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era in gran parte dipendente dalla stima clinica soggettiva. La bioimpedenza

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RIASSUNTO

Parole chiave: cane, emodialisi, bioimpedenza, Crit-line®, iperidratazione.

Fino a poco tempo fa la determinazione del peso secco (DW) in emodialisi (HD)

era in gran parte dipendente dalla stima clinica soggettiva. La bioimpedenza

(BIA), tuttora molto utilizzato in medicina umana, è un metodo non invasivo per

stimare la quantità di acqua corporea (TBW) e il liquido extracellulare (ECW)

permettendo quindi la determinazione del DW. In medicina veterinaria al

momento sono presenti pochi studi sulla BIA, e ancora nessuno studio è stato

pubblicato riguardo al suo utilizzo in corso di trattamento emodialitico. L’obiettivo

di questo lavoro è quello di stimare la composizione corporea dei pazienti e

valutare come si modificano i compartimenti dei fluidi corporei durante l’HD. Nel

nostro studio sono stati inclusi 9 pazienti sottoposti a emodialisi intermittente con

la macchina Diapact® CRRT System e Dialog+® della B-BRAUN. Abbiamo

monitorato il cambiamento della distribuzione di liquidi corporei durante il

trattamento emodialitico con l’utilizzo della BIA e del Crit-Line® (CL). BIA è stata

misurata all’inizio, durante e alla fine di ogni sessione di HD simultaneamente a

CL per valutare i cambiamenti della composizione e distribuzione dei fluidi

corporei. Tramite test di Pearson non è stata riscontrata una correlazione tra UFh

e ECW e tra UFh e ICW, mentre sia Rz che Xc sono risultati statisticamente

correlati con l’UFh (p=0.0163) (p=0.0485). L’HCT CL è risultato debolmente

correlato positivamente con ECW(p=0,0009), Rz (p=0,0063) e moderatamente

correlato con Xc (p<0,0001), mentre negativamente con ICW (p=0,0009). Inoltre

BV CL risulta debolmente correlato negativamente con ECW (p=0.0150),

positivamente con ICW (p=0,0140), invece non è risultato correlato né alla Rz né

alla Xc. La SAT CL è correlato positivamente con la ECW (p=0,0011),

negativamente con ICW (p=0,0010), non sembra essere correlata né alla Rz né

alla Xc. Inoltre tramite test del chi-quadro non è stata riscontrata una correlazione

significativa tra l’angolo di fase e l’outcome dei soggetti. Anche con il test Anova

la correlazione tra l’indice di massa corporea dei soggetti e il loro stato di

idratazione non è risultata statisticamente significativa. Pertanto possiamo

ipotizzare che l’emoconcentrazione provocata dall’UF in corso di HD richiama

fluidi dall’ICW e come meccanismo di compenso porta quindi un transitorio

aumento dell’ECW. La ridotta saturazione in particolare essendo correlata sia ad

una eccessiva contrazione del comparto extracellulare, sia ad una eccessiva

raccolta idrica nel comparto intracellulare risulta un parametro fondamentale nel

monitoraggio idrico del paziente. Quindi, l’utilizzo del CL e della BIA in HD

permette di modulare l’UF e intervenire precocemente per evitare alterazioni

emodinamiche. È auspicabile, essendo il primo lavoro in medicina veterinaria e

avendo quindi un numero limitato di pazienti, ampliare la casistica con ulteriori

studi, tenendo in considerazione anche la razza e la taglia dei soggetti.

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ABSTRACT

Keywords: dog, hemodialysis, bioimpedance, Crit-line®, fluid overload.

Since recently the determination of the dry weight (DW) in hemodialysis (HD) was largely dependent on clinical subjective estimate. Bioelectrical impedance analysis (BIA) (still widely used in human medicine), is a non-invasive method to estimate total body water (TBW) and extracellular water volume (ECW), allowing the determination of DW. In veterinary medicine there are a few studies on BIA, and no studies about BIA and HD are currently available. The aim of the present study is to estimate the patients’ body composition and assess the changes of the body fluid compartments during HD. Our study included 9 patients undergoing intermittent hemodialysis using Diapact® CRRT System device and Dialog+® B-BRAUN device. We evaluated continuous changes in body water composition during hemodialysis (HD) with concurrent use of BIA and Crit-Line®

(CL). BIA and CL were measured at the beginning, during the treatment and at

the end of each HD session in order to investigate changes of composition and

distribution of body water. By Pearson test has not been found a correlation

between UFH and ECW and between ICW and UFH , while both Rz that Xc are

statistically correlated with UFH (p = 0.0163) (p = 0.0485). The HCT CL is weakly

positively correlated with ECW (p = 0.0009), Rz (p = 0.0063) and moderately

correlated with Xc (p <0.0001), while negatively with ICW (p = 0.0009 ). Moreover

BV CL is weakly negatively correlated with ECW (p = 0.0150), with a positive

ICW (p = 0.0140), however was not related either to Rz nor to Xc. The SAT CL is

positively correlated with the ECW (p = 0.0011), negatively with ICW (p =

0.0010), does not seem to be related either to the Rz nor to Xc. Also through the

chi-square test was not found a significant correlation between the phase angle

and the outcome of the subjects. Even with the Anova test the correlation

between the BMI of the subjects and their state of hydration is not statistically

significant. Therefore we can suppose that hemoconcentration caused by UF

during HD attracts fluids from ICW as compensatory mechanism then causing a

transient increase of ECW. The low saturation in particular being related both to

excessive contraction of the extracellular, both to excessive collecting water in

the intracellular compartment is a fundamental parameter in monitoring the

patient's fluid. Therefore the use of CL and the BIA in HD allows you to modulate

the UF and intervene early to prevent hemodynamic changes. It is desirable,

being the first work in veterinary medicine and thus having a limited number of

patients, expand the series with further studies, taking into account the breed and

size of the subjects.

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PARTE GENERALE

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CAPITOLO 1

Terapie Renali Sostitutive

1.0 Introduzione

Quando si ha una ridotta funzionalità renale si accumulano nel sangue le sostanze di scarto ed i liquidi che il rene non riesce più ad eliminare, le terapie sostituiscono la funzione renale rimovendo le sostanze tossiche (di scarto) e i liquidi accumulati in eccesso. La terapia renale sostitutiva in medicina umana, si rende necessaria quando si perde più del 90% della funzionalità; questo, solitamente si verifica dopo molti mesi o anni dalla prima diagnosi di malattia renale (C. Langston, 2011).

Durante le fasi iniziali dell'insufficienza renale cronica si cerca di preservare la funzionalità d’organo il più a lungo possibile, anche per ritardare la necessità di iniziare la terapia sostitutiva.

Le terapie renali sostitutive possono essere divise in: dialisi extracorporea, dialisi peritoneale e trapianto.

La dialisi extracorporea consiste in un processo fisico atto a

separare molecole in soluzione attraverso l’utilizzo di un filtro

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(dialyser) composto da membrane semipermeabili. Più semplicemente si può dire che, una soluzione contaminata (in questo caso il sangue carico di “sostanze tossiche” del paziente uremico) viene ripulita da una “soluzione di lavaggio” (il dialisato) da cui è fisicamente separata per mezzo di una membrana semipermeabile. La membrana del dializzatore è infatti permeabile solo a determinate sostanze e si comporta come un filtro i cui pori hanno dimensioni molecolari precise.

L’obiettivo è quello di rimuovere l’eccesso di sostanze tossiche o almeno di mantenere la loro concentrazione plasmatica al di sotto dei livelli considerati tossici. Questa metodica viene definita “extracorporea” (Extracorporeal Renal Replacement Therapy o ERRT), perché il sangue viene prelevato dal paziente tramite un accesso vascolare, viene fatto fluire esternamente attraverso un circuito sterile, depurato attraverso un filtro e infine reinfuso al paziente stesso. Si viene quindi a creare un circolo ematico continuo che rappresenta solo una parte di tutto il sangue del paziente, ma che alla fine del trattamento, avrà permesso di aver processato anche più volte tutto il volume di sangue del paziente (C. Langston, 2011).

