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1. La sentenza n. 251/2016: brevi considerazioni di contesto politico-istituzionale

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La “Riforma Madia” al vaglio della Corte costituzionale.

Leale collaborazione e intese possono salvare la riforma della pubblica amministrazione

Sommario: 1. La sentenza n. 251/2016: brevi considerazioni di contesto politico-istituzionale.

2. Censure, eccezioni di inammissibilità e risposte della Corte: una guida alla lettura della sen- tenza. 3. Il principio di leale collaborazione applicato al procedimento legislativo delegato: pa- reri e intese (“deboli” e “forti”). 3.1 Leale collaborazione, intese e disciplina del lavoro. Come cambia la mediazione della Corte costituzionale con la sent. n. 251/2016. 4. Cosa succede dopo la pronuncia della Corte? Il Parere del Consiglio di Stato sugli effetti della decisione della Con- sulta.

1. La sentenza n. 251/2016: brevi considerazioni di contesto politico-istituzio- nale

A meno di dieci giorni dal referendum costituzionale del 4 dicembre 2016e all’indomani dell’approvazione governativa di un nutrito pacchetto di decreti legislativi attuativi di deleghe previste dalla legge 7 agosto 2015 n.

124(Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni: cd.

“legge Madia”)1, la Corte costituzionale ha depositato la sentenza che ha di-

1Il Consiglio dei ministri, riunitosi il 24 novembre 2016, aveva approvato in extremis una nuova tranche di decreti legislativi attuativi della l. n. 124/2015 (la delega al Governo sarebbe scaduta dopo pochi giorni). Il pacchetto comprendeva: (1) il decreto di riordino della dirigenza;

(2) il decreto contenente il Testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico gene- rale; (3) il decreto per il riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura (divenuto d.lgs. n. 219/2016); (4) il decreto contenente la Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e pro- cedimenti (divenuto d.lgs. n. 222/2016, cd. decreto Scia); (5) il decreto recante Semplificazione delle attività degli enti pubblici di ricerca (divenuto d.lgs. n. 218/2016).

Diritti Lavori Mercati, 2017, i

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chiarato l’incostituzionalità di numerose disposizioni di delegazione conte- nute nella legge2.

La decisione ha posto un freno all’avviata edificazione della riforma della pubblica amministrazione3, anche se i giudici costituzionali hanno ten- tato, con alcuni accorgimenti tecnici (v. infra, §§ 3 e 4), di mitigare gli effetti della pronuncia, al fine di non sottrarre slancio al progetto di riordino. Tutto ciò non ha impedito un rallentamento della riforma, soprattutto di alcune sue parti, in primis del Testo unico sul lavoro pubblico, la riforma più difficile da traghettare (visti gli stretti tempi di attuazione della delega) sulla sponda dell’esecutivo nominato dopo l’esito del referendum costituzionale del 4 di- cembre 20164.

La Corte, prendendo in esame un ricorso presentato dalla Regione Ve- neto, ha infatti “bocciato” diverse disposizioni di delega della “legge Madia”

(in materia di dirigenza pubblica, lavoro pubblico, servizi pubblici locali di interesse economico generale, società a partecipazione pubblica) – ritenute incostituzionali per violazione del principio di leale collaborazione (d’ora in poi: PLC) – “assolvendo” la sola norma di delega sul codice dell’ammini- strazione digitale e dichiarando inammissibile la questione di legittimità co- stituzionale relativa agli oneri finanziari della riforma.

Già da queste prime battute è chiaro che la sentenza può essere consi- derata da diverse prospettive. La prima – politico-istituzionale – è già stata utilizzata in diversi commenti “a caldo”5 e verrà tralasciata in questa sede,

2Sent. 25 novembre 2016, n. 251 (rel. S. Sciarra), decisa il 9 novembre 2016.

3Per un’introduzione generale alla riforma si vedano almeno i contributi di BARBIERI, BEL-

LAVISTA; D’AURIA; REALFONZO, VISCIONE; ZOPPOLIL.; BORGOGELLI; GARILLI; VETTOR; D’ONGHIA

sul d.d.l. A.C. n. 3098 e pubblicati sul fascicolo monografico della RGL, 2015, n. 3, I, p. 473 ss., e i diversi commenti alla l. n. 124/2015 pubblicati sul Giorn. dir. amm., 2015, n. 5, p. 621 ss.

4Nonostante alcune negative previsioni, secondo cui il nuovo Governo sarebbe stato sul punto di “dire addio” alla riforma del pubblico impiego (T.U. Pubblico Impiego: il Governo pronto a dimezzare la riforma, la Gazzetta degli enti locali, 11 gennaio 2017), la bozza di decreto sul nuovo Testo Unico dovrebbe ricevere, a breve, l’approvazione del Consiglio dei Ministri. Ulteriori rallentamenti ha subito la riforma delle società a partecipazione pubblica, dal momento che il nuovo Testo unico – entrato in vigore il 23 novembre 2016 – prevedeva una serie di adempi- menti da realizzare entro termini predefiniti – il più importante dei quali era quello del 31 di- cembre 2016 per l’adeguamento degli statuti – mentre non tutti gli enti locali hanno rivisto le loro partecipate, adeguandole alle previsioni del d.lgs. n. 175/2016 (sul punto v. MEZZACAPO, Prime osservazioni sul rapporto di lavoro nelle società a controllo pubblico dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 251/2016, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona” – IT., n. 319/2017).

5MONTEMARANo, La Riforma Madia travolta dalla Corte costituzionale, in GL, 23 dicembre

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benché non ci si possa esimere dal ricordare alcuni passaggi, utili per conte- stualizzare la pronuncia.

La sentenza è stata, infatti, depositata il 25 novembre 2016, mentre il ter- mine per l’adozione di uno dei più attesi e importanti decreti delegati – quello sulla dirigenza pubblica – scadeva il 26 novembre 2016 (in virtù della proroga disposta dall’art. 11, c. 2, periodo 3, l. n. 124/2015)6.

Il decreto – approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri il 24 no- vembre 2016 – era, dunque, all’esame del Presidente della Repubblica e in at- tesa di emanazione al momento del deposito della sentenza, mentre in seguito alla decisione della Consulta è stato immediatamente ritirato dal Governo, as- sieme al decreto sui servizi pubblici locali d’interesse economico generale7.

Altri tre decreti coinvolti dalla pronuncia – il d.lgs. 20 giugno 2016 n.

116(riguardante il licenziamento disciplinare) e parzialmente attuativo della delega sul pubblico impiego prevista dall’art. 17); il d.lgs. 19 agosto 2016 n.

175, contenente il “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica” e il d.lgs. 4 agosto 2016 n. 171, in materia di dirigenza sanitaria – erano già in vigore da qualche mese8e, come si vedrà (§ 4), sono stati interessati dal punto 9della decisione.

Infine, al tempo della pronuncia non circolava bozza del decreto con- tenente le nuove disposizioni sul lavoro pubblico, poiché i termini assegnati per l’esercizio della delega erano più ampi (18 mesi, anzicché 12, ex art. 17, l. n. 124/2015) rispetto a quelli previsti per le altre “deleghe di semplifica- zione” contemplate dagli artt. 16 e ss.

La pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale è inoltre avve- nuta il 30 novembre, e cioè a distanza di quattro giorni dal referendum costi- tuzionale.

Se si considera la decisione della Consulta anche alla luce del successivo risultato referendario (la bocciatura popolare del d.d.l. cost. n. 2613-d), si può

2016, 14; v. anche l’intervista a CASSESE, Così si depotenzia il Governo, il Mattino, 26 novembre 2016.

6Art. 11, c. 3, terzo periodo: “Se il termine previsto per il parere cade nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine previsto al comma 1 o successivamente, la scadenza me- desima è prorogata di novanta giorni”.

7Sono queste le “norme interrotte” dalla sent. n. 251/2016 (G. NICOSIA, Valutazione e re- sponsabilità dei dirigenti: le norme interrotte e l’attesa del legislatore che verrà, Relazione svolta al Se- minario di studi di Bertinoro, Bologna, 12-13 dicembre 2016).

