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PARTE II EFFICIENZA ENERGETICA NEL RECUPERO DI EDIFICI DI INTERESSE STORICO

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Università di Pisa - Facoltà di Ingegneria - Scuola di Dottorato “Leonardo Da Vinci” Corso di Dottorato di Ricerca “Scienze e Tecniche dell’Ingegneria Civile”

Ing. S. Pasquali

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PARTE II

EFFICIENZA ENERGETICA NEL RECUPERO DI EDIFICI DI

INTERESSE STORICO

1. Efficienza energetica del patrimonio edilizio esistente: inquadramento comunitario, contesto italiano e dati aggiornati

Sono innumerevoli i risvolti di primaria rilevanza internazionale sottesi al tema dell’energia: sostenibilità dei consumi delle risorse naturali, garanzia di continuità di approvvigionamento, controllo delle emissioni in atmosfera e degli effetti climalteranti, sviluppo sostenibile e connessi temi etici, sociali, valori macroeconomici ed equilibri politici internazionali. La progressiva presa di coscienza della rilevanza e delle ricadute di livello sistemico che questi enormi valori producono sulle società e sugli individui ha portato verso una crescente attenzione alla tematica energetica, in parte ad una diversa sensibilità e forse, progressivamente, verso un differente approccio culturale.

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Quello che è indubbio è che, già da diversi anni, si assiste al tentativo dei paesi maggiormente sviluppati e delle forme di organizzazione ad essi sovraordinate di darsi regole e principi per indirizzare verso usi dell’energia maggiormente consapevoli, sostenibili, competitivi.

L’Unione Europea, da diversi anni, è impegnata ad affinare la propria politica energetica, nonché a produrre i provvedimenti conseguenti che indirizzano il lento processo di evoluzione del sistema delle regole dei singoli paesi membri, modificando progressivamente gli approcci degli stati nei diversi settori connessi agli usi energetici e favorendo l’adozione di obiettivi comuni.

La politica energetica U.E., formalizzata nel 2006 nel “Libro verde” della Commissione sulle strategie energetiche (COM(2006):105) e successivamente aggiornata in occasione della risoluzione del Parlamento E.U. del 3 febbraio 2009, “secondo riesame della politica energetica europea”, inquadra le problematiche di più ampio respiro, quali la sostenibilità energetica (sia nei confronti dell’ottimizzazione dell’utilizzo delle fonti che del contenimento delle emissioni climalteranti, che passa necessariamente attraverso l’efficientamento energetico), la competitività, la riduzione della dipendenza dalle importazioni da paesi terzi, la sicurezza rispetto alla continuità di approvvigionamento.

Gli obiettivi connessi alla politica energetica europea, sono oggi quelli del cosiddetto “pacchetto clima-energia 20-20-20”15, in un’ottica di continuità programmatica rispetto agli accordi sottoscritti nel 1997 con il Protocollo di Kyoto, che prevedeva a livello U.E. la riduzione entro il 2012 delle emissioni globali di alcuni gas serra rispetto ai valori dell’anno 1990 (baseline)16. Per l’Italia tale obiettivo comportava la riduzione delle emissioni di CO2eq

del 6,5% entro il 2012 rispetto al 1990.

15

Il “pacchetto clima-energia 20-20-20” è contenuto nella Direttiva 2009/29/CE; trattasi di un impegno volontario assunto dai paesi U.E. vincolante dal 2013 fino al 2020

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Segnatamente, con il Protocollo di Kyoto, i paesi U.E., Canada, Australia, Giappone, Cina e Russia si sono dati l’obiettivo di ridurre le emissioni dei principali gas riconosciuti in grado di “intrappolare” in atmosfera la radiazione termica, riflettendola verso la superficie terrestre ed impedendone la dispersione (c.d. “effetto serra”). Posto che buona parte della comunità scientifica è propensa a riconoscere nell’effetto serra la causa dell’innalzamento della temperatura terrestre e dei conseguenti effetti climatici (ad es. la Commissione Intergovernativa sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite, I.P.C.C., in “Fourth Assessment Report:

Climate Change 2007”, del febbraio 2007, riporta: “most of the observed increase in globally averaged temperatures since the mid-twentieth century is very likely due to the observed increase in anthropogenic greenhouse gas concentrations”), secondo il principio di precauzione, la scelta degli Stati aderenti al protocollo

è stata quella di impegnarsi in modo vincolante alla riduzione delle emissioni in atmosfera di alcuni gas serra prodotti dalle attività umane, o “GHG – Green House Gases”, nello specifico anidride carbonica CO2, metano CH4, protossido di azoto N2O, esafluoruro di zolfo SF6, idrofluorocarburi HFCs perfluorocarburi PFCs (questi ultimi sono gruppi di gas).

Il contributo all’effetto serra di ciascuno di questi gas è molto differente, funzione del valore assoluto di emissione, della capacità di trattenere calore, della durata della permanenza in atmosfera ecc.

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Tale obiettivo è stato raggiunto a livello U.E. e anche dal nostro paese17, tuttavia il pacchetto 20-20-20 rende ora gli obiettivi maggiormente stringenti rispetto a quelli previsti originariamente da Kyoto; con tale impegno gli stati membri, alla scadenza del 2020, dovranno:

- ridurre i consumi di fonti primarie del 20% rispetto alle previsioni tendenziali, mediante l’efficientamento energetico;

- ridurre le emissioni di gas climalteranti del 20% rispetto ai valori del 1990;

- portare al 20% complessivo la copertura del fabbisogno energetico (per gli usi elettrici, termici e per il trasporto) da fonti rinnovabili (20% medio a livello Europeo, per l’Italia l’obiettivo è fissato al 17%).

Mentre gli stati membri si attrezzano per introdurre all’interno dei propri ordinamenti i conseguenti strumenti, sono già stati definiti dalla Commissione Europea gli obiettivi al 2050, con l’adozione della Comunicazione del 15 dicembre 2011 – COM(2011):899, secondo una roadmap che prevede, in un’ottica di continuità rispetto alla tappa del 2020, la riduzione delle emissioni di CO2eq del 40% al 2030, del 60% al 2040 e dell’80% al 2050 rispetto ai valori del

1990, ed il Parlamento UE, anche in questi mesi, in ultimo con la Risoluzione del 14 marzo 2013, è impegnato nella definizione delle strategie necessarie al raggiungimento di tali obiettivi (in particolare richiamando all’esigenza di promuovere l’efficienza energetica nella ristrutturazione edilizia, la modernizzazione delle infrastrutture energetiche, la specializzazione regionale della produzione di energia da fonti rinnovabili).

In questo contesto il settore edile presenta una rilevanza strategica, come più volte affermato e ribadito dalla Commissione, responsabile, a livello europeo, del consumo finale di quasi il 40% dell’energia complessiva impiegata e del 36% delle emissioni di CO2 (valori

riportati in numerosi documenti e statistiche ufficiali, vedi ad es. COM(2011):109 – Piano di efficienza energetica 2011).

L’obiettivo di riduzione viene generalmente espresso in CO2eq, in sostanza riportando in termini di CO2 le emissioni degli altri gas serra considerato il contributo relativo di ciascuno rispetto all’effetto serra.

