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4.2.1 Realizzazione di preparati per l’analisi in XRF

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Academic year: 2021

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4 MATERIALI E METODOLOGIE ANALITICHE

Il presente lavoro di tesi si inserisce nell’ambito di un progetto multidisciplinare ad ampio raggio, tuttora in corso, realizzato da un gruppo di ricercatori del dipartimento di Scienze della Terra, dell’Università di Pisa, commissionato dalla Provincia di Pisa, che ha come obiettivo quello di caratterizzare l’area della costa pisana. A questo scopo l’intera costa è stata campionata, da una ditta privata (ILAG s.r.l), che ha fornito i campioni di spiaggia per il presente studio e i dati di granulometria degli stessi. I campioni dei fiumi sono stati invece prelevati dalla sottoscritta con la collaborazione della Polizia Idraulica, Settore Difesa del suolo della Provincia di Pisa, che ha messo a disposizione i mezzi per i prelievi.

Le fasi di laboratorio riguardanti la preparazione dei campioni, le analisi chimiche totali sul campione solido tramite XRF, e le analisi sui campioni mineralizzati tramite ICP-AES, sono state condotte presso i laboratori del Dipartimento di Scienze della Terra e Geologico-ambientali dell’Università di Bologna. Le procedure di digestione sono state svolte presso i laboratori del Corso di Laurea in Scienze ambientali dell’Università di Bologna, con sede a Ravenna.

Per il trattamento dei dati e le elaborazioni grafiche si è reso necessario, a seconda delle esigenze l’uso di diversi software quali: Word; Excel; Statistica 6.0; GCDkit 2.2; ArcGIS 9.2; ACD Canvas 11.

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4.1 Attività di campionamento

La campagna di campionamento finalizzata al prelievo di sedimenti lungo la costa in esame, si è svolta nel maggio 2005 (eseguita da una ditta privata, commissionata dalla Provincia di Pisa).

La strategia di campionamento è stata condotta per transetti, cioè lungo linee direttrici perpendicolari alla linea di costa; in modo da valutare meglio le eventuali variazioni nella composizione del sedimento legate alla differenza di profondità e di granulometria. Il numero totale di transetti campionati lungo la costa è pari a 50, distanti l’uno dall’altro 600m.

Su ciascun transetto il sedimento è stato prelevato a diverse profondità, attraverso l’uso di una benna tipo Van Veen (Fig. 4.1); ogni punto di prelievo è stato denominato nel modo seguente: -9/- 10m, campione A; -7/-8m, campione B; -5/-6m, campioni C, -4m, campione D; -3m, campione E; - 2m, campione F; -1m, campione G; in battigia, campione H ed in spiaggia emersa alla quota di 1m, campione K, e 2m, campione L.

Fig. 4.1 Benna tipo Van Veen di cui è dotata la Facoltà di Scienze della terra dell'Università di Pisa.

Il campione di circa 1kg cosi recuperato è stato conservato in sacchetti di nylon. Per ogni recupero dello strumento è stata redatta una scheda di campionamento con i dati inerenti la localizzazione del sito di campionamento, mediante coordinate chilometriche del punto di prelievo (Est e Nord espresse in Gauss Boaga), definite attraverso strumenti di posizionamento satellitare (GPS, Global Positioning System). Il disegno di campionamento è riportato nella Fig. 4.2.

Ai fine del nostro studio sono stati scelti i campioni di spiaggia, sia emersa che sommersa, (nello specifico le batimetriche -9/-10m, campioni A; -5/-6m, campioni C; -3m, campioni E; -1m, campioni G e la quota di 1m, campioni K, per un totale di cinque campioni per ogni transetto) relativi ai transetti localizzati nelle immediate vicinanze della foce del fiume Arno (transetto 206), del Serchio (transetto 9) e dello Scolmatore (transetto 373), subito a ridosso delle scogliere della spiaggia del Gombo (transetto 116, grosso modo a metà strada tra la foce dell’Arno e quella del Serchio) e all’altezza delle località di Tirrenia e Calambrone (transetto 353 e 345, zona in cui è

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stata individuata la convergenza dei drift). Oltre hai transetti sono stati analizzati 21 campioni relativi alla batimetrica -1m (campione G), con passo di campionamento di circa 1Km. In Tabella 4.1 sono riportati i nomi delle stazioni, le coordinate reali e la profondità dei 51 campioni di spiaggia analizzati.

Tabella 4.1 Posizione geografica e profondità dei campioni considerati nel presente studio.

CAMPIONI NORD gb EST gb PROFONDITA’ CAMPIONI NORD gb EST gb PROFONDITA’

9A 4850594 1600726 -9/-10m 373C 4825937 1604019.5 -5/-6m 9C 4850685 1601239 -5/-6m 373E 4826100 1604389.5 -3m

9E 4850721 1601417 -3m 373G 4826247 1604656.5 -1m

9G 4850745 1601534 -1m 373K 4826295 1604849.5 +1m

9K 4850739 1601578.5 +1m MP10G 4835591 1602850.5 -1m 116A 4841738 1601858 -9/-10m MP25G 4834717 1603251.5 -1m 116C 4841883 1602566 -5/-6m 5G 4851312 1601392.5 -1m 116E 4841958 1602933 -3m 13G 4850157 1601662.5 -1m 116G 4841962 1603001 -1m 22G 4848974 1601823.5 -1m 116K 4841978 1603030.5 +1m 30G 4847783 1602051.5 -1m 206A 4838059 1602248.5 -9/-10m 38G 4846621 1602325.5 -1m 206C 4837843 1602798.5 -5/-6m 46G 4845253 1601548.5 -1m 206E 4837701 1603164.5 -3m 68G 4844048 1601670.5 -1m 206G 4837658 1603268.5 -1m 92G 4843112 1602738.5 -1m 206K 4837640 1603359.5 +1m 140G 4840880 1602868.5 -1m 345A 4830107 1602374.5 -9/-10m 158G 4840002 1603041.5 -1m 345C 4830185 1603341.5 -5/-6m 176G 4839111 1603186.5 -1m 345E 4830233 1603731.5 -3m 218G 4837266 1603020.5 -1m 345G 4830238 1603903.5 -1m 233G 4836537 1602408.5 -1m 345K 4830263 1603935.5 +1m 312G 4833642 1603537.5 -1m 353A 4828863 1602913.5 -9/-10m 329G 4832634 1603322.5 -1m 353C 4828946 1603482.5 -5/-6m 337G 4831439 1603808.5 -1m 353E 4829003 1603810.5 -3m 361G 4827857 1604198.5 -1m 353G 4829047 1603997.5 -1m 369G 4826739 1604475.5 -1m 353K 4829064 1604084.5 +1m 378G 4825670 1604871.5 -1m 373A 4825680 1603520.5 -9/-10m

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durante il periodo maggio-luglio del 2007, grazie ai mezzi messi a disposizione dalla Polizia Idraulica della Provincia di Pisa, Settore Difesa del suolo. Per ogni corso d'acqua sono stati scelti tre punti di campionamento localizzati: uno presso la foce, l'altro il più a monte possibile raggiungibile dai mezzi a disposizione, ed il terzo ad una distanza media tra i primi due. Il procedimento di recupero e conservazione dei sedimenti fluviali è stato quello utilizzato per i campioni si spiaggia. In Tabella 4.2 sono riportate le coordinate chilometriche dei 9 punti di campionamento fluviali.

