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Amico non ti addormentare il sonno odialo perché ti ruba il tempo per sognare

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Academic year: 2021

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Introduzione

Amico non ti addormentare il sonno odialo perché ti ruba il tempo per sognare

dai vieni è pronto un caffè Stasera ho voglia di fumare

e camminare fino a che mi metto a ridere e pensare:

“La macchina, la macchina dov’è?!”

Ho la testa che mi dice di andare a colorare

i muri delle case da non abbandonare Amico non ti addormentare…

Amico non mi abbandonare il sonno ti perdonerà c’è Sherazade a raccontare

e a tenere sveglia la città Ho la testa che mi dice

di notte vai a suonare per fare compagnia a chi si vuole amare a chi si vuole amare

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Ascoltando questa canzone della Bandabardò

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, inclusa nell’album Fuori Orario del 2006 mentre preparavo la tesi, ho trovato delle assonanze nel testo rispetto al tema che affronto: il mondo degli Indiani metropolitani. Attraverso le loro forme espressive, ho provato a ricostruire il “pensiero”, o “ideologia”, che li ha spinti a differenziarsi da tutto quello che solitamente si pensa quando si parla del 1977. Inoltre, nella canzone ho percepito un riferimento a una possibile eredità dell’attività degli Indiani Metropolitani, visibile in alcuni aspetti dei centri sociali degli anni ’80 e ’90 o, come in questo caso, in un determinato genere musicale. L’andare a colorare i muri delle case abbandonate, il suonare per gli amanti, il vivere in un mondo magico – favolistico, sono tutti elementi che in un

1 http://www.angolotesti.it/B/testi_canzoni_bandabardo_1535/testo_canzone_ho_la_testa_39951.html

consultato il 15 dicembre 2014

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Gruppo fiorentino, formatosi nel 1993, il cui nome è un omaggio a Brigitte Bardot, che esegue musica rock

e folk. Carlo Lucarelli, nel docu-film Bandabardò, un mistero italiano, andato in onda il 30 dicembre 2013

su Sky Arte HD, definisce i 7 componenti del gruppo come : «il più scalcinato e improbabile accrocchio di

musicisti irriverenti, fuori da qualsiasi legge di mercato e di tecniche di marketing, un controverso fenomeno

destinato a cavalcare fino ad oggi una originale storia».

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2 modo o nell’altro hanno caratterizzato gli appartenenti a questo “movimento” nel Movimento.

La mia tesi, quindi, nasce dallo studio di una parte del Movimento del ’77, la parte creativa, “esibitasi” per breve tempo, tra la fine del 1976 e per quasi tutto il 1977. La loro attività è stata caratterizzata dall’ironia, dalla satira politica, dai principi hippy e yippie e dalla ripresa di alcune pratiche dell’avanguardia storica. Manifestazioni della loro creatività artistica furono murales, happening, performance teatrali, slogan, fumetti, volantini, giornali e fanzine. Di tutto ciò si ritrovano testimonianze principalmente nelle città di Bologna e di Roma, spesso collegate alle occupazioni studentesche negli atenei cittadini o durante manifestazioni di contestazione verso le politiche economiche e sociali del governo.

Il biennio 1976-1977 calcò i sentimenti e le azioni che si protraevano a partire dagli anni ’60, dalle prime manifestazioni studentesche e contro lo Stato del 1968, dagli scandali che hanno investito la classe politica del paese e dal conseguente distacco che la popolazione sentì rispetto ai rappresentanti dei partiti, specialmente dopo le elezioni politiche del 20-21 giugno 1976. Tanti i concetti che vennero affrontati in questo periodo, che ebbero risonanze più o meno importanti sugli Indiani Metropolitani, ma che tendenzialmente furono accomunati da un unico filo sociale che li legò: la questione del sentirsi emarginati nei confronti di tutto e tutti. Gli studenti, o meglio gli studenti- lavoratori del 1977, sentirono di non avere qualcuno o qualcosa, politici e ideologie politiche, che li salvaguardasse dai meccanismi capitalistici delle fabbriche e dello Stato;

ciò condusse direttamente alla contestazione pacifica e ironica degli Indiani, che si distaccarono dalle scelte della sinistra extraparlamentare e/o dal terrorismo.

Gli Indiani Metropolitani rappresentarono un incrocio di idee tra la vita easy degli hippies americani degli anni ‘60 e le concezioni rivoluzionarie di coloro che volevano capovolgere le istituzioni in Europa durante gli anni ’70. Non ci sono fonti che dichiarano imparzialmente la partecipazione degli Indiani alle azioni terroristiche dei cosiddetti anni di piombo, ma non si può nemmeno escludere che qualcuno non abbia successivamente abbracciato la scelta di ribellarsi al sistema attraverso la violenza, perché tranne per alcuni sicuramente riconosciuti come Indiani Metropolitani, soprattutto collocabili nella città di Roma, per tutti gli altri giovani che erano sparsi per la penisola le notizie sono quasi nulle.