In medicina umana la terapia emodialitica è utilizzata

principalmente per trattare patologie renali croniche all’ultimo

stadio, di solito in attesa del trapianto di reni; i pazienti umani

sono sottoposti ad emodialisi solitamente 3 volte alla settimana

anche per anni e ogni seduta dura circa 4 ore, con turni alla

mattina o al pomeriggio. Quindi il trattamento emodialitico

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cronico ha come obiettivo quello di mantenere una soddisfacente qualità di vita del paziente ed è indicata quando i segni uremici non possono più essere controllati con la terapia medica (C. Langston, 2011).

1.1 Principi di emodialisi

È un processo fisico atto a separare particelle in soluzione attraverso una membrana semipermeabile.

L’obiettivo terapeutico dell’emodialisi è quello di eliminare le tossine uremiche ed i fluidi in eccesso, alleviando così la patologia e segni clinici che questi producono, mantenendo un adeguato equilibrio elettrolitico e correggendo l’eventuale acidosi metabolica (Condò S., 2007).

Prima di passare ad esaminare i meccanismi chimico-fisici che

permettono la rimozione delle sostanze tossiche attraverso la

membrana semipermeabile, è doveroso mostrare come

funziona il circuito extracorporeo di dialisi.

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Figura 1.1 Circuito di dialisi (da Walter H. Hörl, et al, 2004)

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Il circuito ematico esterno è l’insieme dei componenti che portano il sangue dal paziente, attraverso il filtro, nuovamente al paziente stesso. Da un punto di vista pratico, risulta utile dividere il processo di dialisi in due parti principali: il circuito sangue e il circuito dialisato. Il sangue venoso prelevato viene spinto, alla velocità di 200/300 ml/min, nel circuito extracorporeo dalla pompa sangue che crea una depressione tale da consentire l’aspirazione del sangue. A valle della pompa sangue una pompa specifica infonde liquidi anticoagulanti nel sangue che defluisce poi nel gocciolatore arterioso e successivamente nel filtro dove incontra il dialisato che scorre nel senso opposto. Questo scambio in controcorrente permette la purificazione del sangue, oltrepassato il filtro di dialisi, il sangue trattato viene reimmesso nel paziente.

Le apparecchiature utilizzate nella CRRT (figura 1.1) sono più semplici rispetto alle apparecchiature per dialisi intermittente si utilizzano liquidi di dialisi in sacche preconfezionate già preparate e diluite correttamente, e si montano filtri e linee pre- montate (Canepari G, 2006).

Dall’altra parte le tecniche dialitiche intermittenti (IHD) utilizzano

macchine con maggior complessità e necessitano di una

impiantistica specifica per il trattamento dell’acqua (impanto con

depuratore e osmosi inversa) poiché il dialisato viene prodotto

direttamente dal macchinario secondo le caratteristiche

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impostate dall’operatore tenendo conto delle necessità del paziente (Kellum J.A., 2002).

1.2 Il filtro dializzatore

Il filtro dializzatore è l’elemento fondamentale del circuito di dialisi, tanto che viene chiamato “rene artificiale”. In esso avvengono gli scambi e i fenomeni di trasporto che permettono al sangue di essere depurato.

I filtri sono prodotti biomedicali monouso.

Figura 1.2 Filtro dializzatore monouso.

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Le caratteristiche fondamentali che un filtro ideale dovrebbe avere sono:

 Grandi superfici di scambi per una migliore efficienza

 Dimensioni ridotte

 Geometria di flusso ottimale per sangue e dializzato

 Alta clearance (rimozione) per molecole tossiche di piccolo e medio peso molecolare

 Perdita trascurabile di soluti vitali (albumina)

 Portata di ultrafiltrazione adeguata al tipo di trattamento

 Volume ematico residuo limitato

 Costi di produzione minimi

Risulta evidente come alcune delle caratteristiche richieste siano in contraddizione tra loro; di conseguenza, dal punto di vista progettuale, bisogna ottenere un buon compromesso attraverso diverse soluzioni specifiche a seconda della singola richiesta.

I filtri utilizzati attualmente in tutto il mondo sono quelli a fibre

cave o capillari (figura 1.2). Questi dializzatori sono costituiti da

un fascio di fibre (10000-15000), fissato agli estremi con

guarnizioni in poliuretano e attraverso un anello in silicone. Agli

estremi del guscio (housing), vi sono le porte di ingresso e

uscita di sangue e dializzato. Il sangue viene fatto passare tra

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le fibre dalle quali ne esce depurato, mentre il dialisato scorre negli spazi tra fibra e fibra (C. Ronco et al, 2002).

Le proprietà della membrana sono legate alle loro caratteristiche fisico-chimiche, al materiale e ai trattamenti a cui sono sottoposti in corso di preparazione.

Una membrana può essere:

 idrofila o idrofobica: l’idrofilia dipende dall’interazione tra i gruppi chimici presenti in superficie con l’acqua con formazione di legami idrogeno. Al ridursi dell’idrofilia corrisponde maggior adsorbimento di proteine plasmatiche e minor permeabilità ai soluti e all’acqua.

 Carica elettrica che può essere positiva o negativa, determinata dalla dissociazione dei gruppi terminali presenti in superficie, influenza il passaggio delle molecole più gradi e l’entità dell’adsorbimento proteico.

 Simmetria e asimmetria: membrane strutturalmente uniformi e membrane asimmetriche costituite da uno strato spugnoso anche molto spesso, alternato con uno strato sottile, che determina l’effettiva porosità della membrana.

 Spessore: (determinato a secco), qualunque sia la

simmetria delle membrane, la permeabilità è

inversamente proporzionale allo spessore.

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Esistono membrane naturali o cellulosiche e membrane sintetiche.

Le membrane naturali hanno:

 Buona capacità diffusiva

 Scarsa biocompatibilità

 Idoneità all’uso in HD standard

Le membrane sintetiche hanno:

 Alta permeabilità dell’acqua

 Alta permeabilità a soluti di medio peso molecolare

 Elevata biocompatibilità

 Idoneità all’uso in trattamenti esclusivamente o prevalentemente convettivi.

Prerequisito per qualsiasi prodotto biomedicale è la biocompatibilità; nel caso specifico dei filtri, essi devono rispondere a precise proprietà per garantire l’emocompatibilità, visto che sono dispositivi direttamente comunicanti con il sangue (De Angelis S., 2007).

Le membrane del filtro sono composti da una massa spugnosa

con pori di varia grandezza attraverso i quali i soluti, di diverse

dimensioni, vengono eliminati. Esse sono caratterizzate da

parametri funzionali che ne determinano le proprietà e gli usi:

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Area di scambio A: l’area efficace di scambio è la superficie effettiva che entra in contatto con il sangue e ne permette la depurazione. Maggiore è l’area di scambio, maggiore è il coefficiente di ultrafiltrazione.

Diametro interno: il diametro interno delle fibre è compreso tra i 100 μm e i 300 μm. Aumentando il suo valore, aumenta anche l’area di scambio secondo la relazione scritta precedentemente ( C. Ronco, 2000).

Spessore: lo spessore delle fibre risulta determinante nel passaggio dei soluti per diffusione. Per la legge di Fick, il flusso diffusivo J è inversamente proporzionale alla distanza Δ tra lato sangue e dializzato e, quindi, allo spessore. Minore è lo spessore delle membrane cellulosiche e maggiore è il trasporto diffusivo.

Coefficiente di ultrafiltrazione KUF: uno degli obiettivi

della dialisi è quello di rimuovere acqua dai pazienti

iperidratati. Affinché ciò avvenga, le membrane di dialisi

devono avere un’alta permeabilità idraulica. Questa è

definita come il flusso d’acqua per unità di area della

membrana, per il gradiente di pressione

(ml/min/cm²/mmHg). Il coefficiente di ultrafiltrazione

dipende in gran parte dal tipo di materiale utilizzato per la

membrana e dalla dimensione dei pori.