L’obiettivo U.E. complessivo di Kyoto risulta del -8% nel periodo 2008-2012 rispetto al 1990. 17

Secondo il rapporto “Approximated EU GHG inventory: early estimates for 2011”, già nel 2011 l’Europa a 15 aveva superato la quota di –8% di emissioni di CO2eq, raggiungendo quindi gli impegni assunti con Kyoto. Secondo il rapporto “Dossier Kyoto 2013”, di “Fondazione per lo sviluppo sostenibile” anche l’Italia, nonostante il ritardo iniziale rispetto ad altri paesi U.E., ha raggiunto nel periodo di riferimento 2008-2012 la quota complessiva di -7,1/7,3% di emissioni di CO2eq, superando quindi la quota obiettivo.

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Le Direttive europee all’uopo emanate sono numerose ed hanno introdotto a più riprese l’obbligo per i paesi membri di introdurre nei propri ordinamenti strumenti finalizzati all’efficientamento energetico delle costruzioni.

Il principale riferimento normativo, in tal senso, fu la ben nota direttiva 2002/91/CE Energy performance of buildings E.P.B.D., abrogata dal 01 febbraio 2012, nata con la finalità espressa di ridurre significativamente il consumo energetico a livello europeo nel settore edile, al fine di consentire la riduzione complessiva dei livelli di emissioni climalteranti secondo gli impegni assunti a livello internazionale con la sottoscrizione del protocollo di Kyoto.

Tale Direttiva ha rappresentato un importante passaggio, che ha sancito per gli Stati membri l’obbligo di dotarsi di strumenti nuovi per efficientare dal punto di vista energetico gli edifici sia dal punto di vista dell’involucro che dal punto di vista impiantistico, ovvero del sistema edificio-impianto.

Si introducono qui concetti che entreranno poi nel lessico comune di ciascuno stato, tra cui il nostro. Uno su tutti è il tema della “certificazione energetica”, che viene qui previsto (art. 7) per gli edifici di civile abitazione ed adibiti a terziario, o quello dell’obbligatorietà del controllo periodico del rendimento dei generatori di calore (artt. 8 e 9).

La direttiva E.P.B.D., attualmente abrogata, è stata sostituita, o meglio rieditata, dalla

Direttiva 2010/31/UE, che ne rappresenta un omologo aggiornato, che non stravolge i criteri

già definiti; ancora destinata al settore edile, cui la Commissione europea continua ovviamente a riconoscere una notevole incisività potenziale rispetto al contenimento dei consumi complessivi di energia, al fine di impiegare il mercato immobiliare come volano dell’efficientamento viene ora fatta maggiore leva sugli aspetti afferenti la convenienza economica delle operazioni inerenti il settore.

L’art. 4 sottolinea infatti come il livello di prestazione energetica degli edifici debba essere valutato in un’ottica costi/benefici, inquadrando maggiormente il contenimento dei consumi energetici in edilizia come possibilità di risparmio o investimento, al fine di presentare con più chiarezza al mercato, comunicare, esplicitare, quale potenzialità economica possa avere l’efficienza energetica. Questo al fine di rendere sistemici gli obiettivi di contenimento dei consumi energetici U.E. di cui alla politica energetica comunitaria con le leggi del mercato

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economico, facilitando la diffusione di una sensibilità e di una attenzione nuova a livello di masse.

La stessa Direttiva dimostra l’attenzione che pone agli aspetti comunicativi e di coinvolgimento delle masse degli utilizzatori finali allorquando impone, all’art. 12, l’obbligo di esplicitare sugli annunci di vendita o locazione immobiliare l’indicatore di prestazione energetica, onde favorire il riconoscimento all’indice di prestazione energetica medesimo di un valore concreto direttamente traducibile in termini economici, dato che si collega a quelle che saranno le spese connesse alla gestione dell’immobile, quindi in grado di indirizzare le scelte dell’acquirente/locatario. Anche di questi meccanismi ciascuno trova esperienza diretta nel proprio vissuto quotidiano.

La Direttiva 2010/31/UE impone inoltre l’obbligo che, entro il 31 dicembre 2020, tutti i nuovi edifici debbano essere costruiti secondo criteri di efficienza tali da consentire di inquadrarli nel novero dei cosiddetti "edifici a energia quasi zero", ovvero edifici molto efficienti energeticamente e in grado di produrre in loco una quota importante dell’energia necessaria per alimentarli (per gli edifici pubblici, la data del 31 dicembre 2020 è anticipata di due anni esatti, al 31 dicembre 2018).

Può essere interessante notare che rispetto alla Direttiva 2010/31/UE è attualmente in corso una procedura di infrazione verso l’Italia, motivata dalla sostanziale inadeguatezza e insufficienza, a parere della Commissione Europea, delle misure intraprese dall’Italia per il perseguimento degli obiettivi comunitari. Omologa procedura di infrazione venne avviata nei confronti del nostro paese nel 2006 per il recepimento della E.P.B.D..

Oltre alle Direttive inerenti l’efficientamento energetico, il settore edile è interessato a livello comunitario anche dalle disposizioni inerenti la promozione dell’uso di energia proveniente da fonti rinnovabili; in particolare il riferimento è la Direttiva 2009/28/CE, che relativamente agli edifici ed alla formazione degli strumenti di regolamentazione urbanistica ed edilizia, impone agli stati membri di introdurre livelli minimi di produzione di energia da fonti rinnovabili (art. 13).

Di recente introduzione è inoltre la Direttiva 2012/27/UE, del 5 dicembre, che tratta in particolare di edifici pubblici, ed impone, a partire dal 2014, la riqualificazione del 3% minimo all’anno della superficie degli edifici del Governo centrale di ciascuno stato, a

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cominciare dagli immobili più energivori con superficie superiore a 500 m2, per poi passare, dal 2015, ad estendere l’obbligo anche agli edifici con superficie superiore ai 250 m2.

In sintesi, a livello europeo, gli strumenti per imporre agli Stati membri un uso più razionale dell’energia riguardano in maniera importante il settore edile e concernono sia l’efficienza energetica degli edifici di nuova realizzazione, cui vengono imposti standards elevati, sia l’efficientamento energetico degli edifici esistenti (caratteristiche d’involucro, sistemi impiantistici), imponendo parallelamente che una quota di energia venga prodotta da fonti rinnovabili, il tutto sposando metodi comunicativi che consentano di trasferire alle masse la percezione del potenziale anche di tipo economico che l’efficienza energetica possiede nel settore edile.

A livello nazionale, in maniera non dissimile da quanto rilevabile a livello comunitario, il settore edile risulta tra le prime e più importanti cause di consumo energetico. Secondo l’ultimo Rapporto annuale Enea sull’Efficienza Energetica18 (pubblicato a dicembre 2012 su dati 2011), il consumo energetico per usi civili, imputabile agli edifici impiegati come abitazione o adibiti a terziario, impiega oltre un terzo del totale annuo dell’energia primaria consumata.

Secondo lo stesso rapporto, il consumo complessivo di energia primaria a livello nazionale (184,2 Mtep) vede una complessiva riduzione rispetto al corrispondente 2010, pari all’1,9% in meno, in parte riconducibile a fenomeni stagionali e in parte ad una tendenziale contrazione dei consumi legata alla congiuntura economica nazionale, ma anche come effetto di una tendenziale politica di efficientamento energetico che porta alla riduzione dei consumi complessivi.

Le fonti di approvvigionamento energetico più importanti continuano ad essere quelle tradizionali (petrolio e gas naturale), che percentualmente vedono tuttavia una contrazione in favore delle fonti rinnovabili (salite dal 12,2% del 2010 al 13,3% rispetto al totale), anche in questo caso come effetto delle politiche nazionali di incentivazione del loro utilizzo avutesi negli ultimi anni.

