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SAN NICOLA DA TOLENTINO

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CAPITOLO 2

SAN NICOLA DA TOLENTINO

2.1 - La vita

Per conoscere la vita e la personalità di San Nicola da Tolentino ci possiamo servire di due uniche fonti che sono gli Atti del Processo di canonizzazione e la Vita scritta dal frate Pietro di Monterubbiano in latino.

Nell’anno1325 sotto Papa Giovanni XXII iniziò a Macerata il Processo per la canonizzazione di Nicola, un sacerdote del convento dei Frati di Sant’Agostino in Tolentino, e si concluse soltanto nel 1446 sotto Papa Eugenio IV. Tuttavia Nicola viene raffigurato con l’aureola fin dalla metà del ‘300.

I testi del Processo sono stati 371 appartenenti al popolo per la maggior parte ma anche ai ceti superiori, facenti parte delle istituzioni, per dare più ufficialità alle testimonianze.

Sono state poste loro domande relative alla fama, alle virtù e ai miracoli.

La volontà di santificare questo sacerdote derivava dalla pubblica fama e dalle richieste di varie comunità marchigiane e di esponenti della gerarchia agostiniana.

Pietro da Monterubbiano era un frate coetaneo di Nicola, uomo colto abituato all’uso della lingua latina. La biografia è datata 12 Aprile 1326 e costituisce un atto necessario per il proseguimento del Processo.

Nicola di Compagnone dei Garutti nacque a Sant’Angelo di Pontano nel 1245. I suoi genitori Compagnone Garutti e Amata Guidani, erano già avanti negli anni e considerarono questo figlio una grazia ottenuta da San Nicola di Bari, le cui reliquie erano state traslate nell’XI sec. e presso il cui santuario si erano recati in pellegrinaggio.

Crebbe austeramente tra le cure dei medesimi, nella scuola parrocchiale e nel rapporto con gli Eremiti di S. Agostino e questo lo portò precocemente, già all’età di quattordici anni a maturare la vocazione di entrare nell’ordine agostiniano. La professione religiosa avvenne nel 1261, all’età di 16 anni.

Gli studi di grammatica, logica e teologia dovette svolgerli per di più a Tolentino, anche se sono attestate brevi presenze a Montegiorgio, Montolmo, Macerata e Montecchio.

Purtroppo il Processo non fornisce notizie in merito.

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Terminati gli studi Nicola fu ordinato sacerdote nel 1273 a Cingoli da un vescovo santo, il francescano Franscesco di Osimo (Benvenuto Scotivoli di Ancona pastore di Osimo dal 1264 al 1282).

Nel 1290 il priore Clemente da Osimo convoca in Baviera il Capitolo Generale di Regensburg ove saranno tracciate le linee guida della visione teologica agostiniana, dell’accoglienza vocazionale e del curriculum studiorum dei candidati, dell’assetto di massima della topografia conventuale. Tali Costituzioni di 51 capitoli resteranno in vigore fino al 1551 quando verranno revisionate per volontà del superiore Girolamo Seripando.

Nei primissimi anni di sacerdozio Nicola girò molti conventi poi, nel 1275 fu destinato stabilmente al convento dei Frati Eremitani di S. Agostino in Tolentino che stava strutturandosi proprio allora nella parte meridionale della cinta muraria della città..

Qui resterà fino alla morte avvenuta nel 1305.

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2.2 – Tolentino

A differenza del resto dei Comuni italiani, che perdettero la loro autonomia con il consolidarsi delle Signorie e dei Principati, i Comuni delle Marche conservarono la loro autonomia sino alla fine del Settecento. Questo perché scelsero liberamente di darsi alla Chiesa per sottrarsi all’autorità imperiale. Il Papato, essendo un momento di lotte e incertezze, concesse ai Comuni autonomia affinché non passassero dalla parte avversa.

Tali passaggi avvennero ugualmente e più volte. Il Comune di Tolentino passò dalla Chiesa all’Impero e viceversa più volte e l’uno e l’altro contendente cercarono di offrire le condizioni migliori nella speranza di fedeltà. Le lotte per i Comuni nelle Marche cesseranno solo nel XVI sec. per cui il periodo trascorso da San Nicola a Tolentino fu un periodo storico particolarmente difficile.