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Coefficiente di permeabilità diffusiva (K0): il coefficiente di permeabilità diffusiva è inversamente proporzionale alla resistenza totale di tutti e tre i “compartimenti” che si oppongono al movimento diffusivo: il lato sangue, la membrana in sé e il comparto dialisato. Di conseguenza, il K0 è influenzato principalmente dalle proprietà della membrana (come lo spessore) e da quelle dei singoli soluti (come il coefficiente di diffusività), mentre rimane inalterato dalla temperatura, a causa delle piccole variazioni permesse fisiologicamente. Il coefficiente di trasferimento di massa riflette la capacità intrinseca del dializzatore di rimuovere un particolare soluto.

Dimensioni e morfologia dei pori: la porosità è caratterizzata dal numero, dalla dimensione e dalla morfologia dei pori. Tali variabili dipendono dalla categoria di materiale a cui appartengono le membrane:

nelle membrane cellulosiche, il trasporto di soluti avviene

attraverso “spazi” formati dalle micro-fibrille. Al contrario,

le membrane sintetiche contengono pori distinti che si

formano durante il processo di filatura. Di conseguenza,

la dimensione media nelle membrane cellulosiche ha una

dispersione molto alta, cosa che invece è molto più

ristretta in quelle sintetiche (C. Ronco et al, 2002).

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Figura 1.3 I compartimenti di un filtro per emodialisi/ultrafiltrazione.

(Fiaccadori E. et al, 2010)

1.3 Trasporto attraverso membrana

Quando due soluzioni sono separate da una membrana

semipermeabile, i soluti in esse contenute possono attraversare

le membrane per diffusione o per convezione o per

adsorbimento attivo dei soluti.

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1.3.1 Trasporto diffusivo

È il trasferimento passivo di soluti attraverso la membrana senza passaggio di solvente.

Figura 1.4 Processo di diffusione (da Giroldi et al 1998)

La quantità di soluto che attraversa una membrana per diffusione dipende dai seguenti fattori:

1. gradiente di concentrazione medio del soluto (∆CM): deve essere il più possibile elevato, poiché il passaggio del soluto attraverso la membrana è direttamente proporzionale alla differenza del gradiente di concentrazione tra due soluti.

2. superficie di membrana (A): la diffusione di un soluto sarà

tanto maggiore, quanto maggiore sarà la superficie

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efficace di scambio (i filtri ad altra superficie hanno una maggiore efficienza depurativa)

3. Peso molecolare (PM) delle sostanze che compongono il soluto. Con il crescere del PM di una sostanza si riduce la su capacità di diffondere passivamente attraverso la membrana.

4. coefficiente di permeabilità globale del dializzatore (Ko) che risulta dal complesso soluto-membrana-solvente. È soprattutto legato alle caratteristiche chimico fisiche della membrana e quindi ogni filtro è caratterizzato da un Ko costante.

L’inverso di Ko è definito come resistenza al flusso diffusivo (1/Ko=R). Per passare dal sangue al dialisato, ogni molecola di soluto deve diffondere tramite sangue, membrana del filtro e dialisato. La resistenza opposta al passaggio è rappresentata dalla somma di Rs (sangue), Rm (membrana) e Rd (dialisato), quindi per aumentare il trasporto diffusivo è necessario ridurre, per quanto possibile, la resistenza di ciascuno dei tre compartimenti:

• Rs può essere diminuito riducendo lo spessore effettivo dello strato di sangue.

• Rd può essere ridotto aumentando il flusso della soluzione di

dialisi, ciò favorisce il lavaggio degli strati del dialisato a

contatto con la membrana.

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• Rm può essere ridotto, per una membrana con una certa composizione chimica, mediante la riduzione del suo spessore;

in questo caso il fattore limitante è la resistenza meccanica della membrana stessa.

Il flusso diffusivo di un soluto lungo una certa distanza (dx) è proporzionale alla differenza di concentrazione della sostanza stessa lungo questa distanza e all’area sulla quale questa viene esercitata ed è definito dall’equazione di Fick:

J= -Ko ∙ A ∙

dove Ko corrisponde al coefficiente di permeabilità globale del dializzatore, A corrisponde alla superficie di membrana, ∆CM corrisponde al gradiente di concentrazione medio del soluto e dx alla distanza. (Kessler S.B. e Klein E., 1992)

I soluti trattenuti in corso di uremia possono essere classificati grossolanamente, in base alle loro proprietà chimico fisiche in:

 Soluti a basso peso molecolare, idrosolubili (PM <500Da)

 Soluti a medio peso molecolare (PM >500Da)

 Soluti legati a proteine di trasporto

Queste caratteristiche delle tossine uremiche e la

compartimentalizzazione, influenzano la loro capacità e

accessibilità alla rimozione attraverso la dialisi.

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Infatti, mentre i soluti a basso peso molecolare hanno una clearance molto elevata, nelle altre due tipologie è proporzionalmente ridotta.

Nel caso della dialisi la soluzione da depurare (corrispondente al plasma del paziente uremico) contiene elevati livelli di urea, fosfato, creatinina, acido urico e generalmente potassio, mentre il dialisato contiene alti livelli di acetato e calcio ionizzato (Kessler S.B. e Klein E., 1992).

Una volta che l'equilibrio è stato raggiunto, non c'è alcun

cambiamento netto nella concentrazione di soluto su entrambi i

lati della membrana; tuttavia, il costante rifornimento di dialisato

fresco nel dializzatore impedisce di raggiungere un equilibrio,

mantenendo così la diffusione attiva. L'efficienza di diffusione è

ulteriormente aumentata utilizzando un sistema in

controcorrente tra il sangue e il flusso del dializzato che

massimizza il gradiente di concentrazione. Un fattore

importante in tale processo è il peso molecolare di un

composto, che risulta essere inversamente proporzionale alla

velocità di diffusione; ne consegue che, i piccoli soluti come

urea (60 Da) diffondono più facilmente rispetto alle molecole più

grandi, come la creatinina (113 Da). Anche la dimensione dei

pori della membrana limita il movimento dei soluti in particolare

di quelli più grandi, impedendo, ad esempio, il passaggio di

proteine plasmatiche e componenti cellulari del sangue (I. Lippi

e G. Guidi, 2013).

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Figura 1.4 Il principio della diffusione durante dialisi (A) ed il gradiente di diffusione attraverso la membrana del filtro (Fiaccadori E. et al, 2010)

1.3.2 Ultrafiltrazione

Con il termine ultrafiltrazione si indica il solo passaggio di acqua

dalla componente ematica alla soluzione di dialisi senza

passaggio di soluti. Avviene grazie ad un gradiente di pressione

positivo nel comparto ematico. In questo caso l'acqua non

trascina con sè soluti che vengono contrastati dalla

concentrazione presente dialisato. Il coefficiente di

ultrafiltrazione rappresenta il numero di liquido trasferito ogni

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ora attraverso la membrana, per ogni mmHb di gradiente di pressione di transmembrana. (Fiaccadori E. et al, 2010).

Figura 1.5 processo di ultrafiltrazione (da Giroldi et al 1998)

L’ultrafiltrazione esercita due effetti:

 Sottrazione del solvente (acqua plasmatica)

 Sottrazione di soluto alla stessa concentrazione dell’acqua plasmatica (per convezione)

Con la diffusione si favorisce il passaggio di molecole di piccolo

PM ed ostacola quello di molecole a più elevato PM. Con la

convenzione invece si favorisce il passaggio di soluti ad alto

peso molecolare e riduce il passaggio di molecole a basso PM

(Guadagni G., 2007).

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1.3.3 Trasporto convettivo

È un trasporto contemporaneo del solvente e di una parte delle sostanze in esso disciolte attraverso una membrana, mediante ultrafiltrazione.

Figura 1.6 processo di convezione (da Giroldi et al 1998)

La differenza di pressione idrostatica creata artificialmente tra i 2 compartimenti (sangue e dialisato) provoca il passaggio dell’acqua che trascina con sé i soluti.