8I dd. lgs. n. 116/2016, n. 171/2016 e n. 175/2016 erano entrati in vigore, rispettivamente, il 13 luglio 2016, il 18 settembre 2016 e il 23 settembre 2016.

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certamente condividere l’impressione che i pochi giorni trascorsi dal 25 no- vembre al 4 dicembre abbiano segnato un recupero dell’impianto federalista della (immutata) Costituzione formale, impresso alla carta costituzionale dalla riforma del 20019.

Da un punto di vista più generale, la sentenza mostra che la dialettica Stato-Corte si intensifica nei periodi, come l’attuale, in cui le contingenze economiche – che si traducono anche in esigenze di ammodernamenti e ri- forme in senso efficientista degli apparati pubblici10 – rendono lo Stato più

“centralizzante”, in ragione della sempre più pressante esigenza di decisioni celeri da parte degli organi politici e, in particolare, dell’esecutivo11, anche per via della continua e necessaria interfaccia con le istituzioni europee12. In simili contesti, la Corte è costretta ad assumere un ruolo di garante degli equilibri istituzionali disegnati “sulla carta” e non sempre mantenuti nella prassi.

Se è vero, dunque, che il sistema politico non smette di oscillare “tra ispirazioni cripto-federaliste (…) e tentazioni semplificatrici incentrate su un neo-centralismo tutto da ri-sperimentare”13, è pur vero che la “riforma Madia” – come molte altre del Governo Renzi – aveva mosso i suoi primi passi (con la legge delega e i primi decreti attuativi) in un contesto istituzio-

9MONTEMARANO, La Riforma, cit., 14.

10REALFONZO, VISCIONE, Costi ed efficienza dell’amministrazione pubblica italiana nel confronto internazionale, in RGL, 2015, I, n. 3, p. 497.

11PICALARGA, La leale collaborazione ancora di fronte alla Corte. Nota a Corte costituzionale, sent. n. 39 del 2013, visionabile al sito http://www.forumcostituzionale.it, p. 6.

12V. la Raccomandazione del Consiglio sul Programma Nazionale di Riforma 2016 dell’Italia e che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità 2016 dell’Italia [ COM (2016) 332 del 18.5.2016] nella quale si legge che “La riforma della pubblica amministrazione è un passo im- portante che, se saranno adottati e attuati i necessari decreti legislativi, permetterà all’Italia di cogliere i benefici attesi in termini di maggiore efficienza e migliore qualità nel settore pubblico.

Di particolare importanza per risolvere la cause profonde delle inefficienze sono i decreti legi- slativi sulle imprese di Stato e sui servizi pubblici locali, proposti dal governo a gennaio 2016, e l’imminente decreto sul pubblico impiego”. Il Consiglio raccomanda che l’Italia adotti prov- vedimenti nel 2016 e nel 2017 al fine di: “attuare la riforma della pubblica amministrazione adottando e applicando tutti i decreti legislativi necessari, in particolare in materia di riforma delle imprese pubbliche locali, servizi pubblici locali e gestione delle risorse umane; potenziare la lotta contro la corruzione riformando l’istituto della prescrizione entro fine 2016”. Sul nesso fra la “Riforma Madia” e il programma di stabilità dell’Italia, D’AURIA, La riforma delle pubbliche amministrazioni nella legge Madia (n. 124/2015), in RGL, 2015, I, n. 3, p. 481 ss.

13ZOPPOLIL., Reclutamento e ruolo unico: filosofie organizzativo-istituzionali e tecniche regolative, Relazione svolta al Seminario di studi di Bertinoro, Bologna, 12-13 dicembre 2016.

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nale in cui il disegno di riorganizzazione amministrativa era strettamente connesso alla prospettiva della riforma costituzionale.

Nella dialettica Stato-Corte, la sentenza n. 251/2016 è invece fondata (e non poteva essere diversamente) sul vecchio impianto costituzionale e procede, anzi, in direzione di una sua valorizzazione14, imponendo, come meglio si vedrà, il rispetto del PLC anche all’esercizio della funzione legi- slativa.

2. Censure, eccezioni di inammissibilità e risposte della Corte: una guida alla lettura della sentenza

Ma vediamo quali sono state le censure mosse dalla Regione Veneto e quali le risposte della Corte costituzionale.

Come si legge nella sentenza, le disposizioni impugnate spaziavano

“dalla cittadinanza digitale (art. 1)15, alla dirigenza pubblica (art. 11)16, dal la- voro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (art. 17)17, alle parte- cipazioni azionarie delle amministrazioni pubbliche (art. 18)18, ai servizi pubblici locali di interesse economico generale (art. 19)19e, proprio per que- sto, influivano su molteplici sfere di competenza legislativa anche regionale”.

Venivano contestate, dunque: una delle “deleghe di semplificazione ammi- nistrativa” contenute nel capo I della l. n. 124/2015; la delega sulla dirigenza pubblica e sanitaria e, infine, le tre deleghe “di semplificazione della norma- tiva” previste dagli artt. 16 e ss. in tre settori (lavoro pubblico; società parte- cipate; servizi pubblici locali d’interesse economico generale: SPL) nei quali il Governo veniva delegato ad adottare Testi Unici di riordino della norma- tiva.

Le disposizioni di delega venivano impugnate sotto un duplice profilo.

La Regione ricorrente riteneva, innanzitutto, che le medesime non fos-

14Ancora L. ZOPPOLI, Reclutamento e ruolo unico, cit.

15Comma 1, lett. b), c) e g), e comma 2.

16Comma 1, lett. a) b) numero 2, c) numeri 1 e 2, e), f), g) h), i), l) m), n), o), p) e q) e comma 2.

17Comma 1, lettere a), b), c), d), e), f), l), m), o), q), r), s), e t).

18Lett. a), b), c) e), i), l) e m) numeri da 1 a 7.

19Lett. b), c), d), g), h), l), m), n), o), p), s), t), e u).

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sero interamente riconducibili a sfere di competenza legislativa statale esclu- siva, violando competenze regionali concorrenti o residuali; prospettava, poi, una violazione del PLC, poiché tutte le disposizioni censurate prevedevano che il Governo adottasse i decreti legislativi previo parere e non previa intesa della Conferenza permanente Stato-Regioni-Province autonome o della Conferenza unificata (Stato-Regioni-Città-Autonomie locali).

Le questioni si innestavano, dunque, sul delicato terreno dei confini fra potestà legislativa statale e regionale, dei limiti al potere di indirizzo e coor- dinamento statale, del PLC.

Alla fine, la Corte ha accolto pressoché per intero le censure della Re- gione (anche se quest’ultima aveva chiesto la caducazione secca delle norme impugnate)20, facendo sì che la partita Stato-Regioni si concludesse con un

“quattro a uno” a favore delle autonomie.

Dopo aver dichiarato inammissibile la questione di legittimità costitu- zionale relativa agli oneri di finanziamento della riforma21, la Consulta ha dichiarato infondata la sola questione relativa alle disposizioni di delega sul codice dell’amministrazione digitale, le quali, pur intersecando “sfere di at- tribuzione regionale come il turismo e l’organizzazione amministrativa re- gionale, costituiscono, in via prevalente, espressione della competenza statale nella materia del “coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale” (art. 117, c. 2, lett. r, Cost.).

Diversa la soluzione per tutte le altre norme censurate, in relazione alle quali la Corte ha verificato l’esistenza di un “concorso di competenze, ine- stricabilmente connesse”.

Così è stato, innanzitutto, per le disposizioni di delega sul riordino della dirigenza (art. 11), ritenute incostituzionali perché contenenti principi e cri- teri direttivi anche in tema di dirigenza regionale. Qui la Corte ha ricono- sciuto che le competenze statali esclusive in materia di “ordinamento civile”

20V. ric. n. 94 del 2015. Riferisce D’AMICO, La sentenza sulla legge Madia, una decisione (forse) troppo innovatrice, visionabile al sito www.questionegiustizia.it, 2017, che il petitum della Re- gione ricorrente non consisteva affatto in una richiesta di intesa nel procedimento di formazione dei decreti. Anche per tale ragione la decisione non appare né spiccatamente filo-regionalista, né interamente filo-statalista.