Tabella 4.2 Scheda delle coordinate dei punti di campionamento lungo l’alveo dei fiumi Arno, Serchio e Scolmatore

CAMPIONE NORD gb EST gb

FOCE SERCHIO 4847880 1602676 SERCHIO 5 4848016 1609480 PONTASSERCHIO 4848223 1612326 FOCE ARNO 4837202 1603483 SAN PAOLO IN RIPA D’ARNO 4841031 1612211 SAN LORENZO ALLE CORTI 4840382 1619714 FOCE SCOLMATORE 4826420 1604983 SCOLMA 4 4827735 1608020

SCOLM 2 4828337 1609199

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Fig 4.2 Mappa della costa presa in esame con indicati i punti di campionamento

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4.2 Procedure e tecniche analitiche

In laboratorio i campioni sono stati stesi su fogli di giornale e asciugati in stufa ventilata ad una temperatura costante di circa 40° C per più di 24 ore. Una volta che tutti i campioni sono stati asciugati, da ogni campione (circa 1kg) è stata prelevata un'aliquota del peso circa di 40g tramite il metodo di quartatura manuale, tecnica preposta al prelievo di un campione rappresentativo della quantità totale di campione disponibile. Il campione iniziale è stato quindi adagiato su foglio di giornale (Fig. 4.3) e reso omogeneo attraverso un movimento oscillante in modo che il materiale più fine si disponesse nella parte bassa del foglio quello grossolano in alto. A questo punto si è proceduto alla suddivisione in quattro settori simili (usando una bilancia di precisione): due settori opposti sono stati prelevati e conservati insieme al campione originario, mentre il materiale che compone i due settori rimanenti è stato rimescolato e sottoposto ad ulteriori quartature fino ad ottenere un sottocampione pari al peso desiderato. I sottocampioni di 40g cosi preparati sono quindi destinati alle successive fasi del trattamento e analisi.

Fig. 4.3 Le varie fasi della quartatura.

Per i campioni di fiume è stato necessario effettuare una separazione ad umido della frazione grossolana (frazione maggiore di 0.063mm, sostanzialmente sabbie e ghiaie) dalla frazione pelitica (frazione minore di 0.063mm, limo e argilla). Questa operazione si è resa necessaria in modo da ottenere una frazione granulometrica il più possibile simile e meglio confrontabile con quella dei campioni di spiaggia. Per ogni fiume è stato scelto un solo campione, la foce, su cui è stata effettuata la separazione. Un’aliquota di circa 100g (prelevata dal campione originario tramite quartatura) è stata versata all’interno di un setaccio ASTM da 230 mesh (corrispondenti ad una luce netta della maglia di 0.063mm) e sottoposta a un getto d’acqua (calda, per meglio disgregare il campione) in modo da mettere in sospensione il materiale che, fatto passare attraverso il setaccio, viene separato nelle due frazioni. Sotto il setaccio è stato posizionato un contenitore di circa 2l (bottiglia di plastica) preposto al recupero della frazione fine passante attraverso il setaccio insieme all’acqua; in questa fase particolare attenzione è stata posta al recupero di tutta l’acqua utilizzata per la setacciatura, in modo da non perdere parte della componente fine sospesa.

L’operazione continua fino a che ciò che passa non diventi grossomodo limpido, dopo di che si è lasciato decantare per 24 ore il sedimento all’interno della bottiglia, per dargli il tempo di

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accumularsi sul fondo. A questo punto si è inciso due dita sopra il livello del sedimento, si è aperto il tappo della bottiglia che lentamente si è svuota permettendo quindi il recupero della frazione pelitica minimizzando le perdite di materiale fine. Il sedimento cosi recuperato è stato quindi posto in un recipiente e messo in stufa ventilata per circa 24 ore insieme alla frazione grossolana trattenuta dal setaccio che è stata trasferita, dopo l’operazione di separazione, in un contenitore siglato.

Per assicurarsi che non ci sia contaminazione nei sedimenti da parte dell’acqua di mare e che non ci siano interferenze indotte dal cloro nelle analisi chimiche, è stato effettuato un lavaggio con acqua deionizzata, sui campioni di un transetto, scelto a caso tra i sei analizzati (nella fattispecie il 345). I campioni sono stati messi in provette e portati a volume (100ml) con acqua deionizzata e quindi sottoposti a due cicli di centrifuga ognuno della durata di 10min, eliminando ogni volta l'acqua superficiale separatasi dalla massa di sedimento. La rimozione di sale marino solubile dovuto all’intrusione di acqua marina è necessaria per la determinazione di cationi quali Na, Mg e K che sono anche presenti nell’acqua di mare, inoltre alti valori di concentrazione di sale solubile introdurrebbero errori di analisi significativi nella determinazione dei metalli (Loring e Rantala, 1992). In questi campioni il contenuto in sodio è relativamente basso per cui gli effetti sulle concentrazioni sono relativamente ridotti, come evidenziato dai dati in Tabella 4.3, e come è lecito attendersi le differenze più importanti riguardano il sodio e secondariamente il magnesio, mentre sono trascurabili per gli altri elementi.

Tabella 4.3 Dati relativi alla valutazione dell’effetto della presenza di acqua di mare nel campione, concentrazione totali in ppm.

