UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA TRE
SCUOLA DOTTORALE IN SCIENZE POLITICHE
XXVI CICLO
CURRICULUM STUDI EUROPEI E INTERNAZIONALI
TESI DOTTORALE
In
Storia delle Relazioni Internazionali SPS/06
TITOLO
Integrare l’atomo?
EURATOM e i limiti della cooperazione atomica europea
(1955-‐1967)
RELATORE
Ch.mo Prof. Leopoldo NUTI
DOTTORANDO
Antonio TISEO
INDICE
CAPITOLO I: IL LUNGO PERCORSO NEGOZIALE DELL’EURATOM. 7
1 COSA INTEGRARE? I PROGRAMMI NUCLEARI NAZIONALI DEI SEI. 7
1.1 IL PROGRAMMA NUCLEARE FRANCESE. 7
1.2 IL PROGRAMMA NUCLEARE TEDESCO. 17
1.3 IL PROGRAMMA NUCLEARE ITALIANO. 29
1.4 IL PROGRAMMA NUCLEARE BELGA. 36
1.5 IL PROGRAMMA NUCLEARE DEI PAESI BASSI. 40
2 PERCHÉ INTEGRARE? LE RAGIONI DEI SEI. 44
2.1 MONNET E LE RADICI DI EURATOM. 44
2.2 IL PROTAGONISMO FRANCESE. 46
2.3 LA CAUTELA TEDESCA. 52
2.4 IL CONTENUTO ENTUSIASMO ITALIANO 54
2.5 I DUBBI OLANDESI. 57
2.6 L’ATTIVISMO BELGA. 59
3 COME INTEGRARE? LA PRIMA FASE NEGOZIALE: DA MESSINA A BRUXELLES. 62
3.1 LA CONFERENZA DI MESSINA: IL RUOLO DEL COMITATO SPAAK. 62
3.2 IL RAPPORTO ARMAND. 65
3.3 L’OPPOSIZIONE INGLESE: L’OECE E LA MISSIONE DI SPAAK A LONDRA. 68
3.4 LA POSIZIONE AMERICANA: L’OPPOSIZIONE DELL’AEC. 72
3.5 MONNET E IL DOPPIO BINARIO. 81
3.6 LE REAZIONI DEI SEI AL PIANO 85
3.7 L’EVOLUZIONE DELLA POSIZIONE BRITANNICA. 90
3.8 LA CONFERENZA DI BRUXELLES. 93
3.9 IL RAPPORTO E IL COMPROMESSO SPAAK. 97
4 COME INTEGRARE? LA SECONDA FASE NEGOZIALE: DA VENEZIA A PARIGI. 100
4.1 LA LUNGA STRADA VERSO LA CONFERENZA DI VENEZIA. 100
4.2 LA CONFERENZA DI VENEZIA. 105
4.3 LO STRAPPO DI MOLLET. 109
4.4 I MEETING FRANCO-‐TEDESCHI E L’APERTURA DELLA CRISI DI SUEZ. 114 4.5 LA CONFERENZA DI PARIGI E L’ESCALATION MILITARE A SUEZ. 122
4.6 IL COMPROMESSO DEL MATIGNON. 130
5 COME INTEGRARE? LA TERZA FASE NEGOZIALE: DA PARIGI A ROMA. 135
5.1 GLI ACCORDI SEGRETI DI COLOMB-‐BÉCHAR. 135
5.2 UNA FORMULA ITALIANA. 138
5.3 LE NEGOZIAZIONI FINALI: BRUXELLES E PARIGI. 141
6 CONCLUSIONI 145
6.1 TEMI DI RICAPITOLAZIONE. 145
CAPITOLO II: LA FORMAZIONE DI EURATOM ED IL PIANO DI SVILUPPO DEI REATTORI DI
POTENZA. 151
1 COME INTEGRARE? DEFINIRE GLI OBIETTIVI DEL I PIANO QUINQUENNALE. 151
1.1 LA CREAZIONE DEL COMITATO E I VIAGGI DEI TRE SAGGI. 151 1.2 IL RAPPORTO DEI TRE SAGGI: UN OBIETTIVO PER EURATOM? 158 1.3 DEMISTIFICARE IL RAPPORTO: LA VISITA NEGLI USA DEGLI INDUSTRIALI EUROPEI. 162
1.4 I COMPITI DI EURATOM. 167
1.5 LE ISTITUZIONI DI EURATOM. 173
1.6 I DUE BILANCI, IL FINANZIAMENTO E L’ANOMALIA ITALIANA. 179
2 COSA INTEGRARE? I REATTORI DI POTENZA NEL I PIANO QUINQUENNALE. 180
2.1 FILIERE TECNOLOGICHE: LIGHT WATER O GAS-‐GRAFITE? 181 2.2 DEFINIRE I REATTORI DI POTENZA: “PROVATI” IN CHE MISURA? 189 2.3 IL PROGRAMMA CONGIUNTO EURATOM-‐USA E LA “SCELTA” DELLA FILIERA LIGHT WATER. 190 2.4 LA COLLABORAZIONE CON LA GRAN BRETAGNA NELL’OECD: L’ENEA E IL REATTORE DRAGON. 196 2.5 L’APERTURA DEI BANDI DI FORNITURA: I PROGETTI SENN E SENA. 201 2.6 L’INIZIO DELLA GUERRA DEI REATTORI E LA MANCATA CONFERMA DI HIRSCH. 210 2.7 LA CHIUSURA DEL PRIMO PIANO QUINQUENNALE: UNA VALUTAZIONE 215