21La questione era promossa nei confronti degli artt. 1, c. 1, e 23; le disposizioni venivano impugnate in riferimento agli artt. 81 e 119 Cost. poiché avrebbero imposto un nuovo e im- proprio onere di finanziamento della riforma in capo alle Regioni, del quale secondo la Corte,

“non è fornita dimostrazione”.

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(indiscutibili per i profili relativi, per esempio, al trattamento economico o al regime delle responsabilità dei dirigenti) si intrecciano con quelle regionali residuali in materia di “ordinamento e organizzazione amministrativa” delle Re- gioni e, con riferimento alla dirigenza sanitaria, con quelle concorrenti in materia di “tutela della salute”.

Proprio per tale ragione lo stesso legislatore delegante aveva previsto che l’istituzione del ruolo unico dei dirigenti regionali dovesse avvenire “previa intesa”

in sede di Conferenza Stato-Regioni22, mostrando consapevolezza delle riper- cussioni dell’istituzione del ruolo unico (regionale) sulle sfere di competenze delle Regioni e, dunque, conscio dell’esigenza di procedere ad un coinvolgi- mento di tali enti nella fase dell’istituzione del ruolo. La Corte ha, invece, ri- tenuto che “le procedure di raccordo previste “a valle” per l’istituzione del ruolo della dirigenza regionale” non fossero sufficienti e rendessero “a fortiori necessario l’estensione del vincolo concertativo “a monte”, così da consentire alle Regioni di co-decidere”23anche sui requisiti di accesso al ruolo e di re- clutamento e sui criteri di conferimento, durata e revoca degli incarichi, “re- quisiti che attengono ai profili pubblicistico-organizzativi del lavoro pubblico, come tali riconducibili alla materia dell’organizzazione amministrativa regio- nale”24. Come dire che l’iper-regolazione con la quale il legislatore delegante aveva inteso avviare la riforma della dirigenza25, con un adattamento del mo- dello regolativo statale a quello di altre amministrazioni26, aveva un prezzo (anche alla luce del “polimorfismo” delle dirigenze)27– quello della concer- tazione – che il legislatore delegato avrebbe dovuto pagare alle autonomie.

Ci si potrebbe anche fermare qui, se non fosse opportuno notare come l’intento di dare celere attuazione alla riforma abbia fatto perdere di vista al- l’esecutivo che l’incostituzionalità delle disposizioni di delega sulla dirigenza era, in qualche modo, stata annunciata nel Parere espresso dalla Conferenza

22Art. 11, c. 1, lett. b), n. 2).

23Le due citazioni sono tratte da POGGI, BOGGERO, Non si può riformare la p.a. senza intesa con gli enti territoriali: la Corte costituzionale ancora una volta dinanzi ad un Titolo V incompiuto. Nota alla sentenza n. 251/2016, in Federalismi.it, 28.12.2016.

24C. Cost. punto 4.2.1. del Considerato in diritto.

25ZOPPOLIL., Alla ricerca di una nuova riforma della dirigenza pubblica: reclutamento e incarichi tra confusione e rilegificazione, in RGL, 2015, I, p. 520.

26D’ALESSIO, Il nuovo statuto della funzione pubblica nella legge delega n. 124 del 2015: la diri- genza, in IF, 2015, n. 3, p. 591.

27NICOSIA, Il polimorfismo delle dirigenze pubbliche e la “buona amministrazione”, in AA.VV., La dirigenza, in QDRLI, 2009, p. 65.

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delle Regioni sullo schema di decreto28, con il quale – a distanza di poche settimane dalla successiva decisione della Consulta29– la Conferenza aveva revocato l’assenso inizialmente prestato sulla riforma della dirigenza; ciò era avvenuto dopo l’esame del testo di decreto deliberato dal Consiglio dei mi- nistri il 25 agosto 201630.

Un analogo intreccio di competenze è stato ravvisato dalla Corte nelle disposizioni di delega sul lavoro pubblico.

Si ricorda che il disegno tracciato dalla riforma costituzionale bocciata pochi giorni dopo la sentenza intendeva riservare alla potestà legislativa esclusiva dello Stato “le norme sul procedimento amministrativo e sulla di- sciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche tese ad assicurarne l’uniformità nel territorio nazionale” (art. 117, c. 2, lett.

g), anche al fine di evitare che le Regioni a statuto ordinario, in forze di re- gole attinenti alla loro organizzazione amministrativa, potessero prevedere trattamenti differenziati per i propri dipendenti. Nell’ordinamento costitu- zionale sopravvissuto al referendum del 4 dicembre la materia dell’impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni non statali (Regioni ed enti locali) va ripartita, invece, fra la potestà legislativa dello Stato, per i profili re- lativi al rapporto di lavoro (che ineriscono alla materia dell’“ordinamento ci- vile”) e la competenza regionale residuale in materia di “ordinamento e organizzazione amministrativa”. L’intreccio si verifica specie quando le dispo- sizioni statali intervengono – come nel caso della delega de qua – “a dettare precisi criteri inerenti alle procedure concorsuali pubblicistiche per l’accesso al lavoro pubblico regionale, ripetutamente ricondotto (…) alla competenza residuale delle Regioni di cui all’art. 117, quarto comma, Cost.”31.

c) Anche con riguardo alle disposizioni di delega sulle “società parteci- pate” (art. 18), la Corte, richiamando la propria giurisprudenza in tema di

28POGGI, BOGGERO, Non si può riformare, cit., p. 12 ss. Dubbi di costituzionalità della ri- forma provenivano, del resto, da più voci in dottrina: cfr. DEODATO, Brevi riflessioni sulla costitu- zionalità e sulla ragionevolezza di alcuni aspetti della riforma della dirigenza pubblica, in LPA, 2014, p.

952ss.

29Parere sullo Schema di decreto legislativo recante disciplina della dirigenza della Repubblica ai sensi dell’art. 11 della legge 7 agosto 2015 n. 124 del 3 novembre 2016.

30Di una “accoglienza tiepida o ipercritica” dello schema di decreto da parte della dottrina parla ZOPPOLIL., Alla ricerca di una nuova riforma, cit., ove richiami bibliografici alla vicenda della delega e della sua attuazione.

31La sent. n. 251/2016 richiama, al riguardo, le sent. n. 100 del 2010, n. 95 del 2008, n. 233 del 2006 e n. 380 del 2004.

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società a partecipazione pubblica, ha ravvisato un inestricabile intreccio fra:

competenze statali in materia di “ordinamento civile” (legate alla definizione del regime giuridico delle società, che sono, indiscutibilmente, soggetti di diritto privato); altre competenze statali esclusive (“tutela della concorrenza” e

“coordinamento della finanza pubblica”) e competenze regionali in materia di

“ordinamento e organizzazione amministrativa”32.

d) Infine, anche la delega sui SPL (art. 19) incrocia, secondo la Corte, la

“competenza legislativa statale esclusiva a disciplinare il regime dei servizi pubblici locali di interesse economico “per gli aspetti che hanno una diretta incidenza sul mercato” (…) e che siano volti, “in via primaria, alla tutela e alla promozione della concorrenza (…)” e la competenza regionale residuale

“a disciplinare tutti quei profili (ivi compreso il trasporto pubblico locale) che non siano strumentali a garantire la concorrenza”33.

In tutti e quattro i casi il concorso di competenze avrebbe dunque ri- chiesto al legislatore delegato il rispetto del PLC, “indispensabile (…) a gui- dare i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie”.

Per tale ragione, larga parte della motivazione della sentenza è dedicata al “sistema delle Conferenze”34e allo strumento dell’intesa quale mezzo pri- vilegiato per l’attuazione del PLC.

Il pronunciamento finale è che le disposizioni impugnate sono illegit- time “nella parte in cui prevedono che i decreti legislativi attuativi siano adottati previa acquisizione del parere reso in sede di Conferenza unificata, anziché previa intesa” in sede di Conferenza unificata o di Conferenza Stato- Regioni.