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4.2.1 Realizzazione di preparati per l’analisi in XRF

Per la determinazione delle concentrazioni totali degli elementi maggiori (Si, Ti, Al, Fe, Mg, Mn, Ca, Na, K e P convenzionalmente espressi in peso percentuale in ossido come SiO2, TiO2, Al2O3, Fe2O3(tot), MgO, MnO, CaO, Na2O, K2O, P2O5 anche se presenti nelle rocce essenzialmente come silicati, carbonati, fosfati) e di alcuni elementi in traccia (Sc, V, Cr, Co, Ni, Cu, Zn, Rb, Sr, Y, Zr, Nb, Ba, La, Ce, Pb, Th) è stata applicata la tecnica della Fluorescenza a Raggi X (XRF).

E’ una metodica analitica versatile che consente di analizzare fino ad 80 elementi in una gamma di abbondanza che va dal 100% a qualche decina di ppm; relativamente rapida, sensibile, precisa e non distruttiva, multielementare che fornisce l’informazione sul contenuto totale di elemento presente nel campione. Questo tipo di analisi è stata condotta mediante l’utilizzo dello spettrometro sequenziale a dispersione di lunghezza d’onda Philips PW 1480 (Fig. 4.4), equipaggiato con sorgente al Rh, operante in condizioni di vuoto e dotato di software per il controllo e la gestione delle condizioni analitiche. Sono state applicate due sequenze di analisi, una relativa agli elementi maggiori che prevede un tempo di analisi di circa 10 minuti, ed una seconda dedicata agli elementi in traccia con tempi di lettura più lunghi. Per la correzione matematica degli effetti di matrice sono stati seguiti i metodi proposti da Franzini et alii (1975), Leoni e Saitta (1976) e Leoni et alli (1982).

Fig. 4.4 Spettrometro sequenziale Philips PW 1480 a dispersione di lunghezza d’onda, in dotazione al Dipartimento di Scienze della Terra e Geologico- ambientali dell’Università di Bologna.

Per le analisi con questo tipo di tecnica sono stati realizzati degli appositi preparati definiti usualmente “pasticche di polvere”, la cui preparazione è di seguito descritta. Per la polverizzazione del sedimento è stato utilizzato un polverizzatore meccanico: i 40g di campione sono stati posti in una giara di agata (quarzo) insieme a 2 anelli concentrici dello stesso materiale (molino ad anelli),

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il tutto, chiuso da un apposito coperchio, è stato bloccato su un apparato che consente alla giara di ruotare ad alta velocità per circa 10min. Una volta ottenuta la polvere si è proceduto alla preparazione delle pasticche: dal sottocampione polverizzato (40g) sono stati prelevati 3g di materiale, quindi compattato con l'uso di una serie di “pistoni” attraverso pressione manuale. Il tutto è stato successivamente unito a 10g di acido borico (H3BO3), che va a costituire il rivestimento protettivo esterno dei lati e di una delle facce della pasticca (quella che solitamente viene poggiata sulle varie superfici; la faccia non rivestita è quella che viene analizzata dallo strumento, Fig. 4.4), e quindi compattato a pressione elevata (ca. 20 t/cm2) tramite una pressa.

Fig. 4.5 Pasticche di polvere con rivestimento protettivo di acido borico

La tecnica della Fluorescenza a Raggi X si basa sulla possibilità di espellere un elettrone dagli orbitali più interni di un atomo, qualora esso venga colpito da un fascio di fotoni o di particelle cariche (raggi X primari8) che gli forniscano sufficiente energia: si viene così a creare una lacuna elettronica in uno degli orbitali interni dell’atomo che viene colmata dal passaggio di uno degli elettroni appartenente agli orbitali superiori (a maggiore energia). In questo passaggio l’elettrone perde una ben determinata energia corrispondente al salto quantico tra i due orbitali; questa energia viene emessa sotto forma di raggi X secondari, detti raggi X di fluorescenza (effetto fotoelettrico), che avranno quindi una lunghezza d’onda ben specifica e tipica di ciascun elemento della matrice in esame

.

Un campione di sedimento/roccia è costituito da moltissimi elementi chimici, ognuno dei quali, una volta colpito da raggi X primari emette i raggi X secondari con le

8 I raggi X sono onde elettromagnetiche molto energetiche con lunghezza d’onda compresa tra 0,01 e 10nm. La sorgente primaria di questi raggi è costituita normalmente da un’ampolla di vetro sigillata sotto vuoto al cui interno sono racchiusi un catodo a filamento di tungsteno e un anodo di rame tenuto ad alto potenziale la cui superficie è protetta da una placca metallica, anticatodo, fatta di elementi bersaglio quali W, Cr, Cu, Mo, Ag, Rh, Fe, Co, Ni; il catodo, arroventato ad incandescenza da una corrente elettrica, emette elettroni per effetto termoionico, i quali sono accelerati dal campo ad alta tensione dell’anodo e bombardano il bersaglio cedendo la loro energia cinetica agli atomi del metallo di cui è formato. L’energia cinetica con cui gli elettroni colpiscono l’anodo viene trasformata in raggi x che vengono fatti uscire da una finestra di berillio, materiale trasparente ai raggi X.

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simultaneamente in uscita ci sarà una radiazione X secondaria policromatica, ossia costituita da lunghezze d’onda variabili. Affinché possa essere fatta un’analisi quantitativa è necessario separare le radiazioni provenienti dai diversi elementi in modo poi da poterle “contare”.

A tale scopo una parte degli spettrometri per fluorescenza a raggi X, quelli a dispersione di lunghezza d’onda, sfruttano un principio ben noto in mineralogia, ossia la Legge di Bragg:

nλ=2dsenθ

dove n=ordine di diffrazione (numero intero); d=distanza tra due piani reticolari in un cristallo;

λ=lunghezza d’onda della radiazione incidente; θ=angolo di incidenza della radiazione

Quando un fascio di raggi X colpisce una sostanza cristallina, subirà fenomeni di rifrazione in corrispondenza dei piani reticolari. Per ogni piano reticolare tra i tanti raggi diffratti ce ne sarà uno riflesso; affinché i raggi riflessi da piani contigui abbiano tra di loro interferenza positiva devono essere in concordanza di fase, cioè la differenza di cammino (d) compiuta da due raggi contigui deve essere uguale a un numero intero di lunghezze d’onda.

Fig. 4.6 Schema di un tipico apparato strumentale per analisi in fluorescenza a raggi X (da sito www.pa.ingv.it), composto da una sorgente primaria di raggi X; un campione posto come bersaglio (sorgente secondaria); un collimatore primario formato da una serie di lamine piano-parallele, la cui funzione è quella di rendere paralleli,

“raddrizzare”, i raggi secondari che altrimenti formerebbero un cono; un cristallo a simmetria nota che funge da elemento diffrangente ed un collimatore secondario che indirizza i raggi riflessi al sistema di rilevazione (detector).