18

Rapporto Annuale Efficienza Energetica 2011 - a cura dell’Unità Tecnica Efficienza Energetica, edito da ENEA (ISBN: 978-88-8286-279-4)

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Figg. 1-2. A sinistra: energia primaria per fonte – a destra: energia primaria consumata per settore (fonte: Rapporto annuale Enea sull’Efficienza Energetica dicembre 2012)

E’ possibile operare una distinzione all’interno del settore edile tra usi residenziali e usi non residenziali (terziario).

Negli usi residenziali, il consumo energetico complessivo risulta molto variabile in relazione ad effetti stagionali, e la fonte primaria risulta il gas naturale, che vede un trend in crescita (dal 1990 al 2010 l’impiego di gas naturale per usi residenziali di riscaldamento, acqua calda sanitaria e uso cucina è cresciuto dal 44,7 al 54%, a scapito principalmente del gasolio il cui ruolo in quest’ambito si è ridotto nel ventennio anzidetto a valori sempre più marginali, anche in relazione alla diffusione delle reti di distribuzione del metano). La fonte secondaria risulta l’energia elettrica.

Tra gli usi residenziali, la quota di consumo energetico più importante è da ascriversi al riscaldamento (68%), seguono gli usi elettrici domestici (circa 17%), la produzione di acqua calda sanitaria (9%) e gli usi cucina (6%).

Con usi non residenziali si intendono gli edifici adibiti a terziario: servizi, commercio, compresi gli edifici della pubblica amministrazione.

Per tali usi, i vettori impiegati sono quasi esclusivamente il gas naturale e l’energia elettrica, con una predominanza non molto marcata del primo (50,4%) sulla seconda (45,4%).

ENEA ha prodotto, con il Rapporto 2012 da cui sono stati estrapolati i dati di cui sopra, una stima che media la prestazione energetica dei diversi tipi di edifici non residenziali, che si ritiene utile riportare di seguito.

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Fig. 3: Consumo specifico di edifici ad uso terziario distinto per tipologia (stima) [in kWh/m2]

Complessivamente, nel settore civile, elaborando dati dell’ultimo Rapporto ENEA (fonte MiSE – anni 2000 – 2010), si ricava facilmente come il settore residenziale incida mediamente per il 58% sull’uso dell’energia complessiva, mentre il settore terziario incida per il rimanente 42%. All’interno degli usi residenziali il trend di variazione negli anni (2000-2009) mostra la predominanza dei consumi energetici per riscaldamento, con progressivo incremento dei consumi elettrici dovuto principalmente alla maggiore richiesta di energia per il raffrescamento estivo in particolare legata all’uso di apparecchiature elettriche per il condizionamento dell’aria.

CIVILE - Distribuzione dei consumi energetici del civile tra terziario e residenziale per fonte energetica (migliaia di tep) 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Totale consumi Civile 39.338 40.709 39.913 43.108 44.229 46.535 44.758 42.835 44.801 46.037 48.772 Residenziale 24.431 25.004 24.069 25.554 25.616 26.527 24.706 23.976 25.160 25.936 28.015 Terziario 14.907 15.705 15.844 17.554 18.613 20.008 20.052 18.859 19.641 20.100 20.757

RESIDENZIALE - Consumi energetici per fonte e per funzione d'uso (valori in migliaia di tep)

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 Totale consumi Residenziale 24.431 25.004 24.069 25.554 25.616 26.527 24.706 23.976 25.160 25.936 Riscaldamento 16.046 16.651 15.645 16.876 16.895 17.734 16.036 15.416 16.462 17.217 Acqua calda 2.829 2.727 2.662 2.724 2.664 2.677 2.502 2.394 2.444 2.472 Usi cucina 1.616 1.609 1.619 1.641 1.639 1.658 1.653 1.664 1.676 1.627 Usi elettrici obbligati 3.940 4.017 4.142 4.314 4.417 4.459 4.515 4.502 4.577 4.620

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Nel contesto europeo, gli edifici italiani presentano elevati consumi energetici; secondo dati di fonte EURIMA (European Insulation Manufacturers Association) anno 2001, i nostri edifici risultano mediamente più energivori della media europea di molti punti percentuali, collocandosi agli ultimi posti rispetto alla media europea per livelli di emissione di CO2 totale e pro-capite e per perdita di energia.

Fig. 4: Percentuale complessiva di CO2 emessa imputabile agli edifici nei paesi europei (EURIMA – 2001)

Fig. 5: Energia totale annua imputabile agli edifici nei paesi europei (EURIMA – 2001)

Le ragioni principali di tale gap sono da ritrovarsi nelle caratteristiche costruttive degli edifici italiani, che scontano una elevata vetustà, più elevata rispetto a quella mediamente riscontrabile nel resto d’Europa, e conseguentemente presentano tecnologie costruttive

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scarsamente efficienti dal punto di vista energetico, con involucri edilizi poco prestanti, spesso del tutto privi di isolamento.

Il trend di emissioni di gas climalteranti in Italia, CO2 in particolare (che risulta di gran lunga

il gas serra maggiormente emesso in atmosfera, con volumi pari al 97% circa in base a dati ENEA, mentre quantitativamente gli altri gas serra assumono valori percentualmente residuali) dopo aver evidenziato almeno dal 1995 al 2005 una progressiva crescita, ha conosciuto negli ultimi anni una flessione, rispetto alla quale gli aspetti congiunturali dell’economia nazionale e internazionale hanno giocato un ruolo non secondario.

Al 2012, risultano raggiunti gli obiettivi fissati con il protocollo di Kyoto, di riportare nel periodo 2008-2012 i livelli medi di emissioni in atmosfera di gas climalteranti sui livelli del 1990, riducendo del 6,5% le emissioni relative alla CO2, tuttavia a livello Europeo gli

obiettivi fissati sono stati non solo raggiunti, ma ampiamente superati, proprio a causa della generale contrazione dell’economia.

I nuovi obiettivi fissati per il 2020 e poi per il 2050 dalla politica energetica UE appaiono tuttavia particolarmente complessi da ottenere senza azioni significative da realizzarsi anche nel settore edilizio, che in Italia significano soprattutto ristrutturazione del patrimonio edilizio esistente, se da dati di fonte Istat il 78% degli immobili costruiti fino al 1957 risulta utilizzato a scopo residenziale o come uffici e terziario in genere.

Su elaborazione incrociata di dati Enea, Istat e Cresme, in Italia si stimano oggi circa 30 milioni di unità abitative. Dal 2 al 5% si trovano nelle classi energetiche migliori, A B e C, oltre il 55%, 16.639.801, sono state costruite prima del 1971, quindi prima di ogni legislazione in materia di contenimento dei consumi energetici degli edifici (Legge 373 del 1976, seguita alla crisi energetica del 1973 e avente avuto comunque scarsa applicazione), e ben 25.107.535, pari all’85% del patrimonio edilizio esistente, prima dell’entrata in vigore della Legge 10/1991, quindi senza alcun tipo di documentazione o criterio scientifico volto al contenimento dei consumi energetici.

E’ allora palese doversi attendere delle prestazioni, sia d’involucro che impiantistiche, generalmente scadenti a carico di una larga parte di edifici esistenti, progettati e realizzati senza tenere conto di valutazioni che entrassero nel merito delle performance energetiche dei componenti tecnologici.