Il messaggio lanciato dalla Corte suona così chiaro e preciso: 1) in pre- senza di una concorrenza di competenze, statali e regionali, occorre legiferare

32La Corte ha richiamato, al riguardo, la propria sent. n. 229/2013, con la quale sono state dichiarate costituzionalmente illegittime “disposizioni statali che, imponendo a tutte le ammi- nistrazioni, quindi anche a quelle regionali, di sciogliere o privatizzare proprio le società pub- bliche strumentali, sottraevano alle medesime la scelta in ordine alle modalità organizzative di svolgimento delle attività di produzione di beni o servizi strumentali alle proprie finalità isti- tuzionali, violando la competenza legislativa regionale residuale in materia di organizzazione amministrativa regionali”.

33Anche qui la Corte richiama la propria precedente giurisprudenza: sentt. n. 325/2010, n. 307/2009, n. 272/2004.

34Il sistema, regolato dal d.lgs. 28 agosto 1997 n. 281, comprende la Conferenza Stato- Regioni (capo II) e la Conferenza unificata (capo III). Quest’ultima è la sede congiunta della Conferenza Stato-Regioni e della Conferenza Stato-Città ed autonomie locali.

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sotto l’egida del PLC; 2) lo strumento dell’intesa è il mezzo privilegiato per l’attuazione del principio ed è, dunque, lo strumento “cardine della leale collaborazione”.

La sentenza della Corte sulla “riforma Madia” è, dunque, una “sentenza manipolativa del tipo sostitutivo di procedura”, com’è stato chiarito dal Parere del Consiglio di Stato del 17 gennaio 201735, emesso in risposta al quesito relativo agli adempimenti da compiere dopo la sentenza. È vero infatti che la deci- sione incorpora una parte demolitoria e una parte ricostruttiva: le disposi- zioni impugnate vengono dichiarate incostituzionali (parte demolitoria) e si indica ciò che la conformità a Costituzione avrebbe invece richiesto (parte ricostruttiva)36. Oggetto della sostituzione è il procedimento di formazione dei decreti delegati, nel quale la legge avrebbe dovuto prevedere l’intesa, in luogo del parere.

3. Il principio di leale collaborazione applicato al procedimento legislativo de- legato: fra pareri e intese (“deboli” e “forti”)

Fornita una sintesi della vicenda e una breve mappatura della sentenza, si possono considerare gli effetti della decisione, (a) sul procedimento legi- slativo e, in particolare, sul procedimento di formazione dei decreti delegati, in generale, (§ 3) e (b) sui decreti delegati che erano già stati approvati ed erano entrati in vigore (§ 4).

Nella prospettiva del diritto costituzionale, di particolare interesse è ap- parsa la circostanza che la sentenza abbia superato il consolidato orienta- mento giurisprudenziale, secondo cui le procedure di leale collaborazione non si applicano, salvo espresse previsioni di legge, nell’esercizio della fun- zione legislativa37.

Rinviando l’approfondimento della questione ai numerosi commenti di taglio costituzionalistico38, ci si limita a ricordare che, in base alla normativa di legge riguardante il sistema delle Conferenze (d.lgs. 28 agosto 1997 n. 281), la previsione di intese in sede di Conferenza Stato-Regioni è rimessa al le- gislatore (art. 3), mentre “in attuazione del principio di leale collaborazione

35Cons. St., comm. spec., 17 gennaio 2017 n. 83.

36MEZZACAPO, Prime osservazioni, cit.

37Cfr. nota 47.

38V. i diversi commenti richiamati nelle precedenti note.

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e nel perseguimento di obiettivi di funzionalità, economicità ed efficacia dell’azione amministrativa”, possono essere conclusi, sempre in sede di Con- ferenza Stato-Regioni, “accordi, al fine di coordinare l’esercizio delle rispettive competenze e svolgere attività’ di interesse comune” (art. 4)39. Per quanto riguarda poi la Conferenza unificata, essa “assume deliberazioni, promuove e sancisce intese ed accordi, esprime pareri, designa rappresentanti in relazione alle materie ed ai compiti di interesse comune alle regioni, alle province, ai comuni e alle comunità’ montane” (art. 9).

Al cospetto delle disposizioni richiamate – di non semplice lettura anche per via della (non esplicitata) differenza tra accordi e intese – la Corte costi- tuzionale, già più di dieci anni or sono, aveva chiarito che ogniqualvolta ven- gono in rilievo interessi riconducibili a materie di competenza regionale, tocca al Parlamento stabilire gli strumenti del “confronto tra i due grandi si- stemi ordinamentali della Repubblica, in esito al quale si individuano solu- zioni concordate di questioni controverse”40. E in effetti si è sempre operata in sede di delega la scelta fra parere e intesa, adottandosi, volta per volta, la soluzione ritenuta più congeniale alla disciplina delegata.

Se si apre una finestra sul panorama legislativo del lavoro, si osservano così numerosi casi in cui il legislatore delegante ha espressamente previsto la

“previa intesa” (con la Conferenza Stato-Regioni o con la Conferenza uni- ficata) come forma di leale collaborazione fra Stato e autonomie.

Un caso vicino alle disposizioni di delega della “legge Madia” riguar- danti il lavoro pubblico e la dirigenza, è quello della “legge Brunetta” (art.

2, c. 2, l. n. 15/2009), che, diversamente dalla “Madia”, prescriveva la “previa intesa”, in sede di Conferenza unificata, per numerosi profili di disciplina del lavoro pubblico41.Viceversa, nella precedente delega – e cioè nel 1997 – non solo si prevedevano semplici pareri, ma questi ultimi erano solo quelli delle competenti Commissioni parlamentari (cfr. l’art. 11, c. 2, della l. n. 59/1997), dal momento che la previsione di “pareri della Conferenza permanente per

39D.lgs. n. 281/1997, art. 3, c.1: “Le disposizioni del presente articolo si applicano a tutti i procedimenti in cui la legislazione vigente prevede un’intesa nella Conferenza Stato-Regioni”.

Art. 4, c. 1.: “Governo, regioni e province autonome di Trento e di Bolzano, in attuazione del principio di leale collaborazione e nel perseguimento di obiettivi di funzionalità’, economicità’

ed efficacia dell’azione amministrativa, possono concludere in sede di Conferenza Stato-regioni accordi, al fine di coordinare l’esercizio delle rispettive competenze e svolgere attività’ di inte- resse comune”.

40C. Cost. 1 febbraio 2006 n. 31.

41I profili erano quelli di cui agli artt. 3, co. 2, lett a); 4; 5 e 6.

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i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bol- zano e della Conferenza Stato-Città e autonomie locali allargata ai rappre- sentanti delle comunità montane” non era riferibile (ex art. 6, l. n. 59/1997) ai decreti attuativi della delega sul pubblico impiego, ma solo a quelli di cui all’art. 1 della l. n.59/1997 (il “sistema delle Conferenze” sarebbe stato disci- plinato, del resto, mesi dopo).

Un altro esempio, temporalmente prossimo alla “Riforma Madia”, è quello della delega in materia di politiche attive del lavoro e servizi per l’im- piego disposta, all’interno dell’altra grande riforma del Governo Renzi, il cd. Jobs Act (art. 3, l. n. 183/2014); in quel caso il governo è stato delegato ad adottare “uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive” “previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano”42.

D’altra parte, si registrano significative omissioni da parte del legislatore delegante: si pensi alle altre deleghe contenute nella l. n. 183/2014 (molte ri- guardanti profili di competenza concorrente di Stato e Regioni)43 e – per fare un esempio meno recente, ma importante – alla delega relativa al T.U.

sulla sicurezza nei luoghi di lavoro (art. 1, c. 4, l. 3 agosto 2007, n. 123), nella quale, a dispetto della competenza concorrente delle Regioni in materia di

“tutela e sicurezza del lavoro”, si prevedeva il parere, e non l’intesa, con la Conferenza Stato-Regioni44.