3 COSA INTEGRARE? I REATTORI DI POTENZA NEL II PIANO QUINQUENNALE. 223
3.1 LA BATTAGLIA SUL BUDGET: I REATTORI PROVATI NEL II PIANO QUINQUENNALE. 223 3.2 LA SCELTA TEDESCA: GOVERNO E INDUSTRIA UNITI SULLA FILIERA LIGHT WATER. 226 3.3 LA SCELTA FRANCESE: LE DIFFICOLTÀ CON LO SVILUPPO DELLA FILIERA GAS-‐GRAFITE. 230 3.4 IL TENTATIVO FALLITO DI COOPERAZIONE FRANCO-‐TEDESCA: FESSENHEIM. 234 3.5 LA CRISI FINANZIARIA DI EURATOM: IL TENTATIVO FRANCESE DI SALVARE LA PROPRIA FILIERA. 239
4 COSA INTEGRARE? I REATTORI DI POTENZA NEL II PIANO QUINQUENNALE. 244
4.1 LA PARALISI COMUNITARIA: CHATENET, L’EUROPE À LA CARTE E LA SEDIA VUOTA. 244
4.2 LA GUERRE DES FILIÈRES E L’ABBANDONO FRANCESE DELLA FILIERA GAS-‐GRAFITE. 249 4.3 EPILOGO: IL PROGRAMMA COMUNITARIO FAGOCITATO DAI NAZIONALISMI INDUSTRIALI. 259 4.4. LA CHIUSURA DEL SECONDO PIANO QUINQUENNALE: UNA VALUTAZIONE. 265
CAPITOLO III: IL PIANO DI SVILUPPO DEI REATTORI VELOCI 271
1 COSA INTEGRARE? I REATTORI VELOCI. 271
1.1 LA FISICA DI UN REATTORE VELOCE. 271
1.2 LA SFIDA ECONOMICA E STRATEGICA: LE RAGIONI DEL LORO SCARSO SUCCESSO. 278 1.3 NASCITA E SVILUPPO DEI REATTORI VELOCI NEGLI USA: DA CLEMENTINE AL FERMI-‐1. 286
2 COME INTEGRARE? I REATTORI VELOCI NEL I PIANO QUINQUENNALE. 293
2.1 IL PRIMO TENTATIVO DI UNIONE DELLE RICERCHE 293
2.2 IL SECONDO TENTATIVO DI UNIONE DELLE RICERCHE: IL GRUPPO YVON. 302 2.3 LA LOTTA PER LE RISORSE: IL BUDGET DEL SECONDO PIANO QUINQUENNALE. 313
3 COME INTEGRARE? I PROBLEMI DI RICERCA E SVILUPPO NEL II PIANO QUINQUENNALE. 327
3.1 I PROBLEMI INTERNI: SOLO UNA DIVERSA CONCEZIONE DI SVILUPPO INDUSTRIALE? 327 3.2 I PROBLEMI INTERNI: LA DIFFICOLTÀ DI INTEGRARE IL PROGRAMMA ITALIANO. 333 3.3 I PROBLEMI CON L’ESTERO: IL REPERIMENTO DEL PLUTONIO ED IL CASO SEFOR. 337
4 COME INTEGRARE? L’ASSENZA DI UN PROTOTIPO COMUNE. 355
4.1 DIVERGENZE INDUSTRIALI: DA UNO A TRE PROTOTIPI (PHENIX, PEC E SNR). 356
4.2 LA COOPERAZIONE A SUD: PHENIX E PEC. 361
4.3 LA COOPERAZIONE A NORD: SNR. 377
5 COME INTEGRARE? LA CHIUSURA DEL II PIANO E DEI CONTRATTI ASSOCIATIVI. 389
5.1 LA MANCATA APPROVAZIONE DEL PIANO QUINQUENNALE E LA SOSPENSIONE DEGLI ACCORDI. 389 5.2 CONCLUSIONE: LA FINE DEL PROGRAMMA COMUNITARIO DI RICERCA SUI REATTORI VELOCI. 393
CONCLUSIONE: IL DIBATTITO SULLA NASCITA E SUI LIMITI DI EURATOM. 397
1 LA NASCITA DI EURATOM 397
1.1 MORAVCSIK: INTERESSI ECONOMICI E GEOPOLITICI. 397
1.2 SKOGMAR: LA DIMENSIONE NUCLEARE DELL’INTEGRAZIONE EUROPEA. 402 1.3 KRIGE: GLI USA E L’ATOMO COME STRUMENTO DI DOMINIO SCIENTIFICO. 405
1.4 MALLARD: ALLE RADICI DELL’OPACITÀ NUCLEARE. 408
2 I LIMITI DI EURATOM. 411
2.1 I LIMITI ESTERNI: TECNOLOGIA IMMATURA E PREVISIONI ERRATE. 411 2.2 I LIMITI INTERNI: TRATTATO FRAGILE E CONTESTO NEGOZIALE SFAVOREVOLE. 416 BIBLIOGRAFIA 425 1 FONTI PRIMARIE: 425 1.1 ARCHIVI: 425 1.2 DOCUMENTI PUBBLICATI: 425 2 FONTI SECONDARIE: 426 2.1 MONOGRAFIE: 426 2.2 ARTICOLI: 433 2.3 TESI DOTTORALI: 439
CAPITOLO I: Il lungo percorso negoziale dell’EURATOM.
1 Cosa integrare? I programmi nucleari nazionali dei Sei.
1.1 Il programma nucleare francese.
Aspetti politici e organizzativi.