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Ad oggi, il patrimonio edilizio esistente, per le caratteristiche costruttive maggiormente diffuse, tenuto anche conto del naturale decadimento prestazionale dei materiali isolanti eventualmente impiegati all’origine, non è generalmente in grado di garantire un efficace utilizzo delle risorse soprattutto rispetto al mantenimento del clima d’impiego, risulta quindi energivoro e comporta elevate emissioni di gas climalteranti in atmosfera.

Conseguentemente, soprattutto in Italia, la riduzione dei consumi energetici complessivi e dell’emissione di gas serra passa attraverso azioni di risanamento ed efficientamento energetico del patrimonio edilizio esistente, che possono esprimere tra l’altro un elevato potenziale proprio perché vanno ad incidere su un edificato tendenzialmente molto scadente a livello prestazionale.

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2. Inquadramento normativo e status di bene culturale

Il contenimento dell’uso dell’energia nel settore edile, in Italia, passa attraverso un corpus normativo molto articolato, reso particolarmente robusto e diversificato sul territorio anche a seguito della riforma in senso federalista della Costituzione avvenuta con Legge n. 3/2001 ed in particolare con la riscrittura dell’art. 117 della Costituzione, che individua tra le materie di potestà legislativa concorrente Stato-Regioni, anche il “governo del territorio”. Entro tale novero trova la propria collocazione anche la disciplina edilizia e conseguentemente vi si collocano anche le disposizioni inerenti il contenimento dei consumi energetici nelle costruzioni che risultano, quindi, ispirate dai principi espressi a livello centrale mediante leggi nazionali, ma disciplinate nel dettaglio mediante leggi regionali. Solo in caso di vacatio normativa regionale prevale, anche per gli aspetti non di mero indirizzo, la norma statale cedevole.

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Questa particolarità dell’ordinamento giuridico italiano comporta una significativa produzione normativa, valida limitatamente all’ambito regionale, uniformata ovviamente in base a principi sovraordinati ma ciononostante di non agevole lettura e che lascia spazio a particolarità locali.

Tralasciando il primo provvedimento normativo in materia di contenimento dei consumi energetici in edilizia, Legge 9 gennaio 1991, n. 10 (Norme per l'attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell'energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia), che prevedeva, al Titolo II, un insieme di disposizioni finalizzate al contenimento dei consumi di energia, tra le quali si annovera, tra l’altro, la certificazione energetica degli edifici, ed il relativo Decreto attuativo D.P.R. n. 412 del 26 agosto 1993, i principi ispiratori a livello centrale sono dettati dal D.Lgs. n. 192 del 19

agosto 2005, legge di riferimento nell’ambito dell’efficienza energetica degli edifici, nata in

recepimento della Direttiva 2002/91/CE “E.P.B.D. – Energy performance of buildings”. Corretta solo un anno dopo l’emanazione dal D.Lgs. n. 311 del 29 dicembre 2006, che ne modifica diversi aspetti, l’insieme dei DD.Lgs. n. 192 e n. 311 definisce i parametri di riferimento sulla base dei quali valutare la prestazione energetica delle diverse componenti degli edifici (elementi d’involucro opachi e trasparenti, rendimenti impiantistici ecc.), ed introduce la certificazione energetica degli edifici nel senso inteso a livello U.E., quindi come strumento in grado di incidere sul mercato immobiliare, spingendo gli operatori a preferire, nelle intenzioni, immobili più efficienti dal punto di vista energetico e quindi più economici nella gestione.

L’obbligo di dotare gli edifici di nuova costruzione dell’attestato di certificazione energetica dell'edificio è stato introdotto, per gli edifici con titolo abilitativo successivo alla data dell’8 ottobre 2006, dal D.Lgs. 192/05 (entro un anno quindi dalla sua entrata in vigore - art. 2). In caso di appartamenti di un condominio era ammesso che l’attestato si potesse basare, oltre che sulla valutazione del singolo appartamento, anche sul confronto con altro appartamento similare del medesimo condominio, mentre la validità temporale dell’attestato è stata fissata in 10 anni massimi dal rilascio, con obbligo di aggiornamento in caso di interventi edilizi che possano invalidarlo modificando la prestazione energetica.

Tale attestato riporta i risultati dei calcoli energetici, i parametri di Legge di riferimento e suggerimenti per il miglioramento dell’efficienza energetica.

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Il D.Lgs. 311 ha poi esteso l’obbligo di effettuare la certificazione energetica anche agli edifici esistenti; tale obbligo scatta nel momento in cui l’immobile risulti oggetto di compravendita o locazione, con le seguenti tempistiche: a partire dall’1 luglio 2007, per edifici aventi superficie utile superiore a 1000 metri quadrati in caso di vendita dell’intero immobile, dall’1 luglio 2008 per edifici di superficie utile anche inferiore a 1000 metri quadrati, sempre nel caso di vendita dell'intero immobile, dall’1 luglio 2009 in caso di vendita delle singole unità immobiliari.

Parallelamente, a livello centrale, è stato avviato un percorso, iniziato con la Legge n. 296 del

2006 (detta Finanziaria 2007), di incentivazione fiscale per interventi di riqualificazione

energetica dell’edilizia esistente.

La L. 296/06 ha infatti per prima introdotto la detrazione fiscale del 55% per interventi di efficientamento energetico in edilizia, misura successivamente più volte prorogata a tutt’oggi vigente19, di non trascurabile importanza nel mercato dell’edilizia per la promozione della realizzazione, nell’ambito di interventi di ristrutturazione, di lavori inerenti l’efficientamento energetico di involucri edilizi ed impianti.

Al fine della concessione di sgravi fiscali, ma anche di contributi anche destinati ad Enti pubblici, risulta comunque prerequisito obbligatorio l’attestato di certificazione energetica. Tale documento deve inoltre essere obbligatoriamente redatto, in caso di edifici pubblici, allorquando vengano stipulati o rinnovati i contratti calore.

Nel solco delle incentivazioni per l’efficientamento energetico si inserisce anche la successiva legge n. 73 del 22 maggio 2010 (di conversione del D.L. n. 40/2010), che introduce l’eco-prestito, che consente di accedere ad un finanziamento agevolato (fino a 30 mila euro), a favore di quanti intendano effettuare interventi di ristrutturazione edilizia diretti ad incrementare l’efficienza energetica degli edifici adibiti a prima abitazione.

La Legge n. 244 del 2007 (detta Finanziaria 2008) ha poi avviato un percorso atto a rendere obbligatoria la produzione di energia da fonte rinnovabile a carico degli edifici, introducendo l’obbligo di dotare, dall’1 gennaio 2009, ogni nuova unità abitativa di sistemi per la produzione di energia da fonte rinnovabile per almeno 1 kW (5 kW in caso di nuovi fabbricati industriali), pena invalidità del Permesso di Costruire.

19

In ultimo tale misura è stata prorogata dal D.L. n. 83 del 22 giugno 2012 (c.d. Decreto Sviluppo) che all’art. 11 ne ha disposto la proroga per interventi eseguiti fino al 30 giugno 2013

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Anche tale obbligo è stato poi rivisto e corretto, in particolare con il Decreto Legislativo n.