Gli esempi potrebbero, ovviamente continuare ma tanto basta per capire che le valutazioni del legislatore delegante, anche in materia di lavoro, sono – e sono state – ondivaghe ed è per questa ragione che la Consulta è spesso chiamata a “mettere ordine” nelle modalità con cui le Regioni sono, di volta in volta, coinvolte nel processo di formazione di norme – “primarie” o “se- condarie” – deputate a completare riforme nazionali unitarie. È così toccato alla Corte costituzionale contemperare in casi innumerevoli le esigenze di

42Analoga previsione era contenuta nelle precedenti (ma inattuate) deleghe in materia di politiche attive e servizi per l’impiego contenute nella l. n. 247/2007 e nella l. n. 92/12.

43TROJSI, Il diritto del lavoro tra Stato e Regioni: riforma costituzionale e anticipazioni legislative, in RGL, 2016, I, p. 502 ss., la quale osserva che il legislatore delegato ha poi provveduto, in alcuni casi, ad “aggiustare il tiro”, coinvolgendo le Regioni nella predisposizione dei decreti legislativi.

44In quel caso, tuttavia, il forte coinvolgimento delle Regioni nella stesura del d.lgs. n.

81/2008, realizzato in via di fatto, ha portato alla condivisione del prodotto normativo finale da parte delle Regioni, con la sola eccezione, anche in quel caso, del Veneto (TROJSI, Le fonti del diritto del lavoro tra Stato e Regione, Giappichelli, 2013, p. 171).

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unitarietà delle riforme con la garanzia delle funzioni costituzionalmente at- tribuite alle autonomie45.

In tal senso, il ragionamento sviluppato dalla Corte nella sent. n.

251/2016 è fortemente innovativo – come i costituzionalisti ci hanno sin da subito avvertito – perché modifica i termini della precedente giurisprudenza.

Mai, sino ad oggi, la Corte costituzionale era giunta ad imporre le pro- cedure collaborative (1) laddove il legislatore delegante non le avesse previste e (2) laddove ci si trovasse di fronte a procedimenti di formazione di decreti legisla- tivi e non di atti di natura regolamentare (d.p.c.m. o decreti ministeriali e, dunque, fonti secondarie). Fino ad ora la sostituzione dell’intesa al parere non era mai stata applicata giudizialmente al procedimento legislativo delegato.

Perciò, la sent. n. 251/2016 “aggiunge un nuovo importante tassello alla giurisprudenza della Corte in tema di leale collaborazione”46e di “necessarie intese”, poiché la violazione di tale principio potrà, d’ora in poi, esser fatta valere anche per censurare leggi di delegazione47.

Come si legge nel Parere del Consiglio di Stato del 17 gennaio 2017, la Con- sulta ha così inteso superare l’orientamento, sino ad oggi costante, secondo cui “il principio di leale collaborazione non si impone al procedimento le- gislativo” nella perdurante assenza della trasformazione delle istituzioni par- lamentari e, più in generale, dei procedimenti legislativi “anche solo nei limiti di quanto previsto dall’art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione)”48.

45Si pensi ai giudizi svolti sulle impugnazioni regionali riguardanti le norme di modifica del Codice dei beni culturali e del paesaggio – d.lgs. n. 42/2004 – (C. Cost. 7 novembre 2007 n. 367) e le disposizioni del Codice dei contratti pubblici – d. lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (C. Cost.

23novembre 2007 n. 401), contenenti entrambi riforme di grande impatto sul sistema delle autonomie e destinate a valere sull’intero territorio nazionale.

46POGGI, BOGGERO, Non si può riformare, cit.

47Pur appartenendo al copioso filone di giurisprudenza costituzionale con il quale sono state dichiarate illegittime leggi che subordinavano l’adozione di atti di normazione secondaria al previo parere, e non all’intesa, con le Conferenze – cfr., senza pretesa di completezza, C. Cost.

31marzo 2006 n. 134; C. Cost. 15 marzo 2013 n. 39 e, più di recente, C. Cost. 21 gennaio 2016 n. 7 – la decisione de qua è, dunque, innovativa perché riferisce la necessità dell’intesa al proce- dimento di formazione di decreti delegati, superando il consolidato orientamento in base al quale

“il principio di leale collaborazione, ove non specificamente previsto, non si impone nel procedimento legi- slativo” (cfr. anche le recenti C. Cost. 3 marzo 2016 n. 43 e C. Cost. 24 marzo 2016 n. 65).

48L’art. 11 della l. cost. n. 3/2001 prevede l’allargamento della Commissione parlamentare per le questioni regionali alla partecipazione dei rappresentanti delle Regioni, delle Province au- tonome e degli enti locali (“Sino alla revisione delle norme del titolo I della parte seconda della

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Nella sentenza in commento si è affermato, infatti, che tale orienta- mento non può essere seguito nei casi in esame poiché “là dove (…) il le- gislatore delegato si accinge a riformare istituti che incidono su competenze statali e regionali, inestricabilmente connesse, sorge la necessità del ricorso all’intesa” (punto 2 del Considerato in diritto).

Rappresenta dunque un’indiscutibile novità l’aver previsto, per via giu- risprudenziale, la necessità dell’intesa nel procedimento di formazione dei decreti delegati.

Alcune ultime osservazioni riguardano, infine, la natura dell’intesa. Se è quasi superfluo ricordare che il parere esige lo svolgimento di una fase con- sultiva con la quale si acquisisce un’opinione, ma si lascia poi campo libero all’iniziativa governativa, mentre l’intesa è prodromica ad un accordo, vale la pena di richiamare, invece, la generale distinzione fra intesa “forte” e intesa

“debole”49. La prima svolge, infatti, una funzione di co-decisione paritaria, men- tre la seconda comporta l’apertura, ed eventualmente la reiterazione, di trat- tative utili alla conclusione di un accordo, ma è sostanzialmente “dotata di un dispositivo che la rende superabile in caso di esito negativo delle trattative”50; essa non paralizza, dunque, l’iniziativa legislativa del Governo.

Ora, come si legge nella sent. n. 251/2016, “la reiterazione delle trattative non comporta in alcun modo che lo Stato abdichi al suo ruolo di decisore, nell’ipotesi in cui le strategie concertative abbiano esito negativo e non con- ducano a un accordo” (Punto 3 del Considerato in Diritto). L’intesa richiesta

Costituzione, i regolamenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica possono pre- vedere la partecipazione di rappresentanti delle Regioni, delle Province autonome e degli enti locali alla Commissione parlamentare per le questioni regionali. 2. Quando un progetto di legge riguardante le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e all’articolo 119 della Costituzione contenga disposizioni sulle quali la Commissione parlamentare per le questioni regionali, integrata ai sensi del comma 1, abbia espresso parere contrario o parere favorevole condizionato all’intro- duzione di modificazioni specificamente formulate, e la Commissione che ha svolto l’esame in sede referente non vi si sia adeguata, sulle corrispondenti parti del progetto di legge l’Assemblea delibera a maggioranza assoluta dei suoi componenti”. Con sent. n. 196/2004 la Corte costitu- zionale ha stabilito che “non è individuabile un fondamento costituzionale dell’obbligo di pro- cedure legislative ispirate alla leale collaborazione tra Stato e Regioni” (nel caso di specie le ricorrenti sostenevano che dall’art. 11 della legge cost. n. 3/2001 fosse desumibile il principio co- stituzionale che prescrive “la partecipazione regionale al procedimento legislativo delle leggi statali ordinarie, quando queste intervengono in materia di competenza concorrente”).

49CANDIDO, La leale collaborazione tra intese deboli e forti: una contrapposizione sbiadita, in GCost, 2016, n. 1, p. 15 ss. ma sp. p.19.

50Ancora POGGI, BOGGERO, Non si può riformare, cit., sp. 8.

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dalla pronuncia è, dunque, un’intesa “debole”; qualcosa in più – ma non troppo – del parere originariamente previsto dal legislatore delegante, che le Conferenze avrebbero dovuto prestare “entro quarantacinque giorni dalla trasmissione di ciascuno schema di decreto, decorso il quale il Governo avrebbe potuto (n.d.r.) comunque procedere”51.