Il trasporto convettivo influenza la clearance delle medie e

grandi molecole con limitata diffusibilità; durante il trattamento

emodialitico standard, questo contribuisce alla rimozione del

soluto totale che normalmente è intorno al 5%. La ragione

principale dell’utilizzo dell’ultrafiltrazione durante l’emodialisi è

la regolazione della rimozione dei fluidi. Se il trasporto

convettivo viene usato come metodo principale di purificazione

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del sangue, allora il trattamento extracorporeo è di altro tipo ed è definito emofiltrazione (I. Lippi e G. Guidi, 2013).

Il trasporto di un soluto attraverso la membrana per mezzo del metodo convettivo dipende da tre fattori:

1. Coefficiente di setacciamento (SN) della membrana per il soluto. È definito dal rapporto fra la concentrazione del soluto dell’ultrafiltrato e la sua concentrazione nello stesso momento nel plasma. Per i soluti di piccolo peso molecolare, l’SN è uguale a 1 qualunque sia la membrana. Per soluti di peso molecolare maggiore il valore di SN scende progressivamente in modo diverso a seconda della membrana utilizzata (Ronco et al, 1998).

2. concentrazione plasmatica del soluto (CpN).

Indispensabile che sia adeguatamente rappresentata nel sangue. Passaggio proporzionale alla sua concentrazione (Fiaccadori E. et al, 2010).

3. flusso o velocità di ultrafiltrazione del solvente (Qf).

Dipende dalla superficie efficace della membrana, dalla pressione idrostatica transmembrana e dal coefficiente di ultrafiltrazione (Ronco et al, 1998).

Le considerazioni fatte sul trasporto di soluti per diffusione e per

UF riguardano soluti non presenti nel dialisato ma solo nel

plasma. Le cose vanno diversamente per gli elettroliti, in

particolare per [Na ⁺] che regola l’equilibrio osmotico tra

comparto intra ed extracellulare. La presenza di acqua e sodio

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nel paziente in trattamento dialitico deve essere bilanciato: la quantità rimossa durante la seduta di dialisi deve essere sovrapponibile all’accumulo interdialitico (Movilli E., 2012).

Per il Na ⁺ si verifica un doppio trasporto, diffusivo e convettivo, e il bilancio netto di questi processi alla fine del trattamento, ne regola la concentrazione plasmatica. La perdita di Na ⁺ può risultare quindi elevata. Per compensare a tale perdita, è necessario utilizzare una concentrazione maggiore di Na ⁺ nel dialisato rispetto a quella plasmatica, così da realizzare un trasporto diffusivo positivo che contrasti la perdita convettiva.

Non esiste però una concentrazione di sodio standard che vada bene per tutti i pazienti, ma è un parametro che va adeguato caso per caso (Movilli E., 2012).

Figura 1.7 Il principio dell’ultrafiltrazione (A) ed il gradiente pressorio attraverso la membrana del filtro durante l’ultrafiltrazione (B).

TMP=pressione transmembrana (Fiaccadori E. et al, 2010).

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1.3.4 Adsorbimento dei soluti

Questo è il terzo meccanismo di purificazione del sangue che si verifica in minima parte nell’emodialisi, ma è il principale coinvolto nel trattamento extracorporeo definito come Emoperfusione (HP). Esso consiste nella captazione attiva di molecole ad alto peso molecolare o che presentano legami proteici, e che non possono essere rimosse con il filtro per dialisi, ma che lo sono solo per mezzo di una membrana di filtrazione, chiamata generalmente “Adsorba” (Cowgill e Guillaumin, 2013).

1.3.5 Tecniche di emodialisi che sfruttano il trasporto di soluti

L’emodiafiltrazione (HDF) è un tipo particolare di emodialisi (HD) in cui l’ultrafiltrazione (UF) di acqua plasmatica è maggiore di quella corrispondente alla perdita di fluidi voluti; l’acqua rimossa in eccesso è ricostituita tramite la reinfusione di soluzioni sterili a concentrazione nota di elettroliti prima del filtro (pre-diluizione) o dopo il filtro (post-diluizione).

L’emodiafiltrazione quindi utilizza entrambi i processi di

trasporto dei soluti permettendo quindi di rimuovere le tossine

più piccole tramite la via diffusiva e quelle più pesanti per via

convettiva, coniugando i vantaggi dell’emodialisi a quelli

dell’emofiltrazione (Ferro G., Pizzarelli F., 2012).

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1.3.5.1 Interferenza tra diffusione e convezione nell’HDF In HDF la clearance convettiva di un soluto diffusibile non si identifica con l’entità del flusso di ultrafiltrazione (Quf), in quanto i processi diffusivi simultanei a quelli convettivi diminuiscono la sua concentrazione. Pertanto, la clearance convettiva sarà tanto più bassa quanto maggiore è quella diffusiva: infatti la componente convettiva della depurazione agisce su un’acqua plasmatica che viene già parzialmente depurata per diffusione nel percorso all’interno del filtro. La concentrazione dei soluti nell’ultrafiltrato rispecchia tale situazione e i soluti passano quindi per convezione in una concentrazione inferiore a quella dell’acqua plasmatica all’ingresso del sistema ( Aucella F., 2012).

Per migliorare la resa depurativa e sfruttare al meglio le

caratteristiche dell’HDF si utilizzano elevati valori di reinfusione,

ovviamente nei limiti imposti dal Qb, dall’ematocrito (Hct), dalle

proteine totali e quindi dalla frazione di filtrazione. Ne consegue

la necessità di notevoli quantità di soluzione di reinfusione, la

cui composizione e qualità devono essere garantite. La

composizione del liquido di reinfusione deve essere la stessa

del dialisato, sia nel contenuto di tamponi che in quella di

elettroliti, cosa che non consente però la personalizzazione del

trattamento (Aucella F., 2012).

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1.4 Dialisato

Il dialisato è formulato in modo da favorire il movimento delle molecole di scarto idrosolubili (tossine uremiche con cinetiche simili all’urea e alla creatinina) fuori dal corrente ematico, mantenendo le concentrazioni fisiologiche di sostanze che sono permeabili (come il glucosio, fosforo, calcio) e reintegrando le molecole che nel plasma sono ridotte, come il bicarbonato (Fischer, 2004).

1.5 Emodialisi in medicina veterinaria

Le terapie renali sostitutive extracorporee si sono evolute nel corso degli ultimi 40 anni diventando terapia d’elezione per il management dell’AKI in medicina Veterinaria. I trattamenti vengono effettuati sia in cani e con tecniche ed equipaggiamenti sicuri ed efficaci per pazienti di tutte le taglie dai più piccoli (minimo 1,5 kg) ai più grandi (600 Kg) (Cowgill e Francey, 2011).

Queste tecniche sono utilizzate primariamente come terapie di

sostegno per ridurre le conseguenze e i disordini omeostatici

associati all’uremia, ma sono altrettanto importanti come terapie

salvavita in caso di avvelenamento acuto, sovradosaggio di

farmaci e per sovraccarico di fluidi.

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1.5.1 Prescrizione del trattamento di emodialisi intermittente (IHD)

Le sessioni giornaliere di emodialisi intermittenti standard durano dalle 3 alle 6 ore e sono solitamente ripetute a giorni alterni, programmando tre trattamenti alla settimana. Nel periodo iniziale il management del paziente può rendere necessario 2 o 3 trattamenti consecutivi di attacco (Cowgill e Guillaumin, 2013).

Il trattamento dialitico deve essere prescritto tenendo conto dello stato clinico del paziente, dei principi della dialisi, del tipo di macchinario a disposizione e infine dell’obiettivo terapeutico.