Lo sviluppo della politica nucleare francese, sia civile sia militare non può essere compreso appieno se non inserito all’interno di un più ampio contesto: quello della ridefinizione del ruolo e del peso della “ricerca scientifica” nella Francia del secondo dopoguerra. Le elités politiche che da De Gaulle in poi si succedettero alla guida del paese diedero sempre una preminenza assoluta allo sforzo riformatore del tessuto industriale, comprendendo il significato simbolico e sostanziale che la crescita tecnologica aveva per la vita nazionale1. La scienza era
considerata lo strumento con cui raggiungere obiettivi fondamentali per la sopravvivenza dello stato quali crescita economica, potere militare ed un welfare funzionale. Essa doveva essere il terreno fertile entro cui favorire la rinascita della competitività industriale, la rigenerazione dell’establishment militare e del sistema scolastico. Avere una nazione tecnologicamente avanzata era dunque la strategia migliore da adottare per rispondere al rischio concreto di divenire appendice operativa delle due superpotenze mondiali, che da anni investivano in innovazione tecnologica quantità di capitali ingenti.
Il carattere profondamente politico di questo sforzo riformatore fu più volte rimarcato pubblicamente da De Gaulle: l’obiettivo di una nazione tecnologicamente avanzata poteva essere raggiunto solamente partendo da una ridefinizione condivisa degli interessi nazionali francesi2. Essa sarebbe stata seguita da un
insieme di politiche di modernizzazione mirate e contestualizzate all’interno di un
1 Robert Gilpin, France in the age of the Scientific State, (Princeton: Princeton University Press,
2 Gen. Charles De Gaulle, Conferenza Stampa del 5 febbraio 1962, in Major Addresses, Statements
and Press conferences of General Charles De Gaulle, May 1958 – June 1964, French Embassy, Press
Information Division, New York, 1964 in Henry R. Nau, National Politics and International
Technology, (Baltimore and London: The Johns Hopkins University Press, 1974), pag. 68.
approccio integrato, che non relegasse i ministeri a compartimenti stagni ma che li mettesse in comunicazione diretta, avvantaggiandosi della comunicazione tra una pluralità di centri decisionali 3. E’ proprio questo approccio integrato a
caratterizzare, sin dalla sua genesi, il programma nucleare francese: esso troverà piena espressione nel CEA (Commissariat à l’Energie Atomique) e nella sua fitta galassia di ramificazioni. Nominato nell’ottobre del 1945 dall’allora capo del Governo Provvisorio il Gen. De Gaulle, l’organo ebbe sin dal suo principio una missione molto chiara: guidare i progetti di ricerca scientifica e tecnologica connessi all’utilizzo dell’energia atomica, sia con finalità civili che militari4.
L’organizzazione con cui esso fu strutturato rifletteva l’importanza e la centralità del tema che affrontava. Esso, a differenza di tutte le istituzioni pubbliche francesi, non rientrava nelle competenze di alcun ministero, facendo direttamente capo al Primo Ministro. Internamente l’organo si basava su una struttura diarchica molto precisa: la pianificazione e la guida delle attività di ricerca erano assegnate ad un Alto Commissario (in genere uno scienziato), mentre le responsabilità della gestione amministrativa competevano ad un Amministratore Generale (in genere un “ingegnere-‐amministratore” della tradizione Ecole Polytechnique). Queste due cariche, insieme al Primo Ministro e a un board di tre eminenti scienziati, componevano la guida dell’organo. Una struttura che nasceva per combinare l’autonomia scientifica e di ricerca degli scienziati con le esigenze e le necessità politiche dei decision-‐makers nazionali più alti in grado, cui tanti paesi guardarono come modello da seguire5.
Nella prima fase di attività del CEA, la vita dell’organo sembrò scandita prevalentemente dal lavoro degli scienziati. Negli anni che vanno dal 1946 al 1951, un nucleo di studiosi francesi dominò il processo decisionale dell’ente, concentrandosi sulle attività di sviluppo di un programma di reattori ad alta resa che avrebbe potuto supplire alle esigenze energetiche del paese. Parallelamente si
3 Gabrielle Hecht The radiance of France. Nuclear Power and National Identity after World War II,
(Cambridge: The MIT Press, Massachussets Institute of Technology, 2009) pp.21-‐55.
4 Lawrence Scheinman, Atomic Energy Policy in France under the Fourth Republic, (Princeton:
Princeton University Press, 1965), pp. 64-‐65
5 Matthew Adamson, Commissariat of the Atom: the expansion of the French Nuclear Complex, 1945-‐
1960, Ph.D Final Thesis Ph.D Final Thesis, (Indianapolis; Indiana University, 2005), Archivi Storici
delle Comunità Europee, Firenze.
procedette alla formazione del personale e all’edificazione delle strutture in grado di supportare un programma di ricerca scientifica vasto come quello francese. Nel 1950 erano già stati creati due importanti centri di ricerca, uno a Chatillon e l’altro a Saclay, ed erano stati inclusi e formati oltre 250 scienziati e ingegneri 6. All’inizio
degli anni ’50, tuttavia, il piano sembrò subire profondi cambiamenti lasciando intendere una virata politica volta a favorire l’accelerazione del programma militare a scapito di quello civile. Nell’autunno del 1951 l’influenza degli scienziati francesi entro il CEA sembrò iniziare a declinare: Frédéric Joliot Curie, il membro più eminente della comunità scientifica francese, fu sostituito nel suo ruolo di Alto Commissario a causa della sua militanza comunista e della sua progressiva avversione allo sviluppo di un programma atomico militare7. A prendere il suo
posto fu Francis Perrin, scienziato più vicino all’establishment politico dell’epoca, molto più sensibile di Joliot Curie alle esigenze di sostenibilità economica dei progetti di ricerca e convinto assertore del perseguimento di un programma militare8. Nello stesso anno la riorganizzazione del CEA vide inoltre la componente
di scienziati seduti nel Board ridursi da 3 ad 1 elemento, visto l’ingresso nell’organo di rappresentanti del mondo dell’industria e della difesa9. L’annuncio e
la presentazione del primo Piano Quinquennale fugarono ogni dubbio: esso prevedeva costruzione di due reattori ad uranio naturale presso il sito di Marcoule. La scelta dell’uranio naturale come propellente aveva molto poco a che fare con considerazioni militari o di indipendenza strategica dagli USA: è necessario ricordare che al momento dell’edificazione dei reattori il combustibile nucleare maggiormente performante (uranio altamente arricchito) era disponibile solo negli USA ed era soggetto a embargo. La decisione di realizzare due reattori che producessero materiali fissili piuttosto che energia elettrica tradiva perciò un chiaro interesse militare di lungo termine. E’ vero che i materiali fissili che questi reattori avrebbero prodotto (plutonio) avrebbero potuto comunque fungere da combustibile per una successiva generazione di reattori civili, ma è altrettanto vero, come sostiene Lawrence Scheinman, che l’unico uso possibile del plutonio nei