Resta da ricordare, tuttavia, che il parere obbligatorio è adottato a mag- gioranza dei membri della Conferenza unificata o dalla Conferenza Stato- Regioni, mentre l’intesa è un atto per il quale è richiesta l’unanimità di tutti i partecipanti alle sedute52; questo sì è un ulteriore elemento di rafforzamento della concertazione, per cui non ci si potrà limitare – nel caso della richiesta di intesa – ad acquisire solo il consenso di alcune Regioni.

Il chiarimento sulla natura debole dell’intesa è, tuttavia, importante per i giudici della Consulta: richiedere un’intesa “debole”, e non un intesa “forte”, è uno degli accorgimenti impiegati per contenere gli effetti della pronuncia (al quale, come si vedrà, si aggiunge la precisazione compiuta al punto 9); un modo per non mettere troppi “bastoni fra le ruote” della riforma e di attenuare il carattere sostanzialmente filo-regionalista della sentenza.

3.1. Leale collaborazione, intese e disciplina del lavoro. Come cambia la media- zione della Corte costituzionale con la sent. n. 251/2016

Al di là del tecnicismo con cui il principio di leale collaborazione può essere innervato nel procedimento di formazione di fonti, primarie o secon- darie, destinate a completare riforme nazionali unitarie, vale la pena di spen- dere qualche considerazione sul modo in cui il principio viene invece impiegato nella giurisprudenza della Corte.

In generale, il principio è stato, nel tempo, adoperato dai giudici costituzionali come strumento dinamico, capace di introdurre flessibilità nel sistema delle com- petenze legislative Stato-Regioni ripartite dall’art. 117 Cost. in maniera tenden- zialmente statica, attraverso gli elenchi di materie contenuti nei commi 2 e 353.

51Come la Corte ha osservato in altre occasioni (sent. n. 39/2013, cit. alla nt. 47), lo Stato potrebbe persino determinare “con l’inerzia o con altri comportamenti elusivi, l’inutile decor- renza del termine”, così compromettendo la partecipazione delle Regioni al processo decisio- nale (PICALARGA, La leale collaborazione, cit.).

52Sempre POGGI, BOGGERO, Non si può riformare, cit., p. 8.

53Per un adattamento di tale generale considerazione alla materia del lavoro v. CARINCI

F., Il principio di sussidiarietà verticale nel sistema delle fonti, in ADL, 2006, p. 1496; CARUSO, ALAIMO,

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Pertanto, esso fa parte di quel “sostegno ortopedico”54utilizzato dalla Consulta per rimediare alle laconicità e alle incongruenze del titolo V e al- l’impatto generato dalla riforma del 2001 sul contenzioso Stato-Regioni55. E benché siano parecchi gli interrogativi sull’estensione attribuibile alla leale collaborazione come principio costituzionale generale56, il medesimo, al pari di altri principi e operazioni ermeneutiche costruite sul testo dell’art.

117– si pensi al principio di sussidiarietà, utilizzato anche “verso l’alto” e, cioè, come clausola di ritorno (più forte del vecchio strumento dell’interesse nazionale e) in grado di consentire al centro la riappropriazione di compe- tenze regionali57, e all’uso delle “competenze trasversali” (per es., la “deter- minazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”: art. 117, c. 1., lett. m, Cost.) – è impiegato dalla Corte ogniqualvolta non si possa applicare l’opposto principio della separazione delle sfere di competenza di Stato e Regioni58. Assieme ad altri strumenti, esso soddisfa,

Il conflitto tra Stato e Regioni in tema di lavoro e la mediazione della Corte costituzionale: la recente giu- risprudenza tra continuità e innovazione, in RIDL, 2007, II, p. 569.

54L’espressione è di D’ATENA, L’allocazione delle funzioni amministrative in una sentenza or- topedica della Corte costituzionale, GCost, 2003, p. 2776, ed è ora ripresa da BALBONI, La Corte ri- chiede e tutela la leale collaborazione tra Stato e Regioni… e l’intendenza seguirà, visionabile al sito www.forumcostituzionale.it, 10 gennaio 2017.

55V. l’Analisi del contenzioso Stato/Regioni. Anni 2011-2015 (I trimestre) pubblicata dal Servizio studi della Corte costituzionale (aprile 2015).

56Il principio è enunciato, com’è noto, nell’art. 120, co. 2, Cost., che definisce l’esercizio dei poteri sostitutivi da parte del Governo. L’enunciazione del principio in Costituzione può essere letta per tentare un riconoscimento del principio costituzionale di leale collaborazione esteso alla generalità dei rapporti fra Stato e Regioni (tentativo possibile anche in virtù della giurisprudenza elaborata dalla Corte costituzionale nel corso degli anni) o, viceversa, in modo da circoscriverne la portata al solo ambito dell’art. 120, c. 2: GRATTERI, La faticosa emersione del principio costituzionale di leale collaborazione, Atti del seminario di Pavia, 6-7 giugno 2003, Giap- pichelli, 2003. Sul principio v., in generale e per tutti, BERTOLINO, Il principio di leale collaborazione nel policentrismo del sistema costituzionale italiano, Giappichelli, 2007.

57MOSCARINI, Titolo V e prove di sussidiarietà: la sentenza n. 303/2003 della Corte costituzionale, in Federalsimi.it, 2008, p. 12. Cfr. la arcinota sent. n. 303/2003.

58Fra le prime sentenze con cui la Corte ha affermato (sia pure con riferimento all’esercizio del potere sostitutivo statale) che il PLC “viene in particolare evidenza in (…) ipotesi (…) nelle quali non sia (eccezionalmente) applicabile l’opposto principio della separazione delle sfere di attribuzione” v. C. Cost. 18 febbraio 1988 n. 177. Cfr. anche la successiva C. Cost. 1 giugno 2006n. 213, nella quale si conferma che “l’analisi dell’intreccio delle competenze deve essere effettuata caso per caso, con riguardo alle concrete fattispecie normative, facendo applicazione del principio di prevalenza e del principio fondamentale di leale collaborazione, che si deve sostanziare in momenti di reciproco coinvolgimento istituzionale e di necessario coordinamento dei livelli di governo statale e regionale”.

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dunque, l’esigenza di far funzionare un sistema caratterizzato da plurimi in- trecci di competenze.

A prescindere dal riparto di competenze introdotto dalla riforma costi- tuzionale del 2001, con giurisprudenza pluridecennale, ma soprattutto a par- tire dagli anni ’80 del secolo scorso59, i giudici costituzionali hanno ricostruito, inoltre, il canone della leale collaborazione in chiave “procedi- mentale”, valorizzando il requisito dell’intesa.

Come ci ricorda la sent. n. 251/2016, “la Corte ha individuato nel sistema delle conferenze “il principale strumento che consente alle Regioni di avere un ruolo nella determinazione del contenuto di taluni atti legislativi statali che incidono su materie di competenza regionale” (sentenza n. 401 del 2007) e

“una delle sedi più qualificate per l’elaborazione di regole destinate ad integrare il parametro della leale collaborazione” (sentenza n. 31 del 2006)”.

Nella decisione del 2016, il rifiuto della censura di incostituzionalità ri- guardante la norma di delega sul codice dell’amministrazione digitale mostra, ancora una volta, che, sino a quando può, la Corte si àncora al riparto ma- teriale inscritto nell’art. 117 Cost; mentre nel caso di uno stretto intreccio fra competenze – e cioè quando la valutazione sulla prevalenza di una ma- teria sulle altre si rivela impossibile – i giudici costituzionali ricorrono al PLC, ravvisando nell’intesa la soluzione che meglio incarna tale “collabora- zione”60e che più efficacemente realizza il modello di regionalismo coope- rativo costruito dal legislatore costituente.

Di tale operazione – articolata su due livelli (impiego del riparto mate- riale statico; uso di principi e meccanismi dinamici idonei ad introdurre fles- sibilità nel sistema)61– la materia del lavoro (pubblico e privato) ha fornito numerose occasioni di conferma e non è un caso che fra le censure accolte dalla pronuncia de qua due su quattro (artt. 11 e 17, l. n. 124/2015) riguardino proprio profili di diritto del lavoro pubblico.