Erano anni di lotte per l’espansione che coinvolgevano tutti i vari Comuni limitrofi e Tolentino realizzò una vasta espansione lungo la valle del Chienti. Di queste lotte fu vittima soprattutto la popolazione rurale e i Comuni più piccoli che cadevano sotto i più grandi.

Tolentino in questo periodo di conflitti accrebbe la sua importanza e guadagnò una maggiore libertà.

Nei sec. XIII e XIV Tolentino non contava più di duemila anime e probabilmente la maggior parte di esse viveva alla giornata anche se è attestata la presenza di numerose attività economiche tra cui quella dei muratori, dei lavoratori della pietra e del legno che realizzarono gran parte degli edifici e monumenti dell’epoca. E’ attestata anche la realizzazione di numerosi mulini fuori delle mura, lungo il Chienti.

Dal punto di vista urbanistico la città era divisa in quattro rioni facenti capo a quattro chiese: San Catervo, Santa Maria, San Martino e San Giovanni. Oltre a queste chiese ne esistevano altre fuori delle mura e questo fatto dimostra quanto vi fosse viva la religiosità all’epoca.

La città era delimitata da mura a cui si poteva accedere da quattro porte e gli assi viari che

passavano dalle porte all’esterno proseguivano collegando Tolentino con i più importanti

centri della regione. Venne quindi a costituire un passaggio obbligato per le

comunicazioni con i centri più importanti e assunse importanza all’interno di tutta la

Marca.

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2.3 - Le attività e le virtù del santo

Al momento del suo trasferimento a Tolentino questo frate appena trentenne aveva già alle spalle la fama di un grande uomo di Dio, uomo di pietà, di penitenze, di intensa preghiera, di grande disponibilità nel servizio delle anime, favorito dal dono di manifestazioni mistiche e prodigiosi miracoli. A tutta Tolentino fu nota la sua figura, specialmente alla Tolentino dei sofferenti e dei poveri presso i quali si recava frequentemente a portare il conforto della fede, della solidarietà e qualche volta anche la forza del miracolo.

Sia la Vita di Pietro da Monterubbiano che le testimonianze del Processo tendono, in primo luogo, a far emergere le virtù umane di Nicola che dovevano essere la bontà, la calma, la serenità, il sorriso. Molti testi mettono in evidenza quanto fosse benigno e umano, quanto fosse umile e non meschino. L’ultimo comma dell’ultimo articolo interrogatorio dice: “era pudico, modesto, casto, verecondo, lieto aperto e quieto, non meschino, fuggiva l’invidia respingeva gli scandali; vuoto di cupidigia, ornato di buoni costumi, privo di ogni fantasticheria, giusto, sapiente, prudente, discreto, nemico dell’avarizia, contrario alla negligenza, pronto nel compiere ogni cosa che gli venisse affidata” 1

Il Processo ci informa ampiamente su due aspetti della santità di Nicola e cioè l’ascetismo e la preghiera. Ben cinque articoli sono dedicati alle penitenze e mortificazioni a cui Nicola si sottoponeva e tre articoli sono dedicati alla preghiera. Questo perché l’ascetismo e la preghiera al tempo erano considerati i due aspetti fondamentali della vita del religioso.

Dalle testimonianze emerge che Nicola mangiava poco e solo verdure e legumi, seguiva una dieta ferrea che escludeva carni, latticini, pesce e frutta; digiunava spesso a pane e acqua; dormiva il poco indispensabile e aveva l’abitudine di infliggersi castighi corporali, era paziente e benigno nelle infermità.

Associata all’ ascetismo c’è la preghiera. Dal Processo e dalla biografia si capisce che Nicola pregava sempre, tanto di notte che di giorno. Le sue preghiere andavano dall’alba fino ai vespri e riguardavano, oltre la Messa e la preghiera comune, l’ufficio quotidiano della croce, le salutazioni angeliche, l’ufficio dei defunti, i salmi penitenziali, i salmi graduali.