6 Bertrand Goldschmit, The atomic adventure, (London: Pergamon Press, 1964), pag. 64.
7 Ibidem, pp.64-‐65.
8 L. Scheinman, Atomic Energy Policy in France under the Fourth Republic, cit., pp. 49-‐54.
primi anni ‘50 era quello per la creazione di armi atomiche10. Il carattere strategico
della scelta sarebbe diventato pienamente evidente pochi anni dopo: esso avrebbe gettato le basi di quella dualità tra esigenze politiche e priorità economiche che avrebbe caratterizzato la politica francese a cavallo tra gli anni ’50 e gli anni ‘60.
Aspetti economici ed industriali.
Il lento sviluppo di un interesse commerciale all’energia nucleare in Francia era dovuto proprio al carattere spiccatamente dirigista e militare che il governo aveva impresso sin dal 1951 al progetto. A scapito della forte dipendenza francese dalle importazione energetiche, l’energia nucleare non riuscì ad attrarre immediato interesse come nuova fonte di energia a basso costo. Ciò, secondo Scheinman, era dovuto ad alcune motivazioni molto precise. In primis, ad una stabilizzazione della domanda interna: all’inizio degli anni ’50 la domanda di energia elettrica francese, dopo una fase di crescita vorticosa iniziata con la fine delle ostilità e proseguita durante gli anni immediatamente successivi, si stabilizzò. Secondariamente, a un brusco calo del costo dei combustibili: gli idrocarburi e tutti i carburanti convenzionali subirono dopo il 1950 una diminuzione di prezzo che rilanciò immediatamente i consumi aumentando il potere d’acquisto dei francesi. Infine, all’esistenza di una scarsa competizione tra gli attori industriali francesi, dovuta principalmente all’esistenza di un monopolio di stato nel settore energetico11. Sin dal 1946, infatti, il gruppo EDF (Electricitè de France) esercitava il
controllo sulla produzione, trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica in Francia ed i suoi tecnici consideravano i costi dell’energia nucleare troppo incerti per garantire ritorni cospicui ai loro investimenti. Tuttavia, assecondando l’evidente volontà politica di includerla come attore di rilievo nel disegno nucleare, a partire dai primi anni ‘50 EDF poté godere di un ruolo di osservatore privilegiato
10 Ibidem, pag. 82 e 88.
11 Vedi Entreprise del 6 aprile 1968, pag. 63 così come citato in H.R. Nau, National Politics, cit., pag.
sugli sviluppi del programma nucleare francese, potendo collocare il proprio Direttore all’interno del Board del CEA12.
In questa fase iniziale le industrie francesi legate al mondo del nucleare fornirono tutto l’ausilio necessario allo sviluppo del programma fornendo la componentistica ed i servizi necessari all’edificazione dei reattori. Fatta eccezione per EDF, tuttavia, nessuna industria privata riuscì mai a influenzare la policy nucleare del governo francese o a rivestire un ruolo di rilievo nella definizione degli obiettivi. Ciò non poteva avvenire perché le modalità in cui la collaborazione tra CEA e industrie era strutturata non lo consentivano. Con la formula dell’architect industriel il CEA assegnava alle industrie la fase di supervisione e di progettazione tecnica del reattore, tenendo per sé il ruolo di contraente (maitre d’oeuvre) e potendo così gestire i costi e l’amministrazione del progetto. Il CEA esercitava un controllo simile anche sulla produzione e sui servizi connessi ai combustibili nucleari: pur mantenendo il più fermo controllo sullo sviluppo e sulla produzione di combustibili, il CEA dava in appalto all’industria alcuni compiti operativi13. Questa singolare modalità di lavoro fece sì che di fatto nascessero rami
d’azienda controllati congiuntamente dal CEA e da privati, ma in cui il controllo ultimo dell’attività facesse capo sempre e comunque al CEA14. E’ dunque facile
capire perché l’industria francese fosse così frammentata in consorzi industriali15
ed avesse scarsi legami con l’estero. Entro questo contesto i consorzi tuttavia, pur acquisendo una grande esperienza tecnica in fase di progettazione, rimanevano carenti della parte operativa connessa al montaggio ed al raggiungimento di
12 Matthew Adamson, Commissariat of the Atom, cit., pp. 25-‐49.
13 La Documentation Française “Le Développement Nucléaire Français”, pp.24-‐25.
14 Caso limite di questa modalità operativa è la costruzione del reattore di Chinon: in quel caso EDF
con il placet del CEA agì sia da “architect industriel” che da “maitre d’oeuvre” restringendo la partecipazione industriale a tutte le industrie che non avessero voluto accettare condizioni tanto penalizzanti. Fonte: EURATOM, Directorate-‐General for Industry and Economy, “First target
Programme for the European Energy Community”, EURATOM Publication, Bruxelles, 1966, sez. B3.