Comunque bisogna precisare che atti di terrore non sono stati praticati solo dai “rivoltosi”

ma anche da parte dello Stato che per contenere l’ondata rivoluzionaria spesso faceva uso di forme repressive

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. Di sicuro, come si vedrà nelle pagine successive, nella loro attività, gli Indiani, o almeno qualcuno di loro, approvavano determinate azioni, come ad esempio l’utilizzo della P38

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, che vennero esplicitamente dichiarate sia nei murales collettivi che

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Sulla questione di episodi di violenza esercitati da parte delle forze dell’ordine o dello Stato vedi testi storici citati nella tesi, che comprendono sia saggistica pro-Stato/Forze dell’ordine, sia saggistica di stampo più

“rivoluzionario”.

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Pistola prodotta in Germania dal 1938 e utilizzata durante la Seconda Guerra Mondiale, prodotta anche in

altri paesi con nominativi differenti. Nello stesso periodo la Walther la immette sul mercato civile con il

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3 negli slogan; ma nemmeno su questo si può essere certi, dato che di base ci fu sempre una ironia dissacrante.

Da un punto di vista culturale, l’attività degli Indiani Metropolitani è stata influenzata dalle grandi avanguardie (Futurismo, Dadaismo, Surrealismo), con il loro concetto di superamento dell’arte; ma anche da teorie filosofiche di stampo francese, che passarono attraverso il Situazionismo per arrivare a Gilles Deleuze e Felix Guattari

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. Il tutto fu accomunato da un netto rifiuto della distinzione tra arte e vita e dalla negazione della dottrina della buona società, che si compiva nel lavoro, nella famiglia, nella religione.

Nello specifico similitudini si trovano con il movimento Yippie! in America e il genere musicale punk in Inghilterra, nei quali il disorientamento comunicativo fece da base sia nell’utilizzo dei media nel primo, sia nei testi delle canzoni nel secondo. Altro fattore determinante fu la lotta al capitalismo, a livello economico e sociale, che ci fornisce la chiave di lettura per interpretare la scelta del nome Indiani Metropolitani, in riferimento agli Indiani d’America che lottarono contro l’egemonia degli Stati Uniti perché si videro privati dei propri territori e della propria cultura; sentimenti che chi visse gli anni tra il 1960 e il 1970 sentì fortemente suoi, in particolar modo nel 1977. A ciò si sovrappose l’attività creativa degli Indiani Metropolitani che cavalcarono l’onda (chi più chi meno consapevolmente) delle nuove frontiere artistiche della seconda metà del Novecento.

Innanzitutto si può far riferimento al concetto di arte di strada come identificazione che Marco Revelli tratta nel saggio Movimenti sociali e spazio politico, in Storia dell’Italia repubblicana pubblicata da Einaudi, che rappresentava un metodo caratteristico degli studenti, già a partire dal 1968, costituitisi corpo sociale separato dal resto della società introducendo barriere linguistiche, comunicative e comportamentali

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. Il concetto di arte di strada qui introdotto non deve essere inteso come street art o come graffitismo, i quali durante gli anni ’80 ottennero il diritto di entrare nelle gallerie diventando un vero e proprio movimento artistico. Invece, l’arte di strada degli Indiani Metropolitani si collocava in un genere di arte comportamentale che configurava lo spettacolo come la sensibilità di ogni ragazzo e ragazza partecipe alla contestazione creativa, come ricordato da Oliver Turquet (l’Indiano Metropolitano Gandalf il Viola) durante una telefonata. Lo spazio in cui si collocavano le nuove forme artistiche della seconda degli anni ‘60 fu la città, luogo di produzione e scambio di merci, come annotò Jean Baudrillard ne Lo scambio simbolico e la morte, che però con le nuove generazioni si trasformava in uno spazio invaso dai segni degli emarginati che presagivano vita o morte. Lo spazio vissuto da

nome di P.38 (per differenziarla dalla pistola di utilizzo militare); diviene un’icona (leggendaria) degli anni di piombo, perché utilizzata da gruppi extraparlamentari e confusa con una Beretta nella celeberrima foto dell’autonomo Giuseppe Memeo, che durante una manifestazione punta l’arma contro la polizia.

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Gilles Deleuze, Parigi, 18 gennaio 1925 – Parigi, 4 novembre 1995. Filosofo francese.

Felix Guattari, Villeneuve-les-Sablons, 30 aprile 1930 – Parigi, 29 agosto 1992. Medico, psicoanalista, filosofo e politico francese.

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Revelli, Marco, Movimenti sociali e spazio politico, in Storia dell’Italia repubblicana. Volume secondo: LA trasformazione dell’Italia: sviluppo e squilibri. 2. Istituzioni, movimenti, culture, Torino, Einaudi, 1995, pp.

385-476.