All’interno dello strumento (Fig. 4.6) il fascio di raggi X policromatici in uscita dal campione viene fatto incidere su un cristallo sintetico, la cui distanza reticolare d è nota, quindi per ogni angolo di incidenza verranno riflessi solo i raggi con una λ, tale da soddisfare la legge di Bragg. Il cristallo può ruotare in modo tale che l’angolo tra il fascio di raggi X e il cristallo vari e un goniometro misura automaticamente tale angolo,e possono essere scelti cristalli diversi per esplorare porzioni diverse dello spettro di emissione Per ogni angolo saranno riflessi solo i raggi con una certa lunghezza d’onda, ossia solo i raggi prodotti dagli atomi di uno specifico elemento chimico; questi raggi vengono indirizzati ad un rilevatore (contatore) che misura il numero di raggi X secondari relativi ad ogni angolo di incidenza e consente pertanto di ricavare la quantità dell’elemento

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corrispondente. Questo sistema di rilevazione dei raggi X, che vengono discriminati in base alla loro lunghezza d’onda, viene detto a dispersione di lunghezza d’onda (WDS Wavelength Dispersion System). L’intensità della radiazione misurata è proporzionale alla concentrazione di ciascun elemento, che viene ottenuta mediante curve di calibrazione prodotte attraverso l’analisi di standard appropriati, campioni, cioè, di composizione simili a quelli indagati e che contengono quantità note e certificate di un dato elemento.

Per monitorare l’analisi e garantire una buona qualità dei risultati sono stati analizzati standard di riferimento certificati, aventi composizione il più possibile simile ai campioni reali esaminati. Gli standard scelti come riferimento sono dei graniti (ACE e GA), un basalto (W1) e uno scisto (TB). In Tabella 4.4 sono riportati i valori certificati degli standard usati e quelli ottenuti dalle analisi.

Tabella 4.4 Valori di concentrazione certificati e risultanti dalle analisi degli standard di riferimento. In nero sono riportate le concentrazioni (ppm) ottenute dalle analisi, in rosso i valori certificati per ogni standard.

I risultati analitici sono in accordo con i valori certificati per tutti gli elementi, con differenze importanti per gli elementi che hanno concentrazioni relativamente basse, intorno alle 10 ppm. Un limite di rilevabilità strumentale è fissato intorno ai 3 ppm, ma le incertezze per i valori inferiori a 10 ppm sono relativamente importanti.

Per valutare quanto le analisi condotte fossero ripetibili, sono state effettuate analisi replicate di 5 campioni, nello specifico 9G, 38G, 116G, 329G, 373G. In Tabella 4.5 sono riportati i risultati delle analisi sul campione e sulla replica, individuata dalla lettera R.

Tabella 4.5 Valori di concentrazione totale (ppm) dei campioni replicati.

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concentrazioni più alte di 10ppm, è generalmente migliore del 10%, mentre per gli elementi in traccia che hanno concentrazioni più basse di 10ppm compreso tra 20 e 30%

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4.2.2 Determinazione della Loss On Ignition (L.O.I.)

La Loss On Ignition (L.O.I. detta anche “perdita per calcinazione” o perdita al fuoco in riferimento alla somma delle specie volatili liberate, quindi perse) è il metodo più comunemente usato per una valutazione delle sostanze volatili contenute nel campione, che sono principalmente rappresentate da acqua di umidità, acqua reticolare, acqua legata ai minerali argillosi ma soprattutto sostanza organica e carbonati. Il procedimento adottato è consistito in un riscaldamento in muffola dei campioni di sedimento polverizzati, fino ad una temperatura di 950°C.

Durante il riscaldamento avvengono due reazioni: nella prima, a circa 500°C, la sostanza organica è ossidata con formazione di biossido di carbonio (CO2), mentre nella seconda, a circa 870°C, si ha la decomposizione dei carbonati con conseguente liberazione di CO2 e formazione di ossidi (i.e., CaO).

Per questa operazione sono stati utilizzati dei piccoli crogioli di platino contrassegnati da una serie di numeri per permetterne l'identificazione, manipolati mediante pinzette in modo da non comprometterne la misura del peso. E' stato segnato quindi il peso da vuoto (mediante l’uso di bilancia di precisione) e il numero identificativo del crogiolo utilizzato; successivamente al suo interno sono stati introdotti 0,5-0,7 g di sedimento polverizzato, prelevato da un dato campione, e nuovamente pesato. I crogioli pieni sono stati quindi introdotti in muffola per circa 24 ore. Dopo questo intervallo di tempo, una volta prelevati e fatti raffreddare per circa 30min all’interno di appositi essiccatori, i crogioli sono stati ripesati per calcolarne la perdita in peso; il peso perduto durante le reazioni è strettamente correlato al contenuto di sostanza organica e di carbonati contenuti. Mediante la formula che segue è stato possibile calcolare il valore della L.O.I.:

L.O.I(wt%)=(p

i

-p

f

)/(p

i

-p

v

)*100

dove pv è ilpeso del crogiolo inizialmente vuoto; pi è il peso del crogiolo con la polvere all’interno;

pf è il valore del peso del crogiolo dopo il processo.

Assumendo che tutta l’anidride carbonica presente nel campione sia solo di pertinenza di eventuali carbonati presenti, è possibile ottenerne il valore utilizzando la formula:

CO

2 MAX

(wt%)=CaO(wt%)*MM

CO2

/MM

CaO

dove CaO è il valore dell’ossido di calcio trovato dall’analisi in fluorescenza a raggi X, espresso in percentuale in peso; MMCO2 è il valore del peso molecolare dell’anidride carbonica pari a 44;

MMCaO è il valore del peso molecolare dell’ossido di calcio pari a 56.