15 A riprova della tendenza francese a creare gruppi industriali è emblematico il caso del consorzio
nato dall’unione di Indatom e GAAA. Queste due grandi aziende, sulla spinta del CEA che aveva partecipazioni in entrambe, furono le prime a siglare all’inizio degli anni ‘60 un contratto associativo istituente un consorzio che avrebbe dovuto svolgere la funzione di architect industriel. Consorziarsi era estremamente utile alle aziende francesi poiché consentiva loro di abbattere i costi connessi all’assunzione e alla formazione di nuovi tecnici, aumentando il proprio fatturato e
godendo di un regime fiscale agevolato limitatamente alle attività coperte dal consorzio. In “Sixth
General Report on the Activities of the Community” (March 1962-‐February 1963), documento contenuto nell’Archive of European Integration (AEI) della University of Pittsburgh e disponibile al link: http://aei.pitt.edu/35349/ [visitato il 9 aprile 2015].
criticità del reattore, che spettava invece al CEA. Inoltre non affrontare direttamente i rischi economici connessi a un simile sforzo finanziario non dava ai consorzi francesi alcun incentivo a fondersi in grandi gruppi industriali che avrebbero avuto dimensioni sufficienti per competere sul mercato europeo e su quello statunitense. Cosa che in Germania avvenne, con conseguenze estremamente positive per l’industria nucleare tedesca.
Aspetti scientifici e tecnologici.
L’influenza che il ruolo degli scienziati ebbe nella fase di creazione del CEA e nel corso del primo quinquennio di vita dell’organo costituì una novità eccezionale rispetto al passato. Tradizionalmente, la spaccatura netta tra la ricerca scientifica francese e il mondo della formazione, il comparto industriale e l’arena politica, relegava gli scienziati in una condizione ancillare all’interno della società francese16. Con il CEA per la prima volta gli scienziati francesi avevano in mano le
redini di una struttura amministrativa potente e finanziariamente rilevante, autonoma dalle strutture ministeriali, che garantiva loro la massima libertà di essere scienziati naturali nel più ampio senso del termine. Tuttavia per quanto rosee apparissero le prospettive iniziali, l’organizzazione del CEA non alterò mai in modo rilevante la subordinazione degli scienziati francesi dalla politica17.
Storicamente separati da tutte le altre categorie che lavoravano allo sviluppo della società, gli scienziati francesi avevano sviluppato una tradizione di servizio allo stato18. Questa tradizione era fortemente visibile nel CEA: i primi leader
scientifici del Commissariato, in particolar modo Joliot Curie e tutti gli altri scienziati che avevano partecipato al Manhattan Project (Pierre Auger, Jules Gueron, Lew Kowarski e Bertrand Goldschmit) erano particolarmente influenzati dalle implicazioni sociali connesse al progresso scientifico19. A parte Joliot Curie, di
aperta militanza comunista, molti di questi scienziati avevano in comune simpatie
16 R. Gilpin, France in the age of the Scientific State, cit., pp. 77-‐123.
17 Ibidem, pag.166
18 H.R. Nau, National Politics, cit., pp. 92-‐94.
socialiste e guardavano al mondo dell’industria con reticenza e sospetto20. Per
questo motivo, la comunità scientifica francese mostrò sempre una preferenza chiara per le organizzazioni centralistiche a controllo statale. La partecipazione di scienziati chiave allo sforzo alleato per la costruzione della bomba atomica confermò i vantaggi di simili progetti di ricerca coordinati e finanziati dallo stato. Progetti con team specializzati e con integrazione gerarchica erano anche quelli che gli scienziati francesi avrebbero poi imposto agli alleati europei in seno all’EURATOM21. Caso esemplare è quello di Jules Guéron, il quale dopo aver
abbandonato il CEA assunse il ruolo di Direttore del Settore Ricerca e Formazione dell’EURATOM. Guéron era fortemente animato dalla convinzione che la ricerca nucleare richiedesse una coordinazione centralizzata e non potesse essere lasciata all’incostanza ed alla ricerca di guadagno dell’industria privata. Convinzione che contrastava in modo stridente con l’esperienza degli scienziati tedeschi, particolarmente legati all’industria ed al tessuto produttivo attraverso le Università statali.
Il programma civile: i reattori nucleari francesi al 1955.
Alla vigilia delle negoziazioni per la costituzione di EURATOM la Francia era l’unico stato dei (futuri) Sei a poter contare su un programma nucleare civile ben definito, con alcuni reattori in fasi di costruzione ed altri che avrebbero raggiunto la criticità entro la fine degli anni ‘50. Il primo e più importante centro di ricerca era situato a Saclay, nelle vicinanze di Parigi e nel cuore dell’Île de France. Questo laboratorio era stato progettato da Auguste Perret e a partire dal 1952 ospitava un acceleratore di particelle ed un reattore di prova di piccolissime dimensioni ad acqua pesante, l’EL-‐222. Esso era il diretto successore della cosiddetta Pila ZOE o
EL-‐1, primo reattore francese da 150 KW la cui costruzione era iniziata nel Fort de Châtillon, a sud di Parigi, nel 1947 e si era completata nel 1953 con il
20 L. Scheinman, Atomic Energy Policy in France under the Fourth Republic, cit., pp.34-‐35.
21 Ibidem, pag. 24.
22 Alain Mallevre, “L’histoire de l’energie nucléaire en France de 1895 à nos jours” in L’Echo du
raggiungimento della piena operatività23. Lo scopo di EL-‐2 sarebbe stato
permettere agli scienziati l’esecuzione di alcuni esperimenti riguardanti i metalli e la fisica del reattore, esperimenti che non erano riproducibili nella pila ZOE per evidenti problemi di progettazione. Per allargare lo spettro agli esperimenti sulla portata e sulle proprietà fisiche dei materiali per reattori di più vaste dimensioni era inoltre in costruzione il reattore EL-‐3, il cui raggiungimento di criticità era previsto per il 1957. Il secondo e non meno importante centro di ricerca era invece quello di Marcoule, nei pressi di Avignone.
