo all’iscritto, tra queste: l’adesione o meno al piano previdenziale, il livello di contribuzione, il profilo di investimento, la valutazione e il confronto dei costi, il ricorso alle anticipazioni e ai riscatti, la combinazione rendita – capitale; tutte scelte che comportano dei rischi che, in un sistema a contribuzione definita come quello italiano, gravano direttamente sugli aderenti.

Nella fase di accumulo carriere lavorative discontinue, unite a versamenti contributivi insufficienti, tendono a pregiudicare l’accantonamento al piano previdenziale di adeguate risorse finanziarie (in termini di ammontare) atte a generare una rendita pensionistica in grado di garantire un tenore di vita non lontano da quello in età lavorativa. In particolare, per le giovani generazioni giocano a sfavore della costruzione di una pensione complementare le diffuse condizioni di precarietà e il ritardato ingresso nel mercato del lavoro.

L’accumulo di un adeguato livello di ricchezza finanziaria all’atto del pensionamento costituisce una condizione necessaria, ma non sufficiente per garantire un idoneo standard di vita negli anni di pensionamento. L’appropriata definizione della fase di erogazione del montante accumulato, in termini di scelta della combinazione fra rendita e capitale, è fondamentale per consentire ai pensionati di usufruire di un reddito sufficiente nell’età anziana. La normativa infatti prevede che fino a un massimo del 50% del montante finale accumulato possa essere erogato in forma di capitale. Il ricorso al capitale se, da un lato, consente all’iscritto di ottenere un flusso di liquidità prontamente disponibile, dall’altro, lo espone al rischio di non poter disporre di sufficienti risorse per l’intera vita residua. D’altro canto la rendita costituisce invece uno strumento particolarmente adatto per soddisfare le esigenze di consumo che si manifestano nella vecchiaia.

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Nella gestione della previdenza complementare sarà sempre più necessario prestare attenzione alla fase di erogazione, finora meno considerata rispetto a quella di accumulo; solo i fondi pensione preesistenti erogano oggi, in proprio o tramite imprese di assicurazione, numerose prestazioni pensionistiche sotto forma di rendita, nei fondi negoziali e in quelli aperti l’erogazione di tali rendite ammonta a qualche centinaio di unità. Vi è, dunque, una netta preferenza degli aderenti per le prestazioni in forma di capitale, e le ragioni di tale scelta vanno principalmente ricercate nella sottostima della sopravvivenza e nell’insufficienza del montante accumulato ad assicurare una rendita pensionistica adeguata. Il permanere o l’accentuarsi di tale comportamento non risulterebbe coerente con il principale obiettivo della previdenza complementare: integrare la pensione di base.

L’invecchiamento della popolazione, evidenziato anche nella recente pubblicazione dei dati dell’ISTAT sulla struttura demografica italiana, sommandosi agli involontari periodi di inattività con i conseguenti vuoti contributivi, alle basse retribuzioni, ai tassi di crescita del PIL limitati o negativi, a un mercato del lavoro che si sta caratterizzando per una vera e propria esplosione della disoccupazione giovanile, nonché agli effetti dell’ultima riforma del sistema pensionistico, risalta la necessità di consolidare, irrobustire e rilanciare il sistema attraverso interventi volti ad evitare, in particolare alle generazioni di lavoratori più giovani, una vecchiaia di ristrettezze e con un tenore di vita molto inferiore rispetto a quello del tempo del lavoro.

La crescita della previdenza complementare è un’esigenza economico-sociale.

Le recenti analisi effettuate dalla Covip riportano che circa la metà dei pensionati italiani fruisce di una prestazione di primo pilastro inferiore ai mille euro.