28 del 3 marzo 2011 sulla promozione delle fonti rinnovabili, attuativo della Direttiva

2009/28/CE, che sancisce l’obbligo di integrare, nelle nuove costruzioni e negli edifici esistenti sottoposti a ristrutturazioni rilevanti20, fonti rinnovabili atte a produrre energia termica ed energia elettrica. In particolare, dal 31 maggio 2012, viene sancito l’obbligo di produrre il 50%, del fabbisogno di energia termica per la produzione di acqua calda sanitaria (Epacs) mediante rinnovabili; rispetto all’energia termica necessaria per riscaldamento, raffrescamento e acqua calda sanitaria (Epi + Epe + Epacs), la quota prodotta da rinnovabili deve attestarsi al:

- 20% per edifici con titolo abilitativo richiesto dal 31/05/2012 al 31/12/2013; - 35% per edifici con titolo abilitativo richiesto dal 01/01/2014 al 31/12/2016; - 50% per edifici con titolo abilitativo richiesto dopo il 01/01/2017.

Vige inoltre l’obbligo di produrre una quota di energia elettrica da fonte rinnovabile, con potenza commisurata alla superficie in pianta dell'edificio.

I valori anzidetti sono ridotti del 50% in caso di interventi in centri storici (zone A); possono essere incrementati da norme regionali. Il Decreto non si applica agli edifici storici nei casi in cui il progettista evidenzi che il rispetto delle prescrizioni implicherebbe un'alterazione incompatibile con il loro carattere storico e artistico.

L’inosservanza dell’obbligo comporta il diniego del rilascio del titolo edilizio.

La quota di energia che eccede le suddette percentuali, può accedere agli incentivi statali destinati alla promozione delle fonti rinnovabili.

Tale disposizione abroga, superandole, alcune disposizioni prescrittive contenute in precedenti testi di legge, tra le quali si ricorda:

- l’art. 4, comma 1-bis, del DPR 380/2001, che prevedeva l’obbligo di includere nei regolamenti edilizi, ai fini del rilascio del permesso di costruire, una imposizione cogente relativa all’installazione di impianti da fonte rinnovabile per almeno 1 kW di energia per ciascuna unità abitativa, che sarebbe scattato dal 1° gennaio 2011;

20

Si intende per edificio soggetto a ristrutturazione rilevante:

- un edificio esistente con superficie utile superiore a 1000 metri quadrati, soggetto a ristrutturazione integrale degli elementi edilizi costituenti l'involucro;

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- l’art. 4, commi 22 e 23, del DPR 59/2009, il quale sanciva l’obbligo di produrre con fonti rinnovabili almeno il 50% di acqua calda sanitaria.

I successivi passaggi fondamentali nell’ordinamento nazionale in materia di efficienza energetica degli edifici sono rappresentati dai decreti attuativi del D.Lgs. n. 192/05.

Primo in ordine di tempo dei tre decreti attuativi previsti è il D.P.R. n. 59 del 2 aprile 2009, inerente le metodologie di calcolo e i requisiti minimi di prestazione energetica degli edifici e degli impianti termici.

Principalmente, con tale provvedimento, vengono formalmente adottate quali norme tecniche le UNI della serie 11300, viene posto l’obbligo di valutare la prestazione termica estiva (Epe, invol) e vengono espressi i limiti della trasmittanza termica periodica.

Secondo in ordine di tempo dei decreti attuativi del D.Lgs. n. 192/2005 è il D.M. 26 giugno

2009, che definisce le linee guida nazionali in tema di certificazione e riqualificazione

energetica degli edifici nuovi ed esistenti.

Tale provvedimento aggiorna e modifica la legislazione precedente e soprattutto il D.Lgs. 192 sul risparmio energetico, collocandosi temporalmente in epoca successiva rispetto all’emanazione da parte di varie Regioni di Leggi volte a definire i criteri e le procedure inerenti la certificazione energetica e creando anche, in tal modo, l’esigenza di rivedere e talvolta aggiornare i provvedimenti regionali stessi che, trattando materia concorrente, devono comunque rispettare i principi di ordine superiore espressi anche dai nuovi provvedimenti normativi.

In ogni caso, le Linee guida nazionali hanno il pregio di porre, in ritardo, un punto fisso di livello sovraordinato nella materia; le stesse hanno definitivamente sancito che la performance energetica dell’edificio viene rappresentata graficamente attraverso uno schema in cui indicare con una lancetta il livello di efficienza energetica, facendo riferimento ad otto classi energetiche, identificate dalle lettere dalla A alla G, con l’introduzione di una classe A+, ed hanno precisato i contenuti della targa energetica dell’edificio, atta ad indicare sia le prestazioni energetiche dell’involucro che il rendimento medio dell’impianto.

Per edifici superiori a 200 m2 diventa obbligatorio indicare le performance dell’involucro anche in relazione alla climatizzazione estiva.

Le linee guida sono state in parte modificate con il recente D.M. 22 novembre 2012, che, tra l’altro, elimina la possibilità per i proprietari di autocertificare la classe energetica più bassa

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(classe G) e impone di provvedere a ispezioni periodiche degli impianti di condizionamento d’aria di potenza maggiore di 12 kW, superando in questo modo alcuni appunti mossi con procedura di infrazione da parte della Commissione UE all’Italia rispetto alle modalità di recepimento della E.P.B.D. nella versione originale del 2002.

Completa il quadro normativo il terzo decreto attuativo del D.Lgs. n. 192/2005, attualmente in corso di approvazione, che riguarda i requisiti e la formazione dei soggetti certificatori. Si precisa che i provvedimenti attuativi del D.Lgs. n. 192/2005, soprarichiamati, risultano soggetti tutti alla clausola di cedevolezza, pertanto le Regioni che hanno provveduto a legiferare al riguardo, dovranno adattare i propri provvedimenti ai principi espressi da tali Leggi; il quadro legislativo verrà inoltre prevedibilmente rivisto al fine di essere adattato alla Direttiva 2010/31/UE, che dal 01 febbraio 2012 sostituisce la precedente Direttiva E.P.B.D..

* * *

In caso di edifici di interesse storico, il corpus normativo comunitario (in particolare Direttiva europea n. 2002/91/CE e successiva 2010/31/UE) e, conseguentemente, i provvedimenti nazionali, pongono in secondo piano la valutazione delle caratteristiche energetiche dell’edificio stesso, nell’obiettivo di una auspicabile conservazione delle caratteristiche precipue del manufatto.

Il D.Lgs. 311/06 consente di prescindere dal rispetto di parametri quali la trasmittanza degli elementi d’involucro o la verifica dell’indice di prestazione energetica Epi; all’art 3, comma 3, punto a del D.Lgs. 311, si indica infatti l’esclusione dalla disciplina del decreto degli immobili ricadenti nell’ art.136, comma 1, lettere b) e c) del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice sui Beni Culturali), “nei casi in cui il rispetto delle prescrizioni implicherebbe una alterazione inaccettabile del loro carattere o aspetto con particolare riferimento ai caratteri storici o artistici”.

Ne deriva che gli immobili di interesse storico-artistico (definiti all’art 136 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), laddove l’ottemperanza alle norme di qualificazione energetica implichi un’alterazione del bene, vengono esclusi da tutte verifiche imposte dal decreto citato (sulle trasmittanze degli elementi scambianti, sulla verifica dell’EPi e sulla verifica del rendimento d’impianto).

Posto che “l’alterazione” del bene tutelato diventa “inaccettabile” in relazione agli interventi scelti, quanto è possibile migliorare l’efficienza energetica in caso di interventi su edifici di

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pregio storico senza alterarne in modo sostanziale le caratteristiche? Cosa è sempre possibile fare, dove sarebbe auspicabile spingersi e cosa sarebbe meglio evitare?

Soprattutto in Italia, dove quasi l’80% degli edifici risulta d’impianto ultracinquantenario (vedi capitolo precedente), sarà difficile riuscire ad ottenere gli obiettivi di contenimento dei consumi energetici nazionali e riduzione delle emissioni climalteranti qualora non si agisca con azioni efficaci proprio sul patrimonio edilizio esistente.