Lì il primo piano quinquennale, approvato dal CEA nel luglio del 1952, aveva previsto la creazione di due reattori, ai quali si sarebbe aggiunto, in una seconda fase, un terzo impianto le cui caratteristiche non erano, alla data del 1 gennaio 1955, ancora definite. Questi reattori, in assenza di un centro per l’arricchimento nazionale, sarebbero stati alimentati ad uranio naturale ed avrebbero avuto un sistema di moderazione a grafite ed un raffreddamento a gas, divenendo così i primi esemplari di quella che sarebbe stata la filiera dei reattori francesi a gas-‐ grafite. Il primo di essi ad esser realizzato fu il reattore G1, la cui potenza nominale era limitata a 30 MW24. Esso raggiunse la criticità il 7 gennaio del 1956 e
la sua portata fu successivamente aumentata, attraverso complessi lavori di ridefinizione del nocciolo, a 46 MW. Ancora in costruzione erano invece i reattori G2 e G3, sempre da 40 MW, i quali avrebbero raggiunto criticità rispettivamente nel 1958 e nel 195925. A Marcoule era inoltre prevista la costruzione di un
impianto per il riprocessamento dei combustibili sul modello dell’impianto statunitense di Hanford, creato nel 1943 dagli Stati Uniti, il cui compito sarebbe stato quello di isolare il plutonio dal combustibile esausto estratto dai reattori.
23 Boris Dänzer-‐Kantof e Félix Torres, L'énergie de la France: De Zoé aux EPR, une histoire du
programme nucléaire français, (Paris: Editions Bourin, 2013).
24 Georges Lamiral, Chronique de Trente Années d’Equipement Nucléaire à Electricité de France,
(Paris: Association pour l’Histoire de l’Electricité en France, 1988).
25 G. Hecht, The radiance of France, cit., pag. 95.
Il programma militare: la decisione di costruire la bomba.
Per quanto riguarda invece il programma militare, la decisione francese di dotarsi di un’arma atomica, può esser fatta risalire, secondo molte autorevoli fonti, all’autunno del 1954. Già il 26 ottobre di quell’anno, a tre soli giorni dalla firma degli Accordi di Parigi, l’allora Presidente del Consiglio francese Pierre Mendès France chiese ufficialmente ai vertici dell’esercito e del CEA di fornirgli delle stime realistiche sui costi di produzione di un’arma atomica nominando in segreto la Commission Supérieure des Applications Militaires de l’Energie Atomique affinchè le elaborasse26. Questa commissione, che negli intenti del Presidente avrebbe dovuto
raccogliere sia militari che scienziati, non si riunì mai vista la forte opposizione dell’esercito a collaborare con il CEA: le sue funzioni vennero mutuate tuttavia da un Comitato più ristretto guidato dal Generale Jean Crépin noto con il nome di Comité des Explosifs Nucléaires. Il rapporto redatto dal Comitato fu oggetto di analisi nel corso della successiva Riunione Interministeriale del 26 dicembre 1954. Nel corso di quest’assemblea segreta, alla quale partecipavano oltre ai ministri anche le più alte cariche dell’esercito e del CEA, Mendès France affermò la necessità strategica di dotarsi sia di un arsenale nucleare, sia di due sottomarini a reazione che fossero in grado di trasportare armi atomiche. Come racconta Goldschmidt riportando le parole del Primo Ministro:
“It was a good idea to start fabricating prototypes of nuclear submarines and bombs, because it was capital for France’s international influence, because even in disarmament discussions we would have more of a say if we had the bomb, and thirdly, and he insisted on this point, this would be what would differentiate us from the Germans, since the recent signature of the Paris Accords27”.
A tal fine veniva messo a disposizione un budget pari a circa cinque volte il corrispettivo del primo piano quinquennale del CEA: si disponeva, inoltre, che
26 Jacques Hymans, The psychology of Nuclear Proliferation: Identity, Emotions and Foreign Policy,
(Cambridge e New York: Cambridge University Press, 2006), pag. 102.
mentre la costruzione dei due sottomarini sarebbe stata resa nota alla stampa, la decisione di dotarsi di un’arma atomica, sarebbe rimasta una decisione segreta.
Come Jacques Hymans fa notare, la decisione presa da Mendès France nel dicembre 1954, catalizzò una serie di mutamenti tali che a partire da quel momento il cammino della Francia verso una propria forza nucleare militare sarebbe divenuto “irreversibile”. In primo luogo, la scelta del Primo Ministro, ruppe il fronte degli scienziati “eticamente contrari” alla bomba all’interno del CEA: la grande stima che molti degli scienziati vicini alla sinistra nutrivano per Mendès France, portò molti di essi a rivedere le proprie posizioni, avvicinandosi a quelle del leader. Caso singolare a riguardo è quello di Francis Perrin, all’epoca a capo della Direzione Scientifica del Commissariat, il quale da convinto oppositore della bomba francese ne divenne strenuo sostenitore. In secondo luogo la scelta di Mendès France ebbe un impatto profondissimo nel favorire il riavvicinamento tra militari e CEA. Grazie alla sapiente regia di Pierre Guillamat, all’epoca Direttore Amministrativo del CEA, nacque infatti il Bureau d’Etudes General: l’organo, il cui compito sarebbe stato quello di gestire il progetto atomico militare, fu dotato di straordinaria autonomia finanziaria e affidato al colonnello Albert Buchalet28.