Come le regole sul lavoro privato, anche quelle su lavoro e dirigenza

59La sent. n. 219/1984 – con il suo obiter dictum finale – segnerebbe la data di nascita del PLC secondo BIN, La leale collaborazione nel nuovo titolo V della Costituzione, Relazione al Con- vegno di Roma (12 marzo 2008) promosso dall’Avvocatura dello Stato, Rass. Avv. Stato, 2008, 2, 34. Poco dopo, il principio è stato ulteriormente specificato dalla sent. n. 359/1985, benché a partire, addirittura, dalla sent. n. 49/1958, la Corte costituzionale abbia evocato, in più occasioni, la “collaborazione” fra Stato e autonomie (GRATTERI, La faticosa emersione, cit.).

60PICALARGA, La leale collaborazione, cit.

61CARUSO, ALAIMO, Il conflitto, cit., p. 570-572.

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nel settore pubblico, rientrano fra gli ambiti materiali ai quali è più difficile applicare il criterio della prevalenza, per via della compresenza, nel testo del- l’art. 117 Cost., di aree di competenza esclusiva statale (ordinamento civile e coordinamento della finanza pubblica) e concorrente (tutela e sicurezza del la- voro); circostanza alla quale si aggiunge l’indiscusso riconoscimento della materia dell’“ordinamento e organizzazione amministrativa” come materia di competenza residuale delle Regioni (ai sensi del comma 4 dell’art 117)62. Ci si trova, pertanto, di fronte a macro-aree (rapporto e mercato del la- voro, impiego e dirigenza pubblici) nelle quali il potere legislativo statale non può essere spesso legittimamente esercitato – e, se del caso, valutato dalla Corte costituzionale – applicando il criterio della prevalenza, ma solo ricor- rendo a principi diversi, in primis quello della leale collaborazione.

È forse superfluo ricordare che sono molte le pronunce in cui la Corte ha valorizzato il PLC come canone di soluzione di conflitti Stato-Regioni riguardanti il diritto del lavoro; basti pensare alla nota decisione sulla riforma del mercato del lavoro del 2003 (sent. n. 50/2005)63– con la quale la Corte si è confrontata con l’articolato corpo normativo della “Riforma Biagi” (l.

n. 30/2003 e d. lgs. n. 276/2003) – e alle altrettanto note pronunce sull’ap- prendistato64, le agenzie per il lavoro65, i servizi ispettivi66.

Quella fase – che seguiva le riforme costituzionali e del lavoro dei primi

62TROJSI, Le fonti del diritto, cit., p. 146, ma passim; GAROFALOD., Federalismo e diritto del lavoro, Cacucci, 2005; SALOMONE, Il diritto del lavoro nella riforma costituzionale. Esperienze, modelli e tecniche di regolazione territoriale, Cedam, 2005.

63Nella sent. 28 gennaio 2005 n. 50 si legge, infatti, che “Questioni di legittimità costi- tuzionale possono quindi anzitutto insorgere per le interferenze tra norme rientranti in materie di competenza esclusiva, spettanti alcune allo Stato ed altre, come l’istruzione e formazione professionale, alle Regioni. In tali ipotesi può parlarsi di concorrenza di competenze e non di competenza ripartita o concorrente. Per la composizione di siffatte interferenze la Costituzione non prevede espressamente un criterio ed è quindi necessaria l’adozione di principi diversi:

quello di leale collaborazione, che per la sua elasticità consente di aver riguardo alle peculiarità delle singole situazioni, ma anche quello della prevalenza, cui pure questa Corte ha fatto ricorso (v. sent. 370/2003), qualora appaia evidente l’appartenenza del nucleo essenziale di un complesso normativo ad una materia piuttosto che ad altre”.

64V. sentt. 7 dicembre 2006 n. 406; 19 dicembre 2006 n. 425; 6 febbraio 2007 n. 24; 10 maggio 2010 n. 176; 24 novembre 2010 n. 334. Per un commento a tale giurisprudenza v. CIUC-

CIOVINO, Stato, Regioni, autonomia privata nell’apprendistato professionalizzante, in RIDL, 2010, II, p. 1089; Ead., La concorrenza di competenze Stato-Regioni nella disciplina dell’apprendistato ancora una volta all’attenzione della Corte Costituzionale, RIDL, 2011, II, p. 276.

65V. sentt. 7 dicembre 2006 n. 406; 2 febbraio 2007 n. 21; 6 febbraio 2007 n. 24.

66C. Cost. 14 ottobre 2005 n. 384.

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anni 2000 – ha tuttavia aperto un trend giurisprudenziale nel quale sono state relativamente esigue le dichiarazioni di illegittimità di fonti statali e sporadici i casi in cui la Corte costituzionale ha imputato allo Stato la lesione di com- petenze regionali (residuali, concorrenti e primarie). Molto più numerose sono state, infatti, le dichiarazioni di non fondatezza delle questioni sollevate dalle Regioni, che la Corte ha generalmente motivato con il riconoscimento di una competenza statale a dettare la disciplina impugnata. Altrettanto nu- merose sono state le declaratorie di incostituzionalità di leggi regionali67.

Tutto ciò è tanto più vero per le pronunce che hanno riguardato l’im- piego e la dirigenza nel settore pubblico, che, nella stragrande maggioranza dei casi e sino a tempi recenti, hanno risolto a favore della legislazione statale, e a scapito delle autonomie, le diverse questioni di legittimità costituzionale68.

Negli anni passati, dunque, il riequilibrio operato dalla giurisprudenza della Corte attraverso l’impiego del PLC e di altri canoni ermeneutici è stato prevalentemente di segno contrario a quello che si rinviene, oggi, nella sent. n.

251/2016, poiché attraverso l’uso di vari dispositivi dinamici (ma anche attra- verso l’impiego del riparto statico), la Consulta ha districato, più a vantaggio delle competenze statali che di quelle regionali, più a favore del centralismo che del de- centramento, l’intreccio di competenze generato dal testo dell’art. 117 Cost.69.

Il PLC è stato, dunque, per lo più invocato “in relazione ad operazioni di accentramento della disciplina legislativa in capo allo Stato, con l’obiettivo sostanziale di avallarle”70, quasi a voler concedere allo Stato un passepartout

67Analisi del contenzioso Stato/Regioni. Anni 2011-2015 (I trimestre), cit. Sempre in materia di lavoro, si pensi all’altra nota sent. n. 268/2007, che ha dichiarato incostituzionale la legge della Regione Puglia sullo status di disoccupazione.

68Cfr. il Paper dell’Aran, Lavoro pubblico e titolo V della Costituzione. L’orientamento della Corte Costituzionale, Aran Occasional paper 5/2014, www.aranagenzia.it/index.php/statistiche-e-pubblicazioni/.

In moltissimi casi le questioni sono state risolte, in quest’ambito, attraverso l’impiego del riparto materiale statico e, in particolare, delle competenze statali esclusive in materia di “ordinamento civile” e “coordinamento della finanza pubblica”: v., per es., la sent. n. 324/2010 (in LPA, 2011, II, p.

139, con nota di BOLOGNINO, Problemi di applicabilità dell’art. 19, comma 6 e 6 bis, alle Regioni ed agli enti locali in uno Stato multilivello) sull’applicazione anche alle Regioni e agli enti locali delle dispo- sizioni del d.lgs. n. 150/2009 limitative degli incarichi dirigenziali esterni e su quelle relative al previo esperimento della mobilità volontaria prima dell’indizione di concorsi pubblici.

69Nella sent. n. 50/2005, per es., sono solo due le dichiarazioni di incostituzionalità della l. delega n. 30/2003 e del d.lgs. n. 276/2003, a fronte delle numerosissime censure mosse dalle Regioni.

70TROJSI, Le fonti del diritto, cit., p. 153.

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per interventi normativi poco ancorati alle garanzie riconosciute alle auto- nomie territoriali dalla Costituzione.

Nella sent. n. 251/2016 l’impiego del PLC a favore delle autonomie si pone, pertanto, in contro tendenza rispetto alla prevalente giurisprudenza costituzionale precedente.