Attraverso la sottrazione del contenuto di CO2 dal contenuto totale di componenti volatili (valore della L.O.I. trovata inizialmente) è stato ricavato il tenore in acqua e sostanza organica, detta L.O.I. residua (L.O.Iress):

L.O.I

ress

(wt%)=L.O.I.-CO

2 MAX

(wt%)

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4.2.3 Digestione del sedimento e analisi in ICP-AES

Alcuni campioni (scelti tra i 51 in esame) sono stati analizzati mediante spettrometria di emissione atomica accoppiata al plasma induttivo (ICP-AES). Per ottenere dei preparati da utilizzarsi per la determinazione in via umida, delle concentrazioni dei metalli pesanti quali, Co, Cr, Cu, Ni, Pb, V, Fe, Mn, mediante questo strumento, è stata utilizzata la tecnica della digestione pseudo-totale del sedimento mediante mineralizzazione con acqua regia. L’acqua regia è una miscela di acido cloridrico e acido nitrico (3:1) che combina le proprietà dell’’acido cloridrico che concentrato è un eccellente solvente per molti ossidi di metalli e per i metalli che hanno un potenziale di ossidazione più basso dell’idrogeno e ad elevate pressioni e temperature è anche in grado di decomporre molti silicati, ossidi refrattari e solfati; con quelle dell’acido nitrico che è un forte ossidante e rappresenta una buona matrice per diverse tecniche analitiche tra le quali anche ICP-AES. La procedura utilizzata per il presente lavoro fa riferimento alla metodica ufficiale standardizzata US EPA 3052 e ISO 11466: miscela di acido nitrico ed acido cloridrico (acqua regia, potente agente ossidante) in recipienti chiusi alloggiati in “digestori” a microonde sotto pressione. Le microonde sono radiazione elettromagnetiche (ad elevata frequenza 2450 MHZ) non ionizzanti che provocano il movimento molecolare per migrazione degli ioni o rotazione dei dipoli, senza necessariamente causare cambi nella struttura molecolare.

La scelta dei campioni da analizzare con questa metodologia è stata effettuata attraverso le osservazioni dei grafici binari (scatterplot in Fig. 4.7) tra le concentrazioni totali dei metalli pesanti e l’Al (scelto come elemento normalizzante, vedi paragrafo 5.5). Per ogni metallo sono stati considerati quei campioni che presentavano un discostamento dal resto della distribuzione e/o risultavano rappresentativi del comportamento di più campioni (sovrapposti nei grafici binari). La scelta finale ha privilegiato quei campioni che possedevano questo tipo di comportamento per tutti i metalli analizzati, preferendo i campioni all’interno dei transetti in modo da poter valutare anche eventuali differenza al variare della profondità. I campioni sottoposti a questo tipo di analisi sono stati i 5 campioni dei transetti 9, 116, 206 e 373. Al fine di confrontare quanto ritrovato nei sedimenti di spiaggia con quelli fluviali, sono stati analizzati anche i campioni, tal quale e a granulometria >63µm, prelevati alla foce del fiume Arno, Serchio, Scolmatore.

Attraverso questo tipo di analisi si ottiene una concentrazione pseudototale dell’elemento, normalmente circa il 70% rispetto al dato totale, in quanto l’acqua regia scioglie una parte dei minerali silicatici, i minerali carbonatici, i minerali argillosi e la materia organica; ciò che rimane insolubile sono i minerali più refrattari a questo tipo di digestione come zircone, corindone spinelli magnesiaci e ferriferi (tipo cromite) che possono contenere frazioni significative del contenuto in tracce dei metalli.

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Confrontato quindi con il dato totale, ottenuto mediante analisi in Fluorescenza a raggi X, il dato pseudototale può fornire indicazioni su i diversi legami che un elemento ha con la matrice solida, e quindi sulle, eventuali, differenti provenienze delle varie frazioni del sedimento.

Inoltre i risultati forniti dall’analisi con ICP-AES previa digestione, a differenza di quelli in XRF, sono direttamente confrontabili con i limiti di legge imposti dalla normativa in vigore per i metalli pesanti nei sedimenti (D.M. 6 novembre 2003, n. 36 ). E’ quindi questa una metodica ampiamente usata dagli istituti pubblici e privati preposti alla valutazione di inquinamento da metalli pesanti nelle diverse matrici ambientali. I vantaggi di questo metodo sono quelli di essere relativamente più rapido e più immediato, rispetto all’analisi in Fluorescenza a raggi X, di poter effettuare analisi direttamente su matrici liquide, cosa difficile se non impossibile in XRF, e, cosa probabilmente più importante, la strumentazione prevede costi di acquisto e manutenzione molto più bassi.

(16)

0 10 20 30 40 50 60

0 5 10 15

Al2O3 Ni

Campioni 373 116 9 206

0 100 200 300 400 500

0 5 10 15

Al2O3 Cr

Campioni 373 116 206 9

0 10 20 30 40 50

0 5 10 15

Al2O3 Zn

Campioni 373 116 9 206

0 2 4 6 8 10 12 14 16

0 5 10 15

Cu

Al2O3

Campioni 373 116 9 206

0 5 10 15 20 25 30

0 5 10 15

Al2O3 Pb

Campioni 373 116 9 206

Fig 4.7 Scatterplot delle concentrazioni totali di Ni, Cr, Zn, Cu e Pb verso l’Al2O3 in cui sono segnalati i transetti 9,116,206,373 sottoposti a digestione in acqua regia e analisi in ICP.

(17)

Dal sedimento

polverizzato sono stati quindi prelevati 0,3g circa e trasferiti in reattori di Teflon, contenitori speciali costituiti da polytetrafluoroethilene, particolarmente resistenti agli acidi (Fig.

4.8-a), all’interno dei quali sono stati addizionati 1ml di acido nitrico (HNO3) puro al 65% e 3ml di acido cloridrico (HCl) puro al 37%; tutta l’operazione viene effettuata sotto cappa. A cessazione completa di ogni eventuale effervescenza, i contenitori per la mineralizzazione dei campioni sono stati chiusi utilizzando una coppia di serraggio di 22 m/N; ciò permette alla miscela acido-campione di raggiungere una temperatura molto elevata. Quindi collocati in forno a microonde (Milestone 1200 Mega, mostrato in Fig. 4.8-b) e sottoposti ad un ciclo di trattamento a pressione e potenza controllate. Le microonde riscaldano contemporaneamente tutto il campione senza riscaldare i contenitori utilizzati che sono fatti di materiale trasparente alle microonde. Il ciclo operativo impiegato per la mineralizzazione prevede i seguenti step (tabella 4.6):

Tabella 4.6 Ciclo operativo impiegato per la mineralizzazione.

STEP TEMPO (min) POTENZA (watt)

1° 5 250

2° 5 400

3° 5 700

4° 5 250

5° 10 0

L’ultimo ciclo prevede 10 minuti di ventilazione e raffreddamento.

a) b)

Fig. 4.8-a) Contenitori di teflon utilizzati per le operazioni, con camicia in ceramica; b) forno a microonde MLS 1200 Mega; le microonde sono prodotte da un generatore (chiamato magnetron) e attraverso una guida d’onda propagate all’interno della camera di riscaldamento.