L’efficiente e preziosa collaborazione che si generò tra scienziati e militari in quel contesto, contribuì sicuramente a lenire i dissapori che si erano generati tra le parti, già manifestatisi con virulenza nel caso della Commission Supérieure des Applications Militaires de l’Energie Atomique citata precedentemente. Infine, da un punto di vista politico, il fatto che la scelta “atomica” fosse stata compiuta da Mendès France, tolse dai suoi successori la “responsabilità personale” connessa a una decisione tanto gravosa dal punto di vista umano, lasciando loro solamente l’opportunità di proseguire o meno un progetto già iniziato. Come afferma Hymans:
“Edgar Faure – who took over the top job after Mend`es France’s fall – writes that his anxieties about the bomb were vastly calmed by the idea that he was not responsible for making the fateful choice29”.
28Dominique Mongin, La bombe atomique française 1945-‐1958, (Parigi e Bruxelles: LGDJ
Bruylant,1997), pag. 348.
Alla caduta del governo Mendès-‐France, giunta nel febbraio del 1955, il suo successore Edgar Faure , optò per una decisa prosecuzione del programma militare. Coadiuvato dal Ministro della Difesa Pierre Billotte e dal Segretario di Stato per l’Energia Atomica Gaston Palewski, entreambi gollisti, Faure decise di incrementare ulteriormente il budget, arricchendo con nuovi fondi molte allocazioni di spesa già definite e autorizzando il trasferimento al CEA di ingenti flussi di cassa per la costruzione dei due sottomarini nucleari30.
1.2 Il programma nucleare tedesco.
Aspetti politici e organizzativi.
Al contrario di quanto stava accadendo in Francia, lo sviluppo della politica nucleare in Germania non scaturiva né da preoccupazioni militari né da un recondito simbolismo politico volto al recupero dell’orgoglio nazionale. A differenza della Francia, il nazionalismo tedesco non aveva più alcuna ragione d’esistere: il paese era spaccato in zone di occupazione e le potenze alleate lavoravano per abbattere quanto rimanesse del sistema nazista disaggregando il potere e redistribuendolo su base locale31. I centri decisionali chiave della politica
industriale tedesca vennero, in questa fase, neutralizzati: di conseguenza la ricostruzione del paese non avvenne in modo organico e pianificato, ma in modo piuttosto frammentario e disomogeneo. Fatta eccezione per il Piano Marshall e per alcuni accordi di cooperazione industriale che vennero decisi a livello governativo, le potenze alleate complicarono e resero più macchinosa la rinascita industriale tedesca, imponendo numerosi vincoli burocratici alla ricostruzione industriale pur di poterla controllare costantemente. Mancavano pianificazioni organiche e precisi disegni di sviluppo entro cui rigenerare il tessuto produttivo: in questo contesto lo sforzo delle classi politiche locali per favorire la ricostruzione fu notevole. Esse si trovavano costrette a svilire deliberatamente l’importanza strategica e militare dei plessi siderurgici, chimici e metalmeccanici che venivano riattivati, giustificando i
30 Ivi.
raggiungimenti solamente in funzione del significato commerciale che tali industrie avevano per la ricostruzione32.
Il programma nucleare civile della Germania Ovest fu dunque realizzato all’interno di una cornice organizzativa decentrata, molto diversa dalle strutture centralistiche adottate dalla larga maggioranza delle potenze occidentali. Mentre negli Stati Uniti, in Gran Bretagna ed in Francia la responsabilità nello sviluppo di un programma nucleare nazionale faceva capo ad agenzie governative incaricate di seguire sia la crescita civile che quella militare del piano, in Germania ciò non avvenne33. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, infatti, alla Germania Ovest era stata
preclusa la possibilità di effettuare ricerca e sviluppo in campo nucleare sia con finalità civili che militari. I vincoli ed i controlli esercitati dagli alleati sui centri di ricerca, in particolar modo quello di Göttingen dove aveva lavorato Heisenberg, furono talmente stringenti da impedire ogni esperimento di proporzioni rilevanti, vietando agli scienziati qualsiasi attività che non fosse connessa con i soli studi teorici sulla fissione. I trattati di Parigi, che ristabilirono la sovranità nazionale e aprirono la strada ai primi studi in ambito civile, furono accompagnati tuttavia dalla firma del Protocollo III alla versione emendata del Trattato di Bruxelles. In esso era contenuta la cosiddetta Kernwaffenverzicht, ovvero una dichiarazione unilaterale del Cancelliere Tedesco Konrad Adenauer, che impegnava la Repubblica Federale “a non fabbricare armi atomiche, chimiche o batteriologiche sul suolo nazionale”. Come Gunnar Skogmar fa notare, la dichiarazione, a prima vista granitica nella sua formulazione, era tuttavia ben più sfumata ed ambigua di quanto non apparisse: essa non era accompagnata da alcuna limitazione temporale e non aveva ulteriori specificazioni, ma conteneva delle affermazione precise. In primo luogo, pur escludendo la produzione di un ordigno nucleare sul suolo tedesco, non escludeva la sua acquisizione tramite collaborazioni internazionali o
32 Christian Bode, “Möglichkeiten und Grenzen einer Gesetzgebung des Bundes zur Förderung der
wissenschaftlichen Forschung” in Wissenschaftsrecht, Wissenschaftsverwaltung,
Wissenschaftsförderung, no. 5, (1972), pp. 222-‐238.