Tabella 1.1 Considerazioni cliniche che influenzano la prescrizione emodialitica

1. Caratteristiche del paziente (specie, taglia, età, condizione corporea)

2. Gravità dell’azotemia e ritenzione di tossine uremiche 3. Grado di anemia

4. Disordini elettrolitici e minerali: sodio, potassio, cloro, bicarbonato di calcio magnesio e fosfato

5. Squilibrio acido-base e Acid-base e perdita o deficienza di soluti:

bicarbonato, calcio, glucosio

6. Intossicazioni esogene (es. Glicole etilenico) 7. Stato di idratazione e equilibrio dei fluidi corporei

8. Valutazione dei parametri fisiologici di pressione sanguigna, ematocrito, temperature corporea, ossigenazione, cambiamenti di peso, stato del sensorio

9. Stato della coagulazione

10. Terapie in corso, anamnesi chirurgica, altre patologie concomitanti

11. Terapie dialitiche effettuate

Tabella 1.1 considerazioni cliniche che influenzano la prescrizione della

terapia emodialitica. (modificata da Cowgill, 2011)

(29)

Altri fattori da considerare nella prescrizione:

 Selezione del filtro: il filtro deve essere scelto innanzitutto in base alla dimensione e a quanto incide sul volume di sangue extracorporeo; secondariamente, in base alle sue proprietà diffusive, convettive e di emocompatibilità.

 Selezione del circuito extracorporeo e soluzione priming: i volumi extracorporei raccomandati per le terapie HD nei cani sono illustrati nella tabella 1.2.

Tabella 1.2 volumi di sangue extracorporei raccomandati per HD nel cane

Peso corporeo

(Kg)

Volume filtro (ml)

Volume extracorporeo totale (ml)

% volume di sangue

<6 <30 <70 13-40

6-12 <45 <90 9-19

12-20 <80 100-160 6-17

20-30 <120 150-200 6-13

>30 >80 150-250 6-10

Tabella 1.2 Volumi di sangue extracorporei raccomandati (modificata da Cowgill, 2011)

 Intensità del trattamento: si può stimare l’intensità di

trattamento come volume di sangue totale che passa dal

filtro durante l’intero trattamento (Qb ∙ t, dove Qb è il

flusso di sangue e t il tempo di trattamento) o come Urea

(30)

Reduction Ratio (URR). Questa correlazione può essere usata operativamente come parametro per guidare la prescrizione, decidendo il target di URR che il clinico vuole raggiungere con quel trattamento, a seconda della gravità dell’uremia e della fase di management del paziente.

Figura 1.8 URR predetta in funzione del volume di sangue processato in

413 trattamenti emodialitici effettuati su cani. URR è stata ricavata dalla

BUN pre-dialisi e quella immediatamente dopo il trattamento. Il volume del

sangue processato è stato indicizzato al peso corporeo per comparare i

cani di taglia diversa. La linea rappresenta la curva della funzione. (da

Cowgill, 2011)

(31)

 Tempo di trattamento: si può utilizzare il valore di URR oraria (URR/h) per andare a definire il tempo di trattamento più adeguato, in grado di limitare le complicazioni legate ad eccessiva clearance e/o ad un’eccessiva rapidità della clearance.

Tabella 1.3 Prescrizione dell’intensità del trattamento

Trattamento iniziale

BUN < 200 mg/dL URR <0,5 no>0,1 URR/h BUN 200-300 mg/dL URR 0,5-0,3

no >0,1 URR/h BUN >300 mg/dL URR ≤0,4

no >0,05-0,07 URR/h

Secondo trattamento

BUN < 200 mg/dL URR 0,6-0,7 0,12-0,15 URR/h BUN 200-300 mg/dL URR 0,6-0,4

no>0,05- 0,1 URR/h BUN >300 mg/dL URR≤0,4

no>0,05-0,1 URR/h

Terzo trattamento

BUN < 150 mg/dL URR>0,8

>0,15 URR/h BUN 150-300 mg/dL URR 0,5-0,6

0,15-0,1 URR/h BUN >300 mg/dL URR 0,5-0,6

<0,1 URR/h

Tabella 1.3 Prescrizione dell’intensità del trattamento dialitico (modificata

da Cowgill, 2011)

(32)

 Flusso del sangue nella circolazione extracorporea: il flusso sangue (Qb) sarà l’ultimo parametro da impostare, in ml/min, dopo aver determinato l’URR totale e quella oraria (URR/h) ricavando così il tempo di trattamento.

 Composizione del dialisato: solitamente la formulazione standard del dialisato per i cani è la seguente: Sodio circa 145 mmol/L; Potassio da 0,0 a 3,0 mmol/L; Cloro circa 113 mmol/L; Calcio 1,5 mmol/L; Magnesio 1,0 mmol/L e Destrosio 200 mg/L. Il flusso del dialisato convenzionalmente nelle macchine intermittenti (IHD) è di 500 mL/min ed è in controcorrente rispetto al flusso sangue. La temperatura di solito è settata intorno alla temperatura corporea tra 38 e 40°C.

 Anticoagulanti: l’interazione del sangue con il materiale e le irregolarità delle membrane del filtro e del circuito extracorporeo attiva tutti i componenti della cascata della coagulazione e dell’aggregazione piastrinica, promuovendo trombosi nel circuito extracorporeo. Per evitare questo fenomeno è necessario utilizzare anticoagulanti durante la sessione dialitica, ma bisogna considerare che un eccessivo uso potrebbe provocare emorragie intense.

 Velocità e volume di ultrafiltrazione: l’ultrafiltrazione (UF)

deve essere prescritta e monitorata attentamente, basse

velocità come 5-10 ml/Kg/h sono solitamente bene

(33)

tollerate, ed in generale gli animali sopportano meglio l’UF all’inizio del trattamento piuttosto che alla fine; il maggior rischio correlato ad una elevata ultrafiltrazione, è di rimuovere un volume di fluidi intravasali ad una velocità superiore alla capacità dell’organismo di redistribuirli dal comparto extravascolare, con conseguente sviluppo di condizioni pericolose per la vita del paziente quali ipovolemia, ipotensione e collasso cardiocircolatorio (Cowgill, 2011).

1.5.2 Complicazioni in corso di emodialisi

In letteratura sono ampiamente riportate possibili complicazioni durante la terapia emodialitica e si possono presentare sia durante il trattamento che nell’intervallo interdialitico. Le complicazioni più frequentemente riscontrate sono: ipotensione e ipovolemia, problemi legati all’accesso vascolare, complicazioni neurologiche, respiratorie, ematologiche e gastrointestinali (Bloom e Labato, 2011).

Durante un trattamento emodialitico è possibile che si

presentino ipovolemia e ipotensione per un’eccessiva

ultrafiltrazione, o per una notevole quantità di sangue nel

circuito extracorporeo; questo tipo di complicazione è possibile

riscontrarlo anche negli intervalli di dialisi per sanguinamenti

secondari alle ulcerazioni uremiche o a problemi emostatici che

(34)

possono essere dovuti a coagulopatie o ad un uso eccessivo di anticoagulanti (Bloom e Labato, 2011).

Al contrario, è possibile anche che si verifichi uno stato di iperidratazione, causata o dal management medico per una fluidoterapia troppo aggressiva ed eccessiva, oppure dovuto allo stato di anuria del paziente che quindi non elimina i liquidi in eccesso con l’urinazione. In quest’ultimo caso è dunque necessario diminuire l’intervallo di tempo tra una dialisi e la successiva. L’accumulo di liquidi può contribuire ad alterare le funzioni organiche attraverso meccanismi diversi. In primo luogo, l'edema tissutale può mettere in pericolo direttamente assorbimento intestinale e/o l'escrezione renale. Inoltre l’accumulo di liquidi può anche portare a un aumento della pressione addominale e/o a uno stato di congestione venosa a livello renale (Bouchard J., 2009).

Per quanto riguarda l’accesso vascolare, le possibili complicazioni sono frequenti e varie, possono presentarsi trombosi oppure un malfunzionamento del catetere e la conseguente incapacità di mantenere adeguati flussi di sangue durante il trattamento. Queste problematiche possono essere causate da un mal posizionamento del catetere venoso centrale (CVC), sanguinamenti e infezioni. Oltre alla necessità di una disinfezione accurata con soluzioni antisettiche (es.

clorexidina), ogni volta che viene utilizzato il catetere, il CVC

deve essere chiuso con soluzioni contenenti alti dosaggi di

(35)

eparina (lock solution) per evitare che si formino coaguli all’interno dei port (Bloom e Labato, 2011).