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trasferite in palloncini da 50ml (Fig. 4.9) mediante filtraggio. I filtri (con grammatura da 75±5 g/m2 e velocità di filtrazione 12±3sec) prima dell’utilizzo sono stati puliti attraverso tre cicli di filtrazione: il primo con acqua deionizzata, il secondo con soluzione acidificata al 1% di HNO3 e il terzo ancora con acqua deionizzata. A questa operazione è seguita la filtrazione della miscela acqua regia-campione; sui filtri imbibiti sono stati effettuati altri tre cicli di filtrazione con acqua deionizzata per recuperare parte del campione ancora presente. Una volta completata questa operazione la soluzione filtrata è stata portata al volume finale di 50ml mediante l’aggiunta di acqua deionizzata e poi trasferita in contenitori di plastica (per essere trasportati) e conservati in frigorifero fino al momento dell’analisi.

Fig. 4.9 Fasi della filtrazione dei campioni mineralizzati.

Il contenuto in metalli quali, Co, Cr, Cu, Ni, Pb, V, Zn, Fe, Mn è stato determinato, come prima accennato, mediante spettrometria di emissione atomica accoppiata al plasma induttivo; lo strumento utilizzato è lo spettrometro Thermo Electron Corporation iCAP 6000 Series (Fig. 4.10).

L’alta sensibilità del limite di rilevabilità (dell’ordine dei ng/l o ppt, per molti elementi della tavola periodica) dell’ ICP-AES e la possibilità di analizzare simultaneamente fino a 72 elementi e, in particolare anche metalloidi come il B, P, As, Mo etc. rende questa tecnica particolarmente adatta per le analisi di metalli pesanti presenti anche in basse concentrazioni.

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Fig. 4.10 Lo strumento di emissione atomica accoppiata al plasma induttivo Thermo Electron Corporation iCAP 6000 Series di cui è dotato il Dipartimento di Scienze della Terra e Geologico-ambientali dell’Università di Bologna.

La base del metodo sfrutta le proprietà di emissione ottica degli atomi/ioni eccitati ottenuti dalla riduzione in fase plasma del campione, misurando le intensità delle radiazioni elettromagnetiche emesse. Il plasma rappresenta la sorgente di atomizzazione ed eccitazione: è un gas, nel nostro caso argon (Ar), elettricamente neutro con una certa percentuale di ionizzazione, in cui sono presenti ioni ed elettroni in ugual numero. Il plasma è prodotto per induzione elettromagnetica generata da un campo di radiofrequenze (le RF più usate sono dell’ordine di 27 o 40 Mhz) applicato ad una spira di induzione magnetica (induction coils, Fig. 4.11 a). La spira è posta attorno ad una torcia ICP (all’interno della quale si genera il plasma) che consiste di 3 tubi circolari in quarzo concentrici, contenenti 3 flussi separati di Ar: un flusso tangenziale, più esterno, che serve come gas di raffreddamento per proteggere il quarzo dalla fusione; un flusso tangenziale di gas ausiliare, che serve a mantenere il plasma caldo lontano dall’estremità del capillare centrale di iniezione ed un flusso laminare di gas nebulizzatore che trasporta il campione nel plasma. La ionizzazione del gas viene innescata da una scintilla che passando attraverso il gas, ionizza alcuni atomi di Ar e i risultanti cationi ed elettroni sono accelerati dal campo magnetico delle radiofrequenze. Attraverso una serie di collisioni tra le particelle cariche (Ar+ ed elettroni) e atomi di Ar, si genera un plasma stabile ad altissima temperatura (variabile tra 9000-10000°C).

(20)

a) b) Fig. 4.11 a) Schema di funzionamento del plasma; b) Schema dei principali componenti di uno spettrometro ad emissione al plasma: sistema di introduzione del campione; torcia ICP e riserva di gas;

generatore di radiofrequenze; spettrometro ottico; rivelatori e sistema elettronico associato (convertitore);

sistema di controllo computerizzato e acquisizione dati (da sito www.pa.ingv.it).

Il campione liquido (mineralizzato) viene pompato nel sistema d’introduzione costituito da una camera spray e da un nebulizzatore che trasformano la soluzione in un aerosol, il quale viene iniettato alla base del plasma: durante l’attraversamento del plasma nella torcia, l’aerosol passa in zone a temperatura crescenti in cui si asciuga, si vaporizza, si atomizza e infine si ionizza;

trasformandosi da aerosol liquido in particelle solide e infine in un gas. Quando raggiunge la zona analitica del plasma ad una temperatura approssimativa di 6000-7000°K, sarà in forma di atomi e ioni eccitati rappresentanti la composizione elementare del campione. L’alta temperatura del plasma porta tutti gli elementi in soluzione, compresi quelli più refrattari, ad uno stato eccitato, per cui emettono energia radiante a lunghezze d’onda caratteristiche per ogni elemento, in modo proporzionale alla sua concentrazione in soluzione. La radiazione emessa attraversa uno spettrometro, che ne analizzata la composizione spettrale (opera nella regione dal visibile al vicino infrarosso) tramite un monocromatore (reticolo di diffrazione che scompone un singolo fascio di luce policromatica in più fasci di luce monocromatica, contenente onde di una sola frequenza). Gli spettri di emissione vengono intercettati da un rilevatore ottico (con più di 40 lunghezze d’onda per elementi specifici permettendo un’analisi quantitativa simultanea multielemento) che produce un segnale elettrico di intensità proporzionale all’intensità delle righe di emissione. Il software associa le lunghezze d’onda presenti agli elementi corrispondenti, in modo da creare uno spettro completo della composizione del campione ed ottenere i valori di concentrazione in tempo reale.

L’intensità della radiazione viene elaborata mediante un set di curve di calibrazione, prodotte dall’analisi di soluzioni di riferimento a concentrazione nota, effettuata inizialmente prima dell’analisi dei campioni.

(21)

La determinazione quantitativa di un dato elemento si basa sulla misura dell’intensità del segnale emesso dall’elemento (analita) che deve necessariamente essere corretto da altri segnali provenienti da altre sostanze che creano delle interferenze con questo segnale a causa della complessità e della variabilità della matrice. Le interferenze spettrali si verificano quando una banda di emissione (riga) è vicina o si sovrappone a quella dell’elemento analita e non viene risolta dal monocromatore; in tal caso viene scelta manualmente la riga di emissione dell’analita che minimizza tali interferenze.