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4 tutti coloro che si sentono esclusi dalla società capitalista divenne la “società dello spettacolo”, teorizzata di Guy Debord, dove l’uomo era l’ombra di se stesso, il suo doppio manipolato dai mass media e dalle pubblicità, vivendo una standardizzazione e ghettizzazione capitalista. Fu in questo frangente, a partire dagli Stati Uniti, che si inserì una nuova forma di comunicazione che volle rompere i canoni classici del comportamento e si iniziò a gridare il proprio disagio sui muri delle periferie e sui vagoni della metropolitana. E, inoltre, si inserì anche in una nuova concezione artistica che vide il prevalere dell’anonimato e della collettività: una scrittura libera che con colori forti attirava l’attenzione della folla e della politica

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.

La stessa aperta denuncia che i primi graffiti americani gridavano nei confronti della società si trovava anche nei murales e nelle forme di contestazione creativa degli Indiani Metropolitani, a cui si aggiunsero altre suggestioni individuabili nel muralismo politico sudamericano che negli dopo il 1973 venne importato anche in Italia. Ma a ciò si aggiunsero anche spunti quotidiani che trovarono nei fumetti “underground” e nelle vignette alla Vauro e Vincino ampie fonti di creazione artistica; questo pratiche figurative aumentarono il proprio senso di comunicazione attraverso gli slogan, le fanzine, il teatro, la musica riprendendo l’utopia delle arti introdotta dalle avanguardie storiche. Attraverso queste fonti ho cercato di delineare un percorso filosofico e culturale, oltre che politico, degli Indiani Metropolitani nella realtà del Movimento del ’77 con la consapevolezza che per loro l’arte era intrinseca all’essere umano, espressione del proprio io nella collettività.

Dal punto di vista storico-artistico l’attività degli Indiani Metropolitani non è stata studiata moltissimo, e ha avuto risonanza specialmente subito dopo la loro dissoluzione.

Infatti uno dei testi che è servito alla ricerca della mia tesi è stato un libro di Egeria Di Nallo intitolato Indiani in città e pubblicato proprio nel 1977; come fonte diretta ho lavorato sui quotidiani del periodo e sui “mass media” del Movimento, dalle radio libere alle fanzine. Naturalmente le testimonianze degli Indiani Metropolitani di Roma, come Pablo Echaurren e Olivier Turquet, raccolte dai libri da loro pubblicati, dai siti internet di alcuni o dagli articoli a loro dedicati sono servite a delineare con precisione il percorso compiuto da uno dei gruppi dell’ala creativa del Movimento del ’77. Infine per quanto riguarda le corrispondenze tra gli Indiani Metropolitani con le avanguardie storiche e le neo-avanguardie e con i nuovi filosofi francesi i libri da cui sono partita degli storici dell’arte Maurizio Calvesi con Avanguardia di massa del 1978 (nello specifico il saggio con lo stesso titolo) e Claudia Salaris con Il movimento del settantasette: linguaggi e scritture dell’area creativa, pubblicato nel 1997.

La metodologia che ho utilizzato nella ricerca e nelle stesura della tesi è stata innanzitutto la contestualizzazione storica degli Indiani Metropolitani, focalizzandomi maggiormente sulle contestazioni studentesche e sul perché queste furono avviate,

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American graffiti, Napoli, Electa, 1997, pp. 14-15 (catalogo mostra, Napoli e Roma); cfr. Baudrillard, Jean,

Lo scambio simbolico e la morte, Milano, Feltrinelli, 1979, p. 91; cfr. Riout, Denys, L’arte del ventesimo

secolo. Protagonisti, temi, correnti, Torino, Einaudi, 2008, pp. 211-218.

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considerando le similitudini e le differenze del Movimento del ’77 rispetto al ’68. Nella

parte storica ho introdotto i gruppi che hanno caratterizzato il Movimento, dai Circoli del

Proletariato Giovanile all’Autonomia Operaia iniziando a delineare così la differenza di

approccio al disagio sociale e ai metodi risolutivi, che successivamente crearono fratture

interne tra parti non-violente e parti violente. In tutto ciò si inserivano gli Indiani

Metropolitani con la loro storia nel Movimento, con la loro ironia nonsense e con le loro

creazioni, in un percorso che parte dalla presenza di Luciano Lama, segretario della Cgil,

all’Università La Sapienza di Roma il 17 febbraio 1977 al convegno di Bologna a fine

settembre dello stesso anno. Inoltre il parallelo con altre pratiche figurative e linguistiche

mi è servito per ricercare comunanze di realizzazione e di ideologie di base; infatti, come

già trattato, in quest’ultimo caso ho esplicato i riferimenti culturali e filosofici, consapevoli

o meno, che sono stati attribuiti all’attività degli Indiani Metropolitani da storici dell’arte.

Riferimenti

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(1) Department of Medical and Surgical Sciences (DIMEC), University of Bologna, Bologna, Italy (2) IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna. (3) Department of

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