La sfida è quindi la seguente: contemperare i due aspetti. Fruire e preservare le caratteristiche formali e tipologiche di edificati di interesse, ma incrementare l’efficienza energetica del sistema edificio-impianto agendo su involucro, impianto e rinnovabili, in modo da ridurre il consumo di energia da fonti tradizionali, fossili o comunque scarsamente compatibili con l’ambiente anche in una logica di life-cycle.

La tutela dei beni cultuali trova il proprio fondamento nell’ordinamento giuridico italiano a partire da epoca remota. E’ infatti con la Legge n. 1089 del 01 giugno 1939 (c.d. Legge “Bottai”) che venne delineato un quadro organico e, nel contesto europeo, all’avanguardia, per la tutela della “cose di interesse artistico e storico”. Tale provvedimento verrà inoltre affiancato il 29 giugno dello stesso anno dalla Legge n. 1947, posta a tutela delle bellezze naturali, a dimostrazione di una sensibilità rispetto ai temi ambientali e culturali che vale la pena rilevare.

La Legge 1089/39 in realtà non definisce il concetto di “bene culturale” e l’oggetto della tutela operata dalla stessa si ricava in combinato dagli artt. n. 1, 2, 5, di seguito riportati (testo storico), che riguarda beni aventi valenza materiale ed estetica.

Art. 1

Sono soggette alla presente legge le cose, immobili e mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico, compresi:

a) le cose che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà; b) le cose d'interesse numismatico;

c) i manoscritti, gli autografi, i carteggi, i documenti notevoli, gli incunaboli, nonché i libri, le stampe e le incisioni aventi carattere di rarità e di pregio.

Vi sono pure compresi le ville, i parchi e i giardini che abbiano interesse artistico o storico. Non sono soggette alla disciplina della presente legge le opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni.

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Art. 2

Sono altresì sottoposte alla presente legge le cose immobili che, a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere, siano state riconosciute di interesse particolarmente importante e come tali abbiano formato oggetto di notificazione, in forma amministrativa, del Ministro per l'educazione nazionale.

La notifica, su richiesta del Ministro, è trascritta nei registri delle conservatorie delle ipoteche ed ha efficacia nei confronti di ogni successivo proprietario, possessore o detentore della cosa a qualsiasi titolo.

Art. 5

Il Ministro per l'educazione nazionale, sentito il Consiglio nazionale dell'educazione, delle scienze e delle arti, può procedere alla notifica delle collezioni o serie di oggetti, che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, rivestono come complesso un eccezionale interesse artistico o storico.

Le collezioni e le serie notificate non possono, per qualsiasi titolo, essere smembrate senza l'autorizzazione del Ministro per l'educazione nazionale.

La prima definizione ufficiale di Bene culturale nell’Ordinamento italiano venne introdotta dal Decreto legislativo n. 112 del 1998, che all’art. 148, comma 1, lettera a) li indica come quei beni che “compongono il patrimonio storico, artistico, monumentale, demoetnoantropologico, archeologico, archivistico e librario e gli altri che costituiscono testimonianza avente valore di civiltà".

La Legge 1089/39 venne poi sostituita dal D. Lgs. n. 490 del 29 ottobre 1999, “Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali” e, dopo pochi anni, dal D.Lgs. n. 42

del 22 gennaio 2004 “Codice per i Beni Culturali e del Paesaggio”, c.d. Decreto “Urbani”

(in seguito più volte aggiornato).

Ad oggi quindi nell’ordinamento italiano si ha un singolo provvedimento con il compito di tutelare i beni culturali e il paesaggio.

Tale provvedimento tutela i beni culturali come individuati all’art. 10 di seguito riportato: 1. Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico.

2. Sono inoltre beni culturali:

a) le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico; b) gli archivi e i singoli documenti dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico; c) le raccolte librarie delle biblioteche dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici

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territoriali, nonché di ogni altro ente e istituto pubblico, ad eccezione delle raccolte che assolvono alle funzioni delle biblioteche indicate all'articolo 47, comma 2, del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.

3. Sono altresì beni culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall’articolo 13:

a) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1;

b) gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che rivestono interesse storico particolarmente importante;

c) le raccolte librarie, appartenenti a privati, di eccezionale interesse culturale;

d) le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose;

e) le collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, che non siano ricomprese fra quelle indicate al comma 2 e che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, ovvero per rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica, rivestano come complesso un eccezionale interesse.

4. Sono comprese tra le cose indicate al comma 1 e al comma 3, lettera a): a) le cose che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà;

b) le cose di interesse numismatico che, in rapporto all'epoca, alle tecniche e ai materiali di produzione, nonché al contesto di riferimento, abbiano carattere di rarità o di pregio;

c) i manoscritti, gli autografi, i carteggi, gli incunaboli, nonché i libri, le stampe e le incisioni, con relative matrici, aventi carattere di rarità e di pregio;

d) le carte geografiche e gli spartiti musicali aventi carattere di rarità e di pregio;

e) le fotografie, con relativi negativi e matrici, le pellicole cinematografiche ed i supporti audiovisivi in genere, aventi carattere di rarità e di pregio;

f) le ville, i parchi e i giardini che abbiano interesse artistico o storico;

g) le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico; h) i siti minerari di interesse storico od etnoantropologico;

i) le navi e i galleggianti aventi interesse artistico, storico od etnoantropologico;

l) le architetture rurali aventi interesse storico od etnoantropologico quali testimonianze dell’economia rurale tradizionale.

5. Salvo quanto disposto dagli articoli 64 e 178, non sono soggette alla disciplina del presente Titolo le cose indicate al comma 1 che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni, se mobili, o ad oltre settanta anni, se immobili, nonché le cose indicate al comma 3, lettere a) ed e), che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni.

La tutela dei beni culturali risulta imperniata su un doppio regime, a seconda che trattasi di bene di proprietà pubblica o privata.

In caso di bene di proprietà pubblica, la sussistenza di un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, in caso di bene immobile di autore non più vivente e la cui

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esecuzione risalga ad oltre settanta anni, fa ricadere il bene all’interno del perimetro di tutela. Gli organi del Ministero, d’ufficio o su richiesta formulata dai soggetti pubblici cui le cose appartengono, avviano la verifica della sussistenza dell’effettivo interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico. In assenza di tale verifica, il bene deve essere assoggettato al regime di tutela previsto dal Codice.

In caso di proprietà privata, l’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico deve essere dichiarato ai sensi dell’art. 13, ed il provvedimento deve essere poi trascritto nei Registri Immobiliari, con valore di atto pubblico.

Risulta indubbio (v. Parte I) che taluni dei vecchi opifici della zona del comprensorio del cuoio presentano idonee caratteristiche per poter essere annoverati, rispetto alla storia ed allo sviluppo locale, nella classe delle “cose immobili … che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia … della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni collettive …”.

Ancorché quindi risulti in generale necessario un espresso provvedimento di vincolo ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. n. 42/2004 per assoggettare tali edifici alla tutela di cui al Codice medesimo, rimane indubbio il loro valore testimoniale nel contesto santacrocese e del comprensorio. Risulta quindi opportuno ed auspicabile che venga tenuto conto degli indirizzi di tutela imposti dal Codice all’atto dell’effettuazione di interventi.