La concentrazione del metallo nel sedimento si ricava dalla seguente espressione:

C=Vc/M

dove C=concentrazione del metallo (mg/kg peso secco); c=concentrazione (mg/l) del metallo nella soluzione digerita, valore misurato dall’ICP-AES; V=volume della soluzione digerita, pari a 50ml; M=massa di campione (g peso secco).

Per l’analisi del contenuto di Ferro totale è stata necessaria una diluizione (2:100) in quanto le concentrazioni di questo elemento nelle soluzioni da sottoporre ad analisi superavano i limiti di rilevabilità dello strumento: a 2 ml di soluzione da analizzare sono stati addizionati 5ml di HCl (usato per non far precipitare il Ferro, che in questo modo rimane solubile), portato a volume di 100ml con l’aggiunta di acqua deionizzata.

Il controllo di qualità è stato valutato attraverso l’analisi degli standard di riferimento certificati e mediante repliche dei campioni analizzati.

In Tabella 4.7 sono mostrati i valori delle concentrazioni degli standard certificati e le concentrazioni risultanti dalle analisi condotte. I risultati analitici sono in accordo con i valori certificati per V, Ni, Co. Le differenze più importanti sono per il Pb, Fe, Cr, Mn e Cu che vengono sottostimati.

Tabella 4.7 Valori di concentrazione certificati e risultanti dalle analisi degli standard di riferimento. In nero sono riportate le concentrazioni (ppm) ottenute dalle analisi, in rosso i valori certificati.

(22)

Tabella 4.8 sono riportati i valori delle concentrazione dei campioni e delle loro repliche (segnati con la lettera R). La stima della precisione per il Fe e il Pb è del 35%, mentre per gli altri elementi analizzati è migliore del 10%.

Tabella 4.8 Valori di concentrazione (ppm) dei campioni replicati.

(23)

4.3 Trattamento e analisi dei dati

Oltre all’attività di campionamento e di analisi in laboratorio, il presente lavoro di tesi ha richiesto la realizzazione di una organizzazione ed informatizzazione dei dati prodotti sia durante la fase di campionamento (dati geografici) sia durante la fase analitica (dati chimici) per la creazione, tramite il software Excel di un archivio-dati (di tipo tabellare) con una sua specifica struttura. Il database è stato opportunamente riorganizzato, a seconda delle esigenze, in modo da ottenere dei fogli di lavoro utilizzati per l’elaborazione grafica dei dati, per effettuare analisi statistiche delle variabili di interesse, nonché adattati per la creazione di elaborati cartografici in ambiente GIS.

Nel presente lavoro il trattamento statistico dei dati analitici ha riguardato principalmente gli aspetti di pertinenza della statistica descrittiva, ovvero la branca della statistica che definisce, attraverso opportuni indici, le caratteristiche fondamentali di un insieme di dati e che si occupa ad esempio della loro distribuzione di frequenza (analisi univariata) e delle relazione lineari esistenti tra due o più variabili (analisi bivariata) attraverso l’uso di coefficienti di correlazioni. Il trattamento statistico dei dati analitici è stato condotto mediante l’utilizzo dei seguenti software: Microsoft Excel, Statistica 6.0, GCDkit 2.2 (Geochemical Data Toolkit for Windows).

Scopo della statistica descrittiva è quello di estrarre dai dati raccolti le informazioni più rilevanti che essi contengono. Al tal fine sono stati determinati i principali indici statistici (indici di posizione:

media aritmetica e geometrica, mediana e moda; indici di dispersione: intervallo di variazione o range, varianza, deviazione standard; indici di forma: coefficiente di asimmetria e di curtosi) che descrivono compiutamente le serie di valori delle variabili in studio, con lo scopo di definire, attraverso un trattamento numerico, la tendenza centrale (la misura del valore intorno al quale sono maggiormente e preferenzialmente raggruppati i dati, stimata traverso gli indici di posizione), la dispersione (definisce il campo di variabilità di una serie di valori rispetto al valore centrale ed è descritta dagli indici di dispersione) e forma (descritta dagli indici di forma) dei set dei dati prodotti.

Attraverso il calcolo della frequenza di occorrenza dei valori in intervalli stabiliti (classi), è stato possibile definire il modello di distribuzione di frequenza dei dati di interesse. La distribuzione di frequenza è stata rappresentata graficamente tramite istogrammi che forniscono una sintesi visiva e consentono una rapida lettura delle fondamentali caratteristiche delle serie. Il profilo degli istogrammi di frequenza viene approssimato da una curva descritta da una funzione matematica, chiamata densità di frequenza che riassume l’ipotetica distribuzione di probabilità della popolazione.

I principali indici statistici della statistica descrittiva sono stati rappresentati in forma grafica utilizzando le potenzialità dei boxplot. Il boxplot è un ideogramma che descrive in modo

(24)

dati. Come rappresentato in Fig. 4.12, dove è riportato, a titolo di esempio, il boxplot delle concentrazioni del Cromo, ottenuto con il software GCDkit, il grafico in oggetto mostra una

“scatola” (box) che corrisponde alla parte centrale della distribuzione dei dati comprendente il 50%

dei casi. Questa scatola, infatti, è delimitata dai valori del lower ed upper quartile (differenza interquartile). Ricordiamo il significato di percentili, per il quale si intende il tenore dell’elemento (la concentrazione dell’elemento chimico nel nostro caso) sotto il quale cade una determinata percentuale di dati. Il 25° percentile è detto anche lower quartile o primo quartile in quanto raccoglie il primo quarto della popolazione di dati. Analogamente, il 75° percentile è detto anche upper quartile o terzo quartile. La differenza tra l’upper quartile ed il lower quartile è definita differenza interquartile, valore che talora è utilizzato come indice di variabilità e che raggruppa il 50% dei dati. Il 50° percentile corrisponde alla mediana. All’interno della scatola è riportato il valore della mediana, individuato dalla striscia nera in grassetto. Nella nostra costruzione del boxplot, i “baffi” (whisker) corrispondono ad un intervallo di tolleranza corrispondente a 1.5 la differenza interquartile sottratto al 25° e sommato al 75°. Qualora non vengano raggiunti questi limiti i baffi segnalano il minimo ed il massimo dei valori della variabile. Osservazioni che oltrepassano questi limiti sono segnalati come punti singoli (outlier) (Fig. 4.11).