Bisogna puntare fin da subito ad un più efficiente modello sociale che sostenga le giovani generazioni nella costruzione di percorsi di lavoro stabili e di condizioni per una terza età dignitosa. Di tale modello il sistema previdenziale è una componente di rilievo che deve assicurare nel contempo serenità ai meno giovani e certezze alle nuove generazioni. Il secondo pilastro previdenziale ne è elemento

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Il rilancio della previdenza complementare presuppone peraltro l’ impegno da parte del legislatore a colmare alcune carenze normative, delle fonti istitutive a ricercare di strumenti innovativi e funzionali allo sviluppo delle adesioni e delle contribuzioni, delle forme pensionistiche nelle scelte organizzative e gestionali volte alla trasparenza e alla tutela degli iscritti, e dell’Autorità di vigilanza a garantire la sana e prudente gestione degli operatori.

La sfida per il futuro sarà la copertura pensionistica di coloro che hanno storia contributiva discontinua o che hanno avuto contratti di lavoro atipici. Il nuovo scenario previdenziale necessita di informazioni puntuali per i lavoratori che sono intenzionati a costruire la propria pensione.

È necessaria un’attività di comunicazione e promozione dell’educazione previdenziale volta ad accrescere il più possibile le competenze e le conoscenze dei lavoratori in tali tematiche, al fine di trasmettere il messaggio di necessità di integrazione della pensione pubblica.

La predisposizione di differenti piani di comunicazione a seconda dei diversi target di riferimento (pensionati, lavoratori e giovani generazioni), nonché di differenti canali comunicativi con i quali veicolare il messaggio previdenziale, può, senza dubbio, favorire non solo lo sviluppo della cultura previdenziale, ma anche la crescita del settore.

Inoltre, ai fini dello sviluppo della trasparenza e dell’educazione previdenziale risulterebbe utile l’introduzione di uno strumento equivalente all’orange envelope ovvero “busta arancione”, presente già dalla fine degli anni novanta nel

sistema pensionistico svedese. In questo documento, oltre ad un riepilogo dei versamenti effettuati e del montante pensionistico accumulato, viene fornita una stima personalizzata della pensione di primo pilastro attesa al momento del pensionamento, permettendo così ai lavoratori di conoscere il livello di pensione che possono legittimamente attendersi alla luce della propria storia contributiva.

Una maggior trasparenza unita alla diffusione della cultura sia finanziaria che previdenziale farebbe emergere che spesso la pensione di base è insufficiente a coprire i propri bisogni, e stimolerebbe in futuro l’adesione alle forme pensionistiche complementari.

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A livello internazionale si evince che il sistema pensionistico complementare italiano è ben lontano dalle performance riscontrate in altri Paesi quali ad esempio Svezia e Olanda, in cui si registrano livelli di copertura intorno al 90%

degli occupati.

L’introduzione di meccanismi automatici di adesione alla previdenza complementare, seguendo l’esempio della Svezia, dove il sistema pensionistico prevede che una parte della contribuzione dei lavoratori (nella misura del 2,5%

del reddito) venga versata ad un fondo comune abilitato e investita nei mercati finanziari, o della Gran Bretagna, in cui è in vigore dall’ottobre 2012 l’automatic enrolment, possa definitivamente far decollare il settore anche nel nostro Paese.

A tal proposito, trovo sia necessaria una considerazione: lo sviluppo della previdenza complementare non può avvenire solo nell’ambito di un adempimento legislativo. Percentuali nell’adesione alla previdenza complementare sui livelli di quelle svedesi o olandesi verranno sicuramente raggiunte in futuro; il problema risiede nel riuscire ad ottenere livelli di adesione significativi il prima possibile, e non quando i lavoratori, preso coscienza di aver procrastinato troppo nel tempo la scelta di provvedere alla previdenza integrativa, avranno deciso di aderire nel tentativo di rimediare alle mancate scelte passate.

Le esperienze internazionali risultano certamente interessanti, e al di là delle considerazioni sull’effettiva replicabilità anche nel nostro Paese, forniscono validi spunti per il futuro.

In conclusione, accanto ad un’evoluzione delle regole di funzionamento del sistema pensionistico nel nostro Paese deve svilupparsi, di pari passo, una positiva cultura della previdenza in grado di sostituirsi alla convinzione che, per molto tempo, ha caratterizzato il tessuto lavorativo, che deve essere esclusivamente lo Stato a provvedere ai bisogni nell’età anziana.

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