In generale il Codice, in nome di un interesse sovraordinato di carattere collettivo e pubblico, assoggetta di fatto i beni culturali ad una serie di “limitazioni d’uso” o “vincoli”, ma rende possibili altresì potenziali “favor” quali forme di contribuzione ed incentivazione in caso di restauri, trascendendo la condizione giuridica soggettiva del bene ed in particolare il diritto di proprietà e di godimento al fine di garantirne un impiego compatibile con le caratteristiche oggetto di tutela.

Tra i principali vincoli, il proprietario (o altro avente titolo) di un immobile vincolato, non può demolirlo, modificarlo o restaurarlo senza avere previamente acquisito espressa autorizzazione da parte della competente Soprintendenza, organo del Ministero per i Beni Culturali, non può altresì adibirlo ad usi non compatibili con il suo carattere storico o artistico, o tali da recare pregiudizio alla sua conservazione o integrità.

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Qualora siano presenti affreschi, stemmi, graffiti, iscrizioni, tabernacoli, ornamenti, esposti o meno alla pubblica vista, non potrà disporne il distacco o la rimozione senza previa autorizzazione ministeriale, ed anzi potrà vedersi imporre l’esecuzione di quanto necessario per preservare e conservare l’immobile.

Eventuali progetti interessanti l’immobile, risultanti o meno impattanti sull’impianto esteriore dello stesso, dovranno obbligatoriamente essere sottoposti alla competente Soprintendenza e previamente autorizzati. Anche gli atti di trasferimento di proprietà, per qualsiasi causa occorsi, o che modifichino i soggetti titolati a detenere l’immobile, devono essere trasmessi al Ministero.

In caso di alienazione a titolo oneroso, inoltre, sussiste un diritto di prelazione esercitabile da parte pubblica a parità di prezzo di scambio.

Gli illeciti in materia di beni culturali, si rileva, sfociano facilmente in ambito penale e possono prevedere pene detentive oltre che pecuniarie, con l’accessoria sanzione della ricostituzione dello stato quo-ante.

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3. Azioni possibili/azioni auspicabili/approccio alla qualificazione energetica di edifici di interesse storico

Come è stato presentato nei capitoli precedenti, gli edifici in Italia risultano particolarmente energivori, in modo sensibilmente maggiore rispetto agli edifici del resto d’Europa, e conseguentemente ad essi viene imputata una elevata dispersione in atmosfera di gas serra, in particolare CO2.

Il Rapporto CRESME “Energie e costruzioni”, presentato in apertura di SAIE Energia edizione 2010, mette in rapporto diretto la vetustà degli edifici in Italia e la scarsa efficienza energetica che gli stessi riescono a raggiungere.

Il 50% del costruito, in Italia, risale a prima della Legge 373/76, in assenza quindi di prescrizioni inerenti il contenimento dei consumi energetici. Lo stato di conservazione è mediocre o pessimo per il 22% degli edifici, conseguentemente sia la prestazione d’involucro che i rendimenti d’impianto presentano carenze e solo il 2% del totale degli edifici esistenti può essere considerato di classe energetica pari o superiore alla “C”.

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Non a caso, lo stesso rapporto stima per converso molto elevato il potenziale di miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici esistenti in Italia, anche con interventi relativamente semplici da realizzare.

La frazione di edifici di interesse storico riconosciuto è pari all’8% del totale, più elevata, naturalmente, la quota di edifici che, seppur non inquadrabili nella fattispecie di “bene culturale” ai sensi del D.Lgs. n. 42/2004 (Codice dei Beni culturali e del Paesaggio), presentano elementi storici, tipologici, tradizionali, tali da rendere opportuno operare nell’ambito della riqualificazione energetica con operazioni non distoniche rispetto ai valori individuabili come oggetto di tutela.

Di seguito verrà indicato un glossario di possibili interventi di efficientamento energetico di edifici esistenti e di soluzioni atte all’introduzione nel bilancio energetico degli stessi di fonti energetiche rinnovabili. La compatibilità con gli elementi storici e tipologici da tutelare dovrà essere naturalmente oggetto di singole e distinte valutazioni.

a) interventi di efficientamento dell’involucro edilizio – componenti opache

a.1) Realizzazione di cappotto esterno, costituito da componenti modulari prodotti con materiali ad elevata resistenza termica, applicati per incollaggio e/o meccanicamente in facciata.

Trattasi di soluzione tecnologica ormai molto diffusa, di semplice realizzazione, efficace e che consente inoltre di ridurre drasticamente i ponti termici esistenti.

Tale soluzione, inoltre, è in grado di migliorare il comportamento estivo della parete, aumentando lo sfasamento dell’onda termica, e di migliorare l’isolamento acustico complessivo. Risulta di più difficile applicazione in caso si abbia presenza in prospetto di aggetti, cornici, modanature e decorazioni esterne all’edificio. Riduce in genere la traspirabilità della parete.

Qualora non fosse possibile realizzare un cappotto esterno, è possibile optare per un cappotto interno, se compatibile con i vincoli geometrici degli ambienti.

Gli svantaggi del cappotto interno sono evidenti rispetto ad una soluzione a cappotto esterno, sia per la minore inerzia termica del volume riscaldato, che per il maggior rischio di condensa interstiziale che rende necessario un accurato controllo dell’umidità interna, che per la minore

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possibilità di agire sui ponti termici. Il costo medio dell’intervento può variare attorno ai 40 – 50 Euro /m2 .

a.2) Realizzazione di intonaco isolante.

Tale soluzione prevede l’applicazione di alcuni cm (in genere 3-5) di intonaco isolante su pareti private dell’intonaco originario. L’intervento realizza di fatto un cappotto molto semplificato e meno performante, in quanto la resistenza termica dell’intonaco, per quanto addittivato al fine di incrementarne la prestazione, risulta non paragonabile rispetto a quella di materiali isolanti propri.

Il vantaggio si ritrova nella possibilità di impiegare tale soluzione in tutti i casi in cui il cappotto esterno non risulti una soluzione praticabile, semplicemente sostituendo il preesistente intonaco. Anche questo intervento può ridurre la traspirabilità della parete. Il costo medio si aggira sui 25 – 30 Euro/m2 .

a.3) Realizzazione di parete ventilata, costituita da un rivestimento della parete esistente in materiale isolante e da uno strato esterno in pannelli di materiale di varia tipologia, con intercapedine d’aria interposta.

La prestazione invernale della parete è incrementata per la posa dell’isolante.

Lo strato esterno ha la doppia funzione di schermare i raggi solari rispetto alla parete interna, con effetto di ombreggiamento, e di trasmettere calore alla lama d’aria che, per effetto camino, attiva un moto ascendente che può consentire di smaltire eccessi di temperatura, con miglioramento del comportamento in periodo estivo.

La circolazione d’aria favorisce inoltre lo smaltimento di eccessi di umidità della muratura (in relazione comunque alla tipologia di isolante ed alla relativa permeabilità).

Come nel caso di semplice cappotto esterno, l’effettiva realizzazione può essere complicata dalla presenza di aggetti, irregolarità, e comunque può risultare difficilmente praticabile in caso di elementi preesistenti di pregio in facciata.

Incrementa inoltre in modo significativo (orientativamente dai 15 ai 30 cm) lo spessore della parete.

Il costo medio dell’intervento, molto variabile in relazione al materiale impiegato per lo strato esterno, non è inferiore ai 70 Euro/m2.

a. 4) isolamento della copertura mediante pannelli (sottotegola o a posa orizzontale a seconda si consideri una copertura inclinata o piana).