Le complicanze neurologiche possono presentarsi come conseguenza di altre patologie come l’encefalopatia uremica, emorragie o trombosi intracraniche o a causa di quella che viene definita “sindrome da disequilibrio” (Dialysis Disequilibrium Syndrome- DDS). La DDS è causata da una riduzione troppo repentina dell’osmolarità del sangue, per riduzione della concentrazione ematica di Urea, sodio e di altri soluti osmoticamente attivi durante la dialisi, provocando iperosmolarità cerebrale ed edema cerebrale. Questa complicazione si può verificare in particolar modo durante la prima dialisi se impostiamo un trattamento troppo intenso (Bloom e Labato, 2011).

Anche a livello respiratorio possono presentarsi segni di sofferenza sia per patologie sottostanti che per il trattamento stesso. Sono da citare la polmonite uremica, l’emorragia polmonare, raccolte pleuriche ed edema polmonare, ipossia, ipoventilazione, tromboembolismi polmonari (Bloom e Labato, 2011).

Il polmone uremico è complicazione molto frequente in

medicina umana in pazienti con AKI, e si presenta con un

pattern interstiziale dovuto ad un’ alterata permeabilità capillare

polmonare causata dall’ aumento delle citochine infiammatorie

(IL-6). Nel cane sebbene i segni radiografici polmonari siano

(36)

piuttosto frequenti in corso di AKI, non sembrano correlati ad un peggioramento della prognosi. Nel cane sembrano essere più frequenti e tipici i pattern alveolari focali riferibili più probabilmente ad una polmonite ab ingestis e meno probabilmente a condizioni di ipoalbuminemia o di aumento della pressione idrostatica per sovraccarico di fluidi (Lippi et al., 2014).

Dal punto di vista ematologico sono comuni anemia, trombocitopenia e leucopenia (Bloom e Labato, 2011).

Le alterazioni ematologiche possono dipendere dal processo infiammatorio sistemico (Systemic Infiammatory Response- SIRS) o da una coagulazione intravasale disseminata (CID);

l’anemia può essere dovuta alla perdita ematica determinata dal trattamento stesso, ma anche per una diminuita sopravvivenza dei globuli rossi a causa dell’uremia o della ridotta maturazione per carenza di eritropoietina non prodotta dal rene stesso.

Per quanto riguarda l’apparato gastroenterico sono molto

frequenti il vomito, la nausea e inappetenza sempre associato

all’ uremia, o per complicazioni intradialitiche come ad esempio

l’ipotensione per eccessiva ultrafiltrazione o la sindrome da

disequilibrio (Bloom e Labato, 2011).

(37)

CAPITOLO 2

Fluidoterapia

2.0 Introduzione

Il mantenimento di una composizione costante (omeostasi) del sangue e degli altri liquidi organici è una condizione essenziale per la sopravvivenza delle cellule che costituiscono il nostro organismo (Barbone S., 2010).

Figura 2.1 L’omeostasi nel corpo umano (Boncompagni E.)

(38)

2.1 Compartimenti corporei

L'acqua totale corporea (pari a circa il 60 % del peso corporeo) può essere schematicamente suddivisa in due principali compartimenti: l'acqua intracellulare, l'acqua extracellulare (Barbone S., 2010).

Figura 2.2 Compartimenti corporei

Il liquido intracellulare risulta essere il 40% del peso corporeo;

quello extracellulare invece il 20%. Inoltre il liquido

extracellulare è suddiviso in spazio interstiziale (es. liquido tra

le cellule) che costituisce il 15% del peso corporeo e in spazio

(39)

intravascolare (es. l’acqua del plasma) che costituisce il 5% del peso corporeo (Fiaccadori E. et al, 2010).

In condizioni stazionarie, i tre compartimenti si trovano in equilibrio tra loro, grazie all’equilibrio delle forze di tipo osmotico tra i compartimenti intracellulare, interstiziale e plasmatico e delle forze idrostatiche tra quello interstiziale e vascolare (Barbone S., 2010).

2.1.1 Compartimento intracellulare

Il liquido intracellulare rappresenta la parte quantitativamente più importante dei liquidi corporei (circa il 40-45% del peso corporeo); in esso si svolgono tutte le reazioni metaboliche della cellula; la sua composizione è mantenuta rigorosamente costante grazie agli scambi con il liquido interstiziale e con il sangue, operati attraverso la membrana cellulare (Barbone S., 2010).

2.1.2 Compartimento interstiziale

Il liquido interstiziale (10-15% del peso corporeo) circonda le

cellule e i vasi sanguigni e linfatici, permettendo gli scambi di

sostanze tra la cellula e i liquidi intravascolari. (Barbone S.,

2010).

(40)

Figura 2.3 Proprietà di base che regolano gli scambi dei soluti e dei liquidi

del corpo. a) poiché tutte le membrane del corpo sono semipermeabili

l’acqua può muoversi liberamente tra i i diversi comparti. b) la pompa

cellulare sodio/potassio trasporta continuamente potassio all’interno della

cellula e sodio fuori da essa. Questo processo mantiene un’alta

concentrazione di potassio all’interno della cellula ed un’elevata

concentrazione di sodio al di fuori di essa. c) i soluti più importanti per la

regolazione del volume sono il potassio all’interno della cellula, il sodio nel

liquido interstiziale e le proteine del plasma insieme al sodio nei vasi

sanguigni.

(41)

2.1.3 Compartimento intravascolari

Dei liquidi intravascolari (5% del peso corporeo) fanno parte sia il plasma sanguigno che la linfa, che scorrono rispettivamente nei vasi sanguigni e linfatici, rifornendo i tessuti di sostanze nutritive e asportando, invece, i prodotti di rifiuto del metabolismo cellulare.

La composizione dei liquidi extracellulari può variare entro ristretti limiti; infatti, l’acqua e le sostanze in essa disciolte svolgono un ruolo essenziale per lo svolgimento delle reazioni metaboliche cellulari, cosicché variazioni eccessive della composizione dei liquidi extracellulari possono determinare alterazioni gravi della funzionalità delle cellule. (Barbone S., 2010).

Tabella 2.1 Concentrazione intra ed extra -cellulare dei principali elettroliti

Elettroliti Concentrazione (mEq/l) Cationi Intracellulari Extracellulari

Na+ (sodio) 10 140-145

K+ (potassio) 160 4

Ca++ (calcio) -- 2-4

Mg++ (magnesio) 35 2-3

Anioni Intracellulari Extracellulari

Cl ⁻ (cloruro) 2 110

HCO ₃⁻ (bicarbonato) 8 28-30

HPO ₄⁻⁻ (fosfato) 140 2

SO ₄⁻⁻ ( solfato) -- 1

proteinato 55-60 1 (16 nel plasma)

Tabella 2.1 Concentrazione intra ed extracellulare dei principali elettroliti

(modificata da Barboni 2010)

(42)

2.2 Fluidoterapia in corso di insufficienza renale acuta (AKI)

La fluidoterapia è la principale terapia per l’insufficienza renale acuta (AKI) specialmente in medicina veterinaria. Molti farmaci sono stati valutati, ma l'unico intervento che migliora il risultato è l’attenta somministrazione di liquidi. I fluidi vengono somministrati ai pazienti con AKI per ripristinare e mantenere l'idratazione. Circa il 30-75% di soggetti con AKI deriva da problemi di perfusione renale, compresi i disturbi emodinamici (pre-renale) e l’ischemia renale. I fluidi vengono anche utilizzati per mantenere lo stato elettrolitico e acido-base. Si ritiene comunemente che la somministrazione di liquidi porta alla diluizione delle nefrotossine e ne migliora l'eliminazione, ma non ci sono dati a sostegno di questa affermazione. È anche comunemente affermato che, una diuresi forzata aumenta la produzione di urina e di conseguenza l’escrezione dei soluti uremici. Inoltre una delle funzioni del nefrone è l’assorbimento sia di acqua che di sodio, quindi l’escrezione di un eccesso di entrambi risulta più difficoltosa (Langston, 2012).