1

Il Processo per la canonizzazione di S.Nicola da Tolentino, p.21,a cura di Occhini N., Roma 1984;

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Oltre alla preghiera l’attività di Nicola si divideva nella celebrazione della messa cosa che allora era una rarità perché a quel tempo non si usava, nemmeno nei conventi, che i frati sacerdoti celebrassero troppo frequentemente la messa. Sembra che vi fosse stato indotto da una visione che avrebbe avuto a Valmante, vicino Pesaro, in cui anime del Purgatorio gli chiedevano di celebrare per loro la messa e che gli apparve ancora una settimana dopo mentre salivano verso il cielo. Questo gli valse il titolo di patrono delle anime sante del Purgatorio.

Dopo la messa egli si dedicava alla carità e all’aiuto dei più bisognosi, prima di tutto con il confessionale a cui dedicava molte ore della giornata. Successivamente si dedicava al servizio più spicciolo portando per le strade la predicazione, facendo visita ai derelitti, prendendosi a cuore la loro miseria e perorando l’aiuto degli uomini abbienti.

Dal Processo di canonizzazione di Nicola da Tolentino e dalla biografia emerge una figura di Santo condizionata dal concetto di santità dell’epoca: una santità dello straordinario fatta di lunghe preghiere e penitenze, di frequenti e meravigliosi miracoli: “Di queste manifestazioni nella vita di Nicola ce ne furono non poche” 2 ne parla la biografia più che il processo benché anche questo non taccia in proposito. In effetti Nicola è passato alla storia come taumaturgo come dimostrano gli affreschi del Cappellone, le numerose tavolette ex voto, i tanti quadri che lo rappresentano mentre è intento a compiere guarigioni.

Le fonti attestato che come taumaturgo Nicola ha guarito una grande vastità di morbi e si è rivolto soprattutto verso la gente povera. Agli studiosi dei nostri giorni sorprende l’atteggiamento delle persone che si rivolgevano a San Nicola solo dopo che il medico non era riuscito a trovare soluzione e questo dimostra l’assenza di una divisione o contraddizione tra la medicina scientifica e quella taumaturgica dei Santi. Gli episodi raccontati nelle fonti sono moltissimi.

. Il primo articolo del Processo suona così “Nicola da Tolentino…rifulse mentre visse della luce della santità, risplendè per la vita e le opere, brillò in vita e dopo morte per grandi e molti miracoli, cioè risuscitando i morti, curando diversi mali, fugando i demoni, donando la vista ai ciechi, liberando i prigionieri, restituendo l’udito ai sordi e l’andatura agli zoppi e operando altri molti vari miracoli” 3

Quindi una visione certamente riduttiva di santità, basata in larga parte sul miracolo.

2

Pietro da Monterubbiano, Vita del Beato Nicola da Tolentino, in AASS. Mensis September, III, Die Decima, Venetiis 1761;

3

Il Processo per la canonizzazione di S.Nicola da Tolentino, art. 1,a cura di Occhini N., Roma 1984;

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Gli articoli interrogatori del processo sono formulati in modo da fornire già le risposte ai testi che, in molti casi, non fanno altro che rispondere affermativamente. Molto raramente i commissari chiedono qualcosa di più di quello contenuto negli articoli e invitano i testi a dire tutto ciò che si ricordano. Il Processo, quindi, consta di molteplici carenze in quanto non accenna alla formazione religiosa e culturale di Nicola, non accenna ai compiti che egli aveva nel convento (eccetto che per la sua attività di maestro presso i novizi), non accenna all’attività di predicazione che pure, per lui, doveva avere un’importanza particolare. .

Morì nel 1305, all’età di 60 anni, età media di quel tempo.

Il processo di canonizzazione si celebrerà a pochi anni dalla sua morte e il suo sepolcro verrà ornato con una serie di dipinti che danno testimonianza della sua vita e del culto verso di lui, culto che era collegato anche al legame con l’aldilà e alla speranza della vita futura dato che egli era anche il patrono delle anime del Purgatorio e della Chiesa universale nei problemi riguardanti l’ecumenismo.

In un tentativo di trafugamento delle braccia, avvenuto una quarantina di anni dopo la sua morte, viene raccontato che accadde qualcosa che stimolò sempre di più il culto; le braccia amputate cominciarono a versare fiotti di sangue e il tentativo fallì; allora anche le braccia divennero oggetto di culto.