Fig. 4.12 Boxplot della concentrazione del Cr

Le indicazioni sulla distribuzione dell’elemento riportate nel boxplot sono state di ausilio nell’individuare il numero e il range delle classi di concentrazione del metallo, utilizzate per graficarne l’andamento spaziale in ambiente GIS.

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Una parte dell’analisi statistica dei dati è stata focalizzata sulla stima della correlazione esistente tra le variabili considerate. Attraverso il software Statistica 6.0 da una matrice di partenza composta da m colonne (le variabili, rappresentate dalle concentrazioni degli elementi) e n righe (i campioni), è stata elaborata una matrice quadrata con m righe e m colonne (rappresentate entrambe dalle variabili) in cui ogni elemento esprime la somma dei quadrati e dei prodotti incrociati dei valori delle m variabili. La correlazione è stata misurata tramite il coefficiente di correlazione di Pearson (r), il cui valore può oscillare tra –1 e +1. Gli elementi che si trovano sulla diagonale della matrice hanno un coefficiente di correlazione unitario, mentre tutti gli altri hanno valori compresi tra –1 e +1 ed esprimono, rispettivamente, una perfetta correlazione negativa e positiva; se r è nullo, significa che quelle due variabili sono indipendenti. Per valutare il livello di significatività della relazione lineare esistente fra i parametri si fa riferimento ai valori critici dei coefficienti di correlazione in funzione dei gradi di libertà n-2, dove n è il numero di misure effettuate per coppia di variabili considerate. Se il coefficiente calcolato è più grande di quello definito come valore critico (tabulato), allora esiste una significativa relazione lineare tra i parametri considerati, ovvero vi è meno del 5% di probabilità che i punti abbiano una distribuzione casuale. Sulla base degli esiti dell’analisi della correlazione, sono stati prodotti scatterplot binari per gli elementi chimici che evidenziano i più elevati e significativi rapporti di correlazione. E’ bene precisare che il coefficiente di correlazione non è una misura generale della relazione tra due variabili, ma esprime solo il grado di linearità della correlazione in un grafico binario a dispersione, cioè misura l’intensità dell’associazione tra due variabili che variano congiuntamente (Davids, 1986). Per valutare le relazioni causa-effetto tra una variabile dipendente e una indipendente è stata utilizzata l’analisi della regressione che permette la descrizione della forma della nuvola dei punti distribuiti in un grafico binario mediante il processo di fitting di una retta (y=mx+q), che attraversa i punti nel grafico, calcolata in maniera da minimizzare la distanza tra i punti delle osservazioni e la retta stessa (Ciottoli e Finoia, 2005). È possibile inoltre calcolare per ogni punto di best fit della retta di regressione, un intervallo di confidenza al 95%, costituito da due punti, uno superiore ed uno inferiore contenenti il dato di best fit calcolato. Unendo tra loro tutti i punti dell’intervallo superiori, e tutti i punti inferiori, si ottiene la banda di confidenza.

Inoltre sono state eseguite elaborazioni multivariate utilizzando il metodo statistico dell'Analisi dei gruppi o cluster analysis (Davis, 1973), una tecnica che partendo da una matrice di dati ne riduce il numero, unendo vari dati in un solo gruppo (cluster) in base a una qualche "somiglianza"

o "vicinanza". Si cerca cioè di ridurre il numero delle righe della matrice dei dati, sostituendo a tutte le righe che contengono i dati confluiti in un singolo cluster, un dato (eventualmente fittizio) rappresentativo di tutto il cluster stesso. Le tecniche della cluster analysis consentono quindi di individuare dei raggruppamenti statisticamente significativi all'interno di un gruppo di variabili. Lo

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siano – in qualche senso – piu’ simili tra loro che non agli elementi appartenenti ad altri gruppi. La costruzione dei cluster si può effettuare in molti modi, sia in funzione della scelta del criterio di

"misura della somiglianza" tra i dati, sia delle diverse strategie di raggruppamento (gerarchiche o non-gerarchiche; divisive o agglomerative). Ogni scelta tra questi criteri porta, in genere, a classificazioni differenti.

Per il presente lavoro è stato utilizzato il “metodo di classificazione gerarchica aggregativa ” che realizza fusioni successive degli n oggetti iniziali in gruppi progressivamente più ampi (alla fine: un unico gruppo). Questo tipo di elaborazione statistica produce come rappresentazione grafica sintetica un diagramma ad albero, o dendrogramma. Come misura adottata per valutare la

"somiglianza" tra gli oggetti (cioè tra le righe della matrice dei dati), detta misura della "distanza”, è stato usato il coefficiente di Pearson. La regola scelta (algoritmo aggregativo), in base alla quale si calcola la distanza tra i cluster è il cosi detto Complete linkage (metodo del diametro o della massima distanza): la distanza tra due cluster è definita come la massima distanza osservata tra tutte le coppie formate da un elemento del primo gruppo e un elemento del secondo gruppo (Rock, 1980).

Una parte consistente del lavoro di tesi è risultata l’elaborazione dei dati in ambiente GIS, acronimo inglese di Geographic Information Systems (sinonimo di quello italiano SIT, Sistema Informativo Territoriale): sistemi informatizzati per l’acquisizione, la memorizzazione, il controllo, l’integrazione, l’elaborazione e la rappresentazione di dati riferiti alla superficie terrestre (Arnaud et alii, 1993). Nel presente lavoro di tesi il software utilizzato è stato l’ArcGIS 9.2 della ESRI (Environmental Systems Research Institute).

Nell’ambiente ArcGIS sono stati importati come Data Base file i dataset creati con Microsoft Excel per le varie tematiche analizzate. Per ognuna di esse è stata realizzata una tabella dove l’identificativo (primary key) è rappresentato dalla sigla del campione. Per ogni campione sono riportate le coordinate spaziali (coordinate chilometriche Gauss Boaga), le informazioni riguardanti il sito di campionamento e le concentrazioni degli elementi chimici di interesse per lo studio. Sono stati poi realizzati ed organizzati vari strati informativi ed importati, come shapefile. Queste operazioni sono state utilizzate per l’elaborazione di carte tematiche (i.e., carte dell’ubicazione dei campioni; carte delle concentrazioni relative ad ogni elemento; carte del Fattore di Arricchimento) georeferenziate, distinte per ogni elemento. A queste mappe è stato possibile sovrapporre, previa digitalizzazione, mappe cartacee relative ai lavori di altri autori, precedentemente realizzati, ricadenti nella stessa area di studio.

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