L’ipotensione, il dolore, e il danno renale attivano il sistema

nervoso simpatico, il sistema renina-angiotensina-aldosterone,

e il rilascio di ormone antidiuretico; tutti questi sistemi

promuovono la ritenzione idrica ma, al contrario, ostacolano la

diuresi e quindi l’escrezione delle sostanze. Quindi evitare il

(43)

sovraccarico di fluidi fin dall'inizio del processo morboso, sembra una scelta logica e prudente (Langston, 2012).

La maggior parte dei pazienti con uremia acuta o cronica, di solito presentano una ridotta assunzione di liquidi e/o un aumento delle perdite di fluidi attraverso il vomito, la diarrea, eventuali emorragie e la poliuria; tutto ciò può portare anche a grave disidratazione, ipovolemia, ipotensione. La disidratazione e l’ipovolemia stessa aggravano l’azotemia, contribuiscono a peggiorare l’emodinamica renale e predispongono i reni ad ulteriore danno ischemico e alla conseguente diminuzione della produzione urinaria. Al contrario, l’iperidratazione e l’ipervolemia sono complicazioni comuni nel ricovero ospedaliero per un’ aggressiva gestione dei fluidi durante le fasi iniziali della patologia renale trattata secondo management medico con fluidoterapia. L’ipervolemia predispone ad un maggior rischio di edema polmonare e periferico, di versamento pleurico, ipertensione sistemica, insufficienza cardiaca congestizia, e peggioramento progressivo del paziente (Cowgill, 2012).

Molteplici studi hanno dimostrato che la somministrazione aggressiva di fluidi al momento del ricovero come pronto soccorso, seguita poi da una fluidoterapia meno aggressiva può migliorare il risultato e può ridurre l'incidenza di AKI.

Confrontando piani terapeutici di somministrazione di liquidi

standard con piani di fluidoterapia meno aggressiva è stato

(44)

visto che quest’ultimi migliorano lo stato del paziente, diminuiscono il numero di giorni in terapia intensiva, e abbassano anche il tasso di mortalità. Nessuno dei piani meno aggressivi ha peggiorato la funzionalità renale o ne ha aumentato la mortalità. Inoltre i pazienti con AKI, possono ricevere numerosi farmaci per trattare le condizioni di base (ad esempio, gli antibiotici per eventuali infezioni), per le complicanze uremiche (gastroprotettori per la gastrite uremica) o per le complicazioni secondarie (ad esempio, polmonite ab ingestis da vomito), andando quindi a sovraccaricare ulteriormente il rene durante filtrazione glomerulare (Langston, 2012).

2.3 Iperidratazione

Il sovraccarico di fluidi è una complicanza relativamente

comune durante il trattamento dei pazienti con danno renale

acuto (AKI). Studi in letteratura effettuati su pazienti umani

(Bouchard, 2009) suggeriscono che il volume in eccesso

contribuisce al peggioramento della prognosi, e non è

semplicemente un marcatore di una malattia più grave. I

pazienti con sovraccarico di volume superiore al 10% hanno 2-

3 volte più probabilità di morire rispetto a quelli con

un’iperidratazione meno accentuata. L’iperidratazione, si

manifesta con gonfiore e edema in diversi organi, tra cui il rene,

l’intestino, e il cervello, causandone l’alterazione della propria

(45)

funzione. A carico dei reni, l’iperidratazione ostacola ulteriormente la capacità di espellere l’ acqua necessaria e quindi anche quella di eliminare le sostanze azotate, provocando un vero circolo vizioso (Langston, 2012).

Tabella 2.2 Segni di ipervolemia

• Edemi periferici.

• Polso arterioso ampio.

• Pressione arteriosa elevata.

• Giugulari turgide.

• Pressione venosa centrale elevata.

• Possibili rantoli polmonari basali bilaterali.

• Possibile edema polmonare.

• Poliuria marcata se la funzione renale è conservata

Tabella 2.2 Segni di ipervolemia (modificato da Sgambato F., 2006)

Molti recenti studi effettuati in medicina umana (Kalantar-Zadeh

K; 2009 e Agarwal R.; 2010) si sono concentrati sui nuovi fattori

di rischio, come la malnutrizione, l'infiammazione, e il

sovraccarico di volume in pazienti in dialisi con insufficienza

renale cornica (CKD). Il sovraccarico di liquidi è legato alle

malattie cardiovascolari ed è un predittore negativo di outcome

in questi pazienti trattati con emodialisi e dialisi peritoneale. La

valutazione clinica dello stato fluido è relativamente difficile,

perché i segni fisici di edema hanno un valore limitato nella

diagnosi d’iperidratazione. La valutazione del diametro della

vena cava inferiore tramite esame ecografico può essere

(46)

utilizzato per misurare il volume intravascolare (precarico), ma non lo stato di idratazione del tessuto. Questa tecnica non è molto affidabile perché è molto dipendente dall’operatore ed esiste una notevole variabilità individuale legata al paziente.

(Hung Kuo et al, 2014).

Esistono dei biomarkers quali il peptide natriuretico cerebrale (BNP) e il pro-peptide natriuretico cerebrale N-terminale (NT- proBNP) che possono riflettere i cambiamenti dello stato fluido, ma sono anche influenzati dalle malattie cardiovascolari, e possono essere accumulati in pazienti affetti da CKD per la ridotta escrezione renale. Inoltre l'uso di questi biomarkers non è praticabile in ambito clinico ambulatoriale, ma risulta estremamente limitato all’area di ricerca scientifica (Hung Kuo et al, 2014).

2.4 Monitoraggio dei fluidi corporei in emodialisi

Un aspetto essenziale della massa di acqua corporea totale e il volume nei pazienti in emodialisi è la loro variabilità. Il volume di massa corporea è fortemente dipendente dal tempo e caratterizzato da cambiamenti periodici di espansione e contrazione del volume anche in situazioni stazionarie.

Le variazioni di volume devono verificarsi idealmente in una

condizione iso-osmotica totale o parziale, in modo da essere

limitati ai cambiamenti del volume extracellulare.

(47)

L’eccesso di volume di fluidi durante la terapia renale sostitutiva intermittente comprende una componente dipendente dal tempo e una tempo indipendente. L'eccesso di volume (o il deficit) misurata al termine di una data terapia si riferisce alla componente tempo-indipendente. Vi è anche una componente del volume in eccesso che dipende dalla durata, dalla frequenza e dalla distanza dei trattamenti. Stockinger et al nel loro studio hanno studiato la variabilità dell’espansione del volume considerando come parametri di studio i profili di massa corporea ottenuti con l’analisi bioimpedenziometrica, la misurazione della concentrazione plasmatica del peptide NT- pro BNP, i segni clinici e i valori di pressione sanguigna dei soggetti sottoposti a trattamento dialitico intermittente (Stockinger et al., 2013).

2.5 Peso secco

Il peso secco corrisponde al peso corporeo di un soggetto con

un volume di fluido extracellulare normale. Nel contesto

dell’emodialisi, il peso a secco è quello raggiunto alla fine della

sessione dialitica, quando il paziente risulta libero da

ipotensione o ipertensione fino alla sessione successiva. I

clinici sono obbligati a stimare l’appropriato peso a secco di

ciascun paziente da raggiungere come obiettivo della seduta

dialitica (J. Cridlig 2011).

(48)

Se questo venisse sottostimato, il paziente è a rischio di vari episodi che vanno dal semplice stato di sonnolenza o nausea alla morte. Un eccessivo basso peso a secco può inoltre comportare il rischio permanente d’ ipotensione, crampi, nausea, vomito o ischemia.

Se invece il peso a secco venisse sovrastimato, porta all’iperidratazione cronica, che può causare eventi acuti come l’edema polmonare o l’ipertensione, ma a lungo termine anche a patologie cardiovascolari e all’aumento della mortalità (J.