Nicola è invocato anche dalle puerpere sulle difficoltà dell’infanzia e dello sviluppo e in genere in ogni difficoltà.

Il Convento di Tolentino e anche lo stesso Ordine Agostiniano, stavano consolidando le

ossa proprio allora e, indubbiamente, la figura di questo santo ha costituito un punto a

favore della loro crescita. Era il momento delle origini dell’Ordine Agostiniano,

dell’affermazione, dello studio e dell’impostazione giuridica di esso. Era il momento

storico di una eccezionale fioritura di santi in seno all’Ordine ed anche della formazione

delle leggi e delle costituzioni nei Capitoli Generali. Dopo la sua morte il complesso non

verrà più dedicato a S. Agostino ma a S. Nicola e diventerà punto di riferimento della gran

devozione che si diffonde ben presto in tutto il mondo.

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2.4 - Il complesso di Sant’Agostino a Tolentino

Il complesso architettonico di Sant’Agostino a Tolentino riprende la strutturazione architettonica che l’Ordine Agostiniano aveva formulato a seguito della grande unione del 1256; quindi la sua fondazione, anche se non è possibile trovare l’esatta datazione, è posteriore a tale data. Vari studiosi, basandosi su documenti di archivio quali il documento n. 12 delle “Carte Agostiniane tra le carte di Fonte Avellana”pubblicato nel 1973, pongono una datazione dal 1264-65; purtroppo non si hanno notizie storiche certe in quanto parte dell’archivio degli agostiniani è andato perduto.

La chiesa di Sant’Agostino, in seguito divenuta di San Nicola, è l’unica chiesa esistita fin dalle origini. Era molto più piccola di come si presenta oggi in quanto in seguito vi furono aggiunte varie cappelle e fu ampliato lo spazio del coro. Probabilmente gli agostiniani, essendo di nuova formazione e di provenienza dall’accorpamento di vari gruppi di vita eremitica progettarono una piccola chiesa che andò strutturandosi nel tempo anche grazie ai lasciti dei fedeli. Uno dei lasciti di cui abbiamo testimonianza, è quello di una certa Bionda dei Franchi nel 1284, finalizzato alla costruzione di una chiesa; altri lasciti per la costruzione di una chiesa risalgono al 1343.

Nel XIV sec. la chiesa fu rimaneggiata e completata con la costruzione del portale nel 1435 ad opera di Nanni di Bartolo detto il Rosso, e della facciata. L’interno è stato rimaneggiato in epoca barocca e si presenta come una vasta sala rettangolare su cui si aprono otto cappelle, chiusa in alto da una copertura a cassettoni in legno dorato con statue a tutto tondo, realizzata nel 1628 da Filippo da Firenze.

La vecchia sacrestia è stata sostituita da una nuova e adibita a cappella delle Sante Braccia. E’ costituita da tre vani comunicanti decorati in vari tempi con marmi, statue e stucchi tanto che è stata completata soltanto nell’Ottocento, quindi reca caratteri stilistici eterogenei.

Gli Agostiniani usavano seppellire i confratelli nel sepolcro comune in chiesa che si trovava davanti o dietro all’altare maggiore ma, i confratelli più importanti per santità o gerarchicamente etc. avevano sepolcri individuali nel capitolo. Dalle testimonianze si evince che il capitolo equivale al cappellone che era chiamato “cappellone”, “oratorium” o

“capitolum”, perciò si può supporre che Nicola fosse stato seppellito nel cappellone.

Dopo un po’ di tempo fu esumato e composto sotto l’altare dello stesso capitolo; intorno al

1345 si verificò il taglio delle braccia che effusero sangue vivo.

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Conseguentemente il corpo fu seppellito di nuovo in terra nel capitolo e le braccia custodite come reliquie in un’edicola fatta costruire appositamente.

L’arca marmorea posta al centro del Cappellone, risalente al 1474 (eseguita probabilmente dal fiesolano Limone Ferrucci) destinata ad accogliere il corpo del santo in realtà non l’ha mai contenuto, essendo lo stesso stato nascosto sotto il pavimento. Sopra l’arca è stata collocata una statua di San Nicola eseguita intorno al 1460, presunta opera del fiorentino Niccolò di Giovanni e alle pareti vi è una decorazione su tre registri, uno con storie cristologiche, uno con storie mariane e uno con storie della vita di San Nicola, che tratterò più avanti.