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L’intervento è di tipologia tradizionale e di semplice realizzabilità e consiste nell’inserimento di pannelli in materiale isolante sottotegola o sull’estradosso di coperture orizzontali.

Esistono svariate soluzioni commerciali che semplificano la realizzazione dell’intervento, con pannelli preformati per accoppiarsi al manto di copertura e che, talvolta, prevedono effetti di microventilazione.

Presenta una elevata efficacia principalmente rispetto al miglioramento della prestazione energetica nel caso invernale, in maniera minore nei confronti del caso estivo. E’ una soluzione avente elevata compatibilità nel retrofitting.

In caso di coperture piane, l’isolante può essere protetto dallo strato di impermeabilizzazione (c.d. “tetto caldo”) o può essere collocato al di sopra dello strato impermeabilizzante (c.d. “tetto freddo”), avendo cura di impiegare guaine rinforzate o disponendo sopra all’isolante, previo strato di separazione, uno strato protettivo (ad es. in ghiaia).

Il costo medio dell’intervento si aggira sui 40 Euro/m2 (o meno in caso di tetto piano). a. 5) isolamento della copertura mediante tetto ventilato.

L’intervento è un’evoluzione di quello indicato al punto precedente, applicabile in caso di coperture in falda, che ne conserva l’efficacia in periodo invernale incrementando quella raggiungibile in periodo estivo.

L’elevato irraggiamento della copertura, infatti, provoca un significativo surriscaldamento; l’eccesso di temperatura viene eliminato tramite l’effetto camino innescato all’interno dell’intercapedine che separa lo strato isolante dal manto di copertura.

L’intervento, pur comportando l’incremento dello spessore del pacchetto di copertura e la predisposizione di bocche di ventilazione in gronda e in sommità, risulta in genere applicabile senza eccessive difficoltà negli interventi di retrofitting.

Il costo medio dell’intervento varia indicativamente dai 50 ai 90 Euro/m2 . a. 6) isolamento del solaio a terra (o verso ambienti non riscaldati).

Trattasi di un intervento di semplice realizzazione, consistente nella posa di pannelli isolanti verso terreno, spazi esterni (come nel caso di un porticato) o verso spazi non riscaldati (come nel caso di un sottotetto).

La posa dell’isolante nel caso di sottotetti potrà avvenire all’estradosso o all’intradosso del solaio, a seconda degli effetti desiderati sull’inerzia termica del volume riscaldato e di eventuali vincoli geometrici e di praticabilità del solaio, impiegando materiali idonei; anche

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nel caso di porticati lo strato isolante potrà essere realizzato sia all’intradosso che all’estradosso del solaio, con differenti tipologie di materiale.

Verso terra è possibile realizzare un vespaio isolato e areato, con ovvi benefici igienici e di smaltimento di possibili accumuli di gas radon.

L’efficacia dell’intervento può essere significativa, soprattutto garantendo continuità di isolamento dell’intero volume riscaldato.

Il costo dell’intervento, in caso di semplice posa di pannelli, è contenuto nell’ordine dei 30 Euro/m2 .

b) interventi di efficientamento dell’involucro edilizio – componenti trasparenti b.1) sostituzione infissi.

Partendo da infissi tradizionali, con profili privi di taglio termico e vetri semplici, trattasi di un intervento nella sostanza imprescindibile al fine di ottenere il miglioramento dell’efficienza energetica di un fabbricato.

Un vetro semplice dello spessore ordinario di 4 mm ha un valore di trasmittanza termica pari mediamente a 5,7 W/m2K. Un vetrocamera performante, del tipo 4/16/4 basso emissivo con argon, può avere un valore di trasmittanza termica di 1,7 W/m2K.

Ancora migliore la prestazione in caso di vetri a camera doppia. E’ quindi palese l’elevato incremento prestazionale ottenibile, che si sposa inoltre con prestazioni acustiche nettamente migliori.

In caso di interventi di sostituzione di infissi, dovrà comunque essere posta attenzione al controllo della ventilazione, onde evitare che la permeabilità all’aria dei nuovi infissi, che risulterà praticamente nulla rispetto agli infissi tradizionali, possa incrementare il rischio di condensa.

Nel caso del retrofitting, anche qualora si debbano mantenere tipologie, forme, partizioni di infissi preesistenti, è sempre possibile realizzare infissi con caratteristiche performanti dal punto di vista energetico aventi aspetto esteriore non dissimile dai preesistenti.

b. 2) utilizzo di schermature solari.

L’utilizzo di schermature solari con idonei sistemi di regolazione, consente di fruire in periodo invernale degli apporti solari gratuiti, limitandoli in periodo estivo, così da ridurre i carichi termici da smaltire mediante sistemi di condizionamento.

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Le schermature solari, inoltre, consentono di regolare la quantità di luce che penetra negli ambienti, e vengono sfruttate dal punto di vista architettonico spesso anche per realizzare effetti di significativo impatto.

L’impiego di tali schermature può essere o meno ritenuto compatibile con le caratteristiche esteriori degli edifici da riqualificare; è sempre possibile comunque cercare soluzioni che possano valorizzare l’esistente mediante l’inserimento di tali elementi se idoneamente studiati e contestualizzati.

b. 3) sistemi “a doppia pelle” e serre solari.

In alcuni casi è possibile realizzare facciate a doppia pelle e serre solari onde immagazzinare in periodo invernale energia termica da convogliare nell’edificio, riscaldando direttamente o preriscaldando l’aria di ricircolo. In periodo estivo il surplus di calore verrà eliminato semplicemente disperdendolo nell’ambiente.

La soluzione è naturalmente impattante rispetto all’esistente e deve esserne valutata la fattibilità nei singoli casi mediante l’elaborazione di soluzioni architettoniche capaci di abbinare il potenziale energetico con aspetti comunicativi e funzionali degli spazi.

c) interventi di efficientamento degli impianti.

c. 1) sostituzione del generatore. Impiego di caldaia a condensazione.

Tra gli interventi più semplici da realizzare finalizzati all’efficientamento energetico si può annoverare la sostituzione del generatore, da abbinare possibilmente ad idonee azioni di efficientamento sull’involucro e sulle altre componenti impiantistiche.

Una soluzione frequentemente utilizzata consiste nell’impiego di caldaie a condensazione, che sfruttano il recupero del calore latente di condensazione del vapor d’acqua presente nei fumi. Tali apparecchi, a fronte di un costo iniziale non molto superiore rispetto a quello di generatori di tipologia tradizionale, consentono risparmi che si fanno più consistenti abbinando ad essi un sistema impiantistico funzionante a bassa temperatura del fluido di mandata (come nel caso di sistemi radianti a pavimento).

c. 2) sostituzione del generatore. Impiego di generatore a cogenerazione.

In ambito edilizio, ci si deve riferire a sistemi di micro-cogenerazione, basati su una caldaia che, bruciando combustibile (in genere gas naturale), avvia un motore che produce in locale energia termica ed energia elettrica.

Tra i motori più diffusi in ambito residenziale per questa tecnologia vi sono quelli basati su ciclo Stirling, che producono energia termica come prodotto principale ed energia elettrica

Figura

Fig.  3:  Consumo  specifico  di  edifici  ad  uso  terziario  distinto  per  tipologia  (stima)  [in  kWh/m 2 ]
Fig.  4:  Percentuale  complessiva  di  CO2  emessa  imputabile  agli  edifici  nei  paesi  europei  (EURIMA – 2001)

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