Cridlig, 2011).

(49)

CAPITOLO 3

Bioimpedenza

3.0 Introduzione

La bioimpedenza (BIA) nasce dall’esigenza di disporre di una metodica oggettiva, precisa non invasiva e poco costosa per la determinazione della composizione corporea. BIA ricava informazioni da misurazioni elettriche riguardo lo stato di idratazione del paziente anche quando non ci sono segni di disidratazione o iperidratazione, infatti la valutazione della plica cutanea e la circonferenza dell’avambraccio permettono di valutare adeguatamente lo stato nutrizionale e idrico, ma sono indici poco precisi e tardivi e spesso presentano una elevata variabilità tra gli operatori; ad esempio, un grado di disidratazione fino al 5% è difficile da diagnosticare esclusivamente con l’esame clinico (P. Lentini et al, 2013).

Le misurazioni con BIA sono state dimostrate come un metodo

potenzialmente utile nel determinare lo stato fisiologico dei

tessuti. Le alterazioni correlate alla malattia, sono associate a

variazioni di parametri essenziali dei tessuti (come la struttura

fisica o la composizione ionica), tanto da poter essere rilevati

come variazioni di proprietà elettriche passive. BIA può essere

(50)

utilizzato come strumento diagnostico che riflette lo stato generale di un paziente o di un singolo organo (J. Cridlig, 2011).

3.1 Principi e basi della bioimpedenza

Tramite BIA si ricavano due misurazioni: la resistenza e la reattanza.

La resistenza che incontra una corrente elettrica quando attraversa un materiale omogeneo è direttamente proporzionale alla sua lunghezza e inversamente proporzionale alla sua sezione trasversa; il corpo umano, oppone due tipi diversi di resistenza al passaggio della corrente elettrica: una di tipo

“Capacitativo” definita Reattanza (Xc), determinata dal numero e dalla disposizione delle cariche elettriche sulle membrane cellulari del tessuto attraversato e una di tipo “Resistivo” definita Resistenza (R), la cui entità è determinata dai fluidi extra ed intracellulari presenti tra i tessuti (P. Lentini et al, 2013).

Quindi la resistenza è la forza che il conduttore oppone al passaggio di corrente ed è inversamente proporzionale al TBW.

La reattanza invece indica la resistenza al flusso di corrente di

un elemento circuitale che può immagazzinare energia, le

cellule infatti si comportano come condensatori quindi siamo di

fronte ad un circuito di corrente elettrica alternata. La reattanza

(51)

è direttamente proporzionale alla massa cellulare nel volume di tessuto valutato (S. J. Davies and A. Davenport, 2014).

L’impedenza è il rapporto matematico che lega le due grandezze XC e R. Il principio chiave dell’ impedenza applicata alla biologia umana (BIA) è che l’intero organismo sia paragonabile ad un tessuto isotropo, cioè senza variazioni elettriche al suo interno; è quindi formato da 5 cilindri Testa- Tronco, gambe e braccia (Figura 3.1).

Figura 3.1 I 5 cilindri corporei (da P. Lentini et al, 2013)

Sono state sviluppate diverse metodiche per la determinazione

della BIA: distinguiamo essenzialmente misurazioni ottenute in

monofrequenza (Single-Frequency Bioimpedance SF-BIA) e

(52)

misurazioni ottenute in multifrequenza (Multi-Frequency Bioimpedance MF-BIA).

Queste modalità possono essere utilizzate con tecniche a corpo intero (Whole-Body) che analizzano l’intera superficie corporea o con metodiche segmentali (Segmental-BIA SGBIA), che determinano la composizione corporea utilizzando arti o distretti pre-definiti (P. Lentini et al, 2013).

3.1.1 Basi biologiche

I tessuti biologici non possono essere considerati conduttori ideali, sono dei conduttori ionici con strutture eterogenee. Se limitiamo le nostre osservazioni al solo aspetto elettrico, i tessuti biologici possono essere schematicamente considerati come una combinazione di due componenti:

 Un mezzo acquoso libero chiamato fluido extracellulare entro cui sono sospese cellule circondate da una membrana contenitrice delimitando così un volume di fluido intracellulare.

La concentrazione cellulare può variare notevolmente a seconda della natura del tessuto.

I componenti fluidi (fluidi extracellulari, plasma e fluido

intracellulare) possono essere considerati come sospensioni di

ioni la cui concentrazione, carica elettrica e mobilità, tenendo

conto della viscosità del mezzo, essenzialmente

(53)

determineranno l'impedenza della sospensione, derivante principalmente dalla resistenza di tipo resistivo (R) (J. Cridlig, 2011).

Le membrane cellulari comunque costituiscono una componente più complessa. Cole attraverso tre studi in letteratura (Cole K., 1928) (Cole K., 1934) (Cole K., 1940) dimostrò che le membrane cellulari possono essere paragonate a condensatori. Questo divide i mezzi biologici in due componenti di base, resistori (R) e condensatori (C), che, quando collegati in parallelo producono un modello elettrico equivalente come quello descritto da Fricke (J. Cridlig, 2011).

Teoricamente, l’impedenza tissutale come qualsiasi impedenza elettrica, può essere misurata. La massa di tessuto da studiare deve essere delimitato e collegato ad un dispositivo di misurazione tramite un sistema di elettrodi. Nella pratica tuttavia, misurare le caratteristiche elettriche dei tessuti biologici ha sollevato molti problemi specifici. È utile riconoscere le proprietà elettriche dei tessuti biologici e le loro componenti a causa del loro interesse sia in medicina, dove molti metodi diagnostici sono basati sui principi elettrici, che nella fisiologia fondamentale, dove queste stesse proprietà contribuiscono all’

analisi strutturale dell’organizzazione cellulare, lo studio dei

meccanismi di eccitazione delle cellule, o nell'analisi di

molecole proteiche (J. Cridlig, 2011).

(54)

Capacitanza e Resistenza possono essere combinati tra loro in serie o in parallelo, portando a diverse varianti del modello Fricke.

Figura 3.1 circuito di Fricke (da Kyle, 2004)

Il circuito di Fricke presenta due conduttori in parallelo, rispettivamente identificanti i fluidi intra- ed extracellulari, ma approssima il comportamento del tessuto muscolare e non l'insieme disomogeneo dei vari tessuti del corpo (J. Cridlig, 2011).

La Resistività (accumulo di carica) e conducibilità (conduzione

di corrente elettrica) sono comunque due processi indipendenti,

per i quali il modello parallelo è risultato quello più

rappresentativo. Le formule utilizzate per i tessuti biologici,

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sono quindi tutti basati sui modelli di Fricke. L'applicazione di questi modelli di curve di spettroscopia a bioimpedenza permette una quantificazione delle differenze di valore corrispondente al fluido intracellulare e il liquido extracellulare e quindi delle relative masse. L'interesse del suo utilizzo in emodialisi è riportato in medicina umana (J. Cridlig, 2011).

3.2 Bioimpedenza a frequenza singola (Single-Frequency Bio-Impedence SF-BIA)

Utilizza una singola corrente sinusoidale alternata di 800 μA e ad una sola frequenza di 50 kHz, che viene indotta attraverso 4 elettrodi di superficie, posizionati in due coppie, rispettivamente prossimali e distali sulla superficie volare di una mano (articolazione metacarpo-falangea e interfalangea) e di un piede (articolazione metatarso-falangea e interfalangea) dallo stesso lato del corpo.

La corrente alternata produce una resistenza (r) e da questa si evince l’indice di resistenza (R/h) o l’indice di Impedenza (Z/h) normalizzati per l’altezza.

Attraverso equazioni di regressione si ricava così l’ Acqua

Corporea Totale (TBW); assumendo che l’idratazione dei

tessuti molli sia costante, si può anche calcolare la massa

magra (Free Fatty Mass FFM) e la massa grassa (Fatty Mass

FM). La principale limitazione della monofrequenza è

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