Non è ovviamente il caso – e neanche più il tempo – di discutere della riforma costituzionale, ma è probabile che sedi più adeguate di raccordo fra Stato e autonomie, finalizzate anche a migliorare le forme di responsa- bilizzazione delle Regioni nella definizione delle politiche legislative na- zionali, avrebbero potuto conseguirsi in altri loci, in primo luogo nella Camera delle Regioni ipotizzata dalla proposta contenuta nel d.d.l. cost. n.

2613-d. Quest’ultima soluzione avrebbe consentito di “recuperare” la pre- senza delle comunità territoriali in una delle Camere del Parlamento, spo- stando il baricentro dei rapporti Stato/Regioni dalla Corte costituzionale al Parlamento nazionale71.

È vero, infatti, che il sistema delle Conferenze – tarato sull’assetto co- stituzionale precedente la riforma del 2011 – non è la soluzione più adatta ai rapporti fra Stato e autonomie prefigurati dalla legge cost. n. 3/2001, la quale, com’è noto, ha impresso al sistema una concezione paritaria delle altre componenti della Repubblica rispetto allo Stato (cfr. l’art. 114 Cost.)72.

4. Cosa succede dopo la pronuncia della Corte? Il Parere del Consiglio di Stato sugli effetti della decisione della Consulta

“Le pronunce di illegittimità costituzionale, contenute in questa decisione, sono circoscritte alle disposizioni di delegazione della legge n. 124 del 2015, oggetto del ri- corso, e non si estendono alle relative disposizioni attuative. Nel caso di impugnazione di tali disposizioni, si dovrà accertare l’effettiva lesione delle competenze regionali, anche alla luce delle soluzioni correttive che il Governo riterrà di apprestare al fine di assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione”.

Con questa precisazione – contenuta nel punto 9 del “Considerato in di- ritto” – la Corte costituzionale ha chiuso il cerchio della propria decisione,

71BARBERAA., Note sul Disegno di legge costituzionale n.1429 (Riforma del Bicameralismo e del Titolo V) - Audizione presso la Commissione Affari Costituzionali del Senato - Seduta del 27 maggio 2014.

72Ancora TROJSI, Le fonti del diritto, cit., p. 165.

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indebolendone la forza demolitoria a vantaggio di quella ricostruttiva, con il manifesto (pur se non dichiarato) intento di far sì che la pronuncia non travolgesse del tutto il disegno riformatore della l. n. 124/2015.

Ancora una volta giova ricordare che tre importanti decreti attuativi di deleghe dichiarate costituzionalmente illegittime (potere e licenziamento disciplinare nel pubblico impiego; dirigenza sanitaria e società partecipate) erano entrati in vigore nell’estate del 2016.

Il punto 9 della decisione – definito “criptico” anche da autorevoli com- mentatori, all’indomani della pronuncia73– appare meno oscuro alla luce del già richiamato Parere del Consiglio di Stato del 17 gennaio 2017, con il quale si suggeriscono condivisibili “forme di corretta esecuzione della sentenza della Consulta”. Dopo aver ribadito che la pronuncia è una “sentenza manipolativa, del tipo sostitutivo di procedura”, che non rende necessario alcun intervento sulla legge delega, il Consiglio di Stato indica come “percorso più ragionevole compatibile con l’impianto della sentenza – per i decreti già in vigore – (…

) quello dell’adozione di decreti correttivi che intervengano direttamente sui decreti legislativi”, nel rispetto, ovviamente, del requisito della “previa intesa”

(a tal fine, sarebbe opportuno, sempre secondo il Parere, che il decreto corret- tivo riportasse integralmente l’intesa raggiunta). Si legge, infine, nel Parere che

“la natura squisitamente “procedimentale” del vizio” appare, di per sé, com- patibile con una valenza retroattiva degli effetti correttivi”, benché anche di tale retroattività sarebbe opportuno dare atto nell’intesa74.

Per il Consiglio di Stato non appare dirimente la circostanza che la l. n.

124/2015 prevede l’adozione di decreti legislativi integrativi e correttivi solo in relazione ai decreti sulla dirigenza (art. 11, co. 3), mentre negli altri due casi (partecipate e pubblico impiego) non esiste una disposizione simile nella legge. La soluzione suggerita dal Consiglio di Stato ha, infatti, una portata generale e viene sganciata dalla presenza (o assenza) di dati testuali espliciti nella l. n. 124/2015.

Diversa la soluzione prospettata per i settori nei quali la delega era, in- vece, stata esercitata in bilico fra la data di scadenza della stessa e il deposito della sentenza, causando il “ritiro” dei relativi decreti (dirigenza e servizi pubblici locali); in tal caso la strada più facilmente percorribile appare quella

73Intervista a Cassese, cit.

74Nel Parere si precisa, infatti, l’opportunità che l’intesa si riferisca “anche agli effetti relativi al periodo intercorso tra l’entrata in vigore del decreto legislativo originario e quella delle misure di correzione”.

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di una nuova delega, conforme ai vincoli procedimentali imposti dalla mani- polazione della Consulta. Non si tratta, tuttavia, dell’unico percorso pratica- bile: sono infatti “ipotizzabili anche altre modalità di intervento a livello primario”, per esempio, “un disegno di legge governativo avente, almeno in parte, il contenuto del decreto che andrebbe a sostituire”75.

Per concludere, appare chiaro che tanto il giudice delle leggi quanto l’organo di vertice della giustizia amministrativa non hanno inteso sottrarre slancio alla riforma, consapevoli che i decreti interessati dalla sentenza “co- stituiscono (…) elementi di una riforma complessiva, che risulterebbe meno incisiva se limitata ad alcuni settori”. Sin dal Parere sulla l. n. 124/2015 (sez.

norm. n. 515 del 2016) il Consiglio di Stato aveva, del resto, ricordato l’im- portanza di un intervento che considerasse la riforma della pubblica ammi- nistrazione come un tema unitario e non costituisse un ennesimo riassetto di singole parti, ma una riforma dell’apparato pubblico nel suo insieme. Quasi a voler dire che ogni riforma non si fa “a morsi e bocconi”, ma va servita per intero, anche aggiustando i pezzi che si sono rotti.

Tutto ciò a dispetto di un’ipotetica maggiore coerenza di una sentenza costituzionale di illegittimità costituzionale derivata (che avrebbe potuto tra- volgere i decreti delegati)76, che la Corte si è mostrata restia ad adottare pro- prio perché, per l’ennesima volta, si è trovata di fronte alla politica, costretta a “portare il conflitto ad una “bassa intensità”77, nel tentativo di mediare al meglio esigenze di unitarietà della riforma e garanzie di coinvolgimento delle autonomie, pur nelle forme di raccordo Stato-Regioni offerte dall’at- tuale ordinamento.

5. Postilla di aggiornamento

Mentre il presente contributo era in corso di pubblicazione, il Consiglio dei Ministri del 17 febbraio 2017 ha approvato, in prima lettura, i tre decreti correttivi – suggeriti dal Consiglio di Stato – su società partecipate, licen- ziamento disciplinare e dirigenza sanitaria. Il 23 febbraio 2017 sono stati ap- provati altri cinque decreti attuativi della “legge Madia”. Due di questi

75Ancora dal Parere, cit. alla nt. 29.

76MONTEMARANO, La Riforma Madia, cit.

77BALBONI, La Corte richiede, cit.

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contengono nuove disposizioni sul lavoro pubblico e sono, dunque, attuativi della delega contenuta nell’art. 17 della l. n. 124/2015 e modificativi della di- sciplina dettata dai dd.lgs. n. 165/2001 e n. 150/2009. Gli altri tre decreti ri- guardano: (1) le funzioni e i compiti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;

(2) le disposizioni in materia di revisione dei ruoli delle forze di polizia; (3) la razionalizzazione dei processi di gestione dei dati di circolazione e pro- prietà di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi al fine del rilascio di un docu- mento unico.

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Key words

Corte costituzionale, Pubblica amministrazione, Competenze, Stato/Regioni, Principio di leale collaborazione.

Constitutional Court, Public administration, Competences, State/Regions, Prin- ciple of loyal cooperation.

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