Il Cappellone architettonicamente è un edificio a pianta rettangolare con volta a crociera costolonata.

Vi sono testimonianze che il Processo per la canonizzazione si svolse in un ambiente che viene denominato “capitulum”: probabilmente tale ambiente fu dislocato in un altro, in quanto il pellegrinaggio dei fedeli che andavano a venerare il corpo del santo non avrebbero consentito lo svolgimento regolare del Processo stesso.

Del chiostro originario non rimane molto; due colonnati e la porta romanica detta di San

Giorgio, il resto risale ad anni posteriori.

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2.5 - Gli agostiniani

Nei sec. XII e XIII ci fu , in Europa, un fiorire di movimenti religiosi spontanei, sorti sulla scia di un rinnovato fervore religioso dovuto alla riforma della Chiesa iniziata sotto Gregorio VII, che, in un primo momento, non vennero riconosciuti dalla Chiesa ufficiale che li sospettava di eresia. Con Innocenzo III tali movimenti vennero a far parte del sistema clericale in quanto il papa ammise l’esistenza della predicazione apostolica itinerante e della povertà evangelica riconoscendo tali gruppi all’interno della Chiesa stessa. Da qui il sorgere di congregazioni e ordini riconosciuti dalla Chiesa come gli Ordini mendicanti che riuscirono a nascere e rafforzarsi grazie all’azione dei papi da Innocenzo III a Gregorio X.

Caratteristiche comuni agli Ordini mendicanti erano l’aggregazione spontanea laicale, l’eremitismo e l’adozione della regola agostiniana per la maggior parte dei gruppi.

Avevano tutti un ideale di stile di vita penitente ispirato alla povertà e semplicità che si prefissava l’evangelizzazione itinerante e che si rispecchiava nella regola di Sant’Agostino in quanto frutto di una spiritualità più moderna.

Nel 1244 papa Innocenzo IV incaricò il cardinale Annibaldi di assoggettare i tanti gruppi eremitici che erano nati in Toscana sotto un unico superiore. Successivamente furono aggregate anche le altre fondazioni eremitiche sparse nel territorio. Nel 1256 sotto il pontificato di Alessandro IV, si arrivò alla “Grande Unione” sancita con la bolla “Licet Ecclesiae Catholicae” e i vari ordini furono raggruppati tutti sotto la Regola di Sant’Agostino. Il fatto che l’aggregazione fosse stata imposta dall’alto creava grossi problemi in quanto le comunità raggruppate avevano poco in comune, né un fondatore, né consuetudini La più antica di esse erano i Guglielmiti, seguaci di Guglielmo di Malavalle nobiluomo francese ritiratosi dal mondo per diventare un eremita i quali, dopo qualche mese chiesero e ottennero di uscire dall’unione; un altro gruppo era quello dei Giamboniti che erano i seguaci di Giovanni Bono da Mantova, un nobiluomo convertitosi attorno al 1209 per divenire eremita presso Cesena; poi vi erano gli Eremiti di S.Agostino della Tuscia e, infine, i Brettinesi che prendevano il nome dal luogo della loro prima fondazione, l’eremo di San Biagio a Brettino.

Questi conducevano un’esistenza di estrema povertà e durezza fondata sulla penitenza , il

digiuno, le rinunce nelle fondazioni sparse fra le Marche e l’Umbria, fino alla Romagna e

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al Veneto e portarono agli agostiniani circa un terzo delle nuove case al momento dell’Unione.

Tutti questi gruppi condividevano il ritiro dalle cose mondane per arrivare al Signore e avevano la missione di insegnare a predicare ma non avevano altro in comune: avevano una diversa struttura interna, consuetudini diverse ed anche un diverso modo di vivere la povertà. Non avevano una loro identità, mancavano di propri santi perché né Guglielmo da Malavalle né Giovanni Bono erano venerati come fondatori dell’ordine e non erano neanche popolari come quelli degli altri ordini mendicanti. La figura di Nicola da Tolentino capitò a proposito e per giunta apparteneva alle Marche dove le comunità eremitane erano sempre state forti.

Le difficoltà incontrate dall’Ordine nel farsi accettare dall’esterno crearono, comunque, un certo spirito di coesione tra i vari gruppi eremitici. Una di queste difficoltà riguardava l’opposizione all’inurbamento degli eremiti che, per quanto riguarda le Marche, era manifestata dagli altri Ordini religiosi già presenti. Gli agostiniani si impegnarono con entusiasmo e grande spirito di coesione nella diatriba fino ad arrivare ad ottenere il riconoscimento del diritto a costruire il loro convento all’interno della cinta muraria.

Questo fu quindi un periodo di grande fervore che favorì il fiorire di personalità importanti

come quella di Clemente da Osimo e come quella di Nicola.

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2.6 - Il culto

Già quando era in vita Nicola da Tolentino aveva una grande fama che gravitava intorno al suo nome e che scaturiva ,in primo luogo, dalla sua indole benevola che lo rendeva simpatico e benvoluto al prossimo e poi dalla sua regola di vita e di preghiera e carità.

Venivano, poi, accostati al suo nome tutta una serie di miracoli che, all’epoca, erano considerati il metro su cui misurare la santità. Il Processo testimonia 26 miracoli in vita dei quali il più antico miracolo di guarigione è datato 1277 mentre il più antico tra i prodigi (la trasformazione dell’acqua in vino) è datato 1289. I malati e i testimoni provengono tutti da Tolentino ad eccezione di tre provenienti da Urbisaglia, Cessapalombo e San Ginesio. Dei 275 miracoli post mortem ci fu una moltiplicazione durante gli anni in cui si è svolto il Processo. La fama di Nicola viaggiava con le testimonianze dirette dei fedeli tolentinati. Il notaio Berardo Appigliaterra elenca tutti i luoghi in cui aveva risieduto nel corso della sua carriera e nei quali ne aveva riscontrato la diffusione: in Romagna, nella Tuscia, nel ducato di Spoleto, nel Regno di Sicilia e nella Marca di Ancona.

Naturalmente, e questo era chiaro anche ai contemporanei, che l’Ordine degli eremitani di Sant’Agostino aveva un grande ruolo nella diffusione del culto. Il loro attivismo attorno al culto di Nicola era enorme; durante le prediche usavano raccontare i miracoli che si erano verificati per intercessione di Nicola. L’Ordine agostiniano mirava all’obiettivo della canonizzazione nell’ambito di una politica volta ad incentivare il culto dei santi provenienti dalle proprie fila. Sembra che il rettore papale delle Marche, Amelius de Lautrec abbia promosso il culto di Nicola anche con il favore del Papa Giovanni XXII che, in quel periodo, era favorevole ai culti degli Ordini mendicanti.

Anche le vicende politiche, che vedevano inasprirsi le rivolte ghibelline in una Tolentino da sempre roccaforte guelfa fedele alla chiesa, rendevano necessario l’incoraggiamento alla devozione verso i santi locali.

Una delibera capitolare del 1341 ordinava che si celebrasse in ciascun convento una volta a settimana una messa per Nicola.

Il ventesimo anniversario della morte di Nicola coincide con lo svolgimento dell’indagine.

Vengono attestate diverse forme di devozione a Nicola da quella che coinvolge folle di pellegrini al sepolcro a quella più ufficiale e istituzionale.

Il Processo nonostante la completezza dei documenti non si concluse per lungo tempo e

alternò periodi di oblio a periodi di interesse e attualità. Soprattutto sotto Bonifacio IX, il

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Papa che più degli altri favorì il culto di Nicola da Tolentino, l’interesse si risvegliò fino ad arrivare all’agognata canonizzazione avvenuta il giorno di Pentecoste (5 giugno) del 1446 sotto il Papa Eugenio IV.

La bolla di canonizzazione fu emessa in un secondo tempo, il 1 febbraio 1947 e ricapitola la procedura seguita per stabilire la canonizzazione, enumera le virtù di Nicola e menziona due dei suoi miracoli in vita e due post mortem: il resto sono ricapitolati per genere. Il Papa stesso aveva iscritto il santo nella Basilica di San Pietro al catalogo dei santi confessori.

Con la bolla se ne fissa la festa il 10settembre e si conclude così la lunga vicenda della

canonizzazione.

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