33 Robert Gerwin, Atomenergie in Deutschland. Ein Bericht über Stand und Entwicklung der
Kernforschung und Kerntechnik in der Bundesrepublik Deutschland, (Düsseldorf e Vienna, Econ,
la sua fabbricazione al di fuori del territorio nazionale34. In secondo luogo la
dichiarazione non escludeva la possibilità di produrre combustibile fissile di natura “civile” (plutonio) sul territorio tedesco, materiale a partire dal quale l’assemblaggio di un ordigno sarebbe stato estremamente rapido. In terzo luogo essa non escludeva la costruzione di reattori finalizzati alla propulsione di navi civili o sottomarini. Infine è necessario ricordare come l’impegno preso da Adenauer fosse diretto verso gli alleati atlantici e non verso l’Unione Sovietica, attori che in linea di principio avrebbero potuto accettare una deroga al principio di Kernwaffenverzicht qualora la situazione internazionale fosse mutata35.
Altri limiti alle responsabilità di controllo del governo scaturirono invece dall’ordinamento Federale del paese: per assumersi la responsabilità formale del settore nucleare il Governo dovette emendare la Costituzione, richiedendo formalmente ai Länder la loro approvazione alla modifica costituzionale. Il supporto all’industria nucleare, dunque, non spettava al Cancelliere ed al suo Gabinetto ma era competenza condivisa con gli stati federati. Ciò significava che qualora questi ultimi avessero voluto prendere azioni parallele a quelle del governo federale, avrebbero, sia pure entro alcuni limiti, potuto farlo36. Il partito
Cristiano Democratico, al potere tra gli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 stava perseguendo una politica industriale liberista, con pochissime limitazioni al libero mercato. Per questa ragione, anche il design, l’ingegnerizzazione, la costruzione e la gestione di centrali nucleari vennero pensati come compiti che dovessero essere assolti dall’iniziativa privata: competeva al Governo, invece fornire una piattaforma di leggi e regolamentazioni che prevenisse abusi e sostenesse l’industria privata al di fuori dei confini nazionali. L’influenza del Cancellierato fu ulteriormente limitata anche dalla struttura industriale decentralizzata del paese: la fornitura di elettricità, ad esempio, non era nelle mani di un solo attore (come
34 Adenauer avrebbe potuto in qualsiasi momento importare ordigni atomici dagli USA mediante
un trattato bilaterale con questi ultimi oppure collaborare con la Francia allo sviluppo di un programma militare di sviluppo congiunto di sistemi d’arma come già era avvenuto nel settore
aeronautico con la collaborazione franco-‐tedesca nella produzione di caccia. In Gunnar Skogmar,
The United States and the nuclear dimension of European Integration, (Basingstoke e New York:
Palgrave and Macmillan, 2004), pag. 83.
35 Ibidem, pag. 83-‐85.
36 Otto Keck, Policymaking in a nuclear program, (Lexington and Toronto: Lexington Books, DC
EDF in Francia o ENEL in Italia) ma faceva capo a centinaia di piccole aziende, molte delle quali compartecipate dai governi locali. Non esisteva dunque una regolamentazione comune in termini di prezzo: sia il Cancellierato che i governi locali avevano ben pochi margini per controllarne l’operato ed i guadagni. Poiché gli utilizzi dell’energia atomica maggiormente visibili erano alla fine degli anni ’40 quelli esclusivamente militari, la promozione di una crescita nucleare nel settore civile era un tema piuttosto scivoloso, che andava sviluppato de-‐enfatizzando costantemente la dimensione strategica e militare del nucleare, puntando invece sulla valorizzazione della filiera industriale in termini d’innovazione e sviluppo di nuove tecnologie che rendessero le industrie tedesche nuovamente competitive nel settore37. La valutazione degli alleati sulla necessità o meno di lasciare che la
Germania si dotasse di un programma nucleare civile doveva essere spostata sul piano delle considerazioni tecnico-‐economiche di natura industriale, non certo di prestigio o di forza militare. Restringendo il focus alla sola dimensione industriale la Germania avrebbe potuto schivare ogni tentativo francese di spaccare gli alleati occidentali forzando la Germania a scegliere tra Parigi e Washington, disinnescando i timori sovietici connessi ad una ritorno dei tedeschi al nucleare. L’approccio tedesco alla politica nucleare fu proprio per questi motivi estremamente cauto.
Facendo seguito all’iniziativa di alcuni gruppi industriali del Nord-‐Reno Westphalia che stavano preparando degli studi preliminari alla costruzione di un piccolo reattore di ricerca, il governo della RFT creò un Ministero per gli Affari Atomici (Bundesministerium fur Atomfragen). Il bavarese Franz Joseph Strauss ne assunse la guida nell’ottobre del 1955 38. Il ministero avrebbe avuto la
responsabilità di pianificare la crescita industriale del programma, stabilendo priorità, tempi e costi del progetto per le casse dello stato. Esso era inoltre incaricato di mettere ordine nelle varie sfere di competenza attraverso un impianto normativo innovativo: ciò avrebbe trovato compiuta formulazione
37 Emblematico a riguardo, è il discorso che il Ministro Franz Joseph Strauss pronunciò in occasione
della cerimonia inaugurale per la nascita della Commissione Tedesca per l’Energia Atomica (Deutsch
Atom-‐komission) nel gennaio del 1956: “For us it is not a matter of military or political power. Nor it is a matter of prestige. But is indeed a matter of asserting and securing the place of the German People among industrial nations”. In H. R. Nau, National Politics